venerdì 4 gennaio 2013

IL MANIFESTO PER IL CONTANTE LIBERO


IL MANIFESTO PER IL CONTANTE LIBERO

«Fino a che non diventeranno coscienti del loro potere, non saranno mai capaci di ribellarsi, e fino a che non si saranno liberati, non diventeranno mai coscienti del loro potere».
(George Orwell, 1984)

Il Manifesto per il Contante Libero 
(versione short:
 i 10 Punti per Il Contante Libero)
La tecnologia come mezzo di controllo sociale per imporre, attraverso una continua induzione di paure ed ansie, moduli di pensiero e comportamenti umani totalmente spersonalizzati, asserviti e ideologizzati. Obbiettivo finale: annichilire qualsiasi sentire, agire e pensare che possa essere veramente alternativo e concorrente. In sintesi, annichilire la libertà.
Questo è il pericolo su cui ci ammonisce il celebre romanzo 1984 di George Orwell. Ciò nondimeno, in questi anni di crisi tale pericolo non è lontano da un suo pieno concretizzarsi. Buona parte della società civile e dell’opinione pubblica sembra non voler vedere questo mostro che cresce; lentamente e apaticamente essa sta lasciando la propria libertà nelle mani di un’entità manipolatrice dai tratti allo stesso tempo oligarchici e collettivistici.
Se vogliamo difendere la libertà (la nostra libertà) dobbiamo innanzitutto scrollarci di dosso l’apatia e prendere coscienza del nostro potere. Per far questo è necessario “educarci alla libertà” processo che in primo luogo implica il comprendere e il saper confutare rigorosamente la logica antirazionale propugnata dai nemici della libertà.
E’ nel suddetto contesto che va inserita “la battaglia per la difesa dell’utilizzo del denaro contante”. Una battaglia la cui finalità, pertanto, non consiste nel rivendicare la supremazia in termini assoluti di uno strumento di pagamento su un altro (banconote versus mezzi elettronici), bensì nel riaffermare il diritto delle persone di scegliere liberamente il modo che ritengono migliore di portare a termine i loro scambi economici.
Come tutti sanno nel nostro Paese la soglia al di sotto della quale è possibile utilizzare denaro contante per effettuare pagamenti tra privati o privati e società od amministrazioni non bancarie è stata recentemente abbassata fino all’attuale limite di 1000€ .
Nonostante ciò,  qualcuno non ancora sazio di prescrivere restrizioni alle libertà individuali continua a richiedere l’implementazione di ulteriori“stratagemmi” per disincentivare e ridurre ancor di più gli spazi d’uso del contante, con l’intento più o meno esplicito e consapevole di giungere in un futuro alla totale, o pressoché totale, soppressione di questa modalità di pagamento, affermando contemporaneamente il dominio artificiale della moneta elettronica.
A supporto della bontà della loro tesi, i promotori ed i sostenitori della cosiddetta lotta al contante adducono il fatto che tutto ciò sia pensato e studiato al fine di ottenere gradi maggiori di benessere generale, equità, progresso, giustizia sociale.
La verità, tuttavia, è assolutamente un’altra: la lotta contro l’utilizzo del denaro contante non annovera alcuno scopo nobile e le argomentazioni a suo sostegno sono pure mistificazioni della realtà oggettiva. L’unico vero obbiettivo di questa crociata consiste nel proteggere e consolidare il potere, le prebende e l’influenza di quella variegata casta di soggetti improduttivi che vivono e prosperano soltanto a scapito del lavoro altrui.
Con il pretesto di perseguire buoni propositi si vuole soltanto fare razzia dei diritti naturali dei più inermi.
La lotta al contante in quanto strumento fondamentale per combattere l’evasione fiscale.
Questa è l’argomentazione principale che viene usata da chi si prodiga per avere una società senza contante. Ad una prima analisi questa giustificazione sembrerebbe inattaccabile; tuttavia, mediante una disamina più attenta e approfondita si scopre che il grosso dell’evasione fiscale non ruota affatto attorno l’utilizzo del denaro contante, ma riguarda invece transazioni decisamente più sofisticate.
fenomeni evasivi/elusivi numericamente più rilevanti, quali l’occultamento di ricavi e compensi o l’indebita deduzione dei costi, vengono, infatti, messi in atto con l’impiego di strutture e comportamenti fittizi che prescindono dall’uso del contante e dall’obbligo di avvalersi del canale bancario per rendere le operazioni tracciabili.
Diffondere l’idea che la maniera più efficace per contrastare l’evasione fiscale risieda nella lotta al contante significa, dunque, pubblicizzare volutamente un erroneo convincimento. L’evasione si combatte mettendo a punto un quadro normativo stabile e facilmente comprensibile, tagliando il numero degli adempimenti, instaurando un rapporto di fiducia tra il Fisco e il contribuente e riducendo in maniera sistematica e ragionevole la pressione fiscale tramite un preventivo calo della spesa e dell’inefficienza pubblica.
A fronte delle sopraccitate misure, l’eliminazione del contante non serve praticamente a nulla se non a privare milioni di cittadini (il popolo minuto) dell’unico formidabile strumento di “dissenso di massa” che essi possono avere a loro disposizione per non essere sopraffatti da inique regole e politiche fiscali.
La lotta al contante non incide direttamente sulla libertà e le abitudini delle persone.
Affermazione semplicemente senza senso. Restringendo le possibilità per gli agenti economici di scegliere come metodo di pagamento ciò che essi considerano più adeguato, si va ad incidere per forza di cose direttamente sulla libertà e le abitudini delle persone.
Contante strumento scomodo ed obsoleto.
L’esperienza sostiene l’esatto contrario. Nella quotidianità solamente l’impiego del contante permette ad alcune transazioni di essere portate a termine in maniera celere e quindi proficua. Di conseguenza, eliminando o riducendo ancor più drasticamente questa modalità di pagamento, si introdurranno necessariamente in più parti del sistema economico rimarchevoli inefficienze che, in ultima analisi, avranno il demerito di rendere maggiormente complicata la vita delle persone.
La lotta al contante è decisiva anche nella lotta ai furti e alle rapine.
«Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza».
Basterebbe citare questo famoso aforisma di Benjamin Franklin, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, per dimostrare l’illegittima sussistenza di questo assunto. Ma, poiché è necessario essere veritieri fino in fondo, si deve anche constatare come l’eliminazione del contante non rappresenti sicuramente la panacea contro furti e rapine. Clonazione di bancomat e di carte di credito, manipolazione di conti bancari, furto d’identità o anche le incresciose aggressioni alle abitazioni dei cittadini sono tutti esempi di fenomeni criminali sui quali la lotta al contante non può avere di certo un’incidenza decisiva.
La lotta al contante è una vera e propria battaglia di civiltà.
Alcuni si spingono a definire addirittura la lotta al contante come una  vera e propria battaglia di civiltà, dando sostanzialmente origine ad una nuova forma di polilogismo (Il polilogismo è la dottrina che nega l’uniformità della struttura logica della mente umana): da una parte c’è chi ripudiando l’utilizzo del denaro contante ha sposato la cultura della legalità, dall’altra parte c’è chi non ripudiando tale utilizzo ha deciso di porsi, almeno teoricamente, al di fuori di questa cultura.
Questa presa di posizione è soltanto un grezzo espediente per evitare qualsiasi confronto approfondito, critica o discussione sul merito. Trattasi di falso razionalismo utile a nascondere l’irragionevolezza e l’illogicità di una tesi. Non avendo a proprio sostegno argomentazioni davvero valide, l’esercito della lotta al contante sposta la sua lotta sul terreno della pura ideologia allontanandosi così in maniera intenzionale dalla realtà delle cose.
Dinanzi ad un atteggiamento del genere si può comprendere appieno la posizione di chi ostinatamente porta avanti la crociata contro il contante: trovandosi nell’impossibilità di avere l’avallo della verità scientifica, tenta scorrettamente di plagiare la mente dei propri interlocutori
«Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno»
(Paul Claudel)
“Eliminare il contante rappresenterebbe un atto di spoliazione dei nostri diritti alla libertà”.
La progressiva eliminazione del contante e la simultanea imposizione dall’alto della moneta elettronica alimenta il potere arbitrario e discrezionale delle élites politiche e finanziarie. Il costante consolidamento di questo potere è da ritenersi estremamente pericoloso poiché sottende, in conclusione, l’indotta accettazione di una società dalle caratteristiche distopiche dove l’uomo non è concepito come fine, bensì come mero mezzo.
Per impedire tutto ciò bisogna iniziare a far sentire il nostro grido di disapprovazione.



10 PUNTI PER IL CONTANTE LIBERO

«Fino a che non diventeranno coscienti del loro potere, non saranno mai capaci di ribellarsi, e fino a che non si saranno liberati, non diventeranno mai coscienti del loro potere».
(George Orwell, 1984)
10 Punti per Il Contante Libero (Il Manifesto in versione Short)
1- Eliminare o limitare il CONTANTE è un grave atto contro la libertà dei cittadini.
2- Eliminare o limitare il CONTANTE significa affidarsi a canali elettronici tenuti sotto controllo da poche entità che avrebbero in mano il monopolio dei mezzi di transazione finanziaria. La Moneta Elettronica è lecita ed utile ma deve rimanere una Libera Scelta.
3-Eliminare o limitare il CONTANTE è un “regalo” alle Banche ed alla Finanza che guadagnano su tutti i pagamenti, salvo quelli in contanti.
4- Eliminare o limitare il CONTANTE significa colpire un MEZZO di pagamento semplice, efficace, poco costoso e uguale per tutti.
Affidarsi ai canali elettronici significa altresì dover sottostare al pagamento di commissioni ad ogni atto di pagamento. 100 euro in contanti dopo 100 passaggi di mano sono sempre 100 euro. 100 euro elettronici dopo 100 passaggi sono diventati 45 euro. 55 euro sono “svaniti” per finire in mano a Banche&affini.
5- Eliminare o limitare il CONTANTE significa perdere la proprietà diretta e MATERIALE dei propri risparmi che diventano virtuali, sotto la tutela ed il controllo di terzi. E’ pertanto possibile, con un semplice click, impedirci di accedere alla nostra liquidità o di prelevare i nostri risparmi, che appartengono solo a noi ed a nessun altro. In tempi di Grande Crisi e di rischio Default questo punto è quanto mai vitale ed importante.
6-  Eliminare o limitare il CONTANTE significa infliggere un durissimo colpo al nostro diritto alla PRIVACY.
“L’occhio di una telecamera” ci spierebbe 24 ore su 24, rendendoci soggetti non solo ad un controllo pervasivo ma anche arbitrario, in balia alle imprevedibili evoluzioni socio-politiche della Storia. Immaginate se un domani questo potere finisse in mano ad un novello Hitler o Stalin, o peggio, ad un banchiere.
7-  Eliminare o limitare il CONTANTE è contro la natura dell’uomo: otterrai solo un fiorente mercato nero.
8- Eliminare o limitare il CONTANTE come misura di Lotta all’Evasione è un’assurdità che nasconde i veri scopi dei promotori di questa “crociata”: il contante è un MEZZO ad ampia diffusione che solo marginalmente viene usato in modo illegale. La vera evasione passa attraverso ben altri canali, quasi tutti elettronici e sotto il controllo delle banche.
9- Invertendo lo slogan delle lobbies che vogliono eliminare il contante, possiamo affermare che “La difesa del contante è una vera e propria battaglia di civiltà” (e di libertà).
10- PER IMPEDIRE CHE AVVENGA L’ELIMINAZIONE DEL CONTANTE bisogna diffondere le nostre critiche razionali e far sentire il nostro grido di protesta e disapprovazione.
Tutti dobbiamo sentirci coinvolti e partecipare.

IL GRANDE SPONSOR DELLA LOTTA AL CONTANTE (INDOVINATE CHI CI GUADAGNA?)

di , pubblicato il 26 dicembre 2012, alle ore 11:10
Domanda facile, il passaggio alla moneta elettronica ha un solo grande vincitore: le banche.
Non credo possano esserci dubbi sulla questione, ciò che è meno noto è quanto sia la ricchezza che ci verrebbe espropriata se la libera circolazione e l’utilizzo del contante venisse vietata per legge o ulteriormente compressa.
Prendiamo alcuni dati di partenza:
1) 100€ 
… trasformati in impulsi digitali.
2) Le commissioni “normali” che ciascun negoziante paga al sistema bancario per l’utilizzo di un POS, la macchinetta che legge i bancomat e le carte di credito. Prendiamo ad esempio il Banco Posta (il negoziante poi ve le ribalterà sul prezzo del bene acquistato, non esistono pasti gratis.):
facciamo una media di 0,8% per transazione.
Cosa succede ai nostri 100€ dopo 100 transazioni?
N. Passaggi ad un POSCosa Rimane di 100€Commissione
Bancaria %
Commissione
Bancaria in Valore Assoluto
Note
 start100€0,8%0,8€Si parte con i nostri 100€
199,2€0,8%0,794€al primo passaggio diventano 99,2€.  80c sono andati  alla banca
298,406€0,8%0,787€al secondo  passaggio diventano 98,406€.  78,7c vanno alla banca
….…..….…..etc etc
10044,79€0,8%0,358€Al 100esimo passaggio i 100€ sono diventati 44,79, le banche si sono prese 55,21€ sui 100€ iniziali
Bene signore e signori, eccovi calati nel magico mondo della lotta al contante per distruggere l’evasione fiscale e le mafie.
Dopo solo 100 passaggi ad un POS le banche hanno requisito all’economia il 55,21% della ricchezza iniziale immessa nel sistema per transazioni attravereso i POS.
Le Mafie continueranno serenamente ad accettare contante e a depositarlo oltre confine (diciamo che la misura di lotta al contante ha anche un aspetto educativo per la mala), l’11% di evasione fiscale legata al contante continuerà ad accettare contante e a depositarlo oltre confine oppure lo spenderà nel fiorente mercato nero che, vi posso assicurare, fiorirà in ogni angolo di strada.
L’89% di evasione ed elusione fiscale, non verrà toccato anche perché il “grosso” proviene da attività proprie del sistema bancario, vi voglio ricordare che il fu ministro Passera èindagato per una faccenda di evasione fiscale miliardaria (in €) che coinvolge Banca Intesa.
La scellerata forza politica che propone l’abolizione del contante, non è stupida, è collusa con il sistema finanziario, tenetelo bene a mente.
Tenetevi liberi per il 3 di Gennaio, anzi fateVi un favore, preparate le vostre mailing list, c’è un lavoro da fare.


SARDINYA: L’INDIPENDENZA? UNA NECESSITA’

L’INDIPENDENZA? UNA NECESSITA’ - 
 UNIONE SARDA 02-01-2013 PAG 13

pubblicata da Bustianu Cumpostu



IN RISPOSTA A COMMENTO DI FRANCO MELONI CON TITOLO “L’INDIPENDENZA? AI SARDI NON CONVIENE

Le scelte non sono primigenie ma sono frutto di emozioni che germogliano su soprastrutture culturali che non sono mai svincolate e libere ma piuttosto organiche al pensiero di sistema. 

Mentre il sig. Franco Meloni si emoziona per un trafficante di schiavi e fucilatore di briganti-patrioti come Garibaldi e per un piccolo e oscuro re ed il suo ministro Cavour che voleva fare cassa vendendo la Sardegna non sua, io provo emozione per quei ragazzi sardi del 99, che non ancora maggiorenni, imbottiti di cognac, furono sacrificati sull’altare di una patria imposta e perirono quasi tutti tra il fuoco nemico degli austriaci  e quello amico dei carabinieri che sparavano a chi rifiutava l’attacco.  

Come non provo nessuna emozione per una costituzione che prima cancella i soggetti  con la gabbia della indivisibilità e poi riconosce loro un serie di diritti, bellissimi ma inutili parchè soggetti privati del diritto di esistere.

In quanto poi ai motivi economici che Meloni avanza per dimostrare che la Sardegna da sola non ce la farebbe sono poco convincenti ed esaustivi ; primo perchè riducono il diritto di autodeterminazione di un popolo ad una questione sindacale facendo capire che un individuo o un popolo sia giusto che rinunci alla libertà per aggiungere un boccone in più alla pancia; secondo perchè quello sbilancio di 4,7 mld di euro sono generati da un’economia compressa ed impedita dalle leggi, dai partiti, dai sindacati, dalle scuole  e da un consiglio regionale per il 80% è nominato da un sistema in concorrenza piuttosto che in organicità con le potenzialità della nazione sarda. 

Per fare un primo esempio di compressione economica cito il Meloni stesso che nella Proposta di Legge Nazionale n. 5 del 01.09.1999 a firma di Meloni, Vargiu, Cossa ed altri afferma,  parlando della giusta compartecipazione sull’imposta prevista dal nuovo art. 8 dello statuto, ”... appare chiaro che la scorretta interpretazione dello statuto genera un danno gravissimo per i sardi che restano debitori verso lo stato di 5 miliardi mentre potrebbero, a buona ragione, vedere trasformato buona parte di questo debito in una loro legittima entrata.”  


In un’altro passo Meloni e amici ci dicono, parlando delle accise relative alle produzioni SARAS ,  che basterebbe abolire la legge dello stato 22 dicembre 1980, n. 91, che consente il pagamento differito dell’imposta di fabbricazione e di fatto la fregatura dei depositi fiscali, per impedire allo stato di rubare ai sardi circa 3 miliardi di euro; i 4,7 mld di passività si ridurrebbero a 1,7mld, riducibili totalmente a zero con l’abbattimento dei costi energetici che si otterrebbe togliendo il monopolio energetico a Terna-Eon e  e con l’istituzione  dell’Antitrust Regionale per energia e trasporti. 

Tutto ciò con la Sardegna ancora in regime di cattività, con a carico tutta la sanità, i trasporti interni, la continuità territoriale e l’accanimento terapeutico verso un modello economico nato morto e tenuto in vita solo per i voti e le tessere. 

In quanto alle pensioni sono solo dei crediti dovuti che lo stato deve pagare ai sardi che hanno lavorato in Italia ne più e ne meno come quelli che gli stati esteri devono pagare ai nostri emigrati. 

Non ho citato i crediti pregressi, alcuni esigibili altri a perdonare, ma solo alcuni di quelli in conto corrente. Se ci sono conti da presentare sarà la Sardegna a  presentarli all’Italia e non viceversa, molto salati e pesanti ( almeno 500 miliardi di euro), per chiedere i risarcimento dei danni causati dalla dominazione italiana con i veleni delle sue industrie e delle sue servitù militari. 

Cosa è cambiato sig. Meloni?, leggendo quella sua proposta di legge mi ero illuso che anche per lei l’idea di indipendenza dei sardi fosse una necessità per salvarsi dal disastro italiano.

BUSTIANU CUMPOSTU – Coordinatore Natzionale di Sardigna  Natzione Indipendentzia


BUSTIANU CUMPOSTU 

 L'ARTICOLO CONTESTATO DA BUSTIANU CUPOSTU

Motivi storici ma soprattutto economici

L'indipendenza? Ai sardi non conviene

UNIONESARDA

  30/12/2012 

Franco Meloni *

Pochi giorni fa il Consiglio Regionale ha discusso la mozione sull'indipendenza presentata dai sardisti cui I Riformatori sardi erano, e sono, contrari per svariati motivi, soprattutto politici e storici ma anche per ragioni più strettamente economiche.Io sono stato educato nel culto dello Stato e quando frequentavo le scuole medie si parlava ancora di patria, il risorgimento era un fatto positivo e Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II erano i padri della patria. Amante della storia, confesso che, ancora adesso, quando sento le parole Solferino e San Martino mi emoziono un poco.

Ma voglio lasciar perdere tutto questo e parlare di soldi, argomento forse volgare ma che mi pare un po' trascurato. Sul sito del Ministero dell'Economia c'è una rubrica contrassegnata da una sigla un poco misteriosa, CPT, che sta per Conti Pubblici Territoriali, che riportano la raccolta fiscale e previdenziale e la spesa della pubblica amministrazione, regione per regione. Cioè, c'è scritto quanti soldi si raccolgono in Sardegna ogni anno, tramite tasse, accise e contributi, e quanti e come se ne spendono.

La spesa totale della Pubblica amministrazione in Sardegna era pari, nel 2010, a 20.8 miliardi mentre gli incassi "sardi" erano pari a 16.1, e per essere chiari, questo significa che ogni anno 4,7 miliardi di tasse pagati dai lombardi, dagli emiliani e dai piemontesi viene cortesemente girato dallo Stato alla nostra regione.

Una analisi molto accurata di questo fenomeno l'ha fatta Luca Ricolfi nel suo libro «Il sacco del Nord» che consiglio a tutti di leggere: la sostanza è che il trasferimento di risorse da alcune (poche) regioni alle altre c'è ed è difficilmente confutabile.

Se diventassimo indipendenti dovremmo trovare il modo per sostituire queste risorse oppure dovremmo ridurre la spesa di un valore equivalente. Non potendo aumentare ancora le tasse dovremmo ridurre le spese, cosa che mi pare difficile a meno che il futuro Stato sardo si dimostri più efficiente dell'Italia: finora le prove vanno nel senso contrario ma la speranza è sempre l'ultima a morire. Poi ci sarebbero da pagare le pensioni anche se secondo alcuni la previdenza è il frutto delle leggi che vigevano fino a pochi anni fa per cui ci sarebbe un patto che lo Stato deve rispettare continuando a pagare le pensioni anche dopo l'indipendenza. Però tutti sappiamo bene che con il sistema retributivo ci siamo mangiati - tutti quanti, sardi compresi - i contributi versati nel passato e le pensioni di oggi vengono pagate parte con i contributi di oggi e parte con la fiscalità generale.

I contributi che vengono riscossi in Sardegna ammontano a poco più di 4 miliardi e a me pare davvero improbabile che lo Stato Italiano accetti di pagare la differenza, cioè 3,5 miliardi, con le tasse del nord. Inoltre anche una quota tra il 2 e il 3 per cento del debito pubblico sarebbe a nostro carico, vale a dire una cinquantina di miliardi che il neonato Stato sardo dovrebbe accollarsi.

Insomma ogni mese la Repubblica Sarda, un'economia da 32 miliardi di Pil, (75 % di spesa pubblica), dovrebbe emettere 1,5 miliardi di titoli di Stato: vi lascio immaginare il costo.
Va bene che Berlusconi dice che dello spread ce ne dobbiamo fregare, ma insomma a me pare che il solo parlare di indipendenza della Sardegna richieda una certa dose di spensieratezza, diciamo così, e anzi suggerirei ai promotori della mozione di essere prudenti perché lo Stato potrebbe anche accettare subito la richiesta. E presentarci i conti.

* Consigliere regionale dei Riformatori sardi
ABBIAMO VISTO SUL WEB LA RISPOSTA A QUESTO STESSO ARTICOLO LA RISPOSTA DI DODDORE MELONI LEADER DI MERIS CHE AGGIUNGIAMO E PUBBLICHIAMO PER PARI OPPURTUNITA' , SIAMO APERTI A TUTTI GLI AMICI INDIPENDENTISTI SARDI, POICHE' è NOSTRO INTENTO ESSERI FINALMENTE LIBERI DALLA SERVITU' IMPOSTACI DALL'ITALIA.
DODDORE MELONI


Stamane, alla lettura del commento del Consigliere Regionale del partito dei Riformatori, Franco Meloni, mi è stato chiaro il motivo, per cui in Sardegna stia montando sempre piu' il fastidio (per non dire altro), nei confronti della cosiddetta “casta politica”, che ha portato la società sarda in questo stato di malessere sociale ed economico.


Questo nostro rappresentante in un commento intitolato “ Indipendenza? Ai sardi non conviene “ pubblicato dall'Unione Sarda a pagina 13 in data odierna,si lancia in un'ardita tesi, partendo dagli studi storici sull'Italia e sulla Sardegna, appresi in terza media! (eh si , perche', alla lettura delle sue tesi, mi sono accorto, che la sua conoscenza della storia sarda e italiana, si era fermata a quei testi scolastici !!!!!). Pertanto, capisco il motivo per cui ignora totalmente i millenni della storia sarda.

Questo signore parla di Garibaldi, di Vittorio Emanuele II e del Conte Camillo Benso di Cavour; confessa, che ancora oggi , quando sente le parole Solferino e San Martino si EMOZIONA (non parla dell'Ospedale S. Martino, beninteso); così dimostrando la sua totale ignoranza dei fatti da lui esposti.
Infatti, il nostro baldo Franco Meloni, parlando di Cavour, ignora totalmente le verità storiche delle intenzioni del conte nei confronti della Sardegna, come l'intenzione nell'anno in cui in teoria si faceva l'Unità d'Italia,1861, il Conte Camillo Benso conte di Cavour, stava trattando la cessione della nostra terra, all'imperatore Napoleone III, in cambio della restituzione del Nizzardo e dell'Alta Savoia (gia' appartenuti allo stato sabaudo, ma annesse dall'Imperatore Napoleone alla Francia). Tale accordo, ebbe fine con il decesso del Cavour, nel giugno del 1861; pertanto vado a spiegare al signor Franco Meloni che se questi eventi avessero potuto aver luogo, oggigiorno, lui ci avrebbe risposto in francese, avrebbe cantato la Marsigliese il 14 luglio di ogni anno e avrebbe pianto per gli eroi della Rivoluzione Francese!

Detto questo, lo stato intellettuale del nostro ceto politico si evince nel momento in cui il soggetto di cui parlo, si cimenta in campo socio-finanziario, dove ci spiega , con delle cifre, sulle spese e sulle entrate, dove definisce tali ragionamenti con questa chicca: ”non potendo aumentare le tasse dovremmo ridurre le spese, cosa che mi pare difficile a meno che il futuro Stato sardo si dimostri più efficiente dell'Italia: finora le prove vanno nel senso contrario ma la speranza è sempre l'ultima a morire”. Letto questo, mi sono reso conto che il Franco Meloni neanche rilegge i suoi scritti! Non si è accorto che uno stato che non esiste non puo' dare delle prove al contrario!!

Ma la piu' affascinante delle sue tesi e' quando il nostro economista alle bottarighe, raggiunge il top della non conoscenza dei meccanismi finanziari, al punto dove esprime il concetto: “ogni mese la Repubblica sarda, un'economia da 32 miliardi di Pil, ( 75% di spesa pubblica), dovrebbe emettere 1,5 miliardi di titoli di stato: vi lascio immaginare il costo”.

Giuseppe, non so se sia un refuso di stampa il fatto che ogni mese lo stato sardo avrebbe dovuto emettere 1,5 miliardi di euro in titoli, non essendo logico perche' se cosi' fosse, lo stato sardo avrebbe dovuto emettere diciotto miliardi di titoli all'anno! sarebbe come dire che tutti i sardi avrebbero vissuto di rendita a carico pubblico.

A questo punto, vogliamo suggerire al nostro esperto, che in base al debito primario dell'Italia ammontante a duemila miliardi di euro, la somma spettante alla popolazione sarda in percentuale raggiunge la modica cifra di cinquantaquattro miliardi di euro, della quale ci spetta da pagare soltanto per gli interessi passivi all'anno, la cifra di un miliardo e trecentotrenta milioni di euro.

Pertanto, se la Sardegna, con i concetti espressi da Franco Meloni, di dover emettere tutti gli anni 1,5 miliardi di titoli di stato, per ripianare il bilancio, basterebbe soltanto la cifra degli interessi da non pagare sugli interessi del debito italiano che coprirebbe le emissioni dei titoli di stato sardo, ma con un particolare: che non pagando piu' per l'Italia una quota del debito primario piu' gli interessi, la Repubblica Sarda sarebbe in attivo!!

Proseguendo nella lettura del commento, si evince la sua totale mancanza della conoscenza del diritto individuale e collettivo, espresso dalle leggi internazionali e ratificate dall'Italia, negli articoli 10,80 e 116 della sua Costituzione in seguito codificata con le leggi 848 del 17 agosto 1957, la legge n.881 del 25 ottobre 1977. Questa mancanza veniva sancita quando espresse il suo No al diritto dei sardi di pronunciarsi in base alla legge n.20 del 17 maggio 1957 della Regione a Statuto Speciale della Sardegna sul Referendum consultivo alla domanda: “ sei d'accordo, in base al diritto internazionale delle Nazioni Unite, al raggiungimento della libertà del popolo sardo, con l'indipendenza?”

Tale negazione del diritto universale qualifica senza nessun dubbio , in quali soggetti e' oggi riposta l'esistenza della nostra terra e certifica il motivo per cui siamo in questa situazione di disastro totale.
Meno male che nel 2014, ci saranno le elezioni Regionali!!

Il Presidente
Doddore Meloni


giovedì 13 dicembre 2012

LETTERA DAL CARCERE “BUONCAMMINO”



La condizione dei carcerati è come sempre un disastro sia dal punto di vista istituzionale  che per le condizioni di vita che si vivono e percepiscono dentro , dal di fuori d'esso la sensazione è distante dalla reale situazione e per certi versi incomprensibile, tantè che il detto: "se non lo provi non lo capisci" si addice perfettamente. Richiamare alla mente la possibilità di nuova società senza galere è cosa che non solo è possibile ma attuabile da subito , una società che non preveda la pena ma l'integrazione su basi di comprensione e d'incontro ai problemi psico fisici ed economici del soggetto deviato sono importanti per cambiare la realtà del carcerando;ma no si può nemmeno accettare l'idea di punizione anzichè di ri- educazione senza fini di rappresaglia fine a se stessa....
Ricordiamoci che abbiamo a che fare con persone e non con oggetti.

Sa Defenza


LETTERA DAL CARCERE “BUONCAMMINO” (CAGLIARI)

[…] non voglio ripetere in questa lettera analisi e valutazioni che già sono state espresse in passato nei periodi in cui si approfondiva il discorso contro il carcere, cercando invece di farne di nuove, considerando le modificazioni che hanno determinato il presente carcerario, non per essere realisti (dato i tempi che corrono non si va da nessuna parte) ma per avere quella concezione della realtà che ci possa permettere di intervenire al meglio. 

La questione dovrebbe essere per l’inizio delle “lotte intermedie” cioè ottenere nell’immediato condizioni dignitose per i reclusi, migliore vivibilità, nella prospettiva della completa distruzione del carcere ovviamente unita al sociale che lo genera. 

Quindi incominciare la lotta col strappare al potere ciò che è il contenuto delle nostre rivendicazioni conl’intento di estenderla  e radicalizzarla attualmente secondo me la difficoltà sta nella partecipazione a tale lotta più che alla scelta del metodo. 

Quindi non possiamo utilizzare l’opuscolo per coordinarci se risultaassente la propulsione dell’azione collettiva prigioniera; ma la situazione che determinala vita dei detenuti è anche mutabile perché instabile, un po’ per dove tira il vento, unpo’ per le tensioni accumulate e altri fattori che si possono esprimere sul momento. c’è un’incertezza di fondo così come c’è la certezza dell’addomesticato corpo recluso, tutto questo e altro crea la difficoltà di organizzare, di proporre e di lottare assieme agli altri,  parlo sempre della mia esperienza personale. 

Un passo importante, che è una delle cose che continuo a fare, è quello di stimolare all’azione collettiva parlandone all’aria, in doccia e in qualsiasi momento di passaggio in cui posso socializzare la proposta, non trovando comunque terreno fertile, perché anche una battitura comporta un rapporto disciplinare, indagini per catturare i promotori,malumori, nonché la percezione che accomuna molti detenuti sull’insensatezza del metodo. 

La volta scorsa si faceva la battitura per l’amnistia proposta da Pannella e quindi autorizzata perché appoggiata anche da una sigla sindacale delle guardie. Quelli che hanno continuato (cercato di continuare) nei giorni successivi sono stati minacciati di rapporti e trasferimenti e tutto tace! E’ inutile dire che è indispensabile perseverare nello stimolare all’azione collettiva in maniera tale che ci si possa poi coordinare, il mio intento è anche quello di trovare dei complici in un gruppo ristretto che possa essere affiatato al punto da muoverci compatti e di allargare agli altri la contagiosa ribellione. ma l’affiatamento che finora ho trovato è solo neidiscorsi sovversivi. 

La mia pratica rimane tutt’ora individuale ma io non demordo mai! Per il discorso degli immigrati sono certamente d’accordo che, essendo una maggioranza nelle galere della penisola, nella particolare posizione di annientamento decretata contro di loro, sia indispensabile agire insieme. 

 Questa realtà qui non è però avvertita come avviene in italia ma è ovvio che la questione riguarda tutti. c’è la politica dello stato italiano che incarcera gli immigrati (con tutto quello che c’è dietro, nel mezzo e neldopo) spesso (o sempre) in combutta con la politica dei paesi di provenienza, in cui mettono in pratica un progetto razzista di sterminio ben definito e che è indispensabile per portare avanti una progettualità che dia rilevanza, partendo dalle loro storie, la realtà cheli sfrutta, li uccide, li imprigiona. 


Per evidenziare non solo tra noi ma anche e soprattutto tra i diretti interessati quello che sta succedendo, in questa maniera, può essere l’inizio di una possibilità organizzativa e di lotta assieme. […]

iosto Presoni de buonkaminu, 20 settembre 2012

sabato 8 dicembre 2012

Sardinya: Monte Prama, ecco la storia dei Giganti di pietra

sardinya: Monte Prama, ecco la storia dei Giganti di pietra

L'appassionante vicenda delle statue 

 Carlo Figari

www.unionesarda.it

 

Finalmente tutta la verità sui Giganti di Monte Prama. O almeno quello che sinora è possibile raccontare in attesa che futuri scavi possano aggiungere nuovi particolari sulla vicenda che più di ogni altra ha appassionato gli archeologi nell'ultimo decennio. Messe da parte le polemiche sulla destinazione delle statue di pietra restaurate nel laboratorio di Li Punti a Sassari, oggi la loro storia è raccolta in un bel volume appena pubblicato dalla cagliaritana Fabula. L'editore Enrico Clemente ha chiamato attorno a questa complessa opera i protagonisti della scoperta: quattro illustri archeologi che dal 1974 (il primo ritrovamento risale al maggio di quell'anno quando un contadino scavando con l'aratro trovò alcuni frammenti scultorei) hanno lavorato a più riprese nel sito, recuperato il grosso dei reperti e poi dato un significato alle statue. Oggi possiamo dire di sapere molto su questi clamorosi Guerrieri nuragici, il velo di mistero che li ha circondati per oltre un trentennio è stato tolto, le ipotesi degli studiosi più o meno concordano sulla base di attente valutazioni e confronti stilistici. 
Nelle 277 pagine patinate scorrono i saggi di Alessandro Bedini, il primo archeologo della Soprintendenza ad arrivare sul sito e a lavorarci negli anni Settanta per poi trasferirsi a Roma e a Firenze; Carlo Tronchetti, ex direttore della Soprintendenza e del museo nazionale di Cagliari; Giovanni Ugas, docente dell'ateneo cittadino e Raimondo Zucca, docente a Sassari e instancabile promotore di mostre e convegni. Arricchiscono il volume le immagini di Massimo Migoni e i disegni ricostruttivi delle statue eseguiti dall'architetto Panaiotis Kruklidis.Un lavoro importante ed esaustivo che consente al lettore, anche non specialista, di capire cosa fossero e rappresentassero quei Giganti di pietra (alti quasi due metri). Il libro, già presentato in anteprima a Sassari, verrà illustrato oggi alle 18 da Clemente e Tronchetti nella libreria Feltrinelli di via Paoli.


LE STATUE
 
I reperti recuperati non hanno consentito di rimettere insieme nella loro interezza una o più statue, restaurate sapientemente dagli esperti di Li Punti, ma lo studio dei pezzi al computer ha permesso, però, agli archeologi e ai disegnatori di fare una ricostruzione quanto mai fedele. Ce li possiamo immaginare così come appaiono nel disegno introduttivo del volume: arcieri, pugilatori, atleti, in fila su un piedistallo lungo la strada che dal Campidano portava al Sinis e al porto fenicio di Tharros (la città punica sarebbe nata qualche secolo dopo). Dietro e a fianco sorgevano modelli di nuraghi in scala maggiore rispetto alle statuine di bronzo che oggi conosciamo nei musei, e di betili votivi. Il tutto faceva parte di un'area monumentale e sacrale (Heeron) in una zona di sepolture, tra i numerosi villaggi popolati dai protosardi che vivevano tra il Sinis, il Grighine e l'attuale Oristanese.
«Lo scavo ha portato alla luce una situazione straordinaria - affermano Bedini e Tronchetti - sia per l'eccezionale presenza della statue, che per il significato culturale dell'intero contesto. Siamo di fronte ad una vasta area adibita a sepolture di cui si può riconoscere con sicurezza il solo limite occidentale che presenta un'articolazione in varie fasi, con funzioni diversificate e caratterizzata da un tracciato viario». 


TRE FASI 
A Monte Prama si possono distinguere tre fasi: la prima di un sepolcreto con tombe a pozzetto (tipo quelle rinvenute ad Antas, Fluminimaggiore); la seconda vede l'area recintata con tombe più importanti coperte da lastroni; una terza fase con la sistemazione della sponda est della strada, la realizzazione del complesso scultoreo e la contestuale monumentalizzazione dell'area sacra.

L'ETÀ DEL FERRO
  La datazione? Per quanto riguarda la cronologia assoluta delle tre fasi si parla di un arco compreso tra il nono e la fine dell'ottavo secolo. I Giganti sarebbero i simboli grandiosi di una élite aristocratica che governava la popolazione protosarda nel periodo detto del "Ferro". Quella gente laboriosa di contadini e pastori, con a capo clan di guerrieri, era l'erede della precedente civiltà dei costruttori di nuraghi, che viveva e commerciava a contatto con i vicini fenici di Tharros. Solo dopo arriveranno i cartaginesi che trasformeranno quello scalo in una fiorente città punica. Nel frattempo i monumentali Giganti, realizzati con la pietra proveniente da una vicina cava e simbolo di una civiltà indigena, verranno distrutti, ammucchiati e sepolti nella stessa area di Monte Prama.

IL SIGNIFICATO


   «Allo stato attuale della documentazione - sottolinea Enrico Clemente - molti problemi sul valore e sul significato storico di Monte Prama rimangono aperti. Gli autori hanno presentato le proprie ipotesi che, in particolare sulla cronologia e distruzione dell' Heroon, presentano soluzioni diverse. Bedini e Tronchetti concordano sostanzialmente sulla datazione di costruzione dell'Heroon in base ai loro dati di scavo, mentre per la distruzione evidenziano la mancanza di reperti che permettano certezze. Ugas, al contrario, dissentendo dagli autori degli scavi, retrodata la cronologia (750-740) e indica una periodo preciso per la sua distruzione, non oltre un paio di decenni dopo l'edificazione (720)». 

LO STILE
 
Lo stile dei Guerrieri riporta all'ideologia della grande statuaria orientale giunta nell'Isola con i mercanti e con maestranze artigiane. Questo volume rappresenta una base di partenza: scavi ulteriori e la discussione della comunità scientifica potranno gettare nuova luce sulle statue del Sinis e, di riflesso, sulla storia della Sardegna protostorica e su quella del Mediterraneo occidentale. «Purtroppo - conclude Tronchetti - non conosciamo niente dell'antica mitologia sarda se non attraverso notizie assai più tarde giunteci da scrittori di cultura ellenica, ma sicuramente una mitologia esisteva: i Giganti di Monte Prama ne facevano parte».
 

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