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lunedì 3 agosto 2020

STANNO RINCHIUDENDO GLI ITALIANI IN UN “REGIMETTO”, INQUIETANTE E UN PO’ GROTTESCO. ECCO COME.

STANNO RINCHIUDENDO GLI ITALIANI IN UN “REGIMETTO”, INQUIETANTE E UN PO’ GROTTESCO. ECCO COME.  
 
Sa Defenza

La Sinistra politica e mediatica si contraddice di continuo. Attaccarono il premier ungherese Orban perché il 30 marzo dichiarò lo stato d’emergenza nel suo Paese (lo fece seguendo le norme di legge), ma il governo giallorosso ha egualmente dichiarato lo stato d’emergenza (anche se la nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza, come ha ricordato la presidente Cartabia) e ha fatto una gestione della crisi molto criticata dagli stessi costituzionalisti

Poi, a differenza dell’Ungheria dove in giugno, finita la fase critica, il Parlamento ha revocato i superpoteri del premier, il governo Conte ha addirittura deciso di protrarre lo stato d’emergenza da adesso fino ad ottobre, senza che esista più l’emergenza . Caso unico in Europa.


Egualmente, si è attaccato il presidente americano Trump che – per l’emergenza Covid – ha ipotizzato (solo ipotizzato, non deciso) un rinvio delle elezioni presidenziali di novembre, eppure l’italico governo giallorosso – per l’emergenza Covid – ha già tranquillamente rinviato le elezioni regionali e il referendum dalla primavera all’autunno. 


SEGRETISSIMO 

Un’altra plateale contraddizione è di questi giorni. La Sinistra ha sempre fatto battaglie ideologiche contro “il segreto di Stato e il M5S ha sempre predicato la trasparenza come bene pubblico essenziale. 

Tuttavia gli atti del Comitato tecnico-scientifico della Protezione civile, da cui è emersa la decisione governativa del lockdown, sono segreti e quando la Fondazione Einaudi di Roma ha chiesto al Tar del Lazio che fosse tolto il segreto e ha ottenuto una sentenza favorevole, il governo si è opposto chiedendo al Consiglio di Stato la sospensione di tale sentenza. 

La sospensione è stata accordata dal giudice monocratico, fino al 10 settembre, per poter assumere una decisione collegiale, ma nello stesso decreto il Consiglio di Stato ha notato che quei verbali del comitato tecnico-scientifico, che “hanno costituito il presupposto per l’adozione di misure volte a comprimere fortemente diritti individuali dei cittadini , costituzionalmente tutelati (…) non contengono elementi o dati che la stessa appellante abbia motivatamente indicato come segreti”. 

Perciò lo stesso Consiglio di Stato afferma che non si comprende, proprio per la assoluta eccezionalità di tali atti” perché debbano essere inclusi “nel novero di quelli sottratti alla generale regola di trasparenza e conoscibilità da parte dei cittadini, giacché la recente normativa, ribattezzata freedom of information act sul modello americano, prevede come regola l’accesso civico”. 

Le decisioni prese dal governo – a partire da quella del lockdown totale – hanno riguardato la vita di tutti gli italiani, hanno sospeso alcuni loro fondamentali diritti e hanno avuto anche conseguenze economiche enormi per milioni di italiani, anzi per tutti. 

Perciò gli italiani hanno il sacrosanto diritto di conoscere i dati e le analisi sulla cui base sono state prese quelle decisioni.  Perché l’esecutivo Conte si oppone? 


GOVERNO DI MINORANZA 

Già questo governo è nato male, senza essere stato scelto dagli elettori (perché Pd e M5S alle elezioni politiche del 2018 erano duramente contrapposti), è nato senza alcun programma, solo per impedire il voto del “popolo sovrano” (perché Pd e M5S ritenevano che avrebbe vinto il centrodestra) ed è un governo di minoranza nel Paese (come hanno dimostrato le elezioni europee dell’anno scorso e le varie consultazioni regionali). 

Dunque è già carente di una piena legittimazione democratica . Se poi, dopo aver gestito lo stato d’emergenza sospendendo molti diritti ed emarginando di fatto il Parlamento , si oppone addirittura alla richiesta dei cittadini di conoscere gli atti che hanno portato al lockdown , con il conseguente blocco della nostra economia, è difficile sentirsi in una democrazia sana e autentica

Questo atteggiamento governativo si replica anche su altri documenti fondamentali del periodo emergenziale. 


COS’HANNO DA NASCONDERE? 

Infatti Riccardo Luna ieri ha rivelato su Repubblica che analogo segreto grava, inspiegabilmente, sul piano pandemico nazionale . Il direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute, Andrea Urbani , dichiarò ad aprile che “già dal 20 gennaio avevamo un piano” . Però non è mai stato reso pubblico ed è stato addirittura secretato

I piani pandemici sono strumenti di azione varati dall’Organizzazione mondiale della sanità, sono sempre in evoluzione e “ sono tutti pubblici i piani pandemici europei , è importante che lo siano” osserva Luna “perché siano efficaci tutti devono sapere come comportarsi”. 

Quello italiano era fermo al 2010, poi “il 20 gennaio 2020, e quindi undici giorni prima che il governo dichiarasse lo stato d’emergenza un piano è stato fatto. Quale? ”. Luna ieri ha ripercorso tutte le richieste formali che ha avanzato alle varie amministrazioni per conoscere – a norma di legge – questo documento. Ma si è trovato davanti un muro. Un altro segreto impenetrabile. Perché? 

E’ importante conoscere tale documento perché – come osserva Luna – quel piano serve anche a capire se nei 55 giorni che passano dalla sua approvazione alla decisione del lockdown sono state messe in campo tutte le azioni necessarie a mitigare i danni. Eppure il piano è inaccessibile. Perché?


REGIMETTO 

Il primo diritto dei cittadini è il diritto alla verità . Senza trasparenza negli atti pubblici e senza verità, una democrazia scivola fatalmente verso la cosiddetta “democratura” , un regime che ha l’apparenza della democrazia, ma con una sostanza autoritaria

Se a tutta questa secretazione, alla sospensione di diritti fondamentali dei cittadini durante il lockdown e allo “stato d’emergenza” prolungato senza emergenza, aggiungiamo alcuni preoccupanti segnali arrivati negli ultimi tempi dalla coalizione di governo c’è di che preoccuparsi. 

Mi riferisco a progetti di legge che limitano fortemente la libertà di opinione e di parola (come la legge Zan) e mi riferisco poi, specialmente, alla decisione di mandare sotto processo il leader dell’opposizione di centrodestra, Salvini, per un atto di governo, cioè per la gestione della Open Arms, che fu una scelta politica che coinvolgeva tutto il precedente esecutivo gialloverde e che fu presa in base agli indirizzi programmatici di quel governo. 

La Sinistra, che quando governa il centrodestra è sempre indaffarata a lanciare allarmi democratici senza motivo , oggi digerisce tutto e anzi applaude questa preoccupante deriva.
Se fosse stato un governo di centrodestra a comportarsi come si sta comportando l’attuale esecutivo giallorosso, avrebbero scatenato il finimondo e avrebbero suonato le sirene dell’allarme democratico in tutto il globo. 

Antonio Socci
Da “Libero”, 2 agosto 2020 

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martedì 28 luglio 2020

LA LEGGE ZAN E’ UN BAVAGLIO ALLA LIBERTA’ D’OPINIONE. DOVE SONO I LIBERALI? PERCHE’ I CATTOLICI SONO SOLI A DIFENDERE LA LIBERTA’ DI TUTTI?

LA LEGGE ZAN E’ UN BAVAGLIO ALLA LIBERTA’ D’OPINIONE. DOVE SONO I LIBERALI? PERCHE’ I CATTOLICI SONO SOLI A DIFENDERE LA LIBERTA’ DI TUTTI?




Fino a ieri tutti si dicevano liberali. Ma oggi che sarebbe necessario dimostrarlo di fronte al progetto di legge Zan, definito da molti legge bavaglio, d’improvviso sembra che analisti e intellettuali liberali siano spariti, lasciando soli i cattolici a difendere la libertà di tutti.

Vittorio Feltri, fra i pochi laici controcorrente, ha avuto il coraggio civile (perché oggi ci vuole coraggio) di criticare questo disegno di legge illiberale. Ha dato voce così a quella tradizione di giornalismo laico, allergica a censure e bavagli, che ebbe in Indro Montanelli e Oriana Fallaci i punti di riferimento, nella battaglia contro il conformismo e la sinistra intollerante.

Ma fra gli altri grandi nomi del giornalismo di cultura liberaldemocratica (Paolo Mieli, Pierluigi Battista, Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco) chi è intervenuto? O mi è sfuggito (in questo caso me ne scuso) o nessuno se n’è occupato.

Eppure è in gioco un principio liberale fondamentale

Anche un giurista insigne come Pietro Dubolino ha scritto che con questa legge avremmo “una ulteriore compromissione della già abbondantemente compromessa possibilità di un libero e incondizionato confronto”, in questo caso sulla sessualità e la famiglia, “a scapito (…) di quel valore primario che nel nostro ordinamento è costituito dalla libertà di manifestazione del pensiero solennemente presidiata e garantita dall’articolo 21 della Costituzione.

Ieri il professor Marco Gervasoni, sul “Giornale”, ha definito questo progetto di legge “un’aberrazione” sia per la cultura cattolica (come hanno lamentato i vescovi), sia per la cultura conservatrice (“perché tende a imporre un modello di società individualistica e disgregata, dove la tradizione è cancellata e persino combattuta”), sia per la cultura liberale che – scrive Gervasoni – “dovrebbe inorridire… un liberale la deve combattere proprio perché essa censura le opinioni”.

In queste ore è intervenuto anche Silvio Berlusconi, appunto in questa direzione, correggendo la tentazione, presente in Forza Italia, di pensare che una tale legge si possa migliorare. In realtà – come dice Gervasoni – “non è emendabile perché volendone togliere la parte ‘liberticida’ non ne resterebbe nulla”.

Lo ha dimostrato l’emendamento appena approvato che già nella sua formulazione fa accapponare la pelle: Ai sensi della presente legge, sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”.

E’ un emendamento inutile perché non si dice chi, quando e come decide se una certa condotta si può ricondurre al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte.

Ma soprattutto è emblematico che si “consenta” la libertà di opinione. Come ha notato Alfredo Mantovanola libera espressione di convincimenti è un diritto costituzionalmente fondato, non è ‘consentito’ da nessuno. L’ordinamento che ‘consente’ la fruizione di diritti fondamentali, affidando la delimitazione della condotta lecita allo Stato, tramite il giudice, è tratto proprio dello Stato totalitario. Anche se per strada non ci sono le autoblindo.

Come si ricorderà una polemica simile scoppiò quando il premier Conte, durante le sue conferenze stampa del lockdown, se ne usciva con l’espressione “noi consentiamo”. Il presidente emerito della Corte costituzionale Antonio Baldassarre  commentò:   Specchio della arbitrarietà generale e del pensiero autoritario del presidente del Consiglio sono espressioni apparentemente marginali, ma ieri da lui frequentemente usate, come ‘noi consentiamo’, ‘noi permettiamo’ .

Ancora più assurdo è il punto dell’emendamento dove si legge che “sono consentite… le condotte legittime”. Perché finora erano vietate? Le deve “consentire” la legge Zan?
Anche “questa frase, clamorosamente grottesca” ha commentato Gianfranco Amato “mostra una concezione totalitaria e assolutista del potere. Sembra di essere passati dallo Stato liberale, per cui è consentito tutto ciò che non è vietato, allo Stato autoritario, in cui tutto è vietato a meno che il potere te lo consenta.

I liberali hanno qualcosa da dire in proposito?

Antonio Socci

Da “Libero”, 26 luglio 2020

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mercoledì 22 luglio 2020

IL COSTOSO “ACCORDO”. COME STANNO DAVVERO LE COSE FRA ITALIA E UNIONE EUROPEA

IL COSTOSO “ACCORDO”. COME STANNO DAVVERO LE COSE FRA ITALIA E UNIONE EUROPEA

Sa Defenza 




Invece di ricorrere alla Banca centrale  (la Bce), come tutti gli altri paesi (dagli Usa alla Gran Bretagna al Giappone), per avere davvero soldi a fondo perduto, i capi di governo della Ue a Bruxelles hanno voluto stabilire un piano di sovvenzioni che grava sul bilancio della Ue. Così ora l’Italia avrà 127 miliardi di prestiti che sono DEBITO e andranno restituiti e avrà i cosiddetti “aiuti a fondo perduto” (63 miliardi, quando la Spagna, più piccola dell’Italia, ne ottiene 72) che in realtà andranno anch’essi restituiti con l’aumento delle nostre quote al bilancio della Ue (dove noi ci dobbiamo accollare pure gli sconti fatti ai paesi nordici). Con tutto ciò sono soldi che dobbiamo spendere come dicono gli altri paesi che certo non hanno interesse a un’Italia più concorrenziale. Era questa la strada giusta? Qua sotto il mio articolo che racconta come stanno le cose (i numeri) fra Italia e Unione europea.

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E’ umiliante che il governo faccia passare gli italiani in Europa per straccioni che vogliono campare sulle spalle degli altri, addirittura con l’Olanda che ci ordina di eliminare quota 100 quando fra le Raccomandazioni del Consiglio dell’Ue alla stessa Olanda, nel 2019, c’è proprio una critica al suo sistema pensionistico (“vi sono ripercussioni negative sull’equità intergenerazionale, sulla trasparenza in materia di diritti pensionistici e sulla flessibilità”).


Dilaga la narrazione anti italiana, ma i veri dati dicono l’opposto.

Anzitutto l’Italia è un contributore netto del budget comunitario: dal 2000 al 2017 ha “regalato” alla Ue 88,720 miliardi (fonte RGS: è la differenza fra i versamenti e gli accrediti). Inoltre ha contribuito per 58,200 miliardi (fonte Def 2019) ai fondi salva stati. In totale 146,920 miliardi di euro degli italiani “regalati” agli altri paesi europei.

Una cifra enorme con cui avremmo potuto fare infrastrutture, drastici tagli di tasse e ospedali e invece sono altri paesi della Ue ad averlo fatto con i nostri soldi (magari gli stessi che poi ci dicono che dobbiamo tassarci e fare tagli).


Che la Ue, per l’Italia, sia stata (e sia) un colossale costo e che l’Italia per la Ue, sia una mucca da mungere è la realtà incontestabile. Ma questo non ve lo dicono mai.

Oggi si vuole continuare a “mungere” il contribuente italiano e non si vuole che l’Italia se ne vada sbattendo la porta perché gli altri perderebbero la mucca.


Passiamo ai conti pubblici. Italiani spendaccioni? Al contrario, siamo fra i più virtuosi. Per esempio il professor Marco Fortis, sul “Sole 24 ore”, scriveva: l’Italia è uno dei paesi più disciplinati nel rispettare le regole europee di finanza pubblica… sin dal 1992 l’Italia è sempre stata in avanzo statale primario con la sola eccezione del 2009: un record assoluto a livello mondiale.

Questi 28 anni di bilanci statali attivi ci sono costati lacrime e sangue (e hanno depresso il nostro sistema produttivo): vogliamo almeno rivendicare la nostra virtù e non farci sputare addosso?


E’ vero, poi ci fregano gli interessi sul debito pubblico, fra i 50 e i 70 miliardi l’anno. Secondo la vulgata – ripetuta dai media – quel debito pubblico è “la prova” dei nostri sprechi. Ma non è vero.


Nel 1980 il nostro rapporto debito/Pil era virtuosissimo: al 56,8 per cento. Dal 1981 di colpo il debito è esploso e nel 1994 è arrivato al 121,8 per cento del Pil. 


Che è successo? Follia spendacciona? No. In quel fatale 1981 ci fu ildivorzio consensuale” fra Banca d’Italia e Tesoro (firmato dal ministro Nino Andreatta e dal governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi) cosicché lo Stato perse il controllo degli interessi sul debito e si espose alla speculazione.

Quel “divorzio” era conseguenza dell’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo (Sme), primo passo verso la moneta unica. Quindi anche per il debito pubblico dobbiamo ringraziare l’Europa. Col debito – scrive Alberto Bagnai – crebbe anche la disoccupazione (fino a raddoppiare) e “si fermò il potere d’acquisto delle famiglie”.


Il nesso fra quel “divorzio” e l’esplosione del debito pubblico è stato spiegato da Bagnai nel Tramonto dell’euro. Ma già il diretto interessato, il sen. Andreatta, in uno storico articolo sul “Sole 24 ore” del 26 luglio 1991, lo riconosceva lealmente: “Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l’escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale. Da quel momento in avanti la vita dei ministri del Tesoro si era fatta più difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato”.


Si era infatti avviato un colossale trasferimento di sovranità dai popoli e dagli stati ai mercati.


Tutto poi è stato confermato dall’allora governatore di Bankitalia, Mario Draghi, che, rievocando nel 2011 quell’evento, riconobbe lealmente che gli effetti del ‘divorzio’ sulla politica di bilancio non sono quelli speratiil rapporto tra debito pubblico e prodotto supera il 120 per cento del prodotto nel 1994.


Cioè era raddoppiato in 13 anni. Fra l’altro Draghi ricordò che gli oppositori dello Sme, nel 1981, erano “timorosi del rialzo dei tassi d’interesse reali” e agitarono “lo spettro della deindustrializzazione del Paese”. 

Infatti siamo finiti nella deindustrializzazione. Certo, secondo Draghi quel “divorzio” quantomeno abbatté l’alta inflazione. Ma Bagnai ha mostrato (e non ho ancora trovato una confutazione convincente) che in realtà quell’inflazione fu provocata dall’esplosione del prezzo del greggio dovuta alle crisi petrolifere del 1973 e del 1979 e rientrò, negli anni Ottanta, quando la situazione mediorentale si normalizzò e il prezzo del petrolio crollò del 75 per cento.


Un’ultima nota per confrontare l’Italia con l’Olanda e gli altri paesi. Secondo i dati sul debito aggregato dei Paesi, pubblicati nel 2019 dall’Istituto della finanza internazionale, molti Stati dell’eurozona ritenuti virtuosi per i loro debiti pubblici, in realtà hanno elevati debiti privati. L’Olanda è fra i paesi messi peggio. Mentre in Italia il debito pubblico è equilibrato da un forte risparmio privato che rende il sistema del tutto sostenibile. Siamo migliori degli olandesi.


L’Italia è stata anche fra i paesi più virtuosi (cioè più fessi) della Ue nella riduzione del rapporto deficit/pil e proprio questa austerità germanica ha devastato la nostra economia.


Il fatto stesso che ora per il Covid sia stato sospeso il Patto di stabilità e crescita della Ue per far ripartire la crescita dimostra che quel patto dà effetti opposti a quelli promessi. E’ un patto di stupidità e decrescita. Questa è la Ue.


Antonio Socci

Da “Libero”, 21 luglio 2020

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lunedì 20 luglio 2020

L’INCENDIO ALLA CATTEDRALE DI NANTES. DILAGA L’ODIO CONTRO I CRISTIANI, MA NESSUNO LO RICONOSCE E NESSUNO LI DIFENDE. ANZI…

L’INCENDIO ALLA CATTEDRALE DI NANTES. DILAGA L’ODIO CONTRO I CRISTIANI, MA NESSUNO LO RICONOSCE E NESSUNO LI DIFENDE. ANZI…

Antonio Socci 

Secoli di fede, di storia e di arte che vanno in cenere: così va in cenere la nostra anima, la nostra identità. Stavolta il fuoco ha colpito la cattedrale gotica di Nantes. Dopo l’incendio che ha devastato Notre Dame a Parigi nell’aprile 2019 è un altro colpo durissimo alla millenaria cristianità francese. E se per Notre Dame si è escluso l’attentato (ma si aspettano altre convincenti spiegazioni), nel caso di Nantes si indaga sulla pista dolosa. Prima c’era già stato l’incendio nella famosa chiesa di Saint Sulpice, sempre a Parigi e di molte altre chiese cattoliche.

Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Interno, nel 2018 sono stati censiti 1.063 ‘fatti anticristiani’ e nel 2017 erano stati 1.038. Si tratta di chiese bruciate, vandalizzate, saccheggiate o profanate in Francia. Un’enormità! Ma nessuno parla di cristianofobia e nessuno fa leggi per proteggere i cristiani.

Eppure è evidente l’attacco alla Chiesa e la volontà di distruzione di ogni traccia della cristianità. E’ chiaro che il cattolicesimo è oggi bersaglio di un odio violento che porta a profanazioni, saccheggi, distruzioni di statue, devastazione di tabernacoli, dispersione di ostie e scritte tracciate con le feci.

C’è addirittura un terrorismo che è arrivato a sgozzare un prete direttamente sull’altare: accadde al povero padre Jacques Hamel, a Saint-Étienne-du-Rouvray, il 26 luglio del 2016.

Alla fine della Messa” ricorda Vatican Newspadre Hamel, 85 anni, viene sgozzato da due estremisti che avevano giurato fedeltà allo Stato islamico. Prima di essere ucciso, il sacerdote viene costretto a inginocchiarsi. Le sue ultime parole sono state: ‘Vattene, Satana!’, ‘lontano da me, Satana!’”.

Papa Bergoglio, in una messa di suffragio, volle ricordare proprio queste sue ultime parole e aggiunse: “Padre Jacques Hamel è stato sgozzato sulla Croce, proprio mentre celebrava il sacrificio della Croce di Cristo. Uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace, è stato assassinato come se fosse un criminale. Questo è il filo satanico della persecuzione”.

In effetti è un odio anticristiano che si scatena oggi senza alcun motivo, perfino senza alcun pretesto.

Quando, nel 2002, pubblicai il mio libro “I nuovi perseguitati”, fui sconvolto dalle sconosciute dimensioni del martirio dei cristiani nel Novecento, iniziato con il genocidio degli Armeni e poi proseguito con il macello avvenuto sotto i totalitarismi, soprattutto sotto il comunismo che si protrae ancora.

Ma ancor più mi colpirono le sconosciute dimensioni della persecuzione tuttora in atto in tutti quei regimi islamici o comunisti o comunque autoritari in cui i cristiani sono comunità inermi, spesso marginali e del tutto innocue, a cui nessuno poteva imputare nulla.

Tutto questo, a quel tempo, nel 2002, non si leggeva sui giornali, ma anche oggi che il martirio dei cristiani – spesso orribile – riesce a far notizia, non si riconosce l’enormità della persecuzione e dell’odio verso di loro e si evita di riconoscerli come vittime e di trarne conseguenze civili e politiche.

Oggi anche sul “Corriere della sera” (le pagine interne) si può trovare un titolo così: “Pakistan: cristiano muore arso vivo perché non si voleva convertire all’Islam”. Sommario: “La moglie denuncia la violenza ai poliziotti che la stuprano davanti ai due figli di 7 e 12 anni”.

Ma da questi casi – per nulla isolati – non deriva qua da noi una più drammatica sensibilità sulla condizione dei cristiani. Eppure – ovviamente in forma pacifica, non violenta com’è nello stile cristiano – ci sarebbero tutti i motivi per veder nascere un movimento “Christian Lives Matter” (per riprendere una formula che oggi in voga).

Purtroppo spesso sono le stesse le gerarchie cattoliche che evitano di parlare di persecuzioni e martiri e dialogano con regimi e ideologie avverse talvolta fino alla resa.

Il fallimento di questa eccessiva arrendevolezza è evidente. Basti considerare la recrudescenza delle persecuzioni in Cina, dopo quella resa che è l’accordo segreto fra Vaticano e Pechino, oppure la recente trasformazione della basilica di Santa Sofia in moschea, dopo tutte le discusse aperture del papa al mondo islamico.

Analoga accondiscendenza ecclesiastica c’è oggi verso l’ideologia laicista che ha cominciato a dilagare in Europa da 25 anni e che ha voluto la cancellazione delle “radici giudaico-cristiane” dal testo costituzionale.

Fu proprio la Francia quella che più si oppose a quel richiamo alle radici cristiane e quando, per l’incendio di Notre Dame, un’ondata di commozione percorse quel Paese, si notò l’imbarazzo del presidente Macron nell’esprimere il dolore del suo popolo: avrebbe dovuto riconoscere che la cattedrale non era solo un “monumento nazionale”, ma esprimeva l’anima cattolica della storia francese. E non lo fece.

Anche nei confronti della cultura laicista che domina nelle élite europee, la mano tesa delle gerarchie vaticane non ha prodotto nessuna apertura, ma – anzi – serpeggia la tentazione di limitare e condizionare la libertà di insegnamento della Chiesa. Non basta dunque propagandare una Chiesa che “non vuole avere nemici”, per non averne.

Ma gli incendi di Nantes e di Notre Dame non riguardano solo i cattolici: è anche la Francia laica (con l’Europa laica) che deve decidere una buona volta cosa vuole fare della propria storia e della propria identità.

Giustamente Marco Gervasoni ha ricordato che pure nei casi in cui le chiese crollano o bruciano per motivi accidentali lo si deve all’incuria dello Stato francese che ne ha l’esclusiva gestione: è dunque il segno di un disinteresse culturale e politico. Marcel Proust era innamorato delle cattedrali e come pochi ne ha difeso e ne ha celebrato l’importanza per noi. Ma oggi?

Notre Dame è stata costruita in 300 anni e in poche ore è stata devastata. La cattedrale di Nantes pure. La grande battaglia attuale è – come diceva Charles Péguy, grande poeta della Francia cristiana – tra il “partito dell’aratro” e il “partito dell’acciarino”.

Tra il partito di chi lavora per mesi per far crescere un campo di grano e chi, con un accendino, lo brucia in un’ora.

La Chiesa ci ha messo secoli per “civilizzare” i popoli europei e insegnare loro la dignità di ogni uomo, la libertà, il dovere della fraternità, l’amore, la sacralità della vita, l’aspirazione alla verità, alla bellezza, all’eterno. Vogliamo bruciare tutta questa eredità e sprofondare in un nichilismo senza radici, senza Dio, senza bellezza e senza patria?

Antonio Socci
Da “Libero”, 19 luglio 2020


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lunedì 13 luglio 2020

LO STATO D’ECCEZIONE E L’ITALIA CAVIA DI UN NUOVO TOTALITARISMO. L’ALLARME DEL FILOSOFO GIORGIO AGAMBEN

LO STATO D’ECCEZIONE E L’ITALIA CAVIA DI UN NUOVO TOTALITARISMO. L’ALLARME DEL FILOSOFO GIORGIO AGAMBEN

Sa Defenza 



Proprio mentre Giuseppe Conte annuncia il prolungamento dello stato d’emergenza è uscito il libro di Giorgio Agamben, “A che punto siamo?”(Quodlibet) dove il filosofo raccoglie i suoi interventi, così controversi, scritti durante e contro il lockdown, e dove aveva previsto che lo stato d’eccezione sarebbe stato prolungato.

Agamben è uno dei filosofi italiani più tradotti e stimati all’estero. Infatti è stato intervistato da diversi giornali stranieri e (sebbene sia, da sempre, culturalmente “di sinistra”) è stato ignorato dai nostri media che non sopportano pensieri difformi.
Quello che vorrebbe farci vedere è “la trasformazione di cui siamo testimoni” nella vita politica e sociale, che “opera attraverso l’istaurazione di un puro e semplice terrore sanitario e di una sorta di religione della salute”.

Il pensatore denuncia la trasformazione dello stato d’eccezione in una prassi che diventerà sempre più normale, finendo per liquidare la democrazia borghese parlamentare così come l’abbiamo finora conosciuta, trasformandola in un’altra cosa che non è ancora definita.



OBIEZIONE E RISPOSTA

Certo, si può obiettare che la situazione per il Covid, a febbraio-marzo, era allarmante. Secondo i suoi critici, non si poteva fare diversamente: il filosofo dimentica il grave pericolo da cui eravamo minacciati. Ma la risposta di Agamben a questa obiezione, fa riflettere. Anzitutto – spiega – si è limitato senza motivo il primo dei diritti umani: “il diritto alla verità”. Egli parla di “una gigantesca operazione di falsificazione della verità”.

Si può obiettare che forse è stata più superficialità e dilettantismo che falsificazione. O almeno si spera. Però quando Agamben scrive che “i dati sull’epidemia sono forniti in modo generico e senza alcun criterio di scientificità”, che “dare una cifra di decessi senza metterla in relazione con la mortalità annua nello stesso periodo e senza specificare la causa effettiva della morte non ha alcun significato”, bisogna riconoscere che solleva un problema vero.

Dice: “non si tiene alcun conto del fatto, pur dichiarato, che viene contato come deceduto per Covid-19 anche il paziente positivo che è morto per infarto e per un’altra causa qualsiasi” (e non si ricordano mai le cifre annuali dei morti per le diverse cause e patologie, effettivamente superiori a quelle per Covid).

Bisognerebbe aggiungere la mancanza di verità sulle origini del virus e sui tempi della sua diffusione (di cui ha colpa il regime cinese), poi le indicazioni delle autorità date e poi capovolte (per esempio sulle mascherine), infine il grande punto interrogativo sulle terapie e i farmaci. È mancata perfino la verità su ciò che ha portato ai tagli alla sanità degli anni scorsi.


DIRE LA VERITA’

Per decidere una così drastica sospensione dei diritti fondamentali – dice in sostanza Agamben – le autorità potevano e dovevano prima spiegare esattamente, con estrema precisione e accuratezza, tutti i termini del problema al popolo e ai suoi rappresentanti e solo valutando l’autentica realtà dei fatti si potevano poi assumere certe misure di protezione, con tempi e modalità democraticamente deliberate e controllate (magari anche informando giorno per giorno sull’efficacia delle diverse terapie in corso).
In effetti così non è stato. E non si dica che non se n’è avuto il tempo, perché lo stato d’emergenza è stato decretato dal governo a fine gennaio e per più di un mese non è stato fatto praticamente nulla, passando da una sostanziale sottovalutazione a un improvviso allarme apocalittico.


ESPERIMENTO DI MASSA

Nella genericità dell’allarme si è poi prodotto un panico collettivo che ha reso accettabile tutto (“la diffusione del terrore sanitario ha avuto bisogno di un apparato mediatico concorde e senza faglie”).

Così – spiega Agamben – si è potuto verificare che per la paura della morte “gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati di poter tollerare, né durante le due guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie”.

Questo stato di eccezione, secondo il filosofo, “sarà ricordato come la più lunga sospensione della legalità nella storia del Paese, attuata senza che né i cittadini né, soprattutto, le istituzioni deputate abbiano avuto nulla da obiettare”.
Agamben dà un giudizio durissimo su ciò che è accaduto (agli storici futuri “questo periodo apparirà come uno dei momenti più vergognosi della storia italiana”) ed è ancora più duro su “coloro che lo hanno guidato e governato come degli irresponsabili privi di ogni scrupolo etico”. Forse eccede, si può pensare che vi sia stata semmai improvvisazione e carenza di sensibilità democratica e di senso delle istituzioni, ma ai posteri l’ardua sentenza: l’aspetto più importante della riflessione di Agamben è un altro.

Egli sostiene che “dopo l’esempio cinese, proprio l’Italia è stata per l’Occidente il laboratorio in cui la nuova tecnica di governo è stata sperimentata nella sua forma più estrema”.


LIQUIDAZIONE DELLA DEMOCRAZIA

Il fatto stesso che un totalitarismo sia stato il modello è emblematico, secondo Agamben, che poi scrive: “Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia – a questo punto non importa se vera o simulata – per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze”.
Possiamo dissentire, ma è chiaro da anni che il liberismo non è più sinonimo di liberaldemocrazia, che il mercatismo e il grande potere finanziario che domina sugli stati hanno devastato l’economia reale, il tessuto produttivo industriale dell’occidente e la borghesia, quel ceto medio che era sempre stato il pilastro delle democrazie.

Ed è chiaro da anni che il mercatismo (propagandato da gran parte dei media in tutte le sue forme: non ultima quella dell’Europa maastrichtiana) ha sempre più in odio le democrazie, i parlamenti, le sovranità popolari e gli stati nazionali che rappresentano tanti ostacoli a un suo incontrastato dominio.
In Italia è lampante da anni che il Parlamento e gli elettori contano sempre meno e sempre più si cerca di commissariarci, di comandarci per interposta persona e che in nome del vincolo esterno finiranno per governarci totalmente da Berlino e Bruxelles (o dalle Borse). C’è dunque di che riflettere.


EFFETTO SINISTRO

Infine si segnalano due pensieri di Agamben. Il primo: “la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l’assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva mai sognato di poter imporre”.

Viene da chiedersi: che avrebbero fatto se a decidere quelle misure fosse stato il centrodestra?

Il secondo pensiero: “La pandemia ha mostrato senza possibili dubbi che il cittadino si riduce alla sua nuda esistenza biologica. In questo modo egli si avvicina alla figura del rifugiato fin quasi a confondersi con essa”.


TRUMP E LA SINISTRA

E’ stato chiesto al filosofo di sinistra se è imbarazzato dal fatto che sono stati leader di destra come Trump e Bolsonaro i più critici del lockdown alla maniera cinese.
Risposta: “Anche in questo caso si può misurare il grado di confusione in cui la situazione di emergenza ha gettato le menti di coloro che dovrebbero restare lucidi, come anche a che punto l’opposizione fra destra e sinistra si sia completamente svuotata di ogni contenuto politico reale. Una verità resta tale sia che sia detta a sinistra che se viene enunciata a destra”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 12 luglio 2020

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