martedì 3 settembre 2013

SARDINYA: PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE LA PARIFICAZIONE DELLA LINGUA SARDA CON LA LINGUA ITALIANA


Mario Carboni
comitaduprosalimbasarda/

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE LA PARIFICAZIONE DELLA LINGUA SARDA CON LA LINGUA ITALIANA:

Il PSdAz ha presentato nel Consiglio regionale una proposta di legge che costituzionalizza la lingua sarda, modificando lo Statuto sardo introducendo nel testo la lingua sarda e le lingue di minoranza interna Gallurese, Tabarchino, Sassarese ed una serie di semplici norme per renderla ufficiale, equiparata all’italiana e quindi allineare la minoranza linguistica sarda alle minoranze linguistiche più tutelate come la Sud tirolese e Valdostana.

Viene così colmato un vuoto dello Statuto sardo vigente e lanciato un messaggio politico chiaro rivolto a chi si candida a governare la Sardegna nella prossima legislatura affinche la lingua sarda sia parte fondamentale e portante dei loro programmi.

La proposta aggiunge all’Art. 1 dello Statuto vigente quattro semplici commi ed è preceduta da una ampia relazione che illustra i motivi dell’iniziativa legislativa e ne spiega i contenuti e i vantaggi conseguenti alla sua applicazione.

Articolo di legge

Art. 1

Modifica dell’articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna)

1. All’articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:
“Nel territorio della Regione autonoma la lingua sarda è lingua propria, ufficiale e parificata alla lingua italiana, gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
Nel territorio d’Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento. Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
Sulla base di apposite leggi la Repubblica e la Regione garantiscono l’uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel territorio regionale e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
La Storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie d’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell’Isola.”.

***************
RELAZIONE DEI PROPONENTI

Recentemente il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge che istituisce e regola il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali.
L'iter parlamentare prevede una successiva approvazione della Camera dei deputati.
La Commissione, in sede referente dovrebbe prendere in esame i disegni di legge per le modifiche degli articoli di cui ai titoli I, II, III e V della parte seconda della Costituzione, afferenti alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo, nonché i coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali» ..” assicurando in ogni caso la presenza di...un rappresentante delle minoranze linguistiche.”.
E' evidente l'interesse della Sardegna, che non sarà rappresentata in quanto minoranza linguistica pur essendolo ai sensi della legge costituzionale n.482 del 1999 in attuazione dell'art.6 della Costituzione, alle modifiche necessarie per la riforma della Costituzione. Sopratutto a quelle riguardanti l'Autonomia speciale della Sardegna, per scongiurare che non vadano lesi i diritti politici acquisiti e affinché la riforma dello Statuto sardo conseguente sia un deciso passo in avanti come frutto di autodecisione con l'obiettivo di ampliarne al massimo grado le competenze di rango statuale e federalista e non imposta e su sua proposta dal centralismo. E' giusto ricordare pur succintamente, da parte sardista e per motivi noti a tutti, come lo Statuto vigente sia nato seguendo un virtuoso processo di formazione e avviato con l'istituzione della Consulta regionale, riconosciuta competente a formulare le proposte dei sardi per il futuro ordinamento regionale.
Oggi manca un analogo organismo di proposta e garanzia autonomistica, che sancisca come originaria l'iniziativa sarda a proporre riforme statutarie in questa importante fase di riforma costituzionale, rendendo ineguale e discriminatorio un rapporto fra lo Stato e la nostra Regione a Statuto speciale che invece esigerebbe parità e diritto di proposta.
Agli albori dell'Autonomia la Consulta Regionale, con le prime decisioni istituì una Commissione per lo studio del futuro ordinamento regionale, con il compito di esitare un progetto di Statuto che fosse organico per quantità e qualità rappresentando l'aspirazione autonomista della Sardegna.

I componenti di tutte le forze politiche autonomiste diedero incarico al PSdAz di stendere il progetto di Statuto e con quest'atto venne riconosciuta la particolare competenza del PSdAz che già nel 1946 presentò la sua proposta.

Sono noti i fatti e le lentezze che seguirono in attesa delle elezioni del 2 giugno 1946 che avrebbero superato l'iniziale pariteticità fra le componenti della Consulta e permesso quindi nella Consulta ricreata proporzionalmente ai voti elettorali delle successive elezioni un avvio sollecito dei lavori tesi a proporre uno Statuto per la Sardegna.
Venne intanto, con un grave errore dei Consultori, rifiutata la concessione alla Sardegna dello Statuto siciliano e la discussione in seguito proseguì annacquando sia la proposta del PSdAz che quella resa nota a titolo personale dal consultore Castaldi, più limitata nelle previsioni di Autonomia se confrontata con quella sardista e fatta propria in seguito dalla DC.
La proposta che la Consulta approvò il 29 aprile 1947 e inviò alla Costituente fu ulteriormente depotenziata sul piano dei poteri autonomistici e del rapporto federale con lo Stato centrale,dopo gli ultimi ritocchi al ribasso da parte della Commissione dei 75 incaricata nella Costituente di riscriverla e un frettoloso dibattito in aula il 31 gennaio 1948 venne approvato il testo dello Statuto vigente, nell'ultimo giorno utile dei lavori della Costituente.

Da allora pur registrando un enorme passo in avanti rispetto alla situazione della Sardegna dello Statuto Albertino, con l'adozione di uno Statuto sardo e l'operatività di una Assemblea legislativa, il Psdaz da subito e in seguito altre forza politiche hanno considerato il nostro Statuto nato male, insufficiente, non corrispondente alle aspirazioni profonde di autogoverno e libertà dei sardi e quindi bisognoso di modifica più o meno radicale se non di totale riscrittura..
La critica più radicale e con la proposta più innovativa, tale da ribaltare la prospettiva di un migliore autogoverno e più corrispondente a criteri giusti di autodeterminazione è venuta dal popolo sardo con l'uso di uno strumento di democrazia diretta previsto statutariamente. Per iniziativa degli intellettuali e militanti “sardisti “ presenti anche se in minoranza in ogni schieramento politico di allora da parte de Su comitadu pro sa limba sarda, fu presentata la proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento del bilinguismo perfetto in Sardegna
A seguito di tante battaglie e contro sorde opposizioni che ancora purtroppo sono presenti nella società sarda e non accettano la nuova realtà, fu approvata a seguito di discussioni accesissime, di un iter legislativo molto travagliato, caratterizzato da bocciature in aula, rinvii governativi, impugnazioni davanti alla Corte costituzionale a 49 anni dall'emanazione dello Statuto la legge regionale ordinaria n.26 del 15 ottobre 1997 di tutela del sardo e delle lingue alloglotte, Catalano di Alghero, Gallurese, Sassarese e Tabarchino, quali lingue di minoranza interna da tutelare in egual misura del sardo nei territori nei quali sono parlate.
In seguito la legge statale e costituzionale n.482 del 15 dicembre 1999 riconobbe in ritardo di cinquanta anni la lingua sarda come lingua propria della Sardegna in attuazione dell'Art.6 della Costituzione sulla tutela delle minoranze linguistiche.

Oggigiorno, anche il più tenace avversario o critico dell'Identità dei sardi e della sua specificità si troverebbe in difficoltà nell'approvare i concetti che la Consulta inserì nella relazione al progetto di Statuto inviato a Roma, rivendicando “ una unità etnico-sociale derivante dalla comunità di razza, tradizione, di storia, di lingua, di religione, di cultura”.
In effetti i Consultori e l'intera classe dirigente di allora non presero in nessuna considerazione la lingua e la cultura dei sardi come un fattore degno di caratterizzare la nostra Carta dell'autogoverno, commettendo un clamoroso errore politico e culturale che avrebbe segnato tutto il percorso dell'Autonomia sino ad oggi, intriso di economicismo, subalternità e autocolonialismo.
Solo Emilio Lussu, ancora sardista, nella seduta del 30 dicembre 1946, sostenne la necessità di “sancire” l'obbligo dell'insegnamento della lingua sarda, in quanto essa è “ un patrimonio millenario che occorre conservare”.
Lussu, che in seguito non fece più propria questa battaglia con l'uscita dal PSdAz, si faceva allora portavoce di una convinzione sempre presente fra la base sardista e che in seguito dagli ultimi trent'anni del secolo scorso divenne maggioritaria nel partito sardo sino a formare parte integrante e fondamentale della linea politica ufficiale del sardismo contemporaneo.

Leggendo il vigente Statuto della Sardegna risalta l'assenza pressoché totale di una norma che richiami la lingua e la cultura isolana che pure hanno un valore primario e fondante nel sostenere il nostro speciale diritto all'autogoverno.
Tale assenza sorprende negativamente quando si considera che previsioni di principio e di tutela sono invece contenute nella Costituzione ( artt.3 e 6 ) e negli Statuti della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige, emanati nello stesso periodo, nel quale la stragrande maggioranza dei sardi si esprimeva abitualmente in lingua sarda o in una delle alloglotte.
Ancor'oggi i sardi sono il gruppo linguistico di gran lunga più numeroso presente nella Repubblica italiana pur discriminato e il meno tutelato.
La critica di quell'errore di valutazione, di quel deficit culturale e politico, frutto dei tempi e quasi incomprensibile e difficilmente giustificabile con la consapevolezza attuale della questione linguistica e della sua importanza fondamentale per disegnare un futuro di autogoverno senza ricadere nell'economicismo che tanti guai ha inflitto alla Sardegna, fu esercitata da non molti ma decisi intellettuali e politici identitari e nazionalitari.

Ecco come il Prof. Giovanni Lilliu, sempre in prima fila nel movimento identitario, denunciava la scelta dei Consultori e Costituenti sardi:
“Is consultoris sardus hiant stimau chi s’istruzioni e sa cultura, in cussu momentu de recuberamentu materiali de sa Regioni fessint de interessu segundariu e hiant lassau a su Stadu de nci pessai issu esclusivamenti.
E poita is Consultoris no hiant bofiu sa cumpetenzia primaria in sa istruzioni, sa scola e sa cultura sarda no figurant in sa lei de su 23 de friaxiu n.3.
Aici est nasciu unu statutu sardu tzoppu, fundau sceti apitzus de s’economia reali in sa cali, po s’effettu de operai in sa politica de su renascimentu, s’est scaresciu propriu de is valoris idealis e de is concettus po ponniri in movimentu su renascimentu, eus a nai cussu chi est sa basi de sa venganza autonomistica.
Valoris is calis, in prus, donant arrexonis e fundamentus perennis a sa spetzialidadi de sa Regioni sarda, ch’est verdaderamenti una Regioni-Natzioni: unu populu cun sinnus proprius de limba, etnia, storia, cultura, maneras de si cumportai, de gestus, de pensai is calis calant a fundu in sa vida de dognia dì e balint e operant a totus is livellus de sa sociedadi….
Sa repulsa de sa cultura hat tentu effettus negativus no sceti cun sa crisi de s’autonomia.
Issa hat impediu su cresciri de una classi dirigenti forti e libera sa cali hiat a essiri agatau ideas e stimulus po operai in politica, creativamenti, cun s’aggiudu de sa cultura de su logu impari a sa cultura in generali.
Sa cultura de s’Autonomia fundada apitzus de sa cultura sarda, cultura de sa diversidadi, de disturbu, de resistenzia hiat a essiri indulliu is politicus sardus a si liberai de sa dependenzia, a non essiri maschera de su stadu”.

Le riflessioni di Giovanni Lilliu, sintetizzano una consapevolezza ormai generalizzata che richiede risposte politiche condivise perché è una battaglia che interessa tutti i sardi e che non può essere rimandata oltre perché è lo Stato centrale che vuole dettarne l'agenda e le soluzioni non tenendo conto dei sardi e approfittando del nostro attendismo o scarsa attenzione alla questione. Rischiamo ancora una volta di subire una riforma costituzionale octroyée, imposta da un potere esterno.
Completare il quadro teorico della Specialità della Sardegna, rispetto al continente italiano, con la soggettività della Nazione sarda che è emersa meglio con la Questione linguistica, ha permesso di elaborare da parte di tutte le forze politiche sarde pur con differenze dovute a propri particolari riferimenti culturali, ideologici e di programma, una visione comune di nuova Autonomia politica, frutto di recupero di sovranità originaria, di esercizio di autodecisione nazionale da costituzionalizzare con un nuovo Statuto di sovranità per la Sardegna e una Assemblea legislativa con poteri statuali attraverso un percorso riformista ma autonomo e deciso.

Non si tratta di perdersi in nominalismi ma di andare dritti all'obiettivo di un superamento dell'attuale Statuto autonomistico.
Il valore della tutela delle minoranze linguistiche rappresenta un valore essenziale e indefettibile nelle società civili e democratiche come è ben testimoniato dall'Art. 14 della Convenzione europea sui Diritti dell'uomo, dalla Convenzione quadro sule minoranze nazionali del Consiglio d'Europa, dall'Art.13 dell'originario Trattato CE, dalla Carta Europea delle lingue regionali e di minoranza che purtroppo non è ancora stata ratificata dal Parlamento,
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea adottata nel 2000 e divenuta vincolante con il trattato di Lisbona, obbliga l'Unione al rispetto della diversità linguistica (articolo 22) e vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla lingua (articolo 21). Il rispetto della diversità linguistica è uno dei valori fondamentali dell'UE al pari del rispetto per la persona e dell'apertura nei confronti delle altre culture.
Dobbiamo purtroppo registrare che permangono in Sardegna forti discriminazioni in ragione della nostra lingua, messe in rilievo dall'ultimo l'episodio della studentessa alla quale è stato impedito di sostenere il suo esame in lingua sarda malgrado la Costituzione sancisca un generale divieto di discriminazione in ragione della lingua ( artt. 3 e 6 ) dalle leggi e norme già citate e rispetto alla quale le reazioni sono state tiepide e assenti di richieste di sanzioni per chi le ha attuate.
Periodicamente si ripetono incursioni di oscuri funzionari dello Stato che pretendono di cancellare i nomi in lingua sarda dei nostri paesi e città che ignorano i nostri diritti, le leggi fondamentali dello Stato ed Europee in materia di toponomastica in regime di bilinguismo e paritetici di diritti linguistici.
Anche nelle passate Convenzioni fra lo Stato e la RAI, con la prossima in via di definizione, la lingua sarda e la nostra comunità in quanto minoranza linguistica storica è discriminata e relegata in seconda categoria a confronto delle lingue minoritarie dell'arco alpino.
Sulla bruciante discriminazione linguistica nelle scuole di ogni ordine e grado è palese la responsabilità dello Stato e del Governo centrale nell'insistere in un'opera di snazionalizzazione dei nostri giovani e di assimilazione forzata che ha come unico risultato la cancellazione della nostra identità attraverso l'annichilimento della lingua e cultura del popolo sardo.
Non è determinante che i sardi siano definiti Minoranza linguistica dalla Costituzione e non Nazionalità come pensano si sardisti e dal Consiglio d'Europa la cui Carta è stata ratificata dallo Stato italiano e non applicata, che la nostra lingua propria sia definita lingua minoritaria storica dalla legge 482 del 1999 che attua l'art. 6 della Costituzione mentre la Carta europea delle lingue la definisce lingua regionale e quindi di rango diverso e superiore a quello di lingua minoritaria.
Qualunque sia la definizione accettata le misure politiche, organizzative, amministrative, economiche e culturali per rispondere a questa realtà, che deve essere rispettata, protetta e posta in grado di svilupparsi liberamente, sono le stesse e inderogabili.
Le principali sono l'abbandono di ogni azione di discriminazione, di ogni barriera linguistica, il risanamento a spese dello Stato che ne è responsabile dei danni di oltre 200 anni di discriminazione, di colonizzazione culturale e di assimilazione forzata con adeguate risorse anche Europee, l'insegnamento della e nella lingua sarda e alloglotte nelle scuole di ogni ordine e grado e nell'Università, l'uso della lingua sarda nei media e nelle Istituzioni che operano in Sardegna, la sua radiotelediffusione normale e non folklorica, insomma l'uso ufficiale e normale della lingua di minoranza/nazionale dei sardi in un regime di bilinguismo in pariteticità con l'italiana lingua ufficiale dello Stato.

Che sia un processo graduale e per tappe è coscienza comune, come è consapevolezza comune che i diritti linguistici e culturali richiamano altri diritti quali quelli fiscali, come la zona franca e la riscossione in Sardegna delle imposte, di uso non di rapina del territorio, di risanamento del nostro ecosistema avvelenato da industrializzazioni coloniali fallite, di libertà nei trasporti con una vera continuità territoriale che significa viaggiare come se il mare non esistesse, di legiferare in maniera esclusiva nel massimo delle competenze possibili, di recuperare la competenza esclusiva sull'istruzione di ogni ordine e grado, di essere una statualità isolana col suo Parlamento che si autogoverna nella prospettiva degli Stati Uniti d'Europa già obiettivo dei sardisti come indicato da Camillo Bellieni nel Congresso di Oristano del 1922.
Per iniziare questo processo ed allinearsi alle maggiori nazionalità senza stato europee o alle regioni ad Autonomia speciale ed in particolare alla Val d'Aosta e al Trentino Alto Adige, è necessario che la lingua sarda venga inserita nello Statuto, vengano quindi costituzionalizzati diritti ormai patrimonio di tutti i sardi e riconosciuti anche dalla Costituzione e da conseguenti leggi dello Stato, da trattati internazionali sottoscritti e ratificati dalla Repubblica italiana.

Basti ricordare che per assenza della lingua sarda nel nostro Statuto vigente, oltre a non vedere applicati i diritti linguistici nelle scuole con i nostri figli che ogni anno dalle materne sono sottoposti ad una crudele amputazione della loro lingua, la Sardegna è penalizzata per l'insegnamento, per gli impieghi e per quanto riguarda le leggi elettorali parlamentari statali ed europee ad iniziare dalla circoscrizione elettorale europea che ci vede assurdamente accorpati alla Sicilia e fin nelle proposte di ratifica della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, che invece favoriscono la Val d'Aosta e il Trentino Alto Adige che al contrario dei sardi menzionano le loro lingue nei rispettivi statuti, e per tanti altri fattori che sarebbe troppo lungo in questa sede enumerare.

Per questi motivi, in presenza di una riforma della Costituzione che interessa la Sardegna, in assenza di un organismo analogo alla Consulta degli albori dell'Autonomia e che oggi avrebbe potuto essere l'interlocutore del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, in assenza di un'organica e condivisa proposta di nuovo Statuto della Sardegna da parte del Consiglio regionale e nella fondata convinzione che nelle ultime fasi di questa legislatura non possa esserne presentata una organica e condivisa alle Camere, si propone una modifica ponte dello Statuto sardo che introduca almeno la lingua sarda al suo interno quale architrave, oggi assente, di una prossima proposta di nuovo Statuto che si spera venga alla luce nella prossima legislatura..

L'auspicio dei presentatori di questa proposta di legge, nel miglior spirito sardista e del tradizionale riferimento non ad un egoistico interesse di parte ma a quello più generale della Nazione sarda è che venga approvata con convinzione, se non in maniera unanime almeno a stragrande maggioranza anche da forze politiche che si apprestano a scontrarsi per il Governo dell'Isola nelle prossime elezioni regionali, mostrando ai sardi oltre alle legittime differenze indispensabili all'alternanza nel gioco democratico anche un patrimonio comune al quale fare riferimento sia nell'attività di governo che di opposizione alle quali la volontà popolare le avrà destinate col voto.

**************

TESTO DEI PROPONENTI

Art. 1

Modifica dell'articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna)

1. All'articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:

“ Nel territorio della Regione autonoma la lingua sarda è lingua propria, ufficiale e parificata alla lingua italiana, gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
Nel territorio d'Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento.
Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
Sulla base di apposite leggi la Repubblica e la Regione garantiscono l'uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel territorio regionale e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
La Storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie d'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell'Isola.”.





domenica 1 settembre 2013

Che cosa dà agli USA il diritto di bombardare la Siria?

Che cosa dà agli USA il diritto di bombardare la Siria?
Joshua Brollier 
Tradotto da  Giuseppe Volpe



Quelli che ritengono che gli Stati Uniti dovrebbero intervenire in Siria, ricordino che si tratta degli stessi Stati Uniti che:




























Le molte atrocità commesse dal regime di Assad dall’avvio della rivoluzione siriana sono assolutamente inaccettabili e le storie che emergono dal paese sono assolutamente strazianti. E, per essere giusti, anche i crimini di guerra commessi dalle molte milizie ribelli operanti in Siria, anche se minori in numero e in intensità, sono raccapriccianti e inaccettabili. I recenti attacchi chimici sono indubbiamente uno sviluppo molto allarmante. Le centomila vite andate perdute prima di tali attacchi sono altrettanto preziose e le sofferenze delle loro famiglie non sono minori a causa del tipo di armi che hanno ucciso i loro cari.



Da esterno, non posso fingere di sapere quale sia la risposta per risolvere questo conflitto, per rendere giustizia a quelli che sono stati colpiti o per costruire una Siria stabile e inclusiva per tutti i suoi abitanti. Non sono sicuro che qualcuno la conosca. Gli stati arabi e mussulmani e varie milizie sono divisi dai loro interessi specifici. Le grandi potenze straniere hanno tutte i loro programmi, basati principalmente su calcoli imperiali in competizione. Le voci dei siriani comuni sono sovrastate dalla violenza e da preoccupazioni più immediate, come cercare pane e un rifugio. (Tuttavia è importante riconoscere che, con tutta l’attenzione concentrata sui combattenti islamisti stranieri nel conflitto, i siriani, sia armati sia disarmati,  sono rimasti attivi nella resistenza al regime di Assad. Naturalmente essi costituiscono anche i ranghi delle forze governative).


Tendo ad essere d’accordo con l’analisi di Patrick Cockburn che un primo passo per por fine a questo stallo da incubo consista nell’esercitare pressioni su tutte le parti coinvolte nei combattimenti e sulle potenze regionali ed esterne (che indubbiamente esercitano influenza presso il governo e presso i ribelli) perché negozino immediatamente un cessate il fuoco. Gli USA risulterebbero aver abbandonato ogni partecipazione alle procedure di pace e stanno mettendo a punto piani per attacchi aerei. Ma anche che considerano necessario un qualche genere di intervento armato io chiedo di mettere criticamente in discussione i precedenti degli Stati Uniti nella regione come forza credibile per la democrazia, come esercito responsabile e morale e come partner adatto al raggiungimento della pace. Con i tamburi di guerra che rullano sempre più forte e con le navi da guerra statunitensi che arrivano al largo della costa siriana, sollecito tutti a esprimersi, a collaborare e a cercare insieme una soluzione diversa prima che una parte ancor maggiore della Siria sia distrutta. Ci sono implicazioni e conseguenze potenzialmente disastrose nel caso di un accresciuto coinvolgimento degli Stati Uniti in Siria e nella regione. Con i precedenti ipocriti ed egocentrici degli Stati Uniti un altro intervento a sproposito non farebbe che peggiorare le cose.



Per concessione di ZNet Italy
Fonte: http://progressive.org/what-gives-united-states-right-to-bomb-syria
Data dell'articolo originale: 28/08/2013

sabato 31 agosto 2013

LA SIRIA SIAMO NOI..

LA SIRIA SIAMO NOI
comidad



Una delle maggiori obiezioni nei confronti dell'umanesimo riguarda la posizione di incolmabile vantaggio che ha la menzogna nei confronti di ogni tentativo di ristabilire la verità dei fatti. Quel dispendioso apparato di intrattenimento e pubbliche relazioni che va sotto l'etichetta di "democrazia", abitua un po' tutti alla menzogna fondamentale, cioè quella dell'esistenza di una "libertà", per quanto relativa; ed il confine tra il crederci ed il far finta di crederci, è sempre più labile di quanto ci si aspetterebbe.

Un altro dei grandi supporti della menzogna è la cattiva memoria, che consente alla menzogna stessa di ripresentarsi e perpetuarsi ad onta delle smentite. Ma anche quando una menzogna sia stata smascherata, ciò non ristabilisce la verità, poiché è possibile sterilizzare il dato acquisito con un'ulteriore rete di falsità. Lo scorso anno una delle fonti di informazione considerate più autorevoli, la britannica BBC, presentò come immagine inedita di una strage attribuita al governo siriano una vecchia foto del 2003, scattata in Iraq. 


Una volta scoperto il falso, volenterosi commentatori accorsero in soccorso della BBC, ipotizzando che questa fosse caduta in una trappola tesa dallo stesso governo siriano per screditare l'informazione che lo riguardava.

L'argomento era chiaramente autocontraddittorio, poiché un organo d'informazione dotato dei mezzi della BBC, avrebbe potuto cadere in una trappola del genere soltanto se irrimediabilmente prevenuto e privo di intenzione di verificare i fatti. In questi giorni la propaganda occidentale ritorna all'attacco accreditando la versione fornita dai sedicenti "ribelli" siriani e dall'organizzazione "Medici senza Frontiere" su un presunto attacco chimico al gas nervino compiuto dalle truppe di Assad. "Medici senza Frontiere" ammette di non poter provare scientificamente l'uso di armi chimiche, ma "lo suggerisce con forza". Un bellissimo ossimoro, roba da poeti senza frontiere. 

In un altro commento, proveniente proprio dalla "autorevole" BBC, si mettono le mani avanti rilevando la stranezza di un attacco del genere nel momento in cui Assad apre la porta agli ispettori ONU; ma poi tutti i dubbi vengono annegati sotto la presunta evidenza delle presunte prove. In effetti di evidente c'è soltanto l'ostilità dei media ed il loro zelo nel confezionare un casus belli.


Fortunatamente si può mentire solo sino ad un certo punto, dato che la verità riesce ad aprirsi un varco persino tra le righe delle dichiarazioni più mendaci, perciò le intenzioni nascoste tendono a scoprirsi. Purtroppo bisogna fare lo sforzo di cercare questi barlumi di autenticità. Il segretario di Stato USA, John Kerry, si dichiara sicuro che le armi chimiche siano state usate in Siria, e che gli ispettori ONU non potranno che accertarlo. 

Ma da dove gli deriverebbe tanta sicurezza, se lui non ci avesse niente a che fare con l'uso di quelle armi chimiche? 

Attualmente sulla questione siriana è in atto uno scontro diplomatico tra gli Stati Uniti ed una Russia che sembrerebbe proiettata verso un nuovo protagonismo; sebbene occorra ancora aspettare per essere sicuri che anche Assad non finisca nella lunga lista di quelli mollati da Putin, insieme con Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi. L'attuale fermezza russa non appare sufficiente per scoraggiare le pose aggressive dell'amministrazione statunitense, la quale però tiene a precisare che comunque non agirebbe da sola. Ancora una volta si scopre che sono gli "alleati" il perno di ogni operazione colonialistica. 


Che non si riesca mai a mentire del tutto, ce lo ha dimostrato anche il Presidente del Consiglio Enrico Letta nella sua visita della settimana scorsa ai militari italiani in Afghanistan. La sua prosa è degna di un'estesa citazione: "... noi siamo parte di un sistema in cui ognuno fa la sua parte. Nessun paese libero può sottrarsi agli impegni di stabilizzazione per la pace. Solo con la NATO, l'ONU e l'Unione Europea possiamo risolvere insieme i problemi che il terrorismo e l'assenza di pace comportano. " 


Quindi, secondo Enrico Letta, l'essere un Paese "libero" consiste nel far parte di un sistema dai cui obblighi non si scappa, e quando la NATO, l'ONU e la UE ordinano, si obbedisce e basta. Allora, chi è il Paese militarmente occupato? L'Afghanistan, o noi? Uno dei punti di forza della propaganda imperialistica consiste in una sorta di aspetto ludico, cioè nell'entrare a far parte di un'opinione pubblica "occidentale" che può giocare ad interpretare il ruolo del giudice, condannando e perseguitando il "dittatore pazzo" di turno. 


Si tratta di un gioco che coinvolge emotivamente come un videogame, ma che ti consente anche di coltivare l'illusione di un'inesistente distanza dai guai. In realtà ogni volta che un Paese viene indotto a partecipare ad una di queste aggressioni, poi l'aggressione si risolve in un maggiore controllo coloniale della potenza dominante sui suoi "alleati". 

La collaborazione militare tra i Paesi NATO diventa non solo occupazione militare di un territorio come quello italiano, ma anche crescente integrazione delle forze armate del Paese occupato con quelle dell'occupante. Non soltanto il territorio italiano non è più italiano, ma nemmeno le sue forze armate. La perdita della moneta nazionale è la diretta conseguenza della perdita delle forze armate. L'apparato tradizionale dello Stato nazionale è stato riconvertito dall'imperialismo in una macchina funzionale alla colonizzazione. 

Giocare a fare l'Occidente per un Paese come l'Italia quindi è nocivo, eccome. La coincidenza delle date può essere indicativa. Nel 2011 l'Italia partecipò all'aggressione della NATO contro un Paese amico ed economicamente complementare, la Libia, il cui leader era stato opportunamente criminalizzato da una campagna mediatica. 




A poche settimane dalla conclusione della guerra libica, anche l'Italia ne fece le spese al vertice G20 di Cannes del novembre 2011, nel quale il Buffone di Arcore, ancora nella carica di Presidente del Consiglio, acconsentì ad aprire i libri contabili dell'Italia a cicliche ispezioni del Fondo Monetario Internazionale, cioè il braccio finanziario della NATO. L'ultima ispezione del FMI si è conclusa poco più di un mese fa. La condizione coloniale dell'Italia è stata quindi esplicitamente formalizzata dall'atto di sottomissione al FMI da parte di un Presidente del Consiglio che molti commentatori si ostinano ancora a presentare come un avversario dei "poteri forti" sovranazionali.

L'imperialismo viene spesso ridotto ad una categoria astratta, come se si trattasse di una semplice gerarchia dei rapporti internazionali, senza tener conto che la gerarchizzazione comporta privilegi da una parte e servitù dall'altra; perciò la condizione di subordinazione comporta il passare per il tritacarne della colonizzazione economica e finanziaria: disoccupazione, precarizzazione, delocalizzazione, indebitamento, crescente prelievo fiscale, distruzione della previdenza, dell'istruzione e della sanità pubbliche. Si tratta di quelle che, nel gergo FMI, si chiamano "riforme strutturali". 


A fare il lavoro più sporco delle "riforme strutturali" per conto del FMI, è stato però Mario Monti, quindi il Buffone è riuscito ancora una volta a rigenerare la sua immagine "antagonistica" da povero perseguitato, giocando sulla distrazione e sulla cattiva memoria dei suoi irriducibili fans, sempre pronti a dare la colpa alle donne o ai meridionali. A proposito di bugie dalle gambe lunghe.

L'unico argomento a favore di Monti è sempre stato quello che "almeno ci ha liberato dal Buffone". Oggi scopriamo che Monti invece era lì per porre le basi del riciclaggio e della eternizzazione del Buffone, cioè del burattino del FMI. Un'eventuale aggressione diretta della NATO contro la Siria vedrebbe come scontata la partecipazione italiana, ed a sancirne il risultato sarebbe ovviamente un'ulteriore stretta coloniale a base di "riforme strutturali" di marca FMI




..Laboratorio Gallura. Noi nasciamo con l’unico intento di mettere in atto un percorso che porti all’indipendenza della Sardegna.

Po chini bolit ajnas de debata apitzus de is eletziones chi ant a benni s'annu chi 'enit nc'est meda de naj e cust'articulu de Laboratoriu Gadhura est in linea po totus nosus interessaus a sa unitat de is indipendentistas 

atra ajna sempri de Moreno cambiare-lo-statuto-per-prepararci.html poneus su link.pdf de su statudu de sa RAS

Sa Defenza

facebook.t=photo_tag



Intervento di Moreno Contini per conto del Laboratorio Gallura alla scuola estiva dell'A.L.E.:

Saluti e ringraziamenti …


Il tema di oggi è la ragion stessa dell’esistenza di Laboratorio Gallura. 

Noi nasciamo con l’unico intento di mettere in atto un percorso che porti all’indipendenza della Sardegna. Un percorso a tappe, la prima delle quali è quella di creare un fronte identitario da contrapporre al sistema politico, culturale e burocratico italiano.

Nasciamo dall’incontro di donne e uomini che hanno nel cuore il senso Nazionale della Sardegna. I componenti di Laboratorio Gallura sono la testimonianza concreta di come diverse anime dell’universo identitario, non solo possano convivere, ma possono lavorare ad un progetto comune. 

E’ proprio questo che persone che militano nei diversi partiti e indipendentisti liberi pensatori hanno fatto, fanno e continueranno a fare: lavorare insieme!!! 
Da noi ci sono persone del PSD’Az, di Sardinia Libera, di Sardinia Natzione, di Forza Paris, di Irs, di Fiocco Verde, ma anche tanti indipendentisti liberi pensatori. 
Non solo. 
Ci seguono e collaborano con noi un gran numero di gruppi di lavoro, associazioni identitarie e singoli individui che condividono e sostengono questo progetto.

Il nostro sistema di lavoro funziona perché consideriamo il Laboratorio come una piattaforma dove tutti apportano il loro contributo di idee, progetti, iniziative, ecc. 

Tutti mettiamo del nostro in questo contenitore e poi insieme, senza pensare da chi e da dove arriva l’idea, la valutiamo e la sosteniamo con la massima condivisione e convinzione. 

Il nostro collante è l’amore per la nostra Patria. E’ questo che ci fa superare eventuali differenze ideologiche, è questo che ci fa concentrare sul percorso e sulla meta da raggiungere.


Non c’è più tempo. 


Questo fronte identitario deve nascere subito. 

Ma, come ho detto, questa è solo la prima tappa. Ci sono tutta una serie di azioni che questo fronte dovrà poi compiere una volta che si sarà consolidato. Tanto per cominciare il fronte dovrà essere inclusivo e trasversale, dovrà garantire l’identità ad ogni forza che lo compone, dovrà darsi regole di convivenza, dovrà curare in modo particolare la comunicazione, dovrà darsi delle strategie condivise e metterle in atto. 

Questo si può fare e si può fare subito, organizzandosi anche in vista della competizione elettorale del 2014.

La competizione elettorale del 2014 è l’occasione per dare il via al percorso verso l’indipendenza che per poter essere pacifico deve necessariamente passare per le Istituzioni. 

Dobbiamo conquistarle, farle nostre e utilizzarle al meglio.
Dobbiamo utilizzarle per dotarci di quegli strumenti legislativi necessari a preparare il terreno ad una indipendenza concreta, pratica, reale, non solo ideologica. 
Dobbiamo fare i conti con l’emancipazione del popolo. 
Non possiamo trascurare questo importante particolare che è determinante per il raggiungimento dell’indipendenza. 
Sappiamo bene che non può essere una classe politica a decretare l’indipendenza, ma deve essere il popolo ad acclamarla.

Il popolo è maturo? È realmente emancipato? È convinto dell’utilità dell’indipendenza?
La risposta al momento è sotto gli occhi di tutti: no!


La Sardegna ha tutto ciò che serve per essere indipendente: ha le caratteristiche geografiche, una posizione strategica al centro del mediterraneo, ha una sua lingua, una cultura specifica, una sua storia, ha le risorse naturali, ha capitale umano, ma non ha maturato ancora la consapevolezza di sé come Nazione.


Si può porre rimedio a questo?
Con forza e convinzione noi di laboratorio Gallura diciamo SI. 

Diciamo si e sappiamo anche come diffondere maggiore consapevolezza di sé tra i sardi.
Abbiamo constatato che le parole non bastano. Le persone vogliono risultati concreti da confrontare con i fallimenti del sistema tradizionale oggi in vigore.


Come possiamo mettere a confronto un sistema alternativo tutto sardo a quello italiano?
Semplice, attuandolo!


Per poterlo attuare bisogna conquistare le istituzioni. 

Per conquistare le istituzioni bisogna essere uniti, avere un programma elettorale preciso, fattibile, convincente e in linea con gli scopi del fronte identitario.
Per convincere i sardi a sostenere il fronte identitario non bisogna presentare un indipendentismo ideologico, ma un “sistema Sardegna” diverso da quello attuale, migliore, adatto alle nostre specificità. 
E dobbiamo anche spiegare come riusciremo a creare questo nuovo sistema. Ricordiamoci sempre che se per ora non tutti i sardi ambiscono all’indipendenza è pur vero che tutti vorrebbero una Sardegna che funzioni meglio. 
È su questo aspetto che il fronte identitario dovrà concentrarsi e rivolgere tutte le sue energie. Ma non puoi convincere gli altri se non sei convinto tu per primo.

E se riusciamo a convincere i sardi e conquistiamo quindi le Istituzioni, come procediamo nel percorso verso l’indipendenza?


Immaginiamo che la Sardegna sia un grande cantiere nel quale vogliamo edificare “la nostra struttura”. Cosa serve per avviare il cantiere? 


Tre cose: i materiali, la manodopera, gli strumenti di lavoro. 

Noi oggi possediamo due su tre di quanto necessario: i materiali e la manodopera. I materiali rappresentano le risorse che la nostra terra offre. 
La manodopera rappresenta il capitale umano che popola la Sardegna, cioè un milione e seicento mila sardi dove troviamo menti pensanti, donne e uomini di cultura, professionisti, imprenditori e una immensa forza lavoro.

Quello che non abbiamo sono gli “strumenti di lavoro” che rappresentano l’impianto legislativo ed istituzionale sul quale fare leva per modificare le condizioni del nostro popolo. 

Infatti, tali strumenti in realtà sono nelle mani dello Stato italiano al quale siamo subordinati.

A noi resta uno Statuto Autonomo insufficiente e mal utilizzato. 

Per dar seguito alla creazione di un “sistema Sardegna” dobbiamo modificare lo Statuto, dobbiamo plasmarlo per renderlo adatto alle nostre esigenze, per dotarci di quegli strumenti legislativi necessari a creare le condizioni ottimali nelle quali i sardi possano fare impresa, avere servizi accessibili, essere attrattivi sia per il turismo che per gli investitori, tutelare l’ambiente per conservare le caratteristiche uniche della Sardegna.

Quando tutto questo sarà fatto, e ribadisco quando e non se, il popolo avrà tutte le ragioni per fare un confronto basato su dati concreti ed oggettivi per maturare quella consapevolezza di sé che ci permetterà di avviare un percorso democratico che conduca il popolo a dichiarare L’INDIPENDENZA.


Custa est s’ora!
Grazie.


Laboratorio Gallura.

venerdì 30 agosto 2013

Oggi, natale della dea Syria, ma anche di Cibele, Tammuz, Asteroth, Gesù, ecc

 Oggi, natale della dea Syria, ma anche di Cibele, Tammuz, Asteroth, Gesù, ecc.
MARCUS PROMETHEUS

"Europa cristiana"? Piuttosto, romana e pagana. Pensate: l'intero Mediterraneo già unificato politicamente e amministrativamente dai Romani, già globalizzato dalla grande cultura greco-etrusco-romana oltre 1000 anni prima della presunta unificazione culturale tra cultura latina e germanica del Medioevo, di cui si vanta abusivamente la Chiesa. 

 Basta considerare la data di oggi, 25 dicembre 2009 dC, venerdi, festività cristiana del Natale di Gesù Cristo (ammesso e non concesso che sia esistito come personaggio unico, perché - strano - nessuno storico contemporaneo ne parla). Ebbene, non solo i Romani ma lo stesso ebreo Gesù - extracomunitario o civis romanus che fosse - l’avrebbero descritta in versione amministrativa pagana, com'era d'uso al tempo nel "villaggio globale romano", più o meno così: die VIII ante Kalendas Ianuarias [ad VIII Kal Ian], Veneris die, MMDCCLXII aUc.Ab Urbe condita, cioè 2762 dalla fondazione di Roma.

E anche questa data è arbitraria e simbolica. Basta dire che c’è lo zampino di quello storico assai poco scientifico che è Terenzio Varrone,etimologo "da bar" (volevo dire da thermopolium), se è stato capace di sostenere tra l'ironia di contemporanei e posteri che lucus (bosco) deriva da non luciendo, cioè un luogo dove non c’è luce, e urna da urina. Archeologi e storici ritengono oggi che i vari pagus (villaggi) che dettero origine per confederazione o unione alla città di Roma erano già presenti sui sette colli verso il 1000 o 900 aC.
Ad ogni modo sarebbe più corretto parlare del natale di Gesù (Joshua) e non di "Cristo", che era solo un appellativo ("l’Unto"). Però si è imposto il nome sbagliato "Cristianesimo" sul più naturale "Gesuismo". Una delle mille incongruenze, imprecisioni e confusioni della nascita di questa religione.
Anzi, diamo direttamente la parola a Marcus Prometheus, pseudonimo che sulla pagina di No God di Giulio Cesare Vallocchia passa in rassegna tutte le divinità che sarebbero nate o venivano celebrate il 25 dicembre e dintorni. Una data molto affollata nel mondo pagano.

"Origini pagane" del Cristianesimo? Di sicuro, c'è di mezzo la grande festività pagana religioso-orgiastica dei Saturnali, a cui il popolo era ormai abituato e che conveniva utilitaristicamente conglobare se si voleva che il nuovo culto avesse successo. Non per caso la nascita di Gesù che era fissata in origine al 6 gennaio (Epifania) fu anticipata alla fine di dicembre, in modo da occupare il target già esistente, posticipando la componente edonistica e trasgressiva al Carnevale. Furbissimi, roba da bizantinismi d'una Curia moderna.

Che si trattasse di accettazione realistica, di cinismo del potere, e comunque, come commenta l’acuminato Vallocchia nel suo blog, d'un vero"scippo" storico di festività e divinità altrui, fatto sta che non solo gli attuali, ma anche i primi sacerdoti in quanto a psicologia popolare e gestione del consenso sapevano il fatto loro. (NV)
.
IL NATALE FESTA SINCRETISTICA
"Anno 7 avanti l'era volgare, (oppure 6, 5, 4 avanti Cristo): secondo i moderni storici cristiani è l'anno in cui sarebbe nato Cristo, se è esistito storicamente (cosa messa in dubbio sempre piu' da altri, data l'assenza di testimonianze contemporanee). Anno 1 dopo Cristo: sarebbe la data del primo Natale di Gesu' secondo il creatore della datazione calendaristica degli anni a partire dall'anno del concepimento e della nascita di Cristo, adottata oggi da quasi tutto il mondo non islamico. Egli fu Dionysus Exiguus monaco del VI secolo, abitante della Scytia minor, ovvero della attuale Dobrugia, regione costiera della Romania sulla costia del mar Nero. Secondo la sua datazione non esiste un anno zero, ma solo un anno prima ed un anno dopo).

La nostra epoca è datata come "dopo Cristo" dai credenti cristiani e dagli indifferenti, ma i non cristiani più attenti la chiamano "era volgare". L'epoca precedente invece che " avanti Cristo" può essere detta "prima dell'era volgare" (o anche prima della nostra Era) Gli antichi romani il 25 Dicembre celebravano il gioioso dies Natalis, cioè giorno natale di Bacco, del Sole Invincibile, di Mithras e di altri dei solari. I cristiani dei primi 4 secoli, invece, celebravano la nascita di Gesù (successivamente trasformato in loro Dio), il 6 di Gennaio. Solo svariati secoli dopo ( fra il 337 ed il 450 dopo Cristo), per soppiantare le feste di questi dei solari, i cristiani spostarono al 25 Dicembre anche il natale del loro Dio per appropriarsi del significato del ben più antico natale dei politeisti che era il Natale del solstizio e del ritorno della luce del 25 Dicembre, il natale di Dionisio-Bacco, del Sole invincibile, di Helios, di Mithras.

Chi non si riconosce nella tradizione cristiana, dunque non si senta fuori posto durante le festività natalizie, ma festeggi pure, con parenti ed amici e con l’intera comunità italiana ed occidentale le feste del ritorno della luce, riconoscendole come proprie, come laiche o come pagane, con tutti i diritti di priorità rispetto all'appropriazione cristiana. Rivendichiamo come festa laica il ritorno di giornate di luce più lunghe, ottimo motivo per festeggiare.E di fronte ai cristiani che alzano la bandiera del tradizionalismo, rivendichiamo le autentiche tradizioni autoctone romane precedenti alla loro e da loro snaturate.


Ed anche l' albero di Natale non ha niente di originariamente cristiano! La tradizione di festeggiare alberi era tipicamente pagana ed aspramente condannata già dalla Bibbia [questo non lo sapevo, ma che fosse condannata dalla Chiesa fino a 40 anni fa lo ricordo benissimo, NdR]. L'abete poi (con precedenti romani), è di tradizione nordica, al solito tardivamente fatta propria dai cristiani, eppoi più recentemente "laicizzatasi" quasi completamente nel sentire comune.

I laici reagiscano alla retorica religiosa ma non estraniandosi dalla propria comunita', bensì rivendicando orgogliosamente le proprie radici nella tolleranza e nella libertà di pensiero dei tempi "pagani".
Se consideriamo (come fanno perfino i neopagani) che il paganesimo non è stato una religione, bensì un atteggiamento tollerante verso tutti i modi di pensare e tutte le tradizioni, non avremo difficoltà a mantenere intatto il nostro laicismo pur recuperando pienamente il folclore gioioso delle nostre radici più profonde.

Il 25 dicembre, giorno della rinascita della luce secondo gli Antichi [noi moderni divergiamo di poco: il solstizio d'inverno quest’anno è capitato il 21 dicembre, in altri anni è il 22, NdR], era comunque una data importante nell’Antichità, legata a Miti e riti primordiali. Fatto sta che il periodo della rinascita della luce, giorno più giorno meno, ha dato il natale a molti Dei, dei quali Gesù è stato solo l’ultimo


Passiamoli in rassegna:
.1. Dionisio o Bacco o Libero, dio del vino della gioia e delle orgie di Grecia e Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio (conosciuto da 13 secoli prima di Cristo) ed il "mito cristiano": Dioniso (uomo che divenne dio), era venerato come "dio liberatore" (dalla morte) perché una volta defunto discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. 
Anche per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati, introdotti al tempio e sottoposti ad un rigido digiuno. Altra somiglianza fra il culto di Dionisio e quello ben più tardo di Gesù è nel rituale che prevedeva l' omofagia (consumazione della carne e del sangue di un animale, identificato con Dioniso stesso), come segno di unione mistica con il suo corpo ed il suo sangue. Dioniso inoltre era strettamente connesso con i cicli vitali della natura alla quale venivano legati il concetto di resurrezione (primavera) e morte (autunno) proprio come manifestazione della morte e resurrezione del dio. 
Anche i simboli di Dioniso: la vite, il melograno l'ariete corrispondono perfettamente (vite e melograno) o approssimativamente (ariete - agnello) ai simboli attribuiti dai cristiani a Gesu'. Robert Graves in Greek Myths ha scritto: "... Dioniso, anche detto "colui che è nato due volte" una volta affermato il suo culto in tutto il mondo, ascese al cielo e ora siede alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi". Oltre a Dionisio fra i nati verso il solstizio d'inverno ci sono anche;

.2. Ercole ( Eracles nato il 21/12 per i greci, ma il 1/2 per i Romani)

.3. Sol Invictus dio indigete cioè fra le divinità delle origini romane piu' antiche, ricevuto da ancor più lontani cicli di civiltà cioe' dalla tradizione indoeuropea, identificato poi con Mithra ed anche col dio solare siriano Elio Gabalo

.4. Elio Gabalo (o El Gabal) di cui un gran sacerdote omonimo divenne (pessimo) imperatore per breve tempo.

.5. Mithras, nato in una grotta (da una roccia), sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell'impero dalle legioni, (e diverso dal numero 6 Mithra di Persia)

.6. Mithra di Persia, nato da una vergine morto e risorto (sembra dopo tre giorni) , e diverso ancora dal num. 7

.7. Mitra indiano, dio della luce e del giorno.

.8. Adone (o Adonis) di Siria, e forse anche il suo corrispondente di Frigia,

.9. Attys (nato da una vergine, morto a titolo di sacrificio, e che inoltre risorge il 25/3 in corrispondenza anche di data, oltre che di significato di rinascita della vegetazione, col periodo della pasqua) eppoi

.10. Atargatis di Siria, grande dea madre, dea della natura e sua rinascita, chiamata dai romani anche Derketo e dea Syria. La sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita.

.11. Kybele (o Cibele) dea della Frigia amata da Adone. Il 25 Dicembre era festeggiata insieme ad Adone: ma che tale data fosse considerata la nascita in questo caso non è certo, è solo presunto.

.12. Astarte (o Asteroth) della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell'amore. Venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita). Anche essa scese agli inferi e risorse.

.13. Shamash il dio solare babilonese e Shamash del Vicino Oriente, e

.14. Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia) il dio sumero Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia) la cui morte periodica rituale (corrispondente a quella di Adonis) era pianta anche alle donne ebree (Ezechiele VIII,14).

.15. Baal-Marduk, dio supremo del pantheon Babilonese.
. 
16. Osiride dio supremo egizio della morte e rinascita della vegetazione, e per estensione della rinascita dell'uomo. La resurrezione è il tema centrale del mito trinitario egizio di Osiride, Isis ed Horus dal quale pare proprio che sia stata presa l'ispirazione per una successiva famosa resurrezione in ambito ebraico. Anche Osiride muore con l'inverno e rinasce di primavera.
. 
17. Horus, dio falcone solare, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d'ispirazione alla triade cristiana non ufficiale di Dio padre, Madonna e Bambino Gesu', nonché al raggruppamento ufficiale della trinita', che esclude l'elemento femminile. La sua nascita era celebrata il 26 Dicembre

18. Ra, il dio Sole egizio corrispondente ad Helios, la cui nascita era celebrata il 29 Dicembre nella città-tempio di Heliopolis a lui dedicata nella zona dell'attuale Cairo.
. 
19. Krishna, (attualmente il dio più importante dell'India) che inizialmente appare nel testo sacro Mahabarata come reincarnato dal dio padre Visnù come un uomo eroico o semidio, ed infine si rivela come dio. Era venuto al mondo per riconquistarlo dai demoni. (Avete notato qualche parallelismo?). Infine Krisna muore ucciso (da una freccia, non sulla croce), ma, tranquilli, rinascerà anche lui. Fra l'altro anche lui come babbo natale porta doni nel cuore della notte! 
.
20 Scing-Shin in Cina
. 
In ambito Nord Europeo gli dei nati verso il solstizio sono due:
.21. Baldur, e
.
22. Freyr il figlio di Odino in Scandinavia,

23. Joshua Ben Josef (detto Gesù, Gesù bambino, Nazareno [o Nazireo], Galileo, Cristo = unto, Messia, Salvatore) che arriva buon ultimo nella serie di Dei di ambito mediterraneo orientale ed indo-iranico .
. 
Ma alcuni aggiungono alla lista anche Zaratustra in Media e l'indiano Buddha;
In ambito Centro Americano pre Colombiano troviamo:
. 
24. Bacab dio dei Maya dello Yucatan ( attuali Guatemala e Messico Sud Est), eppoi
. 
25. Huitzilopochtli e
,
26. Quetzocatl, entrambi del Messico centrale azteco.
. 
Quante coincidenze! Non solo Gesù ma molti altri eroi, semidei e dei discesero agli inferi e da lì' fecero ritorno: in totale sono sei fra quelli elencati come nati verso il solstizio d'inverno Dioniso, Adone, Attis, Tammuz, Baal-Marduk, Osiride. Poi separatamente ne contiamo almeno altri 10 fra quelli nati in altri periodi o di cui non si conosce la data: Teseo, Orfeo, Enea, Zagreo, Sabazio, Apollonio di Tiana, Chuchulain, Gwydion, Amathaon, Ogier danese, ma la lista è certo incompleta di molti altri personaggi antecedenti o contemporanei a Gesù Cristo.

Alcuni di questi 26 dei sono morti attorno all'equinozio di primavera (che è il periodo della Pasqua) e risorti dopo qualche giorno, a volte proprio dopo 3 giorni, come per Gesù (ma il dio Baldur, forse più pigro, è risorto dopo quaranta giorni). 

Ad alcuni di questi dei, (sembra una mezza dozzina, la maggior parte di quelli orientali dal 6. al 15.) è stata attribuita dai seguaci la nascita da una vergine (così come è attribuita una nascita da una vergine anche il non-dio Buddha. 
Anche Buddha, come Gesù, è stato deificato dai seguaci in aperto contrasto col suo insegnamento che non giustificava niente di simile".

http://tinyurl.com/y9cypse

MISSILI DA CROCIERA SULLA SIRIA ? IL MISERABILE INGANNO DELLA "GUERRA UMANITARIA" LA GUERRA E' SEMPRE CONTRO LA POPOLAZIONE


MISSILI DA CROCIERA SULLA SIRIA ?
 IL MISERABILE INGANNO DELLA "GUERRA UMANITARIA" LA GUERRA E' SEMPRE CONTRO LA POPOLAZIONE 

Antonello Boassa

 Quel che appare stupefacente non è solo la riproposizione secondo un canovaccio sempre identico e ormai logoro delle motivazioni "morali" della guerra da parte delle solite "grandi potenze" con il conseguente codazzo della stampa e delle televisioni sulla "guerra giusta perché inevitabile". 

Quel che risulta non solo stupefacente ma anche deprimente è il dibattito nella sinistra e tra le varie sinistre sulla "missione di pace" compiuta con operazioni chirurgiche che non portino danno alla popolazione civile . 

Tra chi interpreta Assad come un antimperialista perché combatte contro l'impero e chi giudica la ribellione teleguidata una rivoluzione popolare che proprio per questo può avvalersi magari strumentalmente di un aiuto dall'esterno . 

Cerchiamo di chiarire . 

Assad è un tiranno che ha imposto una politica neoliberista che ha impoverito larghi strati della popolazione e durante la guerra è andato con mano pesante (difficilmente ha usato armi chimiche innanzitutto perché militarmente non ne aveva bisogno , risultando troppo pericolose sul piano mediatico , in secondo luogo perché risulterebbe dai video dei satelliti russi forniti all'ONU come "prova" che i razzi non sono partiti da Damasco o dalla Siria ma da territori controllati da Salafiti , ribelli mercenari sostenuti dall'Arabia Saudita e dagli USA) . 

Assad deve essere destituito ma con metodi democratici . 

Il comitato di coordinamento siriano che non voleva l'aiuto esterno ed è proprio per questo che non è mai stato invitato ai colloqui con i"grandi", lavora per vincere le elezioni del 2014. 

La rivolta popolare di cui si parla ? 

Condotta anche con il sostegno fattivo di gruppi di sinistra è stata divorata da forze conservative che non hanno disdegnato di combattere assieme ai Jihadisti e a chiedere l'intervento armato esterno . 

Allo stato attuale è una rivolta di taglia-gole di stupratori , di terroristi . 

PERCHE' LA GUERRA DEVE ESSERE RESPINTA ? 

Perchè la violenza importata dall'esterno aggrava ulteriormente la situazione di violenza che colpisce la popolazioe civile . 

QUALSIASI DITTATURA NON GIUSTIFICA I BOMBARDAMENTI . 

LA GUERRA E' SEMPRE CONTRO LA POPOLAZIONE CIVILE ed è sostenuta dalle grandi potenze per tutelare i loro interessi e MAI PER SALVARE LA POPOLAZIONE E FAVORIRE REALMENTE LA DEMOCRAZIA . 

Sono proprio gli antimperialisti che oggi devono recuperare oltre l'armamentario costruito dai Grandi della pace (vedi Aldo Capitini) perché dotato di strumenti teorici e pratici in grado di confrontarsi con i conflitti etnici , tribali ... , anche competenze più approfondite sulla natura degli imperi e quindi rifiutare le teorizzazioni dei "pacifisti armati" , scontrarsi in patria con i governi della guerra ... e ritornare in piazza .


► Potrebbe interessare anche: