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giovedì 25 gennaio 2024

La menzogna è diventata in se stessa il fine della politica. La politica è, puramente e semplicemente, articolazione sociale del falso

Antonello Boassa

"LA MENZOGNA E' DIVENTATA IN SE STESSA IL FINE DELLA POLITICA. LA POLITICA E’, CIOE', PURAMENTE E SEMPLICEMENTE L'ARTICOLAZIONE SOCIALE DEL FALSO".

UNA STILETTATA GENIALE DI AGAMBEN SUL MODUS VIVENDI DEI GIORNI NOSTRI GOVERNATI DALLA MENZOGNA DEL POTERE QUALE FORMA PERVASIVA DI SPETTACOLO. ZELENSKY, MELONI, BIDEN, NETANYAHU, VON DER LOYEN, BORRELL...  

la menzogna nella politica, nella cultura, nelle pratiche quotidiane è oggi il luogo comune da cui non ci si può sottrarre se non si vuole l'emarginazione, l'isolamento, l'annientamento. La menzogna, come mi pare osservi Agamben, non nasconde la verità, la travalica, la ignora, la sottomette al falso. 

venerdì 9 dicembre 2022

Il complice e il sovrano

Giorgio Agamben, filosofo
“E se un giorno gli storici indagheranno su quello che è successo sotto la copertura della pandemia, risulterà, io credo, che la nostra società non aveva forse mai raggiunto un grado così estremo di efferatezza, di irresponsabilità e, insieme, di disfacimento.”
Splendida riflessione del filosofo Giorgio Agamben sulla tragica esperienza di violenza attuata in nome della legge in questi tre anni della cosiddetta pandemia. Rilanciamo il suo intervento riprendendolo da Quodolibet. Intervento alla commissione DU.PRE del 28-XI-2022

di Giorgio Agamben

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla situazione politica estrema che abbiamo vissuto e dalla quale sarebbe ingenuo credere di essere usciti o anche soltanto di poter uscire. Credo che anche fra di noi non tutti si siano resi conto che quel che abbiamo di fronte è più e altro di un flagrante abuso nell’esercizio del potere o di un pervertimento – per quanto grave – dei principi del diritto e delle istituzioni pubbliche. Credo che ci troviamo piuttosto di fronte una linea d’ombra che, a differenza di quella del romanzo di Conrad, nessuna generazione può credere di poter impunemente scavalcare. E se un giorno gli storici indagheranno su quello che è successo sotto la copertura della pandemia, risulterà, io credo, che la nostra società non aveva forse mai raggiunto un grado così estremo di efferatezza, di irresponsabilità e, insieme, di disfacimento. Ho usato a ragione questi tre termini, legati oggi in un nodo borromeo, cioè un nodo in cui ciascun elemento non può essere sciolto dagli altri due. E se, come alcuni non senza ragione sostengono, la gravità di una situazione si misura dal numero delle uccisioni, credo che anche questo indice risulterà molto più elevato di quanto si è creduto o si finge di credere. Prendendo in prestito da Lévi-Strauss un’espressione che aveva usato per l’Europa nella seconda guerra mondiale, si potrebbe dire che la nostra società ha «vomitato se stessa». Per questo io penso che non vi è per questa società una via di uscita dalla situazione in cui si è più o meno consapevolmente confinata, a meno che qualcosa o qualcuno non la metta da cima a fondo in questione.

venerdì 7 agosto 2020

L’USO POLITICO DELLA PAURA. COSA STA VERAMENTE ACCADENDO (Bernard Henri Lévy, Giorgio Agamben e Jacques Attali)

L’USO POLITICO DELLA PAURA. COSA STA VERAMENTE ACCADENDO (Bernard Henri Lévy, Giorgio Agamben e Jacques Attali)
La pandemia è un’immensa sciagura, per tutti i popoli. Ma c’è stato (e c’è) un uso politico della paura da parte di certe élite di governo? E con quali scopi? Ha ragione chi ritiene che sia in corso un gigantesco e inquietante esperimento politico?
A parlarne sono alcuni pensatori “non allineati” che subito il sistema mediatico delegittima bollandoli come “complottisti”. Ma a notare che qualcosa di strano sta accadendo è anche – per esempio – il pensatore simbolo dell’europeismo mainstream, Bernard Henri Lévy, che ha appena pubblicato un libro: Il virus che rende folli.

Lévy nota, giustamente, che l’epidemia di Covid non è stata affatto una novità apocalittica nei nostri anni. Rammenta l’influenza di Hong Kong, “dopo il maggio ‘68”, che fece un milione di morti “per emorragia polmonare o soffocamento” o, dieci anni prima, l’influenza asiatica, arrivata sempre dalla Cina, che fece due milioni di morti.


Ma allora non si verificò il panico planetario di oggi. Lévy si dice “raggelato”, ma non dalla pandemia: dal “modo molto strano in cui abbiamo reagito questa volta”, dall’“epidemia di paura che ha attanagliato il mondo”.

Infatti “abbiamo visto le città di tutto il mondo diventare città fantasma. Abbiamo visto tutti, da un capo all’altro del pianeta… popoli interi tremare e farsi trascinare nelle proprie abitazioni, a volte a colpi di manganello, come animali selvatici nelle loro tane”.

Lévy si chiede se è la “vittoria dei saggi del mondo che vedono in questo grande confinement – (…) il ‘grande internamento’ teorizzato da Michel Foucault nei testi in cui descriveva i sistemi di potere del futuro – la prova generale di un nuovo tipo di fermo e di arresto domiciliare dei corpi”. Oppure se è “il contrario” ovvero “il segno, rassicurante, che il mondo è cambiato, che finalmente sacralizza la vita e che tra questa e l’economia, sceglie la vita”.

La seconda ipotesi mi sembra radicalmente confutata da molti fatti e dati che mostrano come la vita umana nel mondo abbia totalmente perso la sua sacralità.

Resterebbe la prima, ma purtroppo Lévy non la analizza. Certo, nota che è stata la prima volta che abbiamo visto tutte le menti critiche della galassia di ultrasinistra applaudire a uno stato di emergenza. Ma si ferma alla protesta contro la paura.

Cita però di sfuggita il filosofo italiano Giorgio Agamben che – essendo di sinistra – ha scatenato malumori e polemiche proprio a sinistra perché, riflettendo sulle “conseguenze etiche e politiche” della tempesta Covid ha colto “la trasformazione dei paradigmi politici che i provvedimenti di eccezione andavano disegnando”.
Nel suo libro A che punto siamo? valuta la vicenda Covid “in una prospettiva storica più ampia” e conclude che qualcosa di importante si stava (e si sta) sperimentando.

Scrive: Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze (…) i poteri dominanti hanno deciso di abbandonare senza rimpianti i paradigmi delle democrazie borghesi, coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni, per sostituirle con nuovi dispositivi di cui possiamo appena intravedere il disegno, probabilmente non ancora del tutto chiaro.

Davvero si può usare politicamente il pretesto di una pandemia o Agamben esagera? In effetti c’è chi, già qualche anno fa, ha invitato a usare proprio una eventuale pandemia per scopi politici (ovviamente, a suo avviso) lodevoli.

Nel 2009 – quando si paventava la diffusione dell’influenza suina – il famoso economista e tecnocrate francese Jacques Attali, da acuto analista, in un articolo su “L’Express, scrisse: “La Storia ci insegna che l’umanità non si evolve in modo significativo se non quando ha davvero paura: essa allora mette in campo anzitutto dei meccanismi di difesa; a volte intollerabili (i capri espiatori e i totalitarismi); a volte inutili (la distrazione); a volte efficaci (strategie terapeutiche, respingendo se necessario tutti i precedenti principi morali). Poi, una volta terminata la crisi, trasforma questi meccanismi per renderli compatibili con la libertà individuale e includerli in una politica sanitaria democratica. Questa iniziale pandemia” scriveva Attali “potrebbe innescare una di queste paure strutturali”.

In particolare Attali, prevedendo la necessità di governare “meccanismi di prevenzione e controllo” per “un’equa distribuzione di farmaci e vaccini”, scriveva: “Verremo quindi, molto più velocemente di quanto avrebbe prodotto la sola ragione economica, a gettare le basi di un vero governo mondiale” e “nel frattempo potremmo almeno sperare nella messa in opera di una vera politica europea in materia”. 

Attali nel 2006 aveva pubblicato Breve storia del futuro e già lì vagheggiava un “governo mondiale” che segnava la fine dell’egemonia americana e vedeva “l’Unione europea avanguardia dell’iperdemocrazia”. Ma quella sua utopia aveva i tratti di una cupa distopia.
Antonio Socci

da “Libero”, 3 agosto 2020

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lunedì 13 luglio 2020

LO STATO D’ECCEZIONE E L’ITALIA CAVIA DI UN NUOVO TOTALITARISMO. L’ALLARME DEL FILOSOFO GIORGIO AGAMBEN

LO STATO D’ECCEZIONE E L’ITALIA CAVIA DI UN NUOVO TOTALITARISMO. L’ALLARME DEL FILOSOFO GIORGIO AGAMBEN

Sa Defenza 



Proprio mentre Giuseppe Conte annuncia il prolungamento dello stato d’emergenza è uscito il libro di Giorgio Agamben, “A che punto siamo?”(Quodlibet) dove il filosofo raccoglie i suoi interventi, così controversi, scritti durante e contro il lockdown, e dove aveva previsto che lo stato d’eccezione sarebbe stato prolungato.

Agamben è uno dei filosofi italiani più tradotti e stimati all’estero. Infatti è stato intervistato da diversi giornali stranieri e (sebbene sia, da sempre, culturalmente “di sinistra”) è stato ignorato dai nostri media che non sopportano pensieri difformi.
Quello che vorrebbe farci vedere è “la trasformazione di cui siamo testimoni” nella vita politica e sociale, che “opera attraverso l’istaurazione di un puro e semplice terrore sanitario e di una sorta di religione della salute”.

Il pensatore denuncia la trasformazione dello stato d’eccezione in una prassi che diventerà sempre più normale, finendo per liquidare la democrazia borghese parlamentare così come l’abbiamo finora conosciuta, trasformandola in un’altra cosa che non è ancora definita.



OBIEZIONE E RISPOSTA

Certo, si può obiettare che la situazione per il Covid, a febbraio-marzo, era allarmante. Secondo i suoi critici, non si poteva fare diversamente: il filosofo dimentica il grave pericolo da cui eravamo minacciati. Ma la risposta di Agamben a questa obiezione, fa riflettere. Anzitutto – spiega – si è limitato senza motivo il primo dei diritti umani: “il diritto alla verità”. Egli parla di “una gigantesca operazione di falsificazione della verità”.

Si può obiettare che forse è stata più superficialità e dilettantismo che falsificazione. O almeno si spera. Però quando Agamben scrive che “i dati sull’epidemia sono forniti in modo generico e senza alcun criterio di scientificità”, che “dare una cifra di decessi senza metterla in relazione con la mortalità annua nello stesso periodo e senza specificare la causa effettiva della morte non ha alcun significato”, bisogna riconoscere che solleva un problema vero.

Dice: “non si tiene alcun conto del fatto, pur dichiarato, che viene contato come deceduto per Covid-19 anche il paziente positivo che è morto per infarto e per un’altra causa qualsiasi” (e non si ricordano mai le cifre annuali dei morti per le diverse cause e patologie, effettivamente superiori a quelle per Covid).

Bisognerebbe aggiungere la mancanza di verità sulle origini del virus e sui tempi della sua diffusione (di cui ha colpa il regime cinese), poi le indicazioni delle autorità date e poi capovolte (per esempio sulle mascherine), infine il grande punto interrogativo sulle terapie e i farmaci. È mancata perfino la verità su ciò che ha portato ai tagli alla sanità degli anni scorsi.


DIRE LA VERITA’

Per decidere una così drastica sospensione dei diritti fondamentali – dice in sostanza Agamben – le autorità potevano e dovevano prima spiegare esattamente, con estrema precisione e accuratezza, tutti i termini del problema al popolo e ai suoi rappresentanti e solo valutando l’autentica realtà dei fatti si potevano poi assumere certe misure di protezione, con tempi e modalità democraticamente deliberate e controllate (magari anche informando giorno per giorno sull’efficacia delle diverse terapie in corso).
In effetti così non è stato. E non si dica che non se n’è avuto il tempo, perché lo stato d’emergenza è stato decretato dal governo a fine gennaio e per più di un mese non è stato fatto praticamente nulla, passando da una sostanziale sottovalutazione a un improvviso allarme apocalittico.


ESPERIMENTO DI MASSA

Nella genericità dell’allarme si è poi prodotto un panico collettivo che ha reso accettabile tutto (“la diffusione del terrore sanitario ha avuto bisogno di un apparato mediatico concorde e senza faglie”).

Così – spiega Agamben – si è potuto verificare che per la paura della morte “gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati di poter tollerare, né durante le due guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie”.

Questo stato di eccezione, secondo il filosofo, “sarà ricordato come la più lunga sospensione della legalità nella storia del Paese, attuata senza che né i cittadini né, soprattutto, le istituzioni deputate abbiano avuto nulla da obiettare”.
Agamben dà un giudizio durissimo su ciò che è accaduto (agli storici futuri “questo periodo apparirà come uno dei momenti più vergognosi della storia italiana”) ed è ancora più duro su “coloro che lo hanno guidato e governato come degli irresponsabili privi di ogni scrupolo etico”. Forse eccede, si può pensare che vi sia stata semmai improvvisazione e carenza di sensibilità democratica e di senso delle istituzioni, ma ai posteri l’ardua sentenza: l’aspetto più importante della riflessione di Agamben è un altro.

Egli sostiene che “dopo l’esempio cinese, proprio l’Italia è stata per l’Occidente il laboratorio in cui la nuova tecnica di governo è stata sperimentata nella sua forma più estrema”.


LIQUIDAZIONE DELLA DEMOCRAZIA

Il fatto stesso che un totalitarismo sia stato il modello è emblematico, secondo Agamben, che poi scrive: “Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia – a questo punto non importa se vera o simulata – per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze”.
Possiamo dissentire, ma è chiaro da anni che il liberismo non è più sinonimo di liberaldemocrazia, che il mercatismo e il grande potere finanziario che domina sugli stati hanno devastato l’economia reale, il tessuto produttivo industriale dell’occidente e la borghesia, quel ceto medio che era sempre stato il pilastro delle democrazie.

Ed è chiaro da anni che il mercatismo (propagandato da gran parte dei media in tutte le sue forme: non ultima quella dell’Europa maastrichtiana) ha sempre più in odio le democrazie, i parlamenti, le sovranità popolari e gli stati nazionali che rappresentano tanti ostacoli a un suo incontrastato dominio.
In Italia è lampante da anni che il Parlamento e gli elettori contano sempre meno e sempre più si cerca di commissariarci, di comandarci per interposta persona e che in nome del vincolo esterno finiranno per governarci totalmente da Berlino e Bruxelles (o dalle Borse). C’è dunque di che riflettere.


EFFETTO SINISTRO

Infine si segnalano due pensieri di Agamben. Il primo: “la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l’assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva mai sognato di poter imporre”.

Viene da chiedersi: che avrebbero fatto se a decidere quelle misure fosse stato il centrodestra?

Il secondo pensiero: “La pandemia ha mostrato senza possibili dubbi che il cittadino si riduce alla sua nuda esistenza biologica. In questo modo egli si avvicina alla figura del rifugiato fin quasi a confondersi con essa”.


TRUMP E LA SINISTRA

E’ stato chiesto al filosofo di sinistra se è imbarazzato dal fatto che sono stati leader di destra come Trump e Bolsonaro i più critici del lockdown alla maniera cinese.
Risposta: “Anche in questo caso si può misurare il grado di confusione in cui la situazione di emergenza ha gettato le menti di coloro che dovrebbero restare lucidi, come anche a che punto l’opposizione fra destra e sinistra si sia completamente svuotata di ogni contenuto politico reale. Una verità resta tale sia che sia detta a sinistra che se viene enunciata a destra”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 12 luglio 2020

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mercoledì 29 aprile 2020

“DISTANZIAMENTO SOCIALE" UNA PRASSI SANITARIA E/O UNA FILOSOFIA DELLA SOLITUDINE E DELLA PASSIVITA'

“DISTANZIAMENTO SOCIALE" UNA PRASSI SANITARIA E/O UNA FILOSOFIA DELLA SOLITUDINE E DELLA PASSIVITA'


Antonello Boassa 




L’unico modo per combattere la peste è essere onestiAlbert Camus

Da giovinetto lessi "Massa e potere" di Elias Canetti 1) e ne rimasi fortemente toccato. Uno di quei libri che effettivamente ti possono cambiare la vita. Leggendo Giorgio Agamben 2) che lo cita per poter disporre di uno strumento di analisi dirompente per comprendere meglio la miseria dei nostri tempi, non ho potuto fare a meno di ricordare la mia felicità quando mi ritrovavo in una moltitudine di persone.

Non penso solo alle manifestazioni politiche cui ho partecipato a Roma, a Milano, a Cagliari, a Napoli… Ma anche alla partecipazione ad eventi musicali, a partite di calcio, alle folle smisurate della festa di S. Efisio a Cagliari per celebrare il santo che liberò dalla peste la città (poco importa il mio ateismo).

Un senso di benessere, di eternità dell'attimo, di simpatia per le persone che mi circondavano e che mi sembravano almeno per qualche istante tutte compartecipi non solo dello stesso evento ma di un comune destino...

Mi ricordo che ritornando al nido, assieme ai tanti che si disperdevano nelle strade, mi capitava, a volte, anche in gradita compagnia, di avere dei fremiti di malinconia per la "fine" di un'emozione che mi sembrava sempre irripetibile...

Per Canetti, nella massa " chiunque ci venga addosso è uguale a noi...lo sentiamo come ci sentiamo noi stessi,,, è come se tutto accadesse in un unico corpo...”
Ciò che mi aveva colpito allora, leggendo quelle pagine, fu il riconoscimento delle mie emozioni, delle mie sensazioni in quei bagni di folla che mi davano l'immagine di una società che poteva essere di uguali nel lavoro, nella dignità, qualora questa uguaglianza, che io avvertivo quando il mio corpo era mischiato con altri corpi, fosse possibile nella quotidianità, nelle relazioni, nel contatto con uomini e donne.

Il termine "distanziamento sociale" è usato, si dice, per garantire la salute di tutti...da qui il martellamento mediatico, l'ossessione didattica di coinvolgere ogni cittadino/a nella difesa del bene comune. Mi astengo da una valutazione sulla validità di questa misura quando è estesa, fin troppo, fino a comprendere aree spaziali o percorsi o attività non a rischio o a rischio minimo, senza distinzione tra presunti focolai e zone dove sia sufficiente il solo contenimento

Mi interessa qui, ora, soffermarmi su quelle filosofie che emergono dal concetto di "distanziamento sociale" e che scorgono nel Covid19 un'occasione perché nulla sia come prima, che le scuole, ad esempio, non siano assiepate da bambini/e, e da ragazzi/e ma che possano usufruire di un insegnamento "a distanza", dove ogni alunno, nella sua stanza attrezzata, con un monitor, possa collegarsi con il docente( magari robotizzato) e imparare, senza avere contatti fisici con i suoi compagni, con le sue compagne, senza perdere tempi in scherzi, in chiacchere inutili (straordinaria l'ironia di Isaac Asimov quando narrava della scuola del futuro e quanto ci azzeccava)

I più fanatici presenti nelle istituzioni, come anche nella strada (sardinisti, ossia Prodiani di risulta) ci profetizzano che le mascherine, i guanti, forse anche visiere in plexiglass, saranno, assieme al distanziamento sociale, una norma del futuro immediato, forse anche per due anni, per non rischiare una burrasca di ritorno del tremendo virus…almeno fino a quando non disporremo di un vaccino che sarebbe opportuno obbligatorio, magari digitale, con schema a barre, come proposto dal malthusiano Billy Gates (un vaccino che non servirà, date le continue mutazioni del Covid 19, a nulla ma comunque a rimpinguare le casse di Big Pharma).

Se poi non riapparisse il Covid, un altro sorgerà (naturale o artificiale che sia)…del resto le sindromi influenzali non sono ricorrenti anno dopo anno ? Se il virus dovesse risultare meno letale del Covid (0,5 con calcoli seri relativi ai contagi stimati ben al di là dei tamponi effettuati) poco importa. Basta assommare ai decessi del nuovo “morbo” decessi per altre patologie (del resto sono pratiche già utilizzate attualmente con il Covid) e far lavorare sodo nei media i menestrelli usi (vedi Mentana) a colossali farfanterie…

Ciò che importa è che il terrore rimanga nelle nostre menti. Il panico diffuso favorirà il distanziamento sociale propedeutico alla disgregazione delle relazioni sociali, ad un atomismo foriero di malattie psichiche e di impoverimento culturale e morale. Il panico penetrato fin dentro le nostre ossa ci renderà obbedienti ai diktat della teocrazia finanziaria-politica-scientifica…e saremo contenti, ritornati bambini, dei privilegi che ci doneranno (potrebbe essere un metro in meno di distanza, potrebbe essere il permesso di avvicinarsi all’amante, di toccare i libri in una cartolibreria…).

E, nel mentre, il Potere disporrà dell’economia, del lavoro, dello stato sociale, come meglio crederà. Il neoliberismo ha dato finora risultati non del tutto soddisfacenti perché non ha potuto dispiegarsi completamente. Senza lacci e lacciuoli creati da un popolo ribelle, potrà privatizzare anche mari e oceani, trivellare l’artico e l’antartico e disporre così dell’helicopter money per dispensare moneta ai miliardi di plebei che non avranno più nulla, neanche la capacità di abbracciarsi l’un l’altro nella comune sventura.

A tanto non c’era arrivato neanche il geniale Aldous Huxley, con il suo “Mondo nuovo


NOTE

1) Elias Canetti, scrittore bulgaro “Massa e potere” Milano 1972 
2) Giorgio Agamben “Distanziamento sociale” Quodlibet 6/4/20 
3) Aldous Huxley “Il mondo nuovo” Milano 1962

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