mercoledì 4 agosto 2010

LIBERARE i PRIGIONIERI POLITICI DELLE NAZIONI SENZA STATO, IL CORAGGIO di concedere la LIBERTA' e L'INDIPENDENZA.

SAYLI VATURU

A DISTANZA DI UN ANNO RIPRENDIAMO UN ARTICOLO MOLTO SIGNIFICATIVO PER TUTTO IL MOVIMENTO INDIPENDENTISTA NAZIONALITARIO INTERNAZIONALE, OGGI SI PROFILA LA POSSIBILITA' DI DARE UNO SBOCCO DEMOCRATICO A DECENNI DI GUERRE DI LIBERAZIONE NAZIONALE DI NAZIONI SENZA STATO.

L' EUROPA E' SEMPRE PIU' DEFINITA NEL SUO POTERE STATUALE E SUONA INSENSATO IL MANTENIMENTO DI UNO STATUS QUO NAZIONALE PERIFERICO DELLE VECCHIE STATUALITA'.

VA DA SE' IL SUO SUPERAMENTO E IL LORO SCIOGLIMENTO PER FAR POSTO ALL'EUROPA DEI POPOLI, PIU' GIOVANE E DINAMICA NELLA NUOVA SITUAZIONE D'EUROPA DEI POPOLI, E' L'OVVIA CONSEGUENZA DEL NUOVO SUPER STATO, MA, DEVONO ESSERE SUPERATE LE RIGIDE BARRIERE ERETTE DALLE VETUSTE STATUALITA'.

DARE CORSO ALLA LIBERAZIONE DELLE MIGLIAIA DI PERSONE PATRIOTE ANCORA CHIUSE DENTRO LE FATTISCENTI ED INSANE CARCERI SPARSE NELLA VECCHIA EUROPA, E' COSA BUONA E GIUSTA, ED E' SAGGIO COMPRENDERE CHE LA PACIFICAZIONE NATZIONALE PASSA ATTRAVERSO UN ATTO DI "CLEMENZA" DOVUTO AL PROPRIO ANTAGONISTA, COSA "DOVUTA" E NON ELARGITA, COSA CHE I VECCHI ED OBSOLETI STATI NAZIONALI STENTANO ANCOR ORA A COMPRENDERE NELLA LORO PICCOLEZZA PROGETTUALE, LA STANTE, INATTUALE INGIUSTIZIA.

E' ORA DI DEFINIRE E DAR CORPO ALLA INSUSISTENZA DEI VECCHI STATI PER SUPERALI CON DECRETO AMMINISTRATIVO DELLA CAMERA EUROPEA AFFINCHE' ESSI SIANO ABOLITI E DIANO SPAZIO AL NUOVO FATTO CHE ALEGGIA NELL'ARIA DA MOLTI E LUNGHI ANNI, OVVERO UNA EUROPA DEI POPOLI, SI PROVVEDA A DARE VIA ALLA NUOVA REALTA' TRASNAZIONALE DEI POPOLI EUROPEI!

LIBERARE I PRIGIONIERI POLITICI DELLE NAZIONI SENZA STATO E' NON SOLO UN DOVERE CIVICO MA UNA RAGIONE DI EVOLUTA COSCIENZA E CONSAPEVOLEZZA.
MANTENERLI ANCORA CHIUSI DIETRO LE SBARRE E' SINONIMO DI IRRESPONSABILITA' E VOLER MANTENERE LO STATO DI COSE PASSATO ANCORA ATTIVO NONOSTANTE SIA DI GRAN LUNGA SUPERATO DAGLI EVENTI E DALLA REALTA' DELLA NUOVA STORIA D'EUROPA!


SEGUE ARTICOLO

IL PROCESSO DI UN POPOLO
DEGLI AMICI E COMPAGNI DI CORSICA


Di fronte all’anarchia della fine del diciannovesimo secolo, il legislatore ha inventato la "associazione sovversiva" è ben noto anche oggi, l’uso criminale indiscriminato dell’inchiesta dello stato francese, emettendo ordini di custodia cautelare che durano un tempo indeterminato, a persone cui non sono accusate di trasgressioni penali con accuse certe su episodi certi coadiuvati di trasgressioni di legge certe, no, non di questo si tratta, ma di accuse esercitate in modo blando generico e superficiale, accuse di associazione sovversiva con fini di “impresa terroristica” senza prove ne documentate ne provate. Con l’aggravante della negazione della possibilità di autodifesa per i detenuti Patrioti Corsi falsamente e ingiustamente detenuti dallo stato francese, in quanto trattasi di accusa astratta falsa e insensata, La condanna a 30 anni di carcere,e la reclusione da Jean Castela e Vincent Andriuzzi, l’assoluzione in appello e la condanna successiva alla pena massima di Yvan Colonna certifica l'affondamento del diritto e della giustizia dei tribunali francesi in Corsica(1).

In quasi tutti i più recenti conflitti, gli insorti hanno invocato il proprio diritto all’autodeterminazione per giustificare la secessione di una parte del territorio nazionale. Di autodeterminazione parlano poi alcuni gruppi terroristici dell’Europa occidentale (l’ETA nei Paesi baschi e l’IRA nell’Irlanda del Nord), che, pur non dando luogo a vere e proprie guerre civili, hanno determinato situazioni di indubbia gravità. Infine, gruppi politici ben insediati nei parlamenti di alcune democrazie occidentali inseriscono nei loro programmi, secondo il vento che tira, un’ipotetica quanto futura separazione di una parte del territorio dello Stato (quella che essi rappresentano): la Lega nord in Italia, o al Partito catalano in Spagna, ma anche ai gruppi per l’indipendenza di Sardegna, Corsica, Bretagna, Scozia, Galles, Québec. Ma il diritto dei popoli all’autodeterminazione fa a pugni con l’esigenza di tutelare l’integrità territoriale degli Stati. Tutto questo porta ad un’inevitabile questione: a chi spetta e a che condizioni può essere esercitato il diritto all’autodeterminazione? Quand’è che un popolo può spezzare le frontiere che fino a quel momento l’hanno racchiuso?

La Carta delle Nazioni Unite, senza troppe specificazioni, fa riferimento al diritto all’autodeterminazione nell’art. 1, par. 2 (che lo considera una condizione indispensabile per lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni) e all’art. 55 (dove sono indicate le misure da prendere per garantirne l’esercizio). Stando alla lettera delle disposizioni, comunque, gli Stati europei non avevano alcun obbligo di evacuare le colonie per lasciarle al loro destino, ma dovevano limitarsi a promuoverne lo sviluppo e il benessere, in vista di una futura quanto ipotetica indipendenza. Inoltre, in virtù dell’art. 2, par. 7, che sancisce il divieto di ingerenza negli affari interni degli Stati, i poteri dell’Organizzazione in materia erano alquanto ridotti. Oggi la situazione è completamente diversa, grazie alla mutata coscienza degli Europei e alle numerose dichiarazioni e risoluzioni che sono state approvate in materia: la Dichiarazione dell’Assemblea generale sulla decolonizzazione (2) (che sancisce il dovere positivo di promuovere l’autodeterminazione e il dovere negativo di astenersi dall’usare la forza per privarne i popoli); il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 ("all peoples have the right to self-determination" (3) ); la Dichiarazione 2160 del 1966 (4) (per la quale ogni azione coercitiva, diretta o indiretta, volta a privare un popolo del suo diritto all’autodeterminazione, costituisce una violazione della Carta delle Nazioni Unite); la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli (1970), adottata per consensus (5) ("all peoples have the right freely to determine, without external interference, their political status and to pursue their economic, social and cultural development, and every State has the duty to respect this right in accordance with the provision of the Charter" (6) ), che qualifica l’uso della violenza per privare i popoli della loro identità nazionale come una violazione dei loro diritti inalienabili e del principio del non intervento; la Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974 (7) , che riafferma il divieto di minaccia o uso della forza contro istanze di autodeterminazione (8) . A ciò bisogna aggiungere le numerose risoluzioni di condanna contro la politica colonialista di Portogallo, Repubblica Sudafricana, Rodesia del Sud, Israele, che sono state approvate all’unanimità "virtuale", cioè con il solo voto contrario di coloro contro cui erano dirette.

Al colonialismo possiamo affiancare l’apartheid (cioè quel regime che pratica su larga scala, tramite una precisa legislazione, la discriminazione razziale), che oggi viene considerato un crimine contro l’umanità (9) . Visto che la stragrande maggioranza degli Stati si è conformata alla condanna generale del colonialismo e del razzismo, si può ritenere attualmente esistente una norma consuetudinaria che ha modificato le originarie previsioni della Carta ed ha internazionalizzato questo tipo di lotta per l’autodeterminazione.

Ma chi è legittimato ad accertare la natura razzista e/o colonialista del governo contro cui combattono gli insorti? Non è sufficiente che lo Stato interveniente dichiari unilateralmente, per giustificare il proprio appoggio militare ai ribelli, che il governo legittimo opera discriminazioni basate sulla razza o attua una dominazione di tipo coloniale: è fin troppo facile prevedere gli abusi di un simile potere discrezionale. La lotta dei movimenti di liberazione nazionale deve perciò essere legittimata da un atto delle Nazioni Unite, quale una risoluzione di condanna nei confronti del regime, o una dichiarazione di sostegno agli insorti. Tra i tanti esempi, si possono ricordare la risoluzione 390 del 1950 dell’Assemblea generale, che prevedeva l’autogoverno dell’Eritrea, i pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia che hanno riconosciuto la legittimità della lotta della Namibia contro l’occupazione sudafricana (1970) e quella del Fronte Polisario per l’indipendenza del Sahara occidentale (1975), o ancora la risoluzione 3237 del 1974, che invitava permanentemente l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina a partecipare come osservatore ai lavori dell’Assemblea generale. Questi atti si aggiungono alle numerose risoluzioni di condanna nei confronti di Israele, Rodesia del Sud, Repubblica Sudafricana e Portogallo, che hanno legittimato indirettamente gli oppositori a questi governi.

Anche nel lontano tempo del nazifascismo imperavano i “Tribunali Speciali” , malattia comune e diffusa nell’Europa nazi-fascista, i quali si dilettavano alla ricerca di criminali che nella loro concezione non potevano chiedere di autodeterminarsi e perciò considerati di fatto oppositori allo stato assolutista. In Italia il fascismo colpisce l’indipendentismo Sardo che aveva contribuito in modo determinante alla liberazione alla sua liberazione dall’occupazione Austriaca, con decine di migliaia di martiri Sardi morti per una nazione che non ci appartiene, e che invece di premiarci ci opprime; e così anche per i fratelli Corsi il regime di Vichy riserba loro il carcere duro e sicure decapitazioni, il tutto senza nemmeno aver uno straccio di prova contro i patrioti, cosa dobbiamo pensare del regime attuale sia in Francia che in Italia, in paragone dei fatti anzidetti?

RIVENDICARE IL DIRITTO ALLA SOVRANITA’ E FATTO INCONTESTABILE E DOVUTO!

L’insurrezione contro un governo colonialista e/o razzista

Il diritto dei popoli all’autodeterminazione comparve per la prima volta tra i quattordici punti proclamati dal presidente americano Wilson alla fine della Prima guerra mondiale (10) . Nella sua prima versione, fu riconosciuto soltanto ai popoli (intesi come comunità caratterizzate dall’appartenenza ad una stessa etnia, lingua, cultura) dell’Europa dell’est e del Medio Oriente, che, dopo la caduta degli Imperi centrali e di quello Ottomano, erano finalmente liberi di decidere del proprio destino. Nacquero così Stati come la Cecoslovacchia e la Yugoslavia, ed è significativo notare (per evidenziare l’elasticità del principio) che proprio questi Paesi oggi non esistono più.
Ma non è tutto. L’art. 1, par. 4 del primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, stipulato nel 1977, equipara ai conflitti internazionali, ai fini dell’applicazione del diritto umanitario, le guerre in cui i popoli lottano contro la dominazione coloniale, i regimi razzisti o l’occupazione straniera (9) , distinguendoli perciò dalle guerre civili, di cui si occupa il secondo Protocollo. Per essi, si prescinde dall’elemento materiale del controllo effettivo di una parte del territorio nazionale, per privilegiare il fine, ritenuto dagli Stati presenti a Ginevra particolarmente meritevole.

Una precisazione si rende però necessaria. Secondo un’opinione ricorrente, favorire e riconoscere l’indipendenza del Kosovo potrebbe legittimare, in un prossimo futuro, le pretese secessioniste di altre minoranze, come quelle dei baschi, dei còrsi dei sardi o degli altoatesini di lingua tedesca. Ci si chiede, perciò, perché la Serbia dovrebbe tollerare che un’autorità esterna le imponga di amputare una parte rilevante del suo territorio, quando Spagna, Francia e Italia, di fronte ad una simile pretesa, alzerebbero gli scudi. L’opinione si basa sulla premessa: l’affinità della situazione balcanica con i movimenti indipendentisti occidentali.

La necessità di liberazione per i popoli e le nazioni senza stato in Europa è di fondamentale impellenza, l‘Europa e le Nazioni si devono porre il problema per risolverlo velocemente, dando il giusto risvolto ai bisogni dei popoli, 10) mostrando buona volontà liberando i prigionieri “politici” che sono incarcerati nei vari Paesi a partire dalla Francia e dalla Spagna 2)dare tutte le libertà civili necessarie e liberalizzare e propugnare il diritto all'autodeterminazione delle nazioni in Europa delle realtà senza stato, tutte, presenti nella Comunità Europea.

Parità di diritti e dignità, parità di rappresentanza e parità di sovranità di tutti i popoli e le nazioni senza stato, in una libera Europa.

Libertà Per tutte le nazioni senza stato nel mondo






NOTE BIBLIOGRAFICHE:


1) http://www.uribombu.com/france_justice_exception716482.htm

2) Sul principio di autodeterminazione, vi sono interessanti contributi reperibili a questo indirizzo telematico.

3) Declaration on granting Indipendence to Colonial Countries and Peoples, in Yearbook of the United Nations, 1960, p. 46.

4) Testo in American Journal of International Law, 1967, p. 861 e 870.

Paragrafo 1, lett. b della Declaration on the Strict Observance of the Prohibition of theThreat or Use of Force in International Relations and the Right of Peoples to Self Determination.

6) Cioè in assenza di voto palese.

7) Testo in American Journal of International Law, 1971, p. 243 ss.

8) Testo in Revue générale de droit international public, 1975, p. 261 ss.

Cfr., per un esame delle dichiarazioni richiamate, ISLAM, Use of Force in Self-Determination Claims, in Indian Journal of International Law, 1985, p. 424 ss.; VIRALLY, Droit international et décolonisation devant les Nations-Unies, in Annuaire français de droit international, 1963, p. 508 ss.

10) Cfr. Revue générale de droit international public, 1978, p. 330.

Sulla personalità internazionale degli Stati che praticano l'apartheid, si veda CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1996, p. 18. Secondo l'Autore, nel caso della Rhodesia del Sud, contro cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato misure di isolamento totale, si era formata una norma ad hoc, che ne escludeva la personalità.
http://www.cahiers.org

martedì 3 agosto 2010

U Prugramma di e Ghjurnate Internaziunale di Corti

U Prugramma di e Ghjurnate Internaziunale di Corti


Ghjurnate Internaziunale di Corti, i 7 è 8 d'Aostu 2010

DELEGATIONS :

EUSKAL HERRIA :
- Batasuna
- Segi
- Askatasuna
- Autonomia
- Errakia (représenté par Gaby Mouesca, ex président de l’OIP)

EIRE :
- Sinn Fein (Représenté par Paul Flemming, ex prisonnier politique de l’IRA, membre du bureau politique du Sinn Fein, ex maire de Derry)

CATALUNYA :
- ERC (Esquerra Republicana de Catalunya)

KANAKY :
- FLNKS (Front de Libération Nationale Kanak et Socialiste)
- USTKE (Union Des Travailleurs Kanaks et Exploités)
- Parti Travailliste de Kanaky

SARDIGNA :
- IRS (Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna)
- Sardigna Natzione Indipendentzia

PROGRAMME :

SAMEDI 07 AOUT :

- 10 h : Ouverture des Ghjurnate di Corti, conférence de presse internationale, présentation des délégations.

- 12 h : Ouverture Restaurant Sulidarità au profit des prisonniers politiques.

- 16 h : Débat Répression et droits humains : tour d’horizon sur la répression dans les divers pays avec les représentants d’associations politico-humanitaires. Débat animé par la C.A.R. de Corsica Libera et l’Associu Sulidarità. Situation du rapprochement des prisonniers politiques en Corse avec les démarches entreprises ces derniers mois. Situation répressive en Irlande, au Pays basque et en Kanaky.

- 18 h : débat et analyse respective des situations dans les pays en lutte, « sur les processus politiques de sortie de crise en Europe »

- 19 h : Ouverture du restaurant Sulidarità.

- 20 h : Apéritif animé par divers groupes culturels.

- 21 h 30 : Hommage à la lutte du peuple irlandais, avec la projection du film « Bloody Sunday » de Paul Greengrass, suivie d’un débat avec Paul Flemming, témoin vivant de ce tragique événement.

DIMANCHE 08 AOUT :

- 11 h : Première assemblée de la Fédération des élus de Corsica Libera.

- 12 h : Ouverture du restaurant Sulidarità.

- 14 h : Atelier Fédération des élus de Corsica Libera.

- 16 h : Débat avec Corsica Libera et les acteurs de la vie politique, sociale, économique et culturelle sur les thèmes de la citoyenneté et du foncier.

- 18 H : MEETING CORSICA LIBERA.

- 20 h : Ouverture restaurant Sulidarità.

- 22 h : Soirée culturelle avec Alba Nova et l’Arcusgi.

Au cours des ces Ghjurnate Internaziunale, les visiteurs auront la possibilité d’aller à la rencontre de la réalité des diverses luttes représentées par les stands des délégations. Les stands de l’Associu Sulidarità et de Corsica Libera seront également présents, ainsi que ceux tenus par des écrivains qui feront une dédicace de leurs ouvrages consacrés aux différentes luttes de libération.


lunedì 2 agosto 2010

Confronto tra centrali solari CSP e centrali nucleari

folliaquotidiana.net

È interessante confrontare i vantaggi e gli svantaggi di due tecniche per ottenere energia elettrica che sono candidate a sostituire i combustibili fossili.

Centrali nucleari

Il vantaggio principale delle centrali nucleari consiste nella elevata potenza e nella disponibilità della produzione di energia, sono infatti disponibili reattori che raggiungono anche i 1600 MW di potenza. La produzione di energia è costante, quindi possono essere impiegate come fonti energetiche “di base”, ovvero fornire la quota di energia elettrica che è necessaria giorno e notte e in tutti i giorni dell’anno. Non sono adatte invece ad essere fonti energetiche “di picco”, ovvero fornire l’energia elettrica nei periodi in cui è richiesta una quantità di energia superiore alla media, ad esempio nelle giornate più calde dell’estate o nelle giornate più fredde invernali. Poiché la potenza è poco modulabile, nel caso in cui una nazione possieda una grande quota di energia prodotta dal nucleare come la Francia, si corre il rischio di dover “svendere” l’energia all’estero nei periodi in cui c’è poca richiesta, come nelle ore notturne.

Gli svantaggi sono diversi. Le centrali nucleari sono molto costose, da 3800 a 5200 $/kW, mentre il MIT calcola circa 4000 $/kW. La sicurezza è un problema molto delicato, poiché un incidente può avere conseguenze disastrose. Il combustibile nucleare deve essere prodotto attraverso una complessa sequenza di lavorazioni e le scorte di minerale sono stimate in 60 anni. Un problema non ancora risolto è costituito dallo smaltimento dei rifiuti nucleari, poiché i siti devono avere caratteristiche fisiche stringenti.

Centrali solari CSP

Le centrali solari CSP sono centrali che concentrano i raggi solari attraverso degli specchi in tubi che contengono un fluido. Il fluido riscaldato viene impiegato per generare vapore, che muove una turbina per produrre elettricità. Oltre ad essere ad energia rinnovabile, queste centrali hanno il vantaggio di essere fonti energetiche affidabili e, sotto alcune condizioni, continue. Durante la notte la centrale può continuare a produrre elettricità, sfruttando il calore residuo del fluido. Aumentando la quantità di fluido e aumentando gli specchi è possibile aumentare l’autonomia della centrale.

Il fluido è costituito generalmente da sali usati nei fertilizzanti e le centrali non hanno problemi di sicurezza. Una volta costruite è richiesta solo la manutenzione.

La svantaggio principale consiste nella loro collocazione, che deve essere sufficientemente soleggiata da ricaricare di calore il fluido per la notte. Attualmente le centrali solari CSP hanno un costo comparabile a quello delle centrali nucleari ed è necessario disporre di collegamenti a lunga distanza per portare l’elettricità dove viene consumata. Il costo dell’elettricità è attualmente superiore a quello del nucleare, ma poiché non dipende dal costo del carburante, può solo diminuire attraverso la produzione di massa dei componenti più utilizzati, ovvero gli specchi.


Centrale Nucleare Centrale Solare Termica a Concentrazione
Costo di costruzione ($/kW) da 3800 a 5200 [7] da 4200 [4] a 5388-5700 [3]
Costo elettricità (LCOE) (c$/kWh) da 8,5 a 11 [7] strettamente correlato alla posizione della centrale
da 12,8-13,6 [3] a 20 [4]
si prevede una diminuzione fino a 5 nel 2020 [6]
Vita della centrale 60 anni 60 anni
Vulnerabilità ad attacchi terroristici Elevata: sono considerate un obiettivo primario
Necessitano di complesse misure di sicurezza relative alla centrale e ai materiali
Nessuna
Costi aggiuntivi Decommissioning, Gestione dei rifiuti radioattivi, Trasporto dei materiali radioattivi e sicurezza Linee elettriche su lunghe distanze
Emissioni indirette di CO2 Presenti nella costruzione della centrale e nella produzione del combustibile nucleare Presenti solo nella costruzione
Problematiche da risolvere Gestione dei rifiuti radioattivi, Proliferazione nucleare Nessuna

Conclusioni

Si prevede che in dieci anni i costi delle centrali solari CSP si riducano fino a diventare competitivi con le fonti energetiche tradizionali. L’immagazzinamento dell’energia rende queste centrali le uniche fonti rinnovabili che possono garantire una generazione di energia continua. Queste caratteristiche le rendono, assieme all’eolico, le energie rinnovabili maggiormente appetibili per il futuro. Sia per le centrali solari che per il nucleare esistono margini di miglioramento tecnologico, ma mentre per le centrali si tratta di migliorare la produzione di massa per ridurre i costi, le centrali nucleari di nuova generazione devono affrontare sfide tecniche molto più difficili, come lo sviluppo di sistemi di sicurezza migliori, lo sviluppo di reattori “veloci” (IV generazione) e una soluzione per la gestione dei rifiuti radioattivi.

Riferimenti:

[1] John M. Deutch, J.M., Charles W. Forsberg, A. C. Kadak, M. S. Kazimi, E. J. Moniz, J. E. Parsons, DU, Yangbo, L. Pierpoint
"Update of the MIT 2003 Future of Nuclear Power Study", Massachusetts Institute of Technology, 2009. Disponibile: http://web.mit.edu/nuclearpower/pdf/nuclearpower-update2009.pdf
[2] Yangbo Du, John E. Parsons, "Update on the Cost of Nuclear Power", Working Papers 0904, Massachusetts Institute of Technology, Center for Energy and Environmental Policy Research. Disponibile: http://tisiphone.mit.edu/RePEc/mee/wpaper/2009-004.pdf
[3] K. Ummel, D. Wheeler "Desert Power: The Economics of Solar Thermal Electricity for Europe, North Africa, and the Middle East", december 2008, Center for Global Development. Disponibile: http://www.cgdev.org/files/1417884_file_Desert_Power_FINAL_WEB.pdf
[4] "Technology Roadmap Concentrating Solar Power", International Energy Agency, 2010, Disponibile: http://www.iea.org/papers/2010/csp_roadmap.pdf
[5] Ramteen Sioshansi, Paul Denholm "The Value of Concentrating Solar Power and Thermal Energy Storage", Technical Report, February 2010, National Renewable Energy Laboratory, Disponibile: http://www.nrel.gov/docs/fy10osti/45833.pdf
[6] "Clean Power from Deserts – The DESERTEC Concept for Energy, Water and Climate Security", Whitebook 4th edition, February 2009, Desertec Foundation, Disponibile: http://www.desertec.org/fileadmin/downloads/DESERTEC-WhiteBook_en_small.pdf
[7] Seth Borin, Todd Levin, and Valerie M. Thomas, "Estimates of the Cost of New Electricity Generation in the South", Working Paper # 54, Georgia Institute of Technology, disponibile: http://www.spp.gatech.edu/faculty/workingpapers/wp54.pdf

domenica 1 agosto 2010

I sindacati sardi e il nuovo Statuto

MANIFESTO PER UN NUOVO STATUTO DELLA SARDEGNA

http://www.gianfrancopintore.net

16 luglio 2010

Al Popolo della Sardegna e alle sue istituzioni

Noi, cittadini, uomini e donne della cultura, del sociale, della politica e delle istituzioni della nostra amata terra, provenienti da tutte le parti dell'Isola e partecipanti di differenti espressioni politiche, diversi orientamenti culturali, molteplici ruoli politici e sociali riuniti nei pressi del Nuraghe Losa, in Abbasanta per riflettere sulle condizioni, i progetti e i doveri verso il nostro difficile presente e in vista di un migliore comune futuro, consapevoli dei tanti motivi che fino ad ora ci hanno visto spesso differenziati e posti reciprocamente in conflitto negli indirizzi istituzionali e in quelli politici decisi però a lavorare insieme attraverso ciò che ci unisce, ci rafforza e ci rende liberi, partecipando dei migliori valori del nostro popolo, nell'intento di costruire le risposte alle odierne necessità e alle positive prospettive della nostra gente, abbiamo congiuntamente deciso di porre all'attenzione del nostro Popolo i principi ispiratori che fondano il nostro impegno nella costruzione dei nuovi istituti autogoverno.
Sono i seguenti:

Primo. – La Sardegna è una nazione.
Il riconoscimento della soggettività del popolo sardo e del suo essere nazione rimanda a un’entità collettiva, a un popolo che trova, appunto, nel codice identitario (storia, lingua, tradizioni, stato geoterritoriale), non solo la vocazione, ma la fonte della titolarità dell’autogoverno.


Secondo.- La Sardegna sviluppa e mantiene una posizione singolare per quanto si riferisce alla lingua, alla cultura, al diritto civile ed all'organizzazione territoriale.
Il lavoro e i diritti, sas libertades, sono l’epicentro di questi obiettivi.


Terzo.- La Sardegna è un’isola ricca di territorio e di biodiversità anche se povera di popolazione. Tale originalità la definisce e la potrebbe arricchire rafforzandola per i tempi che verranno.
La comunità dei Sardi si identifica con i diritti internazionalmente riconosciuti agli individui e ai popoli, sul versante soprattutto delle libertà, dello sviluppo economico e sociale e dei diritti inerenti al lavoro, alla salute e all’istruzione. La comunità dei Sardi li promuove attraverso la formazione dei sui cittadini, il funzionamento delle sue istituzioni, il rispetto delle leggi, l’attuazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà e, nelle relazioni con gli altri, sulla base del mutuo rispetto e della pace fra i popoli.
In questa direzione si tratta di riconoscere alla Sardegna, da parte dell’Italia e dell’Europa, lo status di insularità. Inoltre, la comunità dei sardi ritiene di avere il diritto di decidere, anche oltre il patto di stabilità, e il federalismo fiscale, sui diritti essenziali e fondamentali, sulla scuola, sulla sanità, sulla mobilità delle persone e delle merci, sul sostegno alle imprese, sull’imposizione fiscale, sulle risorse utili a finanziare il lavoro e lo sviluppo, su quanto della ricchezza prodotta deve restare in Sardegna.


Quarto. - La Sardegna
Allo Stato italiano le istituzioni della Sardegna sono legate da un patto costituzionale i cui contenuti, i metodi e le condizioni intendono sottoporre a verifica secondo i propri diritti storici, le convenienze e le mutate condizioni della storia.
E’ dunque sulla base del riconoscimento del popolo-nazione, della nuova architettura costituzionale, del federalismo e del modello di partecipazione democratica che si deve avviare la fase della negoziazione con lo Stato per la definizione del Nuovo Patto Costituzionale.
Il federalismo interno, cooperativo e solidale rappresenta la scelta indispensabile per costruire un
nuovo sistema delle istituzioni sarde.
I principi di riferimento sono la sussidiarietà, la differenziazione e l’adeguatezza dei soggetti
costitutivi, nel rispetto delle peculiari identità storicoculturali e delle varianti linguistiche nei territori dell’Isola.


Quinto.- La Sardegna convive fraternamente ed è solidale con gli altri popoli del mondo.
La Sardegna si sente infatti partecipe dei destini del mondo. Essa si impegna, per quanto di sua possibilità, a difendere lo stare bene di tutte le comunità, perché i popoli ne fruiscano nella giustizia e perché la cittadinanza si estenda ad ogni essere umano.


Sesto.- La Sardegna, forte di una tradizione politica democratica, sottolinea l'importanza dei diritti e dei doveri, del sapere, dell'educazione, della coesione sociale e dell'eguaglianza.
Il nuovo modello di democrazia che riconosca e valorizzi il pluralismo delle “ISTITUZIONI”, sia politiche che sociali, nella formazione della volontà pubblica.
E’ questa la dimensione democratica e sociale fondamentale per contribuire a governare e risolvere la complessità dei problemi di una società in cui la rappresentanza elettorale non esaurisce la molteplicità dei bisogni e delle deleghe della persona.


Settimo.-La Sardegna partecipa con propri rappresentanti, progetti e programmi all'Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e di progresso europei.
La Sardegna, per la sua vocazione europea, partecipa con propri rappresentanti, progetti e programmi all’Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e di progresso per l’Europa. Offre amichevole collaborazione alle comunità e alle regioni vicine per formare, a partire dal Mediterraneo, un Euroregione per il progresso di interessi comuni.


Per fedeltà ai suddetti principi e per realizzare il diritto inalienabile della Sardegna all'autogoverno e al federalismo, è indispensabile, avviare un processo costituente, valorizzando tutte le proposte oggi in campo, è individuando un comune denominatore, in primo luogo tra le forze politiche ed istituzionali, e con il coinvolgimento di quelle economiche e sociali, avendo come riferimento temporale la durata di questa legislatura.


Questo manifesto per lo Statuto della Sardegna che congiuntamente individuiamo quale ‘il Manifesto del 16 luglio 2010 rappresenta l'ambizioso punto di riferimento che, a partire da oggi proponiamo all'attenzione e al confronto di tutti i cittadini della Sardegna, quale indirizzo alla riflessione e all'azione e quale promessa di impegno.









Il mondo mette al bando le bombe a grappolo (CLUSTER BOMBS) ma l'Italia no. Le produce

Alessandra Potenza
ilmanifesto.it

BOMBE A GRAPPOLO Entra in vigore oggi la Convenzione che le vieta
Il mondo le mette al bando ma l'Italia no. Le produce


Breve filmato ch
e documenta gli effetti letali dell'uso di munizioni a grappolo in tutto il mondo, con commenti, le nuove statistiche e analisi da esperti militari di Human Rights Watch. Video mostra come le munizioni a grappolo hanno messo in pericolo la popolazione civile dell'epoca in Vietnam, attraverso conflitti in Iraq e in Libano. Durante i tre ultimi giorni della guerra in Libano, Israele ha sparato fino a 4.000.000 di submunizioni cluster, secondo stime delle Nazioni Unite - il doppio dell'importo utilizzati dagli Stati Uniti durante l'attacco all'Iraq nel 2003.


Dopo anni di discussioni e negoziati, entra oggi in vigore la Convenzione sulle munizioni cluster (Ccm), un trattato internazionale che mette al bando le cosiddette «cluster bombs», le bombe a grappolo che hanno fatto migliaia di vittime civili negli ultimi anni. Una grande vittoria per la comunità internazionale e le vittime di queste armi disumane.

La convenzione, di cui si cominciò a discutere nel febbraio 2007 a Oslo, è stata già firmata da 107 paesi e ratificata da 38. Aperta alle firme il 3 dicembre 2008 a Oslo, grazie agli sforzi della Cluster munition coalition (Cmc) e altre associazioni umanitarie nel febbraio 2010 erano state raggiunte le 30 ratifiche necessarie perché la convenzione entrasse in vigore.

Fra gli obblighi vincolanti per gli stati aderenti vi sono: la distruzione entro 8 anni degli stock di bombe a grappolo, l'assistenza alle comunità e alle vittime delle bombe per un reinserimento nella società, l'identificazione e la bonifica entro 10 anni delle zone inquinate da bombe a grappolo, e l'assistenza ai paesi che necessitano aiuto per la distruzione degli stock e la bonifica dei terreni. Naturalmente, sotto la convenzione, le nazioni aderenti non potranno più usare né produrre questo tipo di bomba, considerata anche più letale delle mine anti-uomo.

Le cluster, infatti, quando vengono sganciate, rilasciano tanti ordigni più piccoli che si sparpagliano sul terreno e vi rimangono per anni, anche dopo la fine dei conflitti. Poiché tecnicamente non rientrano nella categoria di mine anti-uomo, le bombe a grappolo furono escluse dal trattato internazionale di Ottawa, che metteva al bando appunto le mine, entrato in vigore nel marzo 1999. Tuttavia gli effetti delle bombe a grappolo sono gli stessi. Spesso quando vengono sganciati, gli ordigni più piccoli rilasciati dalla bomba rimangono inesplosi, andando così a costituire una minaccia ancora più grave dopo la fine dei conflitti, in particolare per i civili.

In Libano, per esempio, più di 200 persone sono morte dopo la fine degli scontri con le truppe israeliane nell'agosto 2006. Questo perché l'esercito d'Israele, dopo il cessate il fuoco, sganciò migliaia di bombe grappolo sui campi libanesi. Come è intuibile, non esistono mappe che indichino l'ubicazione delle bombe, a differenza delle mine anti-uomo, e questo rende il processo di bonifica ancora più difficile e pericoloso. Inoltre le bombe cluster, per la loro forma e il colore, sono spesso scambiate dai bambini per giocattoli: il risultato è che fra le vittime civili almeno un terzo sono minori, secondo quanto riportato dalla Cluster munition coalition (Cmc).

Di fronte a questi fatti, va da sé l'importanza dell'entrata in vigore della Convenzione sulle munizioni cluster. Eppure i principali paesi produttori e utilizzatori (Stati uniti, Cina, Russia, Israele, India e Pakistan) non hanno aderito, rendendo meno efficaci i benefici della convenzione. Da buon paese civile, pronto sempre a dichiararsi contro le brutalità della guerra, neanche l'Italia ha aderito in pieno: nel senso che ha firmato, ma la ratifica da parte del parlamento non c'è ancora.

Perché il nostro paese indugia a fare il passo decisivo nei confronti di un documento così importante dal punto di vista umanitario? Prima di tutto perché noi le bombe cluster le produciamo e le conserviamo nei nostri arsenali militari (anche se la quantità degli ordigni non è conosciuta). Poi, perché la convenzione richiede agli stati aderenti delle responsabilità concrete: ad esempio la distruzione degli stock e l'assistenza umanitaria alle vittime, compiti onerosi che, a quanto pare, il governo non si vuole assumere e non si può (vuole) permettere.

A sollevare il caso sono stati alcuni senatori del Pd, che il 28 luglio hanno presentato un'interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio e ai ministri degli esteri e della difesa, affermando che sarebbe «inaccettabile» se la mancata ratifica fosse «da ascrivere alle esigenze dei bilanci ministeriali, anteposti ai diritti umani e al diritto internazionale».

La petizione «Stop cluster» attivata dalla Campagna italiana contro le mine ha già superato le 60mila adesioni e oggi, sul litorale romano, i volontari dell'associazione distribuiranno volantini, raccoglieranno firme e invieranno delle lettere ai parlamentari incitandoli a ratificare la convenzione.

sabato 31 luglio 2010

La pulizia etnica nel Negev israeliano

tradutzioni de Sayli Vaturu

http://www.guardian.co.uk/world/video/2010/jul/28/palestinian-territories-israel


Neve Gordon
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2010/jul/28/ethnic-cleansing-israeli-negev

La demolizione di un villaggio beduino da parte della polizia israeliana dimostra quanto lo Stato andrà a conseguire l'obiettivo di giudaizzare la regione del Negev

Un convoglio minaccioso dei bulldozer stava tornando a Be'er Sheva mentre guidavo verso l'al-Arakib, un villaggio beduino situato non più di 10 minuti dalla città. Una volta entrato nella strada sterrata che conduce al villaggio ho visto decine di furgoni di poliziotti pesantemente armati preparati a partire. La loro missione, a quanto pare, era stata già compiuta.

I segni di distruzione sono immediatamente evidenti. Ho notato le galline e le oche massacerate di pressi di una casa demolita, e poi ha visto un'altra casa e poi un altra, tutte le macerie.

Alcuni bambini stavano cercando di trovare un posto ombreggiato per nascondersi dal sole cocente del deserto, mentre alle loro spalle un flusso di fumo nero si alza dal fieno in fiamme. Le pecore, le capre e il bestiame erano in una posizione nascosta - forse perché la polizia li aveva confiscati.

Decine di uomini beduini erano in piedi su una collina gialla, condividendo le loro esperienze alle prime ore del mattino, mentre tutto intorno a loro gli alberi di ulivo erano sradicati e giacevano a terra. Un intero villaggio composto tra il 40 e 45 case sono state completamente rase al suolo in meno di tre ore.

All'improvviso ho avuto un déjà vu: una immagine di me stesso in piedi tra le macerie di un villaggio distrutto da qualche parte in una periferia della città libanese di Sidone. E 'accaduto oltre 25 anni fa, durante il mio servizio militare nei paracadutisti israeliani.

In Libano, i residenti erano tutti fuggiti prima che il mio plotone fosse arrivato, e noi semplicemente abbiamo camminato tra le macerie. C'era un qualcosa surreale in quella l'esperienza, e mi ha impedito di comprendere appieno il suo significato per molti anni. Al momento, ripensandoci, mi sembrava di camminare sulla Luna.

Questa volta l'impatto della distruzione ha dimostrato la capacità di distruzione immediata. Forse perché, quando sono arrivato, le 300 persone che risiedevano in al-Arakib, compresi i loro figli, erano seduti sotto le macerie, e la loro angoscia era più che evidente, o forse perché il paese è vicino al mio e si trova a soli 10 minuti da casa mia, a Be'er Sheva .

Io son passato tempo addietro in quei luoghi quando andavo a Tel Aviv o, a Gerusalemme, forse perché i beduini sono cittadini israeliani, ho improvvisamente capito quanto lo Stato d'Israele sia disponibile a raggiungere il suo obiettivo di giudaizzare la regione del Negev;

Quello che ho visto è stato, dopo tutto, un atto di pulizia etnica.

Dicono che l'intifada successivo sarà l'intifada beduino. Ci sono 155 mila beduini nel Negev, e più della metà di loro vive in villaggi non riconosciuti, senza elettricità o acqua corrente. Non so cosa potrebbero fare, ma 300 persone senza tetto, 200 dei quali bambini, Israele è sicuramente il drago che semina per il futuro solo morte e disperazione.





Ornella Demuru: il coraggio dell'indipendenza.

di Gabriella Saba
http://periodici.repubblica.it/d/

È l’unica donna segretario nazionale di un partito: Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna. Un movimento giovane, moderno, indipendentista, non violento. Sicuro di farcela (senza fretta) senza l’Italia.

Che sia sarda, lo capisci prima ancora che parli. Perché ha quella combinazione di caratteristiche (estetico-cromatiche, di atteggiamento), tipicamente sarde. Occhi e capelli scuri, modi decisi, il sorriso luminoso. E lo sguardo gentile, diretto. Ma niente spocchia: Ornella Demuru a 38 anni (adesso ne ha 39) è diventata l’unica donna segretario nazionale di un partito. Di Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna, partito fondato da un gruppo di ventenni sette anni fa, per reclamare l’indipendenza dell’isola. Ornella s’è avvicinata a quel movimento due anni fa, quando ancora lavorava a Tiscali nella comunicazione web. Di formazione, però, è medievalista. E nella recente campagna per le elezioni provinciali e comunali, ha scelto come simbolo i tulipani. Centinaia di tulipani addobbavano i banchetti di Irs e decoravano i manifesti.

Perché i tulipani, che poi non sono nemmeno un fiore sardo?

“Non sono sardi, è vero, ma hanno un valore simbolico universale: nelle culture asiatiche, per esempio, rappresentano la non violenza, uno dei punti cardine del nostro programma. Inoltre, dovrebbero evocare l’idea di una primavera indipendentista. Ma nessuno qui ha capito che quei fiori avevano un significato: pensavano che li usassi per dare un tocco romantico, femminile alla campagna di iRS”.

A proposito, è vero che quando i suoi compagni la presentano come “il nostro segretario donna?”, lei si rivolge alle signore del pubblico dicendo: “Come tutte sapete, noi donne siamo esseri umani come tutti gli altri”?.
“Certo. Trovo sottilmente discriminatorio che si puntualizzi il fatto che sono una donna. Di un segretario maschio nessuno si sognerebbe mai di specificare il sesso”.

Probabilmente perché lo sono tutti. Tranne lei. Si sente un esempio del matriarcato sardo? Ma è poi vera questa storia del matriarcato?
“Ma no, affatto. Dove sarebbero le donne di spicco, in Sardegna? Direi piuttosto che la società sarda è matrocentrica, ruota intorno alle donne. Qui c’è sempre stato rispetto, le donne sarde non sono sottomesse, né dipendenti. Basti pensare che in Sardegna non è mai esistito il delitto d’onore e che la Carta Delogu, la costituzione sarda dei tempi dei Giudicati, ammetteva il divorzio e puniva duramente qualunque forma di violenza contro le donne. Da qui a parlare di matriarcato, però, ce ne corre”.

Torniamo a iRS: vi definite indipendentisti, pragmatici e moderni. In pratica?
“Tanto per cominciare, crediamo che la Sardegna abbia i requisiti per diventare una repubblica indipendente. La nostra storia non si identifi- ca con quella italiana e la nostra cul- tura ha un’altra origine. I sardi hanno un’identità definita, che risale all’età nuragica. Hanno sempre preso le distanze dalle dominazioni e hanno avuto ben quattro secoli di autonomia con la civiltà dei Giudicati. E alla fine del Settecento erano anche sul punto di ottenere l’indipendenza. Perché l’esigenza di affrancarsi si propone periodicamente. Una specie di ruota di corsi e ricorsi”.

Ma la prima condizione per essere indipendenti è l’autosufficienza economica. Cioè mantenersi senza i finanziamenti statali: la Sardegna sarebbe davvero in grado di cavarsela?
“Naturalmente, ma deve prima affrancarsi dalle sue paure. Il resto viene di conseguenza, anche se non è certo facile”.

Vuole dire che i sardi hanno un problema di autostima?
“Esatto. Abbiamo sempre vissuto in attesa del salvatore, si trattasse di Soru, Cappellacci o Berlusconi. Qualcuno a cui delegare, comunque. Ma quell’impostazione va cambiata. Bisogna convincere i sardi che la politica la dobbiamo fare tutti, smettendola finalmente di aspettare una guida che risolva i problemi al posto nostro”.

In ogni caso, non siete rivendicativi, non ce l’avete con l’Italia.
“No, a differenza dai sardisti. Loro dicono: “All’Italia abbiamo dato l’anima, abbiamo sacrificato i nostri soldati per combattere accanto a loro, e adesso l’Italia ci deve dare i soldi, ci deve aiutare, salvare”. È il concetto della nazione abortiva, che porta sul piano economico all’assistenzialismo, e su quello psicologico alla totale mancanza di fiducia in noi stessi”.

Ma lei non si sente nemmeno un po’ italiana?
“No. Mi sento sarda. E vorrei relazionarmi da sarda con gli altri paesi, a cominciare dall’Italia”.

Anche Renato Soru si sente sardo, però ha dichiarato che la sua storia è anche quella della Resistenza, della Costituzione e delle lotte sindacali.
“Per quel che ci riguarda, riteniamo che il nostro debito (mi riferisco alla Resistenza) sia chiuso. Abbiamo fatto un po’ di strada insieme, noi e l’Italia, però è finita. Non vogliamo cancellare parti importanti della nostra storia, che consideriamo un arricchimento, non una rinuncia”.

E della Lega cosa pensa?
“Fa una politica poco pluralista e poco inclusiva che non condividiamo. Detto questo, la loro presenza nell’isola ci lascia indifferenti”.

Torniamo alla Repùbrica de Sardigna. Ammesso che ci si arrivi, come la immagina?
“Una nazione moderna e centrata sull’uomo, solidale, inclusiva”.

Siete anche non violenti. Quindi, niente esercito?
“Niente esercito”.

E la “limba sarda” come lingua nazionale?
“Anche, ma insieme a molte altre, come l’italiano e l’inglese. Siamo a favore del plurilinguismo. Ripeto, vorremmo diventare una nazione moderna”.

E come si manterrebbe questa Repùbrica?
“Dovremmo rimpostare l’economia. Puntare sulle piccole e medie aziende, soprattutto agroalimentari e artigianali. E si dovrebbero creare le condizioni perché siano più sostenibili.
In altre parole, siamo a favore di una defiscalizzazione mirata. Un’altra risorsa importante sarebbe la rivitalizzazione dei centri storici, con una politica che favorisca gli artigiani che ci lavorano e la gente che va ad abitarci”.

E il turismo non potrebbe servire?
“Il vero problema è che attualmente ai sardi, degli introiti del turismo non resta granché: il 70% va ai trasporti, che non sono nostri, e circa l’80% dei prodotti che vengono acquistati dai turisti sono importati. Per esempio il pesce arriva in gran parte da fuori. Ecco, tutto questo bisognerebbe reimpostarlo a favore dei sardi”.

Facile a dirsi, ma…
“Chiaro, ci vogliono pazienza e tempo”.

E poi ci sono alcune caratteristiche sarde che non aiutano: cosa pensa di quell’antica definizione datavi dagli spagnoli: “pocos, locos y mal unidos”?
“è solo un luogo comune”.

Però i sardi sembrano avere grandi difficoltà ad associarsi, non creano cooperative…
“Guardi, la Sardegna è tra le regioni italiane con il maggior numero di associazioni di volontariato. Quindi il problema non è che i sardi non vogliono associarsi. È vero che abbiamo poche cooperative, ma queste nascono quando c’è una politica che le incentiva e dà indicazioni chiare, e una struttura che permette di comunicare e promuovere il proprio lavoro”.

Qual è la dote più evidente della Sardegna di oggi?
“La creatività. Non c’è paesino, anche il più sperduto, che non abbia il suo pittore, il suo cantante, il suo scultore. Peccato però che poi la cultura da noi sia considerata un hobby, e non venga contemplato il suo sviluppo”.

Alle elezioni provinciali del 2010 l’Irs ha ottenuto quasi il 4% dei voti, in totale circa 30mila. Siete un movimento giovane, non fate una politica facile. La domanda è: come ci siete riusciti?
“Con un paziente e capillare lavoro di comunicazione. Abbiamo cercato di convincere i nostri compatrioti che hanno tutti gli strumenti per farcela da soli”.

E adesso?
“Abbiamo “guadagnato” tre consiglieri in altrettante province, quindi cominceremo a lavorare in maniera più capillare, per poter incidere sulle istituzioni. La prima iniziativa sarà quella del “Palazzo Trasparente”".

Ovvero?
“Chiediamo ai nostri consiglieri di raccontare le attività dei rispettivi consigli. Le informazioni saranno poi pubblicate sul nostro portale. Più a breve termine, stiamo preparando la Festa Manna, una tre giorni di workshop e convegni aperta a tutta la società civile”.

Ma alla fine cosa manca davvero ai sardi? La consapevolezza?
“Ci manca una narrazione di noi stessi, la consapevolezza che il nostro sapere è importante. È da lì che si parte. Se manca quella, manca tutto, non si può nemmeno cominciare”.

È per questo che ha fondato una casa editrice dedicata alla produzione sarda?
“Sì, è una cooperativa che ha l’obiettivo di recuperare quella narrazione”.

Legge molti autori sardi?
“Leggo di tutto, dai saggi di Obama alle poesie di Pietro Mura”.

Nella campagna per le amministrative del 2005, il vostro slogan era “Si podi fai”. Traduzione in inglese, “Yes, we can”.
“Esatto. Obama ci ha copiato :)”.


mercoledì 28 luglio 2010

Emissioni di gas serra da energia nucleare superiori alle rinnovabili

folliaquotidiana

Uno studio [1] ha esaminato un centinaio di analisi sulle emissioni di gas serra da energia nucleare. E i risultati sono clamorosi: l’energia nucleare non solo produce emissioni di gas serra, ma esse sono superiori a qualunque fonte di energia rinnovabile. Gli studi analizzati forniscono un valore medio di emissioni complessive [2] di 66 gCO2/kWh, contro i 9-10 dell’eolico, gli 11 del biogas, i 13 del solare termico, i 32 del solare fotovoltaico, i 30-40 della biomassa e i 38 del geotermico.

Dico clamorosi perché smentiscono uno dei miti dell’energia nucleare, quello di essere a zero emissioni. Naturalmente tali emissioni sono molto inferiori (più di un ordine di grandezza) rispetto alle tradizionali fonti fossili. La tabella che riassume le emissioni di gas serra dalle varie fonti è la seguente:

Tecnologia Capacità Configurazione Combustibile Emissioni (gCO2/kWh)
Eolico
Offshore
9
Idroelettrico
Bacino Idrico
10
Eolico


10
Biogas


11
Idroelettrico
Ad acqua fluente
13
Solare termico
Specchi parabolici
13
Biomassa
Co-combustione con antracite (hard coal) Legno 14
Biomassa
Turbina a vapore Legno 22
Biomassa
Co-combustione con antracite (hard coal) Cedui da Biomassa (Short Rotation Forestry) 23
Biomassa
Motore a pistoni Legno 27
Biomassa
Turbina a vapore Legno 31
Solare FV
Silicone Policristallino
32
Biomassa
Turbina a vapore Cedui da Biomassa (Short Rotation Forestry) 35
Geotermico


38
Biomassa
Motore a pistoni Cedui da Biomassa (Short Rotation Forestry) 41
Nucleare


66
Gas naturale
Turbina a ciclo combinato
443
Celle a combustibile

Idrogeno da gas naturale 664
Diesel


778
Petrolio


778
Carbone “pulito”


960
Carbone


1050

Nel caso del nucleare, le emissioni sono dovute a molti fattori relativi alle varie fasi di vita della centrale e del combustibile.

  1. Frontend: estrazione e fabbricazione del combustibile (25,09 gCO2/kWh)
  2. Costruzione: costruzione della centrale (8,2 gCO2/kWh)
  3. Operazioni: operatività delle centrale (11,58 gCO2/kWh)
  4. Backend: smaltimento scorie (9,2 gCO2/kWh)
  5. Decommissioning: smantellamento della centrale (12 gCO2/kWh)

La fase di Frontend è quella più costosa, in termini di emissioni. Infatti la procedura di estrazione e fabbricazione del combustibile nucleare e lunga e complessa, tanto da essere suddivisa in ulteriori sotto-fasi.

  1. Mining: nei giacimenti “ricchi”, con una percentuale di uranio di 0,2% o nei giacimenti “poveri” con percentuali di 0,01% o inferiori, le rocce vengono estratte e frantumate ottenendo una fanghiglia.
  2. Milling: Il minerale viene estratto da essa con l’ausilio di acido solforico, che si lega in una soluzione. Da tale soluzione viene estratto l’ossido di uranio U3O8, che viene fatto solidificare in una polvere giallastra chiamata in modo informale “yellocake”.
  3. Conversion: Lo yellowcake viene convertito in esafluoruro di uranio UF6
  4. Enrichment: L’esafluoruro di uranio viene riscaldato e trasformato in forma gassosa. Gli isotopi di U-235 e U-238 sono separati con alcune tecniche (centrifughe o membrane) in modo da arricchire la miscela di isotopi U-235, portandoli da una concentrazione naturale dello 0,7% ad una concentrazione attorno al 3% (l’esatto valore dipende dal tipo di reattore)
  5. Fuel fabrication: Una volta arricchito, viene trasformato in ossido d’uranio UO2, inserito in sfere ceramiche contenute in tubi in lega di zirconio. Vari tubi sono assemblati assieme per formare le barre di combustibile

Oltre all’energia necessaria per effettuare tutte queste lavorazioni, è necessario considerare i viaggi che il materiale deve compiere per essere spostato dalla miniera ai vari impianti di lavorazione.

La fase di costruzione riguarda la centrale. In un reattore medio da 1000 MW, in media, sono necessarie 170 mila tonnellate di cemento, 32 mila tonnellate di acciaio, 1362 tonnellate di rame e 205 mila tonnellate di altri materiali.

La fase operativa è una di quelle con meno emissioni, poiché queste sono legate alle operazioni di manutenzione.

La fase di Backend riguarda la gestione del carburante esaurito, che può essere riprocessato in apposite strutture per recuperare l’U-238 che non è stato utilizzato dal reattore (ciclo chiuso) oppure essere smaltito come scorie (ciclo aperto).

La fase di Decommissioning riguarda lo smantellamento della centrale e lo smaltimento dei componenti divenuti radioattivi. Per maggiori approfondimenti su questa fase, si può consultare un mio precedente articolo.

Riferimenti:

[1] Sovacool, Benjamin K., Valuing the greenhouse gas emissions from nuclear power: A critical survey, Energy Policy, Volume 36, Issue 8, August 2008, Pages 2950-2963, ISSN 0301-4215, DOI: 10.1016/j.enpol.2008.04.017. Disponibile: http://www.nirs.org/climate/background/sovacool_nuclear_ghg.pdf
[2] Le emissioni complessive sono dovute all’intero processo di costruzione della centrale, smantellamento della centrale, estrazione/fabbricazione combustibile, emissioni dirette, ecc.


Energia Nucleare: Dibattito-Spot a “TeleCamere”

I produttori devono pubblicizzare il bene o il servizio prodotto per poter convincere l’utente (o consumatore) ad acquistarli. E la pubblicità non è una informazione completa, poiché tende a sopravvalutare i lati positivi del bene o del servizio e minimizzare i lati negativi. Qualche giorno fa, nella puntata di TeleCamere, si è assistito ad un esempio di pubblicità sull’energia nucleare, nel quale hanno partecipato Matteo Collaninno (PD), il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e l’AD ENEL Fulvio Conti. Per quale motivo? Tutti e tre, conduttrice compresa erano a favore dell’energia nucleare. Quello che sulla carta era un dibattito si è trasformato in una gara a chi magnificava maggiormente questa fonte di energia. Che, secondo il mio noto parere, non è la panacea per tutti i problemi energetici del mondo.

Poiché nessun ospite della trasmissione ha presentato delle vere contro-argomentazioni, tenterò di farlo io per separare la pubblicità della realtà.

Fulvio Conti: “La tecnologia attuale consente di guardare con tranquillità con sicurezza degli impianti, che lavorano da Chernobyl in poi da 13 mila anni consecutivi senza nessuna interruzione, senza nessun incidente, senza nessuna preoccupazione

FALSO. Ecco un esempio di pubblicità ingannevole: l’AD di Enel afferma che i reattori nucleari funzionano da 13 mila anni consecutivi, anche se in realtà è corretto parlare di anni-reattore. Il numero roboante dovrebbe risultare dal prodotto tra il numero di anni trascorsi dall’incidente di Chernobyl e il numero di centrali funzionanti. Pur sbagliato, questo numero (24 anni moltiplicato circa 440 reattori fa circa 10 mila anni) è ingannevole, principalmente per il fatto che ci sono stati incidenti, piuttosto preoccupanti, anche dopo Chernobyl. Nel 1999 sono accaduti due incidenti in Giappone, uno alla centrale Shika che ha causato per 15 minuti una reazione incontrollata nel reattore 1, evento insabbiato dall’azienda proprietaria del reattore per ben 8 anni. Il secondo all’impianto di riprocessamento di Tokaimura dove per errore in una vasca si è accumulata una quantità di nitrato d’uranile sufficiente ad avviare una reazione spontanea che ha contaminato tre lavoratori, di cui due persero la vita. Altri quattro incidenti con perdite di sostanze radioattive sono avvenute tra il 2003 e il 2006.

Fulvio Conti: “Il costo è più basso del 20-30% rispetto a qualunque altro tipo di produzione

FALSO. Altro mito da sfatare. I costi della generazione dell’elettricità possono essere suddivisi in due categorie:

  1. Il costo “overnight”, che è quello necessario per costruire la centrale, calcolato per KW di potenza della centrale.
  2. Il costo “Operation&Maintenance” che comprendono i costi della manutenzione (generalmente fissi) e del combustibile (variabili). Sono calcolati in kWh di energia prodotta

Dopo l’investimento iniziale, ovvero il costo overnight (per la costruzione della centrale), la produzione dell’energia elettrica dipende dai costi del combustibile e dalla manutenzione della centrale. Secondo un calcolo del dipartimento dell’energia statunitense (http://www.eia.doe.gov/oiaf/aeo/assumption/pdf/electricity.pdf), i dati relativi alle diverse fonti energetiche sono i seguenti:


Overnight Costs in 2009 ($/kW) Variable O&M ($/MWh) Fixed O&M ($/MWh) Total O&M ($/MWh)
FV 6171 0 11,94 11,94
Ciclo Comb. Av 968 2,04 11,96 14
Ciclo comb. Trad 984 2,11 12,76 14,87
Idroelettrico 2291 2,49 13,93 16,42
Gen. Distribuita 1400 7,28 16,39 23,67
Eolico 1966 0 30,98 30,98
Solare Termico 5132 0 58,05 58,05
Biomassa 3849 6,86 65,89 72,75
Eolico Offshore 3937 0 86,92 86,92
Nucleare 3820 0,51 92,04 92,55
Geotermico 1749 0 168,33 168,33

Si può vedere che non solo il nucleare ha un costo overnight elevato (peggiore è solo il solare termico e il fotovoltaico), ma anche elevati costi di O&M fissi, dovuti alla manutenzione. Che è maledettamente importante in una centrale nucleare. Il prezzo del combustibile è invece molto basso rispetto alla quantità di energia prodotta. Se sommiamo i costi O&M fissi e variabili possiamo ottenere i valori di O&M totali, nell’ultima colonna. Si può notare che i costi del nucleare per la fase O&M sono tra i più elevati, inferiori solo al geotermico.

Veronesi (intervistato): “Il nucleare non ha emissioni di nessun tipo […] Non c’è rischio in termini di normale funzionalità come l’energia idroelettrica, solare, eolica. Le scorie non sono più un rischio. Una centrale nucleare produce 1-2 metri cubi di scorie all’anno.

FALSO. Il mito delle emissioni zero è ingannevole. Mi stupisce che uno scienziato affermi che non ci sono emissioni “di nessun tipo”. La frase corretta è invece: “non ha emissioni durante il funzionamento”. Le emissioni sarebbero nulle se si potesse ottenere il combustibile nucleare con una bacchetta magica. In assenza di quest’ultima, l’uranio deve essere estratto da rocce che ne possiedono in quantità molto limitata da 0,01-0,25% per i giacimenti più poveri allo 0,1% per i giacimenti più ricchi (in Australia, dove è presente quasi un quarto delle riserve mondiali, la maggior parte dei giacimenti ha concentrazioni inferiori allo 0,06% e nel Kazakhstan che possiede il 17% delle riserve mondiali, i giacimenti hanno concentrazioni inferiori allo 0,1%). Quindi, un kg di uranio naturale deve essere estratto da almeno 1000 kg di minerale grezzo. Una volta estratto, deve essere sottoposto all’arricchimento, che comporta una trasformazione, una separazione degli isotopi attraverso le centrifughe e la ricombinazione in concentrazioni più ricche di uranio-235. Tutto ciò comporta una quantità di energia non trascurabile, che attualmente viene generata con combustibili fossili.
Per quanto riguarda la quantità di scorie prodotte (considerando solo quelle ad alto livello, ovvero il combustibile esaurito), i numeri della IAEA sono un po’ diversi: un reattore da 1000 MW produce circa 30 tonnellate di scorie annue pari a 10 metri cubi. Quelli della World Nuclear Association stimano 20 metri cubi annui. Un ordine di grandezza superiore alle stime di Veronesi. Per completezza, si dovrebbe aggiungere che esistono anche le scorie a medio livello (comunque pericolose) che ammontano a 350-450 tonnellate annue.

Fulvio Conti: “Una centrale nucleare non solo non emette inquinanti, ma non scoppia. Non è una bomba atomica

FALSO. Conti dimentica la presenza delle scorie, che naturalmente sono inquinanti. Si parla molto di mantenere il dibattito lontano da posizioni ideologiche, ma questa è una affermazione puramente ideologica e slegata dalla realtà dei fatti. Se seguissimo questo ragionamento e si incanalassero i gas prodotti dalla combustione del petrolio per portarli altrove, si potrebbe giungere alla conclusione che anche il petrolio non emette inquinanti quando viene bruciato. L’altra questione riguarda il paragone con la bomba atomica: è certamente vero che il combustibile nucleare non può generare una reazione di fissione a catena come negli ordigni nucleari, ma in caso di incidente una centrale nucleare può scoppiare. Ogni impianto dove sono presenti materiali o fluidi ad alta pressione ed alta temperatura o infiammabili può “scoppiare”. Si pensi alla piattaforma petrolifera nel golfo del Messico che è esplosa, si pensi al drammatico incidente alle acciaierie ThyssenKrupp di Torino dove un incendio causò un’esplosione. La stessa centrale di Chernobyl non è esplosa per una reazione incontrollata (come avverrebbe in una bomba nucleare), ma per un aumento eccessivo di calore nel nocciolo del reattore, il quale ha prodotto una pressione tale da spaccare letteralmente l’edificio del reattore numero 4. Una centrale nucleare, come una centrale termoelettrica o una centrale a gas è sostanzialmente una pentola a pressione, dove proprio la pressione del vapore acqueo è necessaria per far muovere le turbine dei generatori elettrici. Che succede ad una pentola a pressione sui fornelli se le valvole non funzionano?


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