venerdì 25 maggio 2012

Sardinya ; A manca pro s'indipendentzia, il portavoce Sabino: «Attenti, l'Isola esplode»




una pentola a pressione, l'unica via d'uscita è l'indipendenza

«La Sardegna è una pentola a pressione. Ribolle di tensioni sociali». E come il vapore nella pentola, le aspirazioni dei sardi cercano vie d'uscita: secondo Cristiano Sabino, l'indipendenza è la via giusta. Nell'ultima puntata dei forum dell'Unione Sarda e Videolina, il portavoce di A manca pro s'indipendentzia espone la sua teoria: il cammino di liberazione dell'Isola, dice replicando ad altri leader della stessa area politica, non passa dalle alleanze con i partiti italiani.
E neppure dal referendum proposto da Doddore Meloni: «Ci sembra una fuga in avanti», riflette Sabino. «Sarebbe una prospettiva interessante, ma alla fine di un percorso. In Scozia l'Snp ha il 50% dei voti, ma si è rifiutato di votare già nel 2012 per staccarsi da Londra».
Farlo adesso, qui, danneggerebbe le vostre battaglie?«Temo di sì. L'indipendentismo ha fatto passi da gigante, ma reggerebbe una cosa simile? Ci vuole un'altra preparazione».
Ma se il referendum si farà, andrete a votare?«Affrontiamo i problemi quando si pongono. Per ora dico che c'è il rischio di bruciare uno strumento utile, se non hai alle spalle un radicamento culturale delle tue idee».
Eppure sembra che oggi tutti parlino di questi temi.«Vedo due approcci distinti: quello formale considera l'indipendentismo solo come una nuova forma giuridica, un passaggio di consegne tra governi. Per me invece è un processo storico di liberazione di energie. Economiche e sociali».
Esistono davvero, in Sardegna, queste energie?«Sì. La Sardegna è come imprigionata, bloccata dalla dipendenza economica».
Le ricerche dell'ateneo di Cagliari rivelano forti sentimenti identitari. Stupito?«No, i sardi nei momenti di crisi hanno sempre reagito riscoprendo le loro radici. Dal tempo dei giudicati fino al sardismo, dopo la prima guerra mondiale. Il problema è trasformare un sentimento diffuso in progetto politico. Molti pensano che, poiché c'è questo sentimento, i sardi voteranno indipendentista. Ma la storia non dice così».
E cosa dice?«Gli ideali illuministi nascono nel '700, ma la rivoluzione francese arriva solo a fine secolo. Prima si sperava nel dispotismo illuminato. Oggi i sardi si stanno riscoprendo sardi, ma hanno ancora fiducia che i partiti italiani risolvano i loro problemi. Gramsci diceva: il vecchio sta morendo e il nuovo non può nascere. In questo spazio nascono i fenomeni più morbosi e terribili».
A cosa allude?«A fenomeni ibridi. Forme di semi-indipendentismo».
Intende dire che nell'attenzione di tanti partiti ai temi dell'autogoverno c'è una forte dose di opportunismo?«Sì. Non metto in dubbio la buona fede. Ma parlare di sovranità senza indipendenza lo trovo un assurdo logico, giuridico e storico».
La sovranità è il nuovo slogan di indipendentisti come Gavino Sale e Claudia Zuncheddu.«La sovranità si ha quando c'è uno Stato. Lo ha detto anche la Corte costituzionale, bocciando la legge sarda sulla Consulta statutaria: autonomia e sovranità sono concetti opposti, dialettici».
Oggi l'indipendentismo non è maggioritario. Perciò si immagina un avvicinamento graduale, basato su “segmenti di sovranità”.«Va bene la gradualità. Ma quella strategia non la capisco. Se tutti vogliono i nuovi spazi di sovranità, da Cappellacci a Soru, perché non li creano? Perché è impossibile. Mi sembra una strategia impalpabile».
Quindi voi escludete alleanze con i partiti italiani?«Nella maniera più assoluta. La nostra strategia è solo la Convergenza nazionale indipendentista».
La Convergenza non è partita benissimo.«Però è partita. Ed è una novità. Varie sigle hanno lavorato per un anno, lontano da scadenze elettorali, producendo una carta che è il dna, il codice genetico dell'indipendentismo. Valori condivisi e proposte».
È un cartello elettorale?«Si vedrà. Diciamo che siamo disposti a ragionare con chiunque accetti quei valori e quelle proposte. Che non sono solo di A manca. Noi siamo un partito socialista, molto orientato su questioni di classe. Sono sicuro che se mi siedo con Sel a discutere un concetto di nazione non siamo d'accordo».
Proprio Sel ha proposto l'alleanza “sovranista”.«Sì, ma loro accolgono Napolitano col tricolore inneggiando al Risorgimento. Noi gli avremmo chiesto semmai perché non ci restituisce i soldi che ci deve».
E del Psd'Az, ritornato a posizioni nettamente indipendentiste, cosa pensa?«La storia dei sardisti è abbastanza noiosa: parte indipendentista, ricade nell'unionismo, recupera l'indipendentismo, ricade ancora. È ciclica».
Quindi nessun entusiasmo per il loro ordine del giorno, approvato dal Consiglio regionale, sulle ragioni della permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana?«È un segno dei tempi. Non parlerei di entusiasmo, ma è un testo interessante. Apre nuovi scenari. Ma non crediamo che dalle stanze dei partiti che l'hanno votato possa venire la libertà. Col Psd'Az può esserci dialogo se interrompe la connivenza con i partiti coloniali. Tutti, però. Non è che se si passa da Berlusconi a Vendola si è meno coloniali».
Allora il suo giudizio sarà negativo su tutte le Giunte regionali, di entrambi i poli.«È così. Anche se è vero che ci sono delle differenze, almeno tra le persone».
Ha votato ai referendum del 6 maggio? Secondo Bustianu Cumpostu, cancellare le Province è stata una vittoria indipendentista.«Non ho votato. Non erano referendum anticasta: Vargiu e i Riformatori sono proprio la casta. Portare a 50 i consiglieri regionali riduce gli spazi di democrazia, dà potere alla piccolissima cerchia di chi si può comprare l'elezione».
E le Province?«Non si poteva abolirle senza un'alternativa. I referendari stanno in Consiglio regionale: perché non hanno fatto le riforme, invece che spendere soldi per i referendum? Noi, quando ci candidammo alla Regione, proponemmo di ridurre gli stipendi dei consiglieri a 2.000 euro. Così sì, che si tagliano i costi della politica».
Nel passato di “A manca” ci sono arresti, accuse di terrorismo. Come li valuta?«È normale che uno Stato reagisca con violenza a un progetto di liberazione di una terra col 70% delle basi militari italiane, poligoni per cui lo Stato incassa canoni dalle altre nazioni. Logico che, si cerchi di demonizzare un movimento poco disponibile al compromesso».
Condividete il no all'uso della violenza per affermare l'indipendentismo?«I popoli hanno diritto a resistere e ribellarsi. Detto questo, abbiamo detto chiaramente che la nostra lotta si svolge alla luce del sole. In A manca non c'è mai stato neppure un dibattito sull'uso della lotta violenta. Vogliamo essere una forza popolare, non una nicchia di carbonari, e usare gli spazi democratici, fin quando esistono. Altri popoli hanno fatto altre scelte, legittime, che poi magari hanno rivisto».
Quando vi si dipinge come semiterroristi, vi dà fastidio?«Ci lascia completamente indifferenti»
«L'Italia ci regala soltanto carceri:
sui temi economici decidano i sardi»

Sabino, perché governandosi da sola la Sardegna dovrebbe fare meglio?

«Sfatiamo un tabù: indipendenza non è sinonimo di solitudine. Nessuno Stato vive isolato. Il problema è poter prendere le nostre decisioni economiche».
Chi ce lo vieta?«Siamo condizionati da un piano economico non deciso qui, e neppure in Italia».
Non amate l'Ue, vero?«Mai stati europeisti, mai creduto nell'euro. E poi è sconsigliabile entrare in una casa che sta crollando. Come si può essere indipendentisti ed europeisti? Da piccolo ho visto mio nonno espiantare la vigna perché lo diceva la Cee».
C'erano agevolazioni.«Sì, per non produrre. Bell'aiuto all'economia. Solo per tutelare i vini francesi. Guardiamo invece al Mediterraneo, alla Corsica. Nell'Europa non avremmo ruolo, quasi tutte le decisioni di Bruxelles ci danneggiano».
Invece se decide il ceto politico sardo va tutto bene?«Beh, quello che abbiamo non è un ceto sardo. È espressione diretta di quello italiano. Pd e Pdl, quando hanno un problema, chiamano il podestà, il commissario».
Se la Sardegna dovesse basarsi solo sulla sua fiscalità, secondo alcuni calcoli mancherebbero molti miliardi di euro per mantenere gli attuali servizi pubblici.«Quanto a servizi, lo Stato italiano se ne sta già andando dalla Sardegna. Dovremo fare da soli. A partire dall'agenzia delle entrate».
Come dice il Fiocco verde?«Sì, ma ridisegnando anche le aliquote. Oggi un artigiano sardo paga tanto, perché gli studi di settore sono disegnati per Milano».
Torniamo a quei calcoli.«Io non li ho fatti, ma Stati molto più piccoli della Sardegna gestiscono bene scuole, sanità e tutto il resto. E poi ci sono i soldi che lo Stato non versa alla Regione».
Però lo Stato realizza anche infrastrutture.«Sì, le carceri. Fatta 100 la media degli investimenti per infrastrutture in Italia, la Sardegna si ferma alla metà in tutti i settori: arriva al 220% solo per i penitenziari. Progetti blindati, noi non possiamo metterci becco. Anche la manodopera è esterna».
Voi quale modello di sviluppo auspicate?«La sovranità alimentare è uno dei punti cruciali. Siamo contro la grande distribuzione, e sosteniamo la lotta dei pastori per i mattatoi zonali: consentendo di vendere la carne in filiera corta, i mercati rionali abbasserebbero i prezzi e i consumatori avrebbero carne di qualità a costi ragionevoli. Un'altra proposta concreta è il polo di sovranità economica a Nuoro».
Di che si tratta?«Di una battaglia di A manca: anziché una nuova caserma costruita su terreni civici con 12 milioni di euro dirottati dalle scuole, chiediamo di utilizzare le risorse per strutture che ospitino prodotti tipici e biologici, macchine agricole, punti di ristoro, seminari di formazione sulla sovranità alimentare. Questo potrebbe dare posti di lavoro a Nuoro, non un po' di soldati che vanno al bar per il cappuccino».
Altri cardini della futura economia sarda?«L'artigianato. Quello sardo è tra i più ricchi al mondo perché lavora tutti i materiali, dall'oro ai cestini. Soru ha abolito l'Isola, che in effetti era un carrozzone: ma dopo sono venuti progetti manageriali costosi che non hanno portato niente agli artigiani veri. È un settore in totale abbandono».
Qual è la vostra posizione sull'industria?«Senza industria un popolo muore. Il problema è quale. Anche qui: dobbiamo decidere noi. I Paesi ricchi sono quelli che trasformano le materie prime. Noi lavoriamo solo quelle inquinanti. Abbiamo sabbie silicee di ottima qualità: la classe politica non ha mai pensato di lavorarle qui, di utilizzare i contributi per quello anziché per mantenere poli in crisi». 
È contro la chimica verde?«Abbiamo elementi per dire che sarà un inceneritore. Speriamo di sbagliarci. Ma non si può convertire tutta la produzione agricola a cardi geneticamente modificati».
E sul gasdotto Galsi?«Totalmente contrari. È una nuova servitù energetica. E una truffa: a chi giova? Non è previsto un piano di metanizzazione dell'Isola. Si dice che la rete costerà 4 miliardi, ma nessuno li ha finanziati». 
Col tubo arriva il metano, colmando una lacuna storica. La rete interna si può fare anche dopo.«Vent'anni fa Angelo Caria, un indipendentista, invocava il metano. Ma allora aveva senso. Ora in Algeria sono previste scorte per pochi anni: il Galsi doveva essere già finito e ancora non è partito, nel frattempo finiscono le risorse. Avremo tutta la rete quando non ci sarà più il metano».
Il tubo potrebbe funzionare anche nel senso inverso.«Non è scritto da nessuna parte. In ogni caso, non abbiamo deciso noi. È un affare per il gruppo Hera, grande azienda dell'energia in odore di Pd, fatta dalle municipalizzate emiliane. A loro conviene, hanno il gas e non la servitù di passaggio. È un favore ai comuni emiliani e al Pd».
Alternative energetiche?«Intanto smetterla di ragionare su monopoli che costruiscono dipendenza. Hanno ragione i pastori, chiedono di dotare ogni azienda di piattaforme energetiche autonome, fotovoltaiche o di mini-eolico. Non costerebbe più di 150 milioni di euro, quelli previsti per la legge sul golf».
L'indipendentismo spesso è ambientalista, e agli ambientalisti non piace l'eolico.«Io non mi definisco ambientalista. Non sono contrario all'eolico ma a questo eolico, che conviene solo alle multinazionali. E vale anche per il solare. Fanno campi eolici e fotovoltaici non per produrre energia ma per i certificati verdi, noi sardi non siamo padroni di quello che produciamo. Eppure abbiamo competenze, ingegneri. Spesso costretti a emigrare».
A proposito: che idee avete per l'istruzione?«In due anni la scuola ha perso 5.738 posti di lavoro, l'8% in meno, il tasso più alto d'Italia. Sproporzionato, perché il calo degli studenti è del 2,26%. E poi tagliare la scuola in un quartiere di Milano o in un paesino isolato non è lo stesso. Non è solo un fatto culturale: incide sul lavoro. In Sardegna il 32,6% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non fa niente: non lavora e non studia. In Europa la media è del 15%».
Le vostre proposte?«Investire, difendere le scuole, non valutarle come aziende. E poi rendere la scuola un luogo di formazione al lavoro. Soprattutto, sardizzare la scuola e l'università, che falliscono perché sembrano marziani caduti sulla terra».
Cosa significa sardizzare?«Copiare chi ha scuole di eccellenza. I programmi ministeriali non sono più intoccabili, in Trentino il 25% è legato a lingua e cultura locali. Poi c'è il tema del patrimonio archeologico: abbiamo 8-10 mila nuraghi, per non parlare del resto, ma danno lavoro a non più di 30 cooperative di giovani».
E sulla limba?«Quasi il 98% dei sardi parla o capisce il sardo. Utilizziamo questo dato per creare lavoro. Noi proponiamo un principio di “discriminazione positiva”: a parità di curriculum, si dia lavoro a chi ha raggiunto un livello B2 di sardo, che è un livello alla portata anche di chi non è sardofono».

mercoledì 23 maggio 2012

«Quirra, discarica di Stato e fabbrica di tumori»

 Elena LaudantelanuovasardegnaSassari, convegno con Domenico Fiordalisi, il procuratore che ha strappato il velo sui legami tra basi e inquinamento.
La premessa è d’obbligo: «Affronterò la questione in un quadro generale, visto che il mio ruolo di pm non mi consente di addentrarmi in aspetti specifici» dell’inchiesta sul Poligono di Quirra. Ma non può fare a meno di descrivere quanto accaduto nell’area interdetta come «un’attività di smaltimento di Stato».
Domenico Fiordalisi, il procuratore di Lanusei - da alcuni visto come «il giudice a Berlino» che squarcia il velo delle omertà, dai detrattori come magistrato sensibile alla ribalta - parla per la prima volta dall’inizio dell’inchiesta che ha fatto discutere. E rischia di costringere lo Stato a rivedere il rapporto di forza tra la Sardegna e la sgradita presenza militare. A partire proprio da Quirra. 
Divenuto “Un caso emblematico”, il titolo scelto dal Gruppo di Impegno politico e sociale per il convegno sul rapporto tra ambiente, salute e giustizia, discusso ieri nell’aula magna dell’Università di Sassari, così affollata da sembrare un palazzetto dello sport. Ospite di punta, Fiordalisi ha ripercorso anni di legislazione «inadeguata» per tutelare la salute in relazione al diritto ad un ambiente salubre. 
Seguito poi da Vincenzo Migaleddu, il presidente dei Medici per l’Ambiente, e Riccardo Cerri, docente di Chimica farmaceutica, con l’introduzione di Piero Mannironi, giornalista de La Nuova Sardegna che ha fatto da moderatore.
A una platea di cittadini, curiosi, operatori della Giustizia, ma soprattutto giovani studenti - alcuni dei quali prendevano appunti -, Fiordalisi ha fornito strumenti tecnici per comprendere come solo di recente, e grazie alla giurisprudenza delle allora preture, cioè dei giudici di provincia e di frontiera, la Legge si sia adeguata al sentire comune: la necessità, avvertita solo a metà anni Ottanta, di perseguire traffici di rifiuti, inquinamento di ogni tipo, avvelenamento delle falde. Per garantire un diritto che in realtà è tutelato dalla Costituzione. Ma non è riuscito a trattenere una valutazione, ilmagistrato calabrese, forse frutto dell’anno e mezzo di indagini sugli esperimenti bellici di Quirra, dal 20 giugno in un’aula di Tribunale. 
Affrontando il tema delle carenze normative sull’inquinamento dell’aria, ha detto: «Adesso parliamo di nanoparticelle come possibile pericolo nel Salto di Quirra, dopo che venivano distrutte - poi si vedrà nel contradditorio - e smaltite tutte le bombe e le munizioni obsolete dell’Aeronautica militare. 
Fatto non da poco. Se non avessi fatto intercettazioni o un’inchiesta, una vicenda così grossa, durata tra l’84 e il 2008, un’attività di smaltimento di Stato, fatto noto in alcuni ambienti istituzionali, forse non sarebbe emersa». Un fatto che nemmeno i primi giornalisti che avevano scoperto l’altissima incidenza di linfomi ad Escalaplano, ai primi del 2000, aveva immaginato. Mannironi ha ricordato come tutto sia nato proprio lì, da quel sindaco solo e inascoltato, Antonio Pili, medico e primo cittadino di Villaputzu, che per primo aveva denunciato pubblicamente «il 2 ottobre 2001, il caso dei linfomi di Quirra, poi attribuiti dalle istituzioni all’arsenico». Una versione oggi smentita, che Mannironi non ha esitato a definire «una forma di depistaggio», per i silenzi e le omissioni di chi doveva invece garantire la salute dei cittadini. 
Di silenzi non ne può più Rita Tilocca di Porto Torres, moglie di Natalino Delrio, operaio del Petrolchimico morto dopo quattro tumori. Così ieri ha ricordato: «I colleghi di mio marito non possono parlare perché perderebbero il posto. Ma io sì: voglio giustizia. Mio marito portava a casa pane imbottito di cancro. A noi dava il pane, lui si è tenuto il cancro».

venerdì 18 maggio 2012

SARDINYA: «Indipendenza, fine di un tabù»


FORUM UNIONE SARDA VIDEOLINA
«Dopo sessant'anni di inutile autonomia i sardi non hanno più paura dell'indipendenza». Lo sostiene il consigliere regionale Claudia Zuncheddu (nella foto), fondatrice del movimento Sardigna libera.




E' Claudia Zuncheddu, ex Psd'Az e Rossomori, oggi Sardigna libera, unico consigliere regionale ufficialmente indipendentista, la protagonista della settima puntata del forum organizzato dall'Unione Sarda in collaborazione con Videolina.
C'era una volta l'indipendentismo di bandiera, quasi orgoglioso della sua percentuale elettorale inchiodata sull'uno virgola qualcosa. Intransigente, idealista, forse un po' fondamentalista. «Ma oggi non è più possibile una politica di sola testimonianza», osserva Claudia Zuncheddu, che pure di suo è anche idealista e intransigente: «Ora l'indipendentismo deve incidere realmente sui destini del popolo sardo, e per farlo deve entrare nelle istituzioni».

Se c'è già, almeno in Consiglio regionale, è proprio grazie a lei: eletta tre anni fa nelle liste dei Rossomori, poi protagonista di un percorso che l'ha portata a fondare - novità freschissima - “Sardigna libera”. Movimento dichiaratamente in favore dell'indipendenza della Sardegna, come conferma la stessa Zuncheddu durante il settimo forum dell'Unione Sarda e di Videolina sulle questioni dell'identità e dell'autonomia: «La nascita di Sardigna libera non va contro nessuno e non fa concorrenza a nessuno. Semmai concorre insieme ad altri soggetti alla creazione di processi che portino il popolo sardo a rompere il dominio coloniale italiano».


«No al Galsi e alla chimica verde: sono nuove  forme di colonizzazione»
Le bonifiche dei siti industriali e militari alla base dello sviluppo






Il nemico è un tubo. Si nasconde sottoterra, corre da una parte all'altra dell'Isola, ne sventra le viscere. La impoverisce a propri fini, almeno così la pensa Claudia Zuncheddu.
Il nemico è il Galsi, il metanodotto che arriverà dall'Algeria e poi, partendo dal Sulcis, attraverserà la Sardegna fino a Olbia. Da lì si ritufferà in mare per portare il gas fino alla Toscana. E questa, per la consigliera regionale indipendentista, è una prova di quel che lei dice da mesi, facendo una durissima opposizione al progetto del gasdotto: «Lo costruiscono solo per portare il gas algerino nel nord Italia. Lo abbiamo persino scritto nella Finanziaria regionale, nel momento in cui abbiamo deciso di stanziare 150 milioni di euro per quell'opera».


Non trova giusto che la Sardegna contribuisca?«No, perché i sardi non ne ricaveranno nessuna convenienza. Sarà una grande opera inutile, a noi creerà solo danni ambientali».
Che tipo di danni?«Distruggerà il territorio, sottrarrà altri spazi all'agricoltura, travolgerà siti archeologici, sbarrerà corsi d'acqua determinando ulteriori rischi idrogeologici».
Ma finalmente non saremo più l'unica regione senza metano.«Il metano ci sarebbe servito venti o trent'anni fa, quando c'era davvero l'industria. I vertici di Sonatrach, i padroni del gas algerino, hanno ammesso che le loro riserve potrebbero esaurirsi in quindici anni. Per farlo durare di più, probabilmente, dovranno raddoppiare le tariffe».
Il problema di abbattere i costi energetici nell'Isola però c'è ancora.«Ma non può essere quella la soluzione. Tra l'altro c'è un problema ulteriore: chi pagherà i costi per creare la rete di distribuzione nell'Isola, in un territorio così vasto e poco popolato?»
Lei che risposta si è data, a questo interrogativo?«La risposta l'ho chiesta al presidente della Sfirs, quando è stato sentito in commissione in Consiglio regionale. E lui ha detto: si pagherà con la bolletta, come per l'Enel. Insomma, ancora una volta il peso ricadrà sulle famiglie sarde».
Qual è allora la vostra proposta su questi temi?«La sovranità energetica è un problema enorme per la Sardegna. Pensiamo invece a interrompere lo sfruttamento delle nostre risorse: vento e sole arricchiscono solo le multinazionali. Devono tornare nelle mani del popolo sardo. Con le nuove tecnologie e le fonti rinnovabili, il metano non ci serve più».
Quale sviluppo economico immagina per l'Isola?«Quello più armonico col nostro ambiente e le nostre vocazioni naturali. Che parta da una rinaturalizzazione dei siti industriali e militari. Il poligono di Quirra è il più vasto d'Europa, 12mila ettari. Potrebbe diventare un eccellente centro di studi naturalistici e di progetti di protezione civile per tutto il bacino mediterraneo».
Un'economia basata sulle bonifiche?«Le bonifiche sarebbero il primo passo. La nostra economia dovrà basarsi sul recupero e il rilancio delle attività tradizionali: la pastorizia, l'agricoltura. La pesca: il mare è una risorsa non sfruttata».
E l'industria?«Non sono contraria a ogni tipo di attività industriale. Ma non è più il tempo di quell'industria che ha inquinato e creato malattie, per poi scappare via lasciandoci poveri».
Potrebbe andarle a genio la cosiddetta chimica verde, allora.«Ma per carità. Di verde non ha proprio nulla. Quel progetto nasce solo perché non si vogliono fare le bonifiche a Porto Torres. Di fatto, nasconde l'importazione di rifiuti».
In che senso? Dovrebbe essere alimentata da fonti biologiche.«Già, dai cardi. In teoria. Quindi il nostro territorio diventerà una monocoltura di cardi. Ma neppure coltivandoli anche sui tetti delle nostre case avremmo la quantità sufficiente ad alimentare l'ecomostro, che di fatto è un enorme inceneritore. Vedrete che poi ci sentiremo dire che sono costretti a importare rifiuti da bruciare».
Altro problema cruciale, i trasporti. Quali soluzioni auspica?«La nostra insularità, che poteva essere una risorsa, è stata trasformata in un inferno. Con la scusa della continuità territoriale, siamo stati usati».
Da chi?«Dall'Italia, dall'Europa, dalle compagnie aeree. La Regione Sardegna dovrebbe promuovere una propria flotta aerea e navale, con partecipazione istituzionale, a capitale misto pubblico-privato».
Quindi approva la flotta sarda voluta da Cappellacci.«Quel tentativo mi convince poco perché ha concretizzato poco: vorrei conoscere i risultati veri. E poi, quando si parla della questione dei trasporti, non si guarda mai alle coste sud del Mediterraneo».
Invece, secondo lei, sarebbe conveniente guardare da quella parte?«Beh, in passato la Sardegna aveva rapporti commerciali strettissimi con il Maghreb. Nei primi del '900 si stampavano, a Cagliari, diverse testate in lingua araba».
E questo con i trasporti cosa c'entra?«I ponti commerciali sono stati tagliati proprio dall'assenza di collegamenti. Prima per andare a Tunisi da Cagliari bastavano sette ore, con un traghetto diurno. Poi è stata creata la Cagliari-Trapani-Tunisi: 22 ore. Adesso l'unico collegamento parte da Genova e passa da Palermo, con una sosta di 12 ore. In pratica, dalla Sardegna arrivi a Tunisi in tre giorni».
I mercati del Maghreb non sono ricchissimi. Davvero sarà utile puntarci?«Io vedo una Sardegna proiettata nel mondo, ma anzitutto nel Mediterraneo. La politica europea, nei confronti dei Paesi nordafricani, è ancora di stampo coloniale, poco lungimirante. Sono Paesi con mille difficoltà, ma hanno petrolio, uranio, materie prime. Il Mali, che è uno dei più poveri, ha l'oro».
Cioè lei immagina un loro sviluppo futuro, che li renderà interessanti anche come mercati?«Di sicuro la Sardegna dovrebbe iniziare a intessere nuove relazioni commerciali, che potrebbero aprire strade proficue nei prossimi decenni. Sarebbe anche un modo per creare varchi di sovranità nelle relazioni internazionali, ma senza entrare in rotta di collisione con le leggi italiane e comunitarie».
Nelle vostre idee per il futuro dell'Isola, che ruolo avrebbe la limba?«Il problema linguistico è molto complesso. La lingua ce l'hanno tagliata, ce ne hanno fatto vergognare. Praticamente è stata seppellita. Adesso siamo in una fase di dissepoltura. Il primo passo è tornare a insegnarla nelle scuole».
Nella versione della limba sarda comuna?«L'idea di una limba unica è affascinante, ma forse non ancora di immediata applicazione. Io sono comunque per la conservazione di tutte le varianti. Servirebbe una tv in limba, magari una Rai sarda».

giovedì 17 maggio 2012

QUIRRA: IL GENERALE GIOCA SULLA PELLE DEI SARDI

Mariella Careddu

 QUIRRA. Il futuro della base e il risanamento davanti alla commissione d'inchiesta del Senato




L'ufficiale indispettisce la commissione. Maurizio Lodovisi, generale dell'Aeronautica e responsabile del capitolo bonifica al Poligono di Perdasdefogu, ai senatori ha raccontato di strade e acquedotti costruiti grazie ai militari, di aiuti ai civili arrivati da terra e da mare e dei soldi che volerebbero via dall'Isola se il Poligono chiudesse.

BOTTA E RISPOSTA La risposta del senatore Pd, Gian Piero Scanu, unico sardo a far parte della commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, arriva un istante dopo. «Di certo non è per brandire l'arma della fame in una Regione che è già abbastanza affamata, che il generale ha voluto farci sapere quello che i sardi perderebbero se loro andassero via. Ma possibile che non abbia avuto una parola per ammettere che a Quirra ci siano state delle vergogne? Possibile che non ci sia stata una parola per ammettere che lo Stato debba chiedere scusa?».
IL RAPPORTO No, nella relazione dell'ufficiale non c'è nemmeno un parola sui veleni denunciati sette giorni prima dal procuratore capo della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi.
Maurizio Lodovisi, prima ha spiegato cosa si fa nell'area militare, sottolineando che «tutte le attività sono note al Ministero», una chiara replica alla «bugia di Stato», di cui aveva parlato il pm. Il generale ha proseguito con una dissertazione sull'ottimo rapporto che lega i militari al territorio con «16 interventi di elitrasporto, 1.800 soccorsi a terra e a mare e 67 operazioni a sostegno dell'antincendio». Per concludere con le ripercussioni che la chiusura del Poligono avrebbe sull'economia dell'Isola. «La stima di massima è di 150 milioni di euro». Pochi riferimenti alla bonifica per la quale assicura «è impossibile azzardare ipotesi sugli oneri per la messa in sicurezza. La caratterizzazione darà tempi e costi». Nessun preventivo, dunque, sul denaro che servirà a strappare via dalle terre di Escalaplano, Perdasdefogu e Quirra, il cadmio, il torio, l'amianto e tutti gli altri veleni disseminati, secondo la Procura di Lanusei, dalle guerre simulate, dai brillamenti e dalle esercitazioni militari.
LA CHIUSURA Il colloquio con l'ufficiale sembra non aver convinto neppure il presidente della commissione, Giorgio Costa, che con mille cortesie ha reso tutto più semplice, mettendo a fuoco il punto chiave della questione. «Servono ancora dei poligoni così grandi o bastano anche delle aree più piccine?». Lo spettro della chiusura del Poligono, insomma, non abbandona i lavori della commissione che ieri si è riunita ancora una volta. I senatori hanno discusso degli ultimi dati acquisiti e il presidente ha conferito ufficialmente l'incarico a Gian Piero Scanu di redigere una relazione intermedia che verrà esaminata durante gli incontri previsti per martedì e mercoledì prossimo.
IL FUTURO Già chiari gli aspetti sui quali si baserà la tesi del senatore del Pd. «Si partirà dall'interruzione di qualsiasi attività che possa recare un danno alle persone o all'ambiente. Verranno attivate immediatamente le procedure per una bonifica effettiva, radicale e completa e, solo quando l'area sarà del tutto sterilizzata e il territorio sarà tornato alla normalità, inizierà la riconversione del Poligono». Insomma, un piano che potrebbe cambiare il volto di quel quadrato da dodici mila ettari che per lunghissimi anni ha ospitato pastori e greggi. Pecore e vacche pascolavano lungo le sorgenti infestate di sostanze tossiche, nei formaggi prodotti con il loro latte, i periti della Procura hanno trovato i veleni di Quirra. Il futuro, però, sembra promettere tutt'altro. «La riconversione dell'area porterà allo sviluppo di attività di ricerca scientifica, di approfondimenti tecnologici e della strumentazione della protezione civile».
La relazione sembra a buon punto, martedì prossimo i senatori si riuniranno di nuovo per il verdetto finale. Sul tavolo le due verità, quella del pm e quella del generale. In mezzo c'è il destino di un Poligono avvelenato nel quale lavorano centinaia di persone.


«Mi pare che in merito alla distrazione nell'emanazione della procedura delle bonifiche, ci sia un procedimento disciplinare in corso a carico del responsabile».

 Il presidente della commissione di senatori Giorgio Costa, pronuncia quelle parole al microfono, capisce che sarebbe stato meglio tacere e aggiusta il tiro. «Questo è quello che si dice, potrebbe non essere vero». Sarebbe la terza inchiesta, stavolta interna, che va ad affiancarsi a quelle della Procura di Lanusei sui veleni di Quirra. La prima, si è appena conclusa e ipotizza i reati di disastro ambientale, omissione e falso in atto pubblico. Venti indagati a giugno saranno davanti al gup. La seconda parla di omicidio volontario ancorché con dolo: diciotto cadaveri riesumati, ma ancora non c'è la parola fine

sabato 12 maggio 2012

SARDINYA:«Lotta nelle urne per liberare l'Isola»

«Lotta nelle urne per liberare l'Isola» 




Referendum, consegnate le firme;
 Salvatore Meloni: Sardegna senza padroni con il diritto internazionale

di Stefano Lenza


 www.unionesarda.it




Se non il paradiso terrestre, qualcosa di molto simile, la Sardegna indipendente immaginata da Salvatore, Doddore, Meloni. Un'isola padrona di se stessa, libera da vincoli con il resto d'Italia, a cominciare da quelli fiscali. Dove tutto andrà bene e tutti staranno meglio. Per riuscire a centrare l'obiettivo, il presidente della Repubblica di Malu Entu (l'isola di Mal di ventre) indica un percorso nuovo che guarda a ovest invece che ad est: non a Roma, allo Stato, ma a New York, all'Organizzazione delle Nazioni Unite. Ieri mattina, ha depositato alla Regione le firme per richiedere il referendum della liberazione.


Un solo quesito, semplicissimo e scontato, almeno apparentemente: “Sei d'accordo, in base al diritto internazionale delle Nazioni Unite, al raggiungimento della libertà del popolo sardo, con l'indipendenza?”. Prima di recarsi in viale Trento, Doddore e i suoi hanno fatto tappa a Palazzo di Giustizia per la certificazione in Corte d'appello. «Presenteremo - ha spiegato Meloni in una conferenza stampa - 12.999 firme, più la mia, non valida perché lo Stato italiano mi ha condannato all'interdizione perpetua dal diritto di voto».


Questa sorta di ergastolo elettorale non gli è stato inflitto per le sue idee, non per il pensiero ma per l'azione: il 18 maggio del 1985 venne condannato in Assise a nove anni di carcere per quello che fu definito il complotto separatista. Per la sentenza, poi diventata definitiva, lui, ed altri, avevano organizzato un tentativo, seppur rimasto alla fase embrionale, di cospirazione politica che non escludeva il ricorso alla violenza. Storia del secolo scorso. Meloni si è fatto la galera ma negava e nega di aver mai avuto intenzione di ricorrere alle armi. L'indipendenza, invece, la voleva e la vuole ancora. E spera di ottenerla in tempi brevi. «Il referendum si terrà entro la fine dell'anno, o all'inizio del 2013. Per la prima volta, i sardi potranno decidere cosa vogliono fare da grandi. Se dipendere da Roma o diventare finalmente padroni in casa propria».


Resta da capire cosa accadrà dopo il voto. Nel caso venga raggiunto il quorum e con il sì prevalente nelle urne, non è che al Palazzo di Vetro voteranno per inviare i caschi blu a liberare la Sardegna dall'oppressione italiana. «Succederà invece - prevede Salvatore Meloni - che i sardi, tutti quelli che vogliono l'indipendenza e oggi militano in altre forze politiche, non ritenendo affidabili i movimenti indipendentisti, daranno vita al partito referendario di chi vuole una Sardegna libera. Stravincerà alle regionali e dal Consiglio scompariranno tutti quei gruppi e gruppetti che sono lì per questioni di poltrone e pensano solo agli affari loro». Dopo di che non ci saranno più ostacoli alla nascita della Repubblica dei Quattro Mori? «Nessuno, lo dicono le Nazioni Unite. Siamo una minoranza etnica e linguistica e non abbiamo niente a che fare con l'Italia. Da cui, fino a prova contraria ci separano le acque internazionali». 


Tutto ciò, a suo parere, dovrebbe bastare all'applicazione del diritto all'autodeterminazione dei popoli sancito dalla carta delle Nazioni Unite recepita dallo stato italiano. Doddore non vede difficoltà alcuna a cominciare dal fatto che l'Onu intende tutelare, almeno in teoria e non sempre in pratica, minoranze oppresse o pesantemente discriminate. In questi casi la comunità internazionale ritiene prevalente il principio della tutela dei diritti umani rispetto a quello della non ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano. E interviene, come avvenuto in Kossovo nel 1999 o, recentemente in Libia. Niente ha fatto invece l'Onu per i Paesi Baschi o altre minoranze che rivendicano l'indipendenza. 


Qualche difficoltà, per Doddore, si pone anche in casa nostra. Giorgio Napolitano ha ricordato a Bossi e compagni che «non esiste una via democratica ad uno stato lombardo-veneto». Contemporaneamente ha lanciato un monito alle camice e cravatte verdi dentro e fuori dal Parlamento: «Se gli slogan della Lega dovessero diventare altro, lo Stato non esiterebbe a intervenire come già fece, agli albori della democrazia, nei confronti dell'indipendentismo siciliano». 


Il messaggio del Quirinale non turba comunque l'autoproclamato presidente di Malu Entu. «Bossi parla di Padania, noi di Sardegna. Tutti si dimenticano un piccolo particolare: nel 1297, il 4 aprile, Bonifacio VIII, fece il regno sardo corso e lo diede a Giacomo II di Aragona. Sapete come? In vassallaggio perpetuo. In teoria, quindi, noi e la Corsica dipendiamo sempre dal Vaticano». Mentre immagina un popolo sardo libero che vive nel benessere e nella concordia, Doddore non cede alla tentazione di lanciare una frecciatina contro altri cugini indipendentisti. «Abbiamo raccolto 27.347 firme ma ne presentiamo 12.999 e tra queste neanche una delle 541 autenticate da Gavino Sale nel suo ruolo di consigliere provinciale. Visto che lui non ha aderito personalmente, non parteciperà all'attuazione del referendum. È una questione di coerenza».

giovedì 10 maggio 2012

Poligono Quirra Sardinya, il pm: "bugie di Stato"



di Paolo Carta
riveduto da SA DEFENZA

Undici anni di lotta: questa  è la sconfitta della classe politica


L'inchiesta ha ottenuto quello che da anni chiedevano i familiari delle vittime.

C'è voluta un'inchiesta della magistratura per smuovere la classe politica  e far affrontare di petto dal Senato Italiano il caso Poligono di Quirra.

E' la grande vittoria del Procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi, che è riuscito a ottenere attenzione da parte del Governo Italico, l'avvio della bonifica e la sospensione di tutte le attività sperimentali e addestrative che mettevano più a rischio la salute dei militari e dei pastori. 

Era quello che chiedevano invano i pacifisti e i parenti di familiari morti dopo avere lavorato nel poligono con la divisa o al seguito del bestiame. 
Almeno dal 2001 dopo le segnalazioni sui casi sospetti di tumore del sindaco-oncologo Antonio Pili.

In mezzo c'erano stati due controlli ambientali voluti dalla classe politica regionale sarda e nazionale italiana, vera sconfitta di tutta questa vicenda.
Perchè al termine di analisi molto contestate anche in tempi non sospetti, si era arrivati nel 2005 e nel 2011 a una sorta di assoluzione delle attività svolte dalle forze armate italiane e dalle industrie belliche di tutto il mondo, senza il minimo controllo.

Pareri bollati come "bugie di stato" dal pm Fiordalisi ieri davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, in virtù delle consulenze di illustri scienziati coinvolti nell'inchiesta della Procura come esperti superpartes. 

A prescindere da come andrà il processo penale che inizierà tra un mese davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lanusei, quel che emerso merita il pronto intervento del Parlamento ITALIANO . Un angolo di paradiso, uno dei posti più belli della Sardinya è stato usato come discarica per smaltire armi provenienti da tutta l'Italia.

Quell'area militare inaugurata nel 1956 come se dovesse diventare una sorta di Cape Canaveral della NASA per il lancio di missili sperimentali e scientifici, è stata trasformata in una discarica che secondo la Procura ha inquinato suolo, aria e falde acquifere. Al punto che adesso la bonifica non è più procrastinabile.
Perchè dopo la parte destruens fatta di sequestri di aree del poligono, sgomberi dei meno colpevoli di tutti, i pastori, controlli e quant'altro, adesso è necessario avviare una fase costruens

La bonifica può dare posti di lavoro per tanti anni, porzionidel poligono come quella sul mare, utilizzata per tanti anni per test messi al bando, potrebbero essere sgomberate creando altro reddito una volta che i fondali saranno ripuliti.

Si farebbe giustizia anche dell'accordo (rimasto sin qui disatteso) firmato trent'anni fa dall'allora primo ministro italiano Giovanni Spadolini e dal presidente della regione Sarda Mario Melis, sulla necessità di alleggerire il peso delle servitù militari che grava così pesantemente sulla Sardinya e sul suo sviluppo economico.




Mariella Careddu
www.unionesarda.it

Poligono Quirra Sardinya, bugie di Stato

Audizione-choc del Procuratore di Lanusei Fiordalisi al Senato:
«Non test ma smaltimento illecito di rifiuti bellici dentro la base





I veleni di Quirra potrebbero uccidere il Poligono. La chiusura della base militare non è da escludere. Ci stanno pensando i parlamentari, all'indomani dell'audizione choc del procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi.


IL VERTICE 
Ieri pomeriggio, si è svolto il vertice d'urgenza della commissione di senatori che dovrà decidere cosa fare e dovrà farlo in fretta. Non si esclude nessuna ipotesi. Il magistrato ha parlato di «bugia di Stato», perché tra i confini della base isolana si «svolgeva un'attività diversa da quella dichiarata. Uno smaltimento di rifiuti bellici illecito». Una menzogna lunga decenni, secondo il pm, che per due ore ha riferito del grave inquinamento ambientale provocato da cadmio, amianto, uranio impoverito, torio e altre sostanze cancerogene sprigionate dai brillamenti e dalle esercitazioni avvenute in quel pezzo di Sardegna.


RELAZIONE CHOC 
La prima bugia starebbe già nel video mostrato dal pm ai commissari. Un filmato dell'esercito che nell'etichetta porta la scritta test , ma che in realtà mostra i brillamenti di bombe portate a Quirra da tutti i poligoni d'Italia. «I test sono un'altra cosa», assicura. Deflagrazioni che liberano nell'aria colonne di fumo e detriti alte diverse centinaia di metri, che il vento ha soffiato via verso i pascoli di Escalaplano e Perdasdefogu, verso fiumi e sorgenti, verso le aziende agricole che producono il miele e il formaggio nei quali i periti della Procura hanno trovato tracce di metalli pesanti. La relazione choc ha scosso i parlamentari: la commissione che indaga sulle morti e sulle malattie che hanno colpito personale militare impiegato nei poligoni in Italia e all'estero, dovrà fare in fretta. Dopo l'audizione di martedì è arrivata la convocazione d'urgenza nell'ufficio di presidenza. Ieri alle due del pomeriggio l'ultimo incontro. Un'ora per fare il punto della situazione e stabilire le tappe dell'intervento.


IL GENERALE 
Martedì prossimo a riferire davanti ai parlamentari sarà il generale Maurizio Lodovisi, responsabile della bonifica. L'ufficiale dovrà chiarire la situazione e presentare una relazione dettagliata che indichi l'importo necessario per ripulire l'area, il cronoprogramma e quello che già è stato fatto. «È importante che la commissione abbia deciso questo cambio di passo in seguito all'audizione del procuratore. Ora si passa da un livello cognitivo a un livello attivo», spiega Gian Piero Scanu, senatore del Pd e unico sardo a far parte del gruppo di lavoro.


L'AGENDA 
Dopo l'incontro con il generale, sono già in agenda altri due appuntamenti cruciali. Mercoledì la commissione farà gli straordinari: la prima seduta è fissata alle due del pomeriggio, servirà a tirare le somme, la seconda alle otto e mezza di sera, sarà quella decisiva. Il momento per decretare la morte o la vita del Poligono di Quirra. Ai parlamentari resta una settimana per ripensare alle foto mostrate loro dal magistrato. Il ritratto dell'agnello polifemo nato in un allevamento a una decina di chilometri dai confini della base. Le immagini di vacche impegnate a strappare i fili d'erba a ridosso della discarica di Is Pibiris. E poi, ci sono le relazioni degli esperti dell'Arpas, le perizie dei ricercatori che mostrano tracce di sostanze cancerogene e metalli pesanti ben oltre il perimetro del poligono.
Il resto è l'inchiesta della Procura che venerdì scorso ha chiesto venti rinvii a giudizio per il disastro provocato dalle esercitazioni militari. Nel registro degli indagati sono finiti nomi eccellenti dell'esercito, luminari del mondo accademico, medici, ricercatori e amministratori, tutti colpevoli, secondo il pubblico ministero, del disastro che ha seminato la terra e infestato l'aria con le scorie mortali.



Uranio impoverito e torio, accertamenti sul nesso di causalità coi tumori

C'è un'inchiesta-bis Morti sospette: si indaga ancora sulle guerre simulate
Inchiesta che va, inchiesta che viene. Gli atti dell'indagine sui veleni di Quirra sono appena arrivati nella cancelleria del giudice dell'udienza preliminare. Venti richieste di rinvio a giudizio in attesa di una risposta: la data dell'udienza verrà fissata a giugno. Al terzo piano del palazzo di giustizia di Lanusei, però, va avanti l'inchiesta bis, quella che vuole accertare il nesso tra le morti sospette di militari e civili e le sostanze letali lasciate a terra dalle guerre simulate. Per cercare una prova schiacciante non sono bastati i cadaveri dei diciotto pastori riesumati dalla Procura. Nella lista dei sospettati non c'è solo l'uranio impoverito. I test dei ricercatori hanno isolato tracce di torio, un metallo pesante più difficile da smaltire, più difficile da collegare in maniera univoca alle malattie che hanno portato alla tomba i pastori strappati alla terra in nome della giustizia. Senza nuovi risvolti, resta l'attesa per l'inchiesta madre nella quale sono indagati i militari Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois, Francesco Fulvio Ragazzon, Giuseppe Di Donato, Vittorio Sabbatini, Vincenzo Mauro, Walter Carta, i ricercatori Francesco Riccobono, Giuseppe Protano, Fabio Baroni, Luigi Antonello Di Lella, i chimici Gilberto Nobile e Gabriella Fasciani, il medico Pierluigi Cocco e il sindaco Walter Mura. 

mercoledì 9 maggio 2012

Quirra, il Senato pronto a varare misure urgenti

Mariella Careddu

www.unionesarda.it

Dopo l'audizione al senato italiano di ieri del pm Fiordalisi

Quirra, il Senato pronto a varare misure urgenti

 

 
PM Domenico fiordalisi


Un vertice d'urgenza sui veleni del poligono di Quirra. La commissione parlamentare è sotto choc. Alle dieci e mezza di ieri sera, il procuratore capo della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, conclude la sua relazione sugli effetti delle esercitazioni militari nel salto di Quirra: i politici capiscono che non c'è un attimo da perdere. Questo pomeriggio alle due, si riunirà l'ufficio di presidenza del Senato per adottare determinazioni urgenti.

L'INCONTRO A ROMA
Un fiume di parole iniziato alle otto e mezza di sera. Due ore di audizione e un faldone con centinaia di pagine che raccontano come il torio, l'amianto e le altre sostanze tossiche sprigionate dalle esercitazioni militari, abbiano impestato la terra e l'aria di quel quadrato grande più di dodicimila ettari, ma non solo. La bonifica dovrà andare oltre i confini catastali dell'area militare, perché l'inquinamento è più grave di quanto si potesse immaginare. 

I DATI DEL DISASTRO
Il pubblico ministero, che solo qualche giorno fa, ha chiesto il rinvio a giudizio per venti persone accusate di aver provocato il disastro e di aver omesso di denunciare la faccenda alle autorità competenti, ha sviscerato ogni aspetto della vicenda. I contenuti del colloquio sono stati secretati. Nel rapporto del procuratore, si va per capitoli. Si ripercorrono cronologicamente le tappe del disastro. Si elencano responsabilità e negligenze. Si evidenzia la pericolosità del torio, un metallo pesante, la cui incidenza è stata spesso sottovalutata. Più difficile da rintracciare attraverso i test, più difficile da smaltire, rispetto al ben più conosciuto uranio impoverito. 

LA COMMISSIONE
Ad ascoltare ogni dettaglio, c'erano i componenti della commissione parlamentare che deve fare chiarezza sui casi di morte e su quelli di malattia che hanno colpito il personale militare impiegato nei poligoni in Italia e all'estero. Tra i parlamentari, l'unico senatore sardo è Gian Piero Scanu del Pd. La relazione di Domenico Fiordalisi ha choccato tutti. Tanto che, alle dieci e mezza di sera, quando il pm si è congedato dai politici, è arrivata la decisione di non lasciar passare nemmeno un giorno in più. Bisogna fare in fretta, trovare una soluzione al più presto e far iniziare la bonifica per evitare che altri danni possano essere provocati in quell'area circondata da pascoli verdi, aziende agricole e centri abitati.


 
Un'esplosione nel poligono di Salto di Quirra

martedì 8 maggio 2012

Quel mistero di Sarsogna

Francesco Cesare Casula 

unionesarda

L'Isola dove tutti dormono e sognano e nessuno sa spiegare il perchè

Nemmeno uno scienziato inviato dall'Onu riesce a coronare la missione

Sogno Lucido
In mezzo a un vasto azzurro mare orlato d'antiche civiltà, insiste a vivere beata sotto il sol dell'avvenir un'isola di sogno, nella quale si dorme e si sogna, si sogna e si dorme, si dorme e si sogna in continuazione. Infatti, per questo, si chiama Sarsogna. 
 
L'ORIGINE
Chi le avesse dato per primo un simile nome, non si sa. I Greci achivi della Grecia e della Magna Grecia, in verità, la chiamavano Enipniona, che, poi, vuol dire sempre “la Dormiente che sogna”. Ma i più informati accademici odierni delle universias studiorum, accaniti latinisti, affermano nelle loro tesi dottorali di Filologia, Glottologia e Laringoiatria romanza che il nome deriva dal latino somnium. E ragionano così: i vecchi naviganti dell'alto mare aperto la conoscevano come ipsa insula somniat (che in italiano vuol dire “quell'isola sogna”…).
Nel corso del tempo secondo i dotti sarebbe caduta la ip e sarebbe rimasta solo la sa (chissà perché). Poi, la parola insula si sarebbe sott'intesa da sola ed eliminata in quanto ovvia.
Indi, dal II secolo a.Cr. in poi le chartae nauticae l'inscrissero col toponimo Sasognat. Ma, questo arbitrio non piaceva ai locali che spontaneamente aggiunsero una “r” eufonica e presero a chiamarla, fra un riposo e l'altro, Sarsognat. In ultimo, alle soglie del Medioevo, senza che nessuno se n'accorgesse (perché tutti dormivano), se n'è andata via quatta quatta la ”t” di coda per sfiducia nelle istituzioni. Ed eccoci giunti, così, a Sarsogna, come tutti oggi la studiano nei libri di geografia e di antropologia.
 
SU GOOGLE EARTH
Proprio così: di geografia e di antropologia; perché l'isola ha in sé una caratteristica unica al mondo, che la fa oggetto di attenti studi e ricerche nel campo delle risorse fisiche e morali umane. Per la parte fisica è presto detto. All'apertura serale di Google Earth risulta posizionata nell'emisfero nord della terra, a mezza strada fra il polo artico e l'equatore, in asse col meridiano londinese di Greenwich, ma un po' più a destra che a sinistra. Ha la forma di un cuscino stazzonato, tutto bozze e incavità al centro, sgualciture e spiegazzamenti ai lati. Contuttociò ha pochi porti, perché gli unici approdi li fecero i romani di passaggio, e ora, benché siano obsoleti e impraticabili (nelle banchine sud ed est), gli indigeni li reputano ancora congeniali, e sono troppo impegnati a dormire per pensare di riattarli coi tubi Innocenti, o, magari, farne uno nuovo in località Santa Pilla, da chiamarsi - potrebb'essere - Porto Alletto. 
 
GLI ABITANTI
Quanti abitanti annoveri, Sarsogna, nessuno lo sa con precisione: chi dice 20.000 chi 200.000 chi addirittura due milioni (pecore incluse). L'incertezza nasce dal fatto che nessun sarsognese è mai stato sveglio così a lungo da riuscire a compilare il formulario del censimento fino in fondo. Ma, di sicuro, quand'anche fossero 20.000, 200.000 o due milioni, essi sono ripartiti in otto, anzi dodici circoscrizioni che aspirano a diventare trentadue, come i denti dell'uomo/donna, in modo da poter masticare il cibo senza sforzo. Le circoscrizioni sono diverse le une dalle altre, e in competizione fra loro. Tutto dipende dalla postura dei dormienti. Nella circoscrizione di mezzo sono posizionati a pancia in su; in quella di sopra a pancia in giù. In quella di sotto dormono rannicchiati; mentre, in quelle di lato sono tutti distesi. E ognuno difende la propria posizione (che chiamano identità), anche a costo della vita.
 
IL MISTERO
Per cercar di capire perché i sarsognesi siano così addormentati tutti gli antropologi dell'orbe terraqueo si buttano a capofitto sull'antropologia culturale. Eppure, anche gli antropologi culturali, che di queste cose se n'intendono e sanno applicare l'olistica come se niente fosse, non riescono a spiegarsi il fenomeno sarsognese: «chi riesce andar via dall'isola dopo un giorno o due si risveglia del tutto e comincia pure a ragionare; chi invece arriva in Sarsogna sveglio e arzillo, pieno di buoni propositi, dopo due o tre giorni si assopisce e s'addormenta profondamente».
Alcuni antropologi, di non so dove, il primo giorno del loro arrivo, frastornati dal russare collettivo, andarono a chiedere lumi al governatore della regione. «Se non le sa lui, queste cose», pensavano, «non a caso sarà stato eletto governatore!».
Lo trovarono addormentato nell'alto scanno della sua autorità con un brutto cappello in testa per ripararsi dalla luce del sole. Cercarono di svegliarlo con cautela, poi scuotendolo leggermente, infine sbatacchiandolo vigorosamente tanto che il cappellaccio gli andò di traverso e rischiò di cadere. «Governatore - gridarono - perché dormite tutti?». Il governatore, di mala voglia, aprì un occhio (due sarebbe stato troppo), si aggiustò le manichette della giacca, quasi a chiedere loro salvifica ispirazione, ingurgitò la domanda, la rimuginò fra sé e sé, e infine trovò la soluzione: «Andate dallo storico di Palazzo, lui conosce senza dubbio la verità», e si riappisolò.
 
PANICO MONDIALE
Neanche lo storico ne cavò piede e anche l'Onu ne fu atterrita. Pensarono, allora, che la causa fosse l'aria («el aire pestilencial» sentenziarono gli ambasciatori di lingua spagnola, che ricordavano la malaria del passato). Tra il vedere e il non vedere, decisero ilico et immediate, all'unanimità, di mandare un drone (aereo senza pilota) per prelevare campioni di atmosfera insulare da analizzare. Niente da fare.
Per farla breve, alla fine diedero la colpa alle mosche (in effetti, la mosca tse-tse provoca il sonno). Chiesero alla comunità scientifica un entomologo che fosse disposto a paracadutarsi al centro dell'isola con tutta la sua attrezzatura (retini, microscopi, reagenti chimici, vettovaglie e tenda da campo) per osservare, catturare e, se del caso, vivisezionare i ditteri sospetti: le noiose mosche domestiche, le schifose mosche cavalline, le rare mosche bianche, le ruzzanti mosche cieche, le reticenti zitt'e mosca; insomma, la famiglia delle musciade al completo (padri, madri e figli).
 
LE MOSCHE
L'eroico scienziato volontario, calato giù dal cielo, perlustrò in lungo e in largo la campagna di Sarsogna sotto il sole cocente dell'estate acchiappando mosche a tutto spiano, tanto che a sera n'ebbe in suo potere un sacco pieno. Dalla contentezza non dormì neppure. Al lume della lampada acetilene si diede ad analizzare, anatomizzare, squartare teste, antenne, addomi, arti superiori ed inferiori delle povere bestiole ronzanti di paura, anelanti alla libertà. Purtroppo, col passar delle ore, si faceva palese l'insuccesso: nessun insetto pareva apportatore di sonno.
L'entomologo era disperato: per lui poteva essere il Nobel, la gloria, l'immortalità; invece, era la sconfitta, la vergogna, l'anonimato eterno. Si deterse il sudore dalla fronte, bevve dell'acqua dalla borraccia con mano tremante e s'apprestò ad escùtere l'ultimo vetrino dov'era spiaccicata la salma di una viscida mosca olearia, meglio conosciuta col nome latino di bactrocera oleae. «Mio Dio - pregò sommesso - fate che sia lei la colpevole». Già gli ciondolava la testa invasa dal torpore pomeridiano (si era al secondo giorno). Bisognava fare in fretta, molto in fretta. Nell'orgasmo dell'urgenza una goccia cadde accanto all'animaletto in osservazione. «Strano, disse l'entomologo, l'acqua che vedo non è del tutto pura…».
Effettivamente, insieme all'H2O il liquido mostrava sospette tracce di un lattice bianchiccio. «Vuoi vedere che…», pensò (non per nulla era un scienziato di fama internazionale!). Spostò il vetrino sul potentissimo microscopio elettronico per avere una scansione più dettagliata, e gli apparvero gli alcaloidi, le proteine, le cellule, l'enzima e gli idrocarburi di una secrezione che Wikipedia individuò proveniente da una pianta acquatica denominata euphorbia dendroides, ovverosia lua.
«La pianta - dice l'enciclopedia - è lattiginosa, con chioma spesso arrotondata, densamente ramificata, ma lassamente fogliosa. Tutta la pianta è tossica (un tempo questa specie veniva utilizzata per la pesca di frodo). Negli uomini, poche stille diluite nell'acqua provocano un sonno profondo». E tutti i bacini dell'isola ne erano invasi….!
 
EPILOGO
«Assassina!!!! - gridò l'entomologo - Ora ti denuncio al mondo intero!!!!". Ma, oramai, era troppo tardi: pure lui aveva bevuto il maledetto liquido, e i tre giorni di veglia erano scaduti. Cadde di schianto sul letto con l'inutile telefonino dell'accusa in mano, che faceva tu, tu, tu, a vuoto. Fu così che nobody in the world, nemmeno la CIA, seppe mai perché a Sarsogna si dorme e si sogna, si sogna e si dorme, si dorme e si sogna in continuazione.
 

Euforbia cespugliosa - portamento

lunedì 7 maggio 2012

Fukushima Il reattore n° 4 rilascia Cesio-137 i venti condannano la California

weeklyintercept

Technorati
Stephen Alexander

Se il reattore 4 a Fukushima diventa instabile e rilascia 10 volte la quantità di Cesio-137 (Cs-137) rilasciata al momento dell'incidente nucleare di Chernobyl, e i venti prevalenti potrebbero portarlo fino alla parte occidentale degli USA -che significa California .

Il 30 aprile 2012, 72 organizzazioni ONG hanno inviato una richiesta alle Nazioni Unite e al governo giapponese sollecitando la rapida azione per stabilizzare l'unità centrale nucleare di Fukushima Daiichi 4 combustibile nucleare esaurito.
Gli esperti nel settore nucleare sia  Giapponesi che nel mondo hanno approvato la lettera.

La lettera conteneva avvertimenti che l'unità
4  ha danneggiata la piscina del combustibile nucleare esaurito contiene cesio-137.
Questa piscina se è stata esposta a un terremoto o un altro evento che drena la piscina, quindi il risultato potrebbe essere un  catastrofico incendio radioattivo. La lettera ha esortato le Nazioni Unite a creare un vertice della sicurezza nucleare per trovare una soluzione al problema al'Unità di Fukushima Daiichi 4 e alla piscina del combustibile nucleare esaurito. La proposta ha indicatoto come le Nazioni Unite dovrebbero creare un team indipendente di valutazione relativa all'unità Fukushima Daiichi 4 e organizzare l'assistenza internazionale per stabilizzare il combustibile nucleare esaurito dell'unità e impedire la catastrofe imminente. La lettera è stata consegnata sia al Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon che al Primo Ministro giapponese Yoshihiko Noda.  
La seconda lettera ha incoraggiato il Giappone a chiedere ufficialmente aiuto alle Nazioni Unite.  Gli oltre 10.000 elementi di combustibile esaurito siti presso l'impianto di Fukushima Daiichi si trovano in piscine vulnerabili ai terremoti futuri. La radioattività è di circa 85 volte più alta e  duratura rispetto alla radioattività rilasciata a Chernobyl.

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