giovedì 9 giugno 2011

L'ITALIA CON LA SUA COLONIA (SARDEGNA) È UNA POLVERIERA ATOMICA..

Con questo striscione a favore del disarmo alcuni attivisti di Greenpeace hanno partecipato alla parata militare del 2 giugno organizzata per la festa della Repubblica. La richiesta è di ritirare i 90 ordigni nucleari presenti in Italia nelle basi di Aviano e Ghedi Torre.

disarmo italia

DI FEDERICO CENCI
agenziastampaitalia.it

Intervista al Prof. Alberto B. Mariantoni



I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi con un referendum sulla possibilità che il nostro Paese persegua una politica energetica nucleare.

Molte voci si stanno spendendo sul tema, riaprendo un dibattito che si era chiuso nel 1987, quando un altro referendum sancì, di fatto, l’abbandono, da parte dell’Italia, del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico. La questione tornò d’attualità nel 2008, anno il cui il governo Berlusconi decise di iniziare un iter legislativo teso al ripristino della produzione elettronucleare. Il fronte del no al nucleare, trasversale e incalzante, denuncia le potenzialità dannose che avrebbero centrali nucleari situate nel nostro territorio. Tuttavia, non tutti sanno che già attualmente in Italia il rischio di calamità nucleari non è affatto remoto, sebbene non siano attive centrali da quasi venticinque anni. Il professor Alberto Bernardino Mariantoni, esperto di politica estera e relazioni internazionali, per vent’anni inviato speciale in Vicino Oriente e corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra, ne individua il motivo nella presenza delle basi USA e Nato entro i nostri confini.

Professore, anzitutto ci chiarisca un equivoco. Si è molto dibattuto intorno al numero di basi USA presenti in Italia. Lei è autore di un’inchiesta dalla quale ne emergerebbe un numero che tuttavia molti osservatori hanno ridimensionato. Può spiegarci come stanno le cose dal suo punto di vista?

Cosa hanno “ridimensionato”? Ma sta scherzando? Certo, alcuni “osservatori”, come li chiama lei – e per la maggior parte anonimi… come sottolineo io – ci hanno provato e continuano sistematicamente ed interessatamente a provarci. Purtroppo per loro, con sole chiacchiere, sofismi dialettici o concettuali ed “arrampicamenti vari sugli specchi”… Affermando, ad esempio, che alcune di quelle che io chiamo basi, sarebbero in realtà dei “distaccamenti” o delle “sezioni militari” di “basi madre” più importanti, o semplici caserme italiane dove sarebbero acquartierati considerevoli e qualificati contingenti militari USA, o banali antenne radar, o centri di ascolto del sistema Echelon (sempre sotto controllo USA). Ma, per l’essenziale, la mia ricerca – sostenuta da fatti, prove e documentazioni incontrovertibili ed inoppugnabili – è sempre all’ordine del giorno, per inficiare o sbugiardare certe illazioni o diffamazioni.

Come le venne in mente di impegnarsi a realizzare la sua ricerca?

L’input per cercare di realizzare una ricerca sulle basi e/o le installazioni logistiche e militari Usa/Nato in Italia ed in Europa, ed Usa nel Mediterraneo, mi venne da una classica “soffiata”. In particolare, da un’imbeccata confidenziale di un Alto ufficiale della SETAF (Southern European Task Force) che mi fece avere una lista di basi, allora classificata Top Secret. Siccome, per principio, non mi fido di nessuno – e come sottolinea l’adagio, "Amicus Plato, sed magis amica veritas" = Platone mi è caro, ma la verità mi è ancora di più cara (Aristotele, Etica a Nicomaco, I, 4/1) – presi il coraggio a quattro mani ed andai a verificare de visu quanto mi era stato formalmente indicato. Capisce, quella “lista” poteva pure essere una provocazione, un tentativo di disinformazione o di manipolazione, per screditarmi professionalmente. Insomma, per evitare quel genere di rischi, presi il mio paziente “bastone di pellegrino” e, in sei o sette mesi di intense investigazioni e di sopralluoghi a mie spese, riuscii a realizzare, nel 2003/2004, l’inchiesta di cui stiamo parlando. La sintesi descrittiva di quella mia indagine, apparve, per la prima volta, sul numero 3, Ottobre-Dicembre 2005, della rivista di studi geopolitici, Eurasia. Questo, il link della rivista in questione: http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/numeri/EEkZAuuEEVgwWsJacN.shtml Quella mia ricerca, oltre a numerosissimi siti internet, venne ugualmente e successivamente ripresa, nel 2008, anche da Jura Gentium (rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale), a questo link: http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/wlgo/marianto.htm Last but not least, nel Maggio 2008, il programma televisivo Matrix (Canale 5 - Mediaset), allora diretto e condotto da Chicco (Enrico) Mentana, vi dedicò addirittura un’intera trasmissione. E con i giornalisti Roberto Pavone e Chiara Cazzanica, cercò parimenti, senza riuscirci, di minimizzare il significato ed il senso della medesima ricerca. Del reportage realizzato da questi ultimi, essendo da tempo inspiegabilmente scomparso dagli archivi video di quella trasmissione, ne troverà una sintesi privata su questo youtube:




Come spiega, allora, che nella sua lista, vi siano comunque alcune basi Usa/Nato che, in realtà, non esistono o sono inesattamente situate o impropriamente riferite?

Vede, pur ribadendo la serietà e l’accuratezza della mia ricerca, non ho nessun problema a confessare che nella lista originale delle basi e/o delle installazioni militari o logistiche USA e/o NATO (sotto controllo USA) da me pubblicata nel 2005, ci siano effettivamente alcuni errori. La ragione è semplice da spiegare: quegli “errori” furono, da me, volontariamente e vistosamente inseriti nella lista, per salvaguardare l’anonimato e l’incolumità del mio informatore iniziale. E, soprattutto, per impedire che Big Brother potesse risalire fino a lui e creargli dei problemi. In ogni caso, per rispondere in blocco a tutte le diverse e variegate “contestazioni” che, fino al 2008, mi erano state sollevate, ed evitare che – da quelle studiate ed interessate insinuazioni e calunnie – potessero scaturire ulteriori ed antipatici qui pro quo, mi decisi a pubblicare una dettagliata messa a punto della mia stessa inchiesta sul sito web del Coordinamento Progetto Eurasia (CPE) che troverà su questo link: http://www.cpeurasia.eu/305/basi-americane-in-italia-una-messa-a-punto Questo, naturalmente, senza contare che è stato il Pentagono stesso – in un suo documento ufficiale del 2007 (Department of Defense - Base structure report fiscal year 2007 baseline) – a confermare indirettamente la validità e la fondatezza della mia ricerca, come ognuno potrà facilmente verificare su questo link: http://www.defenselink.mil/pubs/BSR_2007_Baseline.pdf

Sostiene che in alcune di queste basi vi siano armi atomiche? Se sì, dove e in che quantità?

Non soltanto lo sostengo, ma – fino a prova del contrario – lo confermo e lo ribadisco. In altre parole, al momento della mia ricerca iniziale (2003/2004) e, almeno, fino a tutto il 2008, i Depositi nucleari statunitensi, in Italia, contavano (e contano ancora?) all’incirca 90 bombe, del tipo B-61-3, B-61-4 e B-61-10, (tutte unicamente sganciabili da caccia-bombardieri), con potenza media fra i 45 ed i 107 kilotoni, di cui 50 testate dislocate presso la base di Aviano, in provincia di Pordenone, e 40 in quella di Ghedi-Torre, in provincia di Brescia.

Queste armi possono essere usate dallo Stato italiano?

Ufficialmente, mia conoscenza, no! Il che non esclude che sulla base di uno dei numerosi Accordi segreti che sono stati siglati, dagli anni ’50 ad oggi, dal Servizi segreti Usa e quelli italiani, e mai ratificati dal Parlamento (art. 80 della nostra Costituzione) né dal Presidente della repubblica (art. 87), l’aviazione italiana – come forza militare della Nato e su ordine espresso di Washington – le possa utilizzare.

Reputa il cosiddetto Weapons Storage and Security System (WS3) un sistema efficace a scongiurare i rischi dovuti alla presenza di armi atomiche? Spieghi anzitutto in cosa consiste il WS3…

Come la stessa frase inglese lo indica, si tratta di un sistema di sicurezza per lo stoccaggio (sotterraneo) delle armi (atomiche). Messo a punto già dal 1976 e divenuto operativo nel 1988, il sistema in questione – interamente realizzato dalla ditta statunitense Bechtel International Inc. – permette l’immagazzinamento di testate nucleari, all’interno di tunnel individuali e compartimentati, scavati nel sottosuolo. Quel genere di gallerie sotterranee, nel gergo militare statunitense, posseggono anche un nome: Weapon Storage Vaults (WSV) o Sotterranei (a volta) di stoccaggio di armi. Gli Usa ne posseggono all’incirca 204 in tutta l’Europa, di cui 2 in Italia (Ghedi-Torre e Aviano). Quello di Rimini (il 3° che esisteva in Italia) è stato dimesso nel 1993. Ora, affermare che si tratti di un sistema di sicurezza, sicuro al 100%, a me sembra una scommessa! Chi potrebbe garantirlo, con assoluta certezza? Con il nucleare, come sappiamo, non si è mai sicuri di nulla. Certo, finché non succede niente o non vi sono incidenti o possibili fatalità o disgrazie, il sistema in questione può essere considerato sicuro. Ma, il giorno che dovesse esserci un qualunque problema, tecnico o umano, il numero e la potenzialità di quelle armi stoccate sul nostro territorio potrebbe improvvisamente ed imparabilmente trasformarsi in un’immane e funesta catastrofe generalizzata per l’intero nostro Paese!

E’ vero che anche nel mar Mediterraneo, entro le nostre acque territoriali, vi sono centrali nucleari che approdano nei nostri porti?

La maggior parte delle unità navali statunitensi, appartenenti alla loro 6ª Flotta del Mediterraneo, che sono (permanentemente o saltuariamente) ormeggiate nei nostri porti (Livorno, La Spezia, Gaeta, Napoli, Taranto, Sigonella, etc.) o scorazzano indisturbate all’interno dell’antico Mare nostrum, sono a propulsione nucleare. In modo particolare, l’intera flotta sottomarina Us-Navy che fino a qualche tempo fa era basata a La Maddalena-Santo Stefano (Sassari) e che, essa stessa, è stata costretta ad abbandonare, a causa dell’alto inquinamento che aveva prodotto in quelle acque. Ognuna di quelle imbarcazioni (incrociatori, portaerei e sommergibili), inoltre, è ordinariamente equipaggiata con non meno di 10 o 20 o 30 missili a testata nucleare del tipo Cruise Tomahawk, la cui capacità distruttiva di ognuno, supera largamente di 10 volte le bombe atomiche che furono sganciate dagli Usa, su Hiroshima e Nagasaki, nell’Agosto del 1945. Insomma, l’Italia – che ufficialmente, fino ad oggi, è un Paese denuclearizzato e la maggior parte dei suoi cittadini pensa addirittura, con uno dei referendum del 12 e 13 Giugno prossimi, di continuare a ratificarne la moratoria – è, nell’ignoranza e/o nell’indifferenza di ognuno, una vera e propria polveriera atomica, pronta ad esplodere in qualsiasi momento ed a cancellare definitivamente il nostro Paese dalla faccia della Terra. Questo, ovviamente, senza contare gli innumerevoli pericoli che, in tempi normali, l’eventuale fuga involontaria ed incontrollata di radiazioni potrebbe irrimediabilmente causare per la salute dei cittadini.

Queste unità sono impegnate attualmente in operazioni militari? Se sì, che tipo di pericoli possono derivare da questo fatto?

Molte delle unità navali della 6ª Flotta americana sono al momento impegnate militarmente a ridosso delle coste libiche, nel tentativo, unilaterale, arbitrario ed illegale – e non affatto giustificato, come spesso si tende erroneamente a credere, dalla “Risoluzione 1973” del Consiglio di sicurezza dell’ONU! – di costringere il Leader della Giamahiriya, Gheddafi, ad abbandonare il potere. E questo, nonostante il largo e provato sostegno che quest’ultimo continua a mantenere tra la popolazione del suo Paese, specialmente in Tripolitania. E’ vero che, allo stato attuale, le FF.AA. libiche (o quel che ne resta dopo 3 mesi di intensi e distruttivi bombardamenti Nato) non sembrano avere una qualsiasi capacità offensiva o controffensiva nei confronti della marina statunitense ed alleata (Francia + Gran Bretagna), ma se – per pura ipotesi – un missile o un’improvvisa ed imparabile azione kamikaze riuscisse comunque a centrare una qualunque di quelle navi da guerra con i loro arsenali atomici imbarcati, che succederebbe? Lascio volentieri al lettore, la possibilità di immaginare, a piacimento, l’intensità e l’ampiezza dell’eventuale catastrofe che ne potrebbe derivare, per la maggior parte di Paesi dell’area mediterranea!

A quasi settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale come si spiega l’occupazione, da parte delle forze militari statunitensi, dei nostri territori?

Si spiega semplicemente con il fatto che l’Italia è uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale. Quella guerra, infatti, noi Italiani – volens, nolens – l’abbiamo persa tutti. Anche coloro che pensano o credono (ingenuamente) o lasciano furbescamente credere (per la platea) di averla vinta dalla parte degli effettivi vincitori. Anche coloro che, nel 1945, non erano ancora nati. Anche coloro che, oggi – non solo non sono stati ancora concepiti, ma – non sono stati nemmeno immaginati, desiderati o vagheggiati dai loro possibili o probabili genitori! Questa, purtroppo, è la triste realtà… Per cercare di comprendere quanto sto tentando di trasmetterle, mi permetto di segnalarle questo mio vecchio articolo, intitolato: "8 Settembre… Liberiamoci dal tradimento”. Una volta letto e meditato, capirà il motivo per il quale l’Italia continua ad essere considerata da Washington come una sua colonia, ed i nostri soldati – che sono impegnati nelle varie “missioni militari” all’estero, in “guerre per la pace” (sic!) – dei banali Ascari o Meharisti del suo “Impero”.

Alla luce di quanto ci ha spiegato, ritiene che le campagne contro la costruzione di centrali nucleari abbiano un senso?

Non credo abbiano un senso… Al contrario, tendo piuttosto a considerare quelle campagne (ed il resto delle competizioni elettorali che si svolgono nel nostro Paese), il classico e proverbiale “coniglio di pezza” che è fatto ciclicamente e studiatamente “galoppare” davanti ai musi attoniti ed incuriositi dei soliti “levrieri scemi” della nostra svigorita ed ottenebrata società. Questo, per meglio continuare a nascondere o ad occultare, agli occhi dell’uomo della strada, il vero problema irrisolto del nostro tempo: quello, in particolare, dell’assoluto e non negoziabile recupero della nostra Libertà, Indipendenza, Autodeterminazione e Sovranità politica, economica, culturale e militare, sia come Nazione che come Stato. Senza quell’indispensabile, centrale e vitale riscatto – non solo dovremo continuare, in coatta o rassegnata sopportazione, a vivere e ad operare sine die all’interno della medesima “gabbia” che gli Usa ci hanno riservato dal 1945, ma – qualsiasi obiettivo (politico, economico, culturale e militare) che ci potrebbe essere proposto, consigliato o suggerito dai maggiordomi (di destra, di sinistra, di centro, di centro-destra o di centro sinistra) che seguitano a “governarci” per conto terzi, continuerebbe ad essere, come negli ultimi sessantasei anni, praticamente inaccessibile, irraggiungibile o inconseguibile. E nel migliore dei casi, nullo e non avvenuto!


Federico Cenci
Fonte: www.agenziastampaitalia.it/
Link: http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3861:nucleare-intervista-al-prof-alberto-b-mariantoni-litalia-e-gia-una-polveriera-atomica-&catid=4:politica-nazionale&Itemid=34

mercoledì 8 giugno 2011

La NATO scarica radiazioni con bombe all'uranio impoverito sui civili libici

«I proventi del petrolio Gheddafi li ha usati per sviluppare il Paese: strade, scuole, ospedali, università, case popolari a bassissimo prezzo, inizio di industrializzazione, sviluppo agricolo con l’acqua tirata su nel deserto ad una profondità di 600-800-1.000 metri. Due acquedotti portano l’acqua dal deserto alla costa, 900 km. a nord. Ha mandato le bambine a scuola e le ragazze all’università, ha abolito la poligamia e varato leggi in favore della donna anche nel matrimonio: ad esempio ha proibito di tener chiuse le ragazze e le donne in casa e nel cortile cintato di casa. Ha controllato e tenuto a freno l’estremismo islamico. I 100 mila cristiani, pur con molti limiti, godono di libertà di culto e di riunione. La Caritas libica è un organismo stimato e richiesto di interventi. In Libia ci sono circa 80 suore cattoliche e 10.000 infermiere cattoliche, oltre a molti medici».

E poi, chi ha dato alla Nato il potere di uccidere il tiranno? Può Dio benedire la Nato e i paesi della Nato che portano avanti da mesi una vera guerra contro un popolo, solo per togliere di mezzo un uomo, sia pure un tiranno? L’intervento umanitario iniziale sta assumendo i contorni di un crimine di stato. L’Onu aveva giustificato la “No fly zone”, per impedire che gli aerei libici bombardassero i ribelli della Cirenaica. Ma in pochi giorni le forze aeree della Libia vennero facilmente azzerate. Poi si è passati a bombardare i mezzi militari di terra che avanzavano verso Bengasi e si continua, da più di due mesi, a bombardare le città della Cirenaica, non per proteggere il popolo libico da Gheddafi, ma per la “caccia all’uomo” Gheddafi, il che sta scavando un abisso di odio di vendetta fra le due parti del paese, Tripolitania e Cirenaica, che erano e sono pro o contro il raìs. Mons. Martinelli ha più volte proposto, sostenuto da diversi appelli di Benedetto XVI (che l’ha ancora ricevuto pochi giorni fa), un cessate il fuoco e l’apertura di trattative diplomatiche fra le due parti della Libia. E ancora ultimamente ha denunziato l’Occidente che si è chiaramente schierato con la Cirenaica, quando ha detto che “bisogna tener conto di tutte e due le parti del popolo libico e del paese Libia”.

brevi note tratte da un articolo di padre Gheddo, su Asianews.


http://rolandotelesur.blogspot.com/













Rolando Segura

Fonte:
Gazzetta Avante!
Enviado especial de teleSUR a Libia



Foto: Rolando Segura. L'istruzione di base gli studenti sono in secondo periodo esame semestre.


La NATO ha avviato quasi 3.200 attacchi con bombe all'uranio impoverito contro la popolazione civile in Libia. Questa è la denuncia dell'inviato speciale di Telesur, Rolando Segura. Il numero totale di attacchi aerei lanciati dall'Alleanza Atlantica nei confronti della Libia è già oltre 8.400. Quasi il 40% di questi attachi ha coinvolto l'uso di munizioni all'uranio impoverito, ha rivelato il giornalista televisivo sudamericano nel suo profilo Twitter.

In Iraq, ad esempio, gli aggressori imperialisti usato abbondantemente proiettili contenenti detriti derivanti da un arricchimento del minerale. L'uranio impoverito è molto apprezzato dai militari, dal momento che è quasi due volte più denso del piombo e la capacità di perforazione è aumentata.

Oltre alle conseguenze dirette dei bombardamenti imperialista in Libia, è necessario tener conto del fatto che l'uranio impoverito è una sostanza radioattiva che causa gravi lesioni del tratto digestivo e renale, il cancro nei polmoni e nelle ossa e neuro-degenerative o malformazioni congenite in esseri umani.


L'esplosione di una munizione all'uranio impoverito raggiunge decine di migliaia di gradi centigradi e rilascia polveri altamente tossiche e inquinanti che possono viaggiare per migliaia di chilometri. La dispersione di queste particelle può durare per milioni di anni, quindi i suoi effetti sull'ambiente e gli abitanti delle zone colpite si perpetuano per generazioni.

Nel frattempo, gli attacchi contro Tripoli si intensificano su tutta l'area urbana della capitale. Secondo i dati raccolti dal giornalista di Telesur, dal momento che solo lo scorso Sabato, la forza aerea imperialista ha effettuato 54 attentati in cinque città. Almeno 19 persone sono morte e oltre 130 sono rimaste ferite in una serie di attacchi effettuati nei giorni scorsi.

La continuazione del offensiva si svolge nonostante l'Unione Africana nel suo appello ribadisca di essere a favore e per l'istituzione di un cessate il fuoco nel territorio. Il governo libico sostiene la chiama e insiste sul fatto che le Nazioni Unite, devono promuovere il dialogo e si suppone ne consegua , il far tacere le armi. Il governo guidato da Muammar Gheddafi ha continuato a rilasciare decine di ribelli prigionieri in un processo mediato da capi tribali del paese nordafricano.

Alla fine della settimana scorsa, Barack Obama e Nicolas Sarkozy, Presidenti degli Stati Uniti e Francia, rispettivamente, hanno insistito sul fatto che essi condividono "la stessa analisi, ovvero, che Gheddafi dovrebbe rinunciare al potere", ed a tal fine, la NATO è lì per "finire il lavoro ".


Foto: Rolando Segura. Casa Saif al Arab, figlio minore di Gheddafi. Medici francesi ha confermato la sua morte.


Fondi sovrani libici

"E 'impossibile sapere se c'era un intento economico nell'operazione contro Gheddafi. Quel che è innegabile è che la sua caduta avrebbe dato ottimo modo alle banche occidentali. Sarebbe la malversazione perfetta", ha detto uno specialista americano sentita la notizia a Lusa agency.

L'agenzia di stampa Lusa ha chiesto il parere di diversi esperti per esaminare il flusso di capitali e il riciclaggio di denaro e indagato che cosa sarebbe successo ai fondi sovrani della Libia, se il capo del governo fosse stato rovesciato.

" La conclusione è che le conseguenze sarebbe la scomparsa di somme appartenenti al popolo libico, dal momento che "Gheddafi non era più in condizioni pratiche e politiche di recuperare i fondi e invertire il processo di investimento in Occidente."

Un operatore finanziario direttamente legato alle operazioni di Libyan Investment Authority (LIA, la sigla in inglese), ha affermato l'agenzia "per quanto riguarda i prodotti deviato [finanziari], di grande complessità, la situazione è che nemmeno la fonte degli investimenti sa esattamente ciò che è stato fatto con il loro capitale".

Secondo Lusa, citando un esperto in materia di sanzioni, nel quadro delle transazioni finanziarie, che " I soldi possono andare dopo e fino all'eternità. Non solo alle autorità internazionali, ma anche, naturalmente, al proprietario del denaro".

"Se il proprietario del denaro sparisce, i soldi non reclamati rimangono, per così dire, perché all'origine vi era un investimentoche è stato fatto politicamente in segreto. Questa è la situazione della fase attuale di Gheddafi," ha riassunto la fonte.


Il primo ministro britannico, David Cameron dopo aver ucciso il figlio di Gheddafi e nipoti alla NATO, ha dichiarato: "Sono aid che non sono diretti che a particolari individui" e gli obiettivi sono orientati a evitare la morte di civili¨



sabato 4 giugno 2011

Fukushima, situazione dopo circa 3 mesi dall’incidente

FOLLIAQUOTIDIANA

Un team di tecnici della IAEA si è recato presso la centrale nucleare di Fukushima, danneggiata gravemente dallo tsunami generato dal terremoto dell’11 marzo 2011, per valutare la situazione. In via preliminare è stato pubblicato un riassunto sul rapporto [2]

Cause dell’incidente

A seguito delle scosse sismiche avvenute l’11 marzo, le centrali nucleari giapponesi, tra cui Fukushima, si sono automaticamente spente per l’attivazione delle misure antisismiche presenti nelle centrali. Di seguito, come previsto, si sono attivati i sistemi di generazione elettrica di emergenza, costituiti da motori diesel. Circa 46 minuti dopo l’inizio del sisma le onde dello tsunami causato dal sisma stesso hanno raggiunto le coste. Nei pressi di Fukushima I le onde avevano un’altezza di 14 metri e il complesso della centrale poteva resistere ad onde alte un massimo di 5,7 metri. Le onde hanno sommerso i generatori e sono penetrate in profondità all’interno del complesso, causando l’avaria di tutti i generatori elettrici tranne uno.

Conseguenze

La disattivazione dei generatori esterni ha avuto molteplici conseguenze. Innanzitutto si sono spenti tutti gli strumenti di controllo e monitoraggio dei reattori, assieme alla perdita di comunicazioni interne ed esterne alla centrale. Poiché nelle centrali nucleari le reazioni nucleari continuano anche dopo lo spegnimento, la perdita di energia esterna dai reattori ha comportato l’assenza di sistemi di raffreddamento, che fanno circolare il liquido di raffreddamento attraverso le barre del reattore. Infatti sia il combustibile interno al reattore che il combustibile esaurito devono essere continuamente raffreddati con acqua per contrastare la generazione di calore. Il combustibile esaurito viene estratto dal reattore e inserito in apposite vasche di stoccaggio. bwr_markI

Senza il sistema di raffreddamento che smaltisce il calore generato dal combustibile, il liquido di raffreddamento (acqua) ha iniziato ad aumentare di temperatura, bollire e trasformarsi in vapore. Conseguentemente, la pressione all’interno del reattore è iniziata ad aumentare. Per mantenere la pressione stabile, il vapore viene inviato attraverso una vasca circolare a forma di toro che si trova sulla base del reattore. Quando la vasca raggiunge la saturazione, ovvero non può più assorbire calore, inizia a bollire e aumenta la pressione. Per evitare di raggiungere livelli critici, il vapore può essere fatto fuoriuscire all’esterno attraverso condotti di ventilazione.

Ma la fuoriuscita di vapore causa la fuoriuscita di acqua, il cui livello decresce all’interno del reattore. Se il livello diminuisce troppo le barre di combustibile vengono scoperte e non riescono ad essere raffreddate. Se la temperatura aumenta sopra ad un certo livello, le barre iniziano a danneggiarsi con la fusione del combustibile, il quale si raccoglie nella parte inferiore del reattore. Il combustibile fuso può danneggiare il contenimento del reattore, facendo fuoriuscire acqua radioattiva e anche il combustibile stesso.

Situazione dei reattori

Reattore numero 1

Nei primi giorni dopo l’incidente, le temperature elevate hanno fatto bollire l’acqua aumentando la pressione del vapore. Gli operatori decisero di ventilare il vapore inizialmente nel contenimento primario e successivamente nel contenimento secondario. Ma il rivestimento di zirconio delle barre di combustibile scoperte ha fatto reazione con il vapore acqueo, producendo idrogeno. Quando l’idrogeno ha raggiunto il contenimento secondario si è incendiato con l’ossigeno e ha causato un’ esplosione che ha danneggiato l’edificio, distruggendo il tetto. Nel frattempo il combustibile ha iniziato a fondere nell’arco di qualche giorno ed è precipitato sul fondo del reattore. Attualmente è sommerso dall’acqua, ma potrebbe aver danneggiato la parete del contenitore primario [6]. La TEPCO ha iniziato a iniettare acqua marina per ripristinare il livello. Inoltre, per evitare la formazione di idrogeno è iniziata l’iniezione di azoto [1]. La fusione del combustibile è stata confermata il 12 maggio dalla TEPCO, aggiungendo che un possibile danneggiamento del contenimento del reattore potrebbe aver fatto fuoriuscire acqua altamente radioattiva nel contenimento primario [6]. Se anch’esso è stato danneggiato, l’acqua potrebbe aver raggiunto altre parti dell’edificio. Il 13 maggio la TEPCO ha iniziato l’installazione [1] di una copertura per il reattore 1, in modo da prevenire la dispersione delle sostanze radioattive fino all’implementazione di misure per il medio-lungo periodo.

Reattore numero 2

Nei primi giorni si sono verificati gli stessi fenomeni, ma sono avvenute due esplosioni gravi che hanno coinvolto il contenimento primario. Quando gli operatori tentarono di pompare acqua di mare all’interno del contenitore a pressione, si accorsero che le valvole erano chiuse e bloccate. Questa situazione ha impedito la fuoriuscita del vapore e l’iniezione di acqua di mare. Le barre sono rimaste scoperte per circa sei ore e quasi sicuramente iniziarono una parziale fusione. L’idrogeno si raccolse nella camera toroidale sotto al reattore ed esplose. Il contenimento primario rimase danneggiato. Inoltre il combustibile fuso ha contaminato l’acqua con materiale radioattivo e il danno al contenimento ha permesso all’acqua radioattiva di fuoriuscire.

Reattore numero 3

Anche nel reattore 3 gli eventi si sono succeduti in modo analogo. Tuttavia gli operatori sono riusciti a inserire acqua di mare all’interno del reattore, riducendo la temperatura. Purtroppo la formazione di idrogeno ha causato una esplosione. Dal 16 marzo viene avvistato del fumo bianco, probabilmente proveniente dal contenimento primario e radioattivo. Lo status del contenimento primario non è ancora accertato. Nella vasca di stoccaggio si sono verificati gli stessi problemi del reattore, e si è provveduto a gettare acqua dall’esterno attraverso elicotteri e autocarri.

Il livello inferiore degli edifici delle turbine dei reattori 1 e 3 sono allagati con acqua altamente radioattiva, che viene trasferita in un sistema di trattamento dei rifiuti radioattivi e in vasche di stoccaggio temporanee.

Reattore numero 4

Il reattore numero 4 era spento, ma come per gli altri reattori possiede combustibile esaurito nella vasca di stoccaggio. L’aumento di temperatura in tale vasca ha causato la scopertura del combustibile, il suo danneggiamento con parziale fusione e la formazione di idrogeno. L’idrogeno ha causato in incendio in cui ha preso fuoco dell’olio [6] lubrificante contenuto in macchinari posti nei pressi della vasca.

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Nell’immagine sopra, la situazione dei quattro reattori. Da sinistra il reattore numero 4, numero 3 (con fuoriuscita di fumo bianco), numero 2 e numero 1. Ad eccezione del reattore numero 2, le esplosioni di idrogeno hanno danneggiato gravemente gli edifici.

Misurazioni della radioattività nell’acqua marina

Nei pressi del reattore 2 la radioattività nell’acqua marina [4] dovuta al Cs-134 e Cs-137 è passata da oltre 100 MBq/L a circa 5 kBq/L il 7 maggio, ma è aumentata nuovamente a 20 kBq/L il 16 maggio e a 10 kBq/L il 17 maggio. Successivamente la radioattività è scesa lentamente a 2 kBq/L ma è aumentata a 5 kBq/L il 29 maggio. Le concentrazioni di I-131 sono molto variabili: il 28 e 29 maggio era attorno a 20 kBq/L.

Le ultime misurazioni nei pressi del reattore 2 mostrano che la radioattività è circa 55 volte il limite per il Cs-137 e 500 volte il limite per lo I-131.

La situazione dettagliata dei reattori è riassunta dalla IAEA in base ai 5 parametri seguenti: Controllo della reattività, Ripristino del raffreddamento, Integrità del contenimento, Confinamento del materiale radioattivo, Mitigazione delle fuoriuscite delle radiazioni.


Obiettivi Unità 1 Unità 2 Unità 3 Unità 4
Controllo della reattività Il reattore deve essere in condizione subcritica. Raggiunta Raggiunta Cautela

In via precauzionale viene iniettato acido borico

Cautela

Devono essere compiute ulteriori analisi

Ripristino del raffreddamento La temperatura del liquido di raffreddamento deve essere stabile. Il combustibile deve essere interamente ricoperto dall’acqua. Deve essere disponibile la generazione di energia esterna. Deve essere possibile stabilire un sistema a ciclo chiuso e a lungo termine di raffreddamento. Non raggiunto

Livello d’acqua inferiore al previsto. Confermata la fusione del combustibile all’interno del reattore che si è raccolto nella parte inferiore del contenitore. Generatori diesel in funzione. Iniezione di acqua dall’esterno

Non raggiunto

Generatori diesel in funzione. Iniezione di acqua dall’esterno

Non raggiunto

Generatori diesel in funzione. Iniezione di acqua dall’esterno

Parzialmente raggiunto

Generatori diesel in funzione. Iniezione di acqua dall’esterno

Integrità del contenimento Il contenitore deve essere senza perdite. La pressione deve essere entro i limiti. Le esplosioni di idrogeno devono essere prevenute. Non raggiunto

Iniezione di azoto all’interno del reattore per impedire la combustione dell’idrogeno. La fusione del combustibile potrebbe aver messo in pericolo l’integrità del contenimento.

Non raggiunto

Contenitore del reattore danneggiato. Deve essere verificata la fusione del combustibile. Edificio danneggiato dall’esplosione di idrogeno.

Non raggiunto

Perdita di pressione il 20 marzo per cause sconosciute. Frattura nel contenimento primario con fuoriuscita di vapore


Confinamento del materiale radioattivo Il contenitore del reattore deve essere senza perdite, o le perdite devono essere confinate. Parzialmente raggiunto

Il contenitore del reattore presenta delle perdite. La posizione della perdita non è stata identificata.

È iniziata l’installazione di una copertura del reattore

Non raggiunto

Il contenitore del reattore presenta delle perdite. Deve essere installata una copertura del reattore

Non raggiunto

Il contenitore del reattore presenta delle perdite, La posizione della perdita non è stata identificata.

Cautela

Le barre di combustibile sono completamente immerse nell’acqua, ma è necessario il monitoraggio dei vari parametri

Mitigazione delle fuoriuscite di materiale radioattivo
Parzialmente raggiunto

Sono stati osservati dei rilasci intermittenti di materiale radioattivo. Installato un sistema di filtraggio per il controllo della radioattività nel ventilamento.

Parzialmente raggiunto

Sono stati osservati dei rilasci intermittenti di materiale radioattivo. Continua ad essere emesso del “fumo bianco”. L’acqua radioattiva viene trasferita in appositi siti di trattamento/stoccaggio

Parzialmente raggiunto

Sono stati osservati dei rilasci intermittenti di materiale radioattivo. Continua ad essere emesso del “fumo bianco”.

Cautela

Secondo quanto riferito da TEPCO le barre di combustibile possono essere ipotizzate come intatte, ma è necessario confermare questa situazione

Note:
[1] IAEA, Fukushima Nuclear Accident Update Log
[2] IAEA International fact finding expert mission of the nuclear accident following the great east Japan earthquake and tsunami – Preliminary Summary, 1 june 2011
[3] IAEA Summary of Reactor Status (2 June 2011) http://www.slideshare.net/iaea/summary-of-reactor-unit-status-2-june-2011
[4] Concentrazioni nell’acqua marina limite stabilite dall’OMS: 40 Bq/L per lo I-131 e 90 Bq/L per il Cs-137.
[5] Nuclear Energy Institute, Frequently Asked Questions: Japanese Nuclear Energy Situation (Updated 23 may 2011) http://www.nei.org/filefolder/FAQs_Japanese_Nuclear_Situation_05232011.pdf
[6] IEEE Spectrum, Explainer: What Went Wrong in Japan’s Nuclear Reactors http://spectrum.ieee.org/tech-talk/energy/nuclear/explainer-what-went-wrong-in-japans-nuclear-reactors
[7] Immagine tratta da Reactor Concepts Manual – Boiling Water Reactor pubblicato da NRC all’indirizzo http://www.nrc.gov/reading-rm/basic-ref/teachers/03.pdf. Annotazioni mie.

giovedì 2 giugno 2011

Dalla Germania stop al nucleare

Reiner Metzger,
Die Tageszeitung
Germania

Perché in Germania nessuno festeggia l’abbandono del nucleare deciso dal governo? Tutti i giornali del mondo ne parlano, solo i tedeschi non hanno capito bene cosa succederà ora. Riassumiamo: nove centrali continueranno a funzionare per altri dieci o al massimo undici anni, otto verranno definitivamente chiuse. Non si potranno ritardare i tempi dell’uscita dal nucleare, al massimo si potrà anticiparli.

Un governo di centrodestra, quindi, sta lavorando per dire presto addio al nucleare. Pazzesco, no?
Certo, sarebbe stato meglio se cristianodemocratici e liberali l’avessero fatto prima. Ma il cambio di rotta, a cui Angela Merkel e il suo governo sono stati costretti, avrà comunque importanti conseguenze politiche.

Fino a sei mesi fa, secondo i calcoli del governo Merkel, i reattori nucleari sarebbero dovuti rimanere attivi oltre il 2030. Ora si parla di chiuderli entro il 2022, a metà percorso. Siamo dunque di fronte a una vittoria schiacciante del movimento antinucleare, che ha continuamente tenuto vivo il dibattito e avanzato proposte per imboccare la strada delle energie alternative. Anche se solo dopo la catastrofe di Fukushima in Germania c’è stata una “rivolta” popolare che ha costretto Merkel a cambiare rotta. Ovviamente le industrie del settore proveranno a ottenere ulteriori proroghe. Ma, se venissero accontentate, il prezzo politico di una nuova inversione di marcia sarebbe troppo alto per chiunque.

Dopo l’annuncio della rivoluzione energetica tedesca ci sarà tempo fino al 2020 per creare le condizioni necessarie all’uso intenso di fonti rinnovabili. Ora, con l’addio al nucleare, bisognerà disfarsi anche del carbone, per poi ridurre il consumo di petrolio e gas. La dipendenza dal petrolio e dal suo prezzo ballerino non è solo dannosa per l’ambiente, ma è anche un pericolo per l’economia tedesca e la sicurezza nazionale.

Come con l’energia nucleare in passato, anche per l’uso delle energie rinnovabili su larga scala non si tratta solo di capire che bisogna cambiare, ma anche che bisogna avere il coraggio di farlo e di farlo presto. Avremo ancora bisogno, quindi, dei militanti ambientalisti. Ma intanto è giusto fargli i complimenti per questa grande vittoria.

martedì 31 maggio 2011

Sarkozy e Cameron preparano lo sbarco in Libia

Manlio Dinucci

Fonte: www.ilmanifesto.it

Al termine del G8, il presidente francese Sarkozy ha annunciato che si recherà a Bengasi insieme al premier britannico Cameron, dato che «abbiamo le stesse idee». Essenzialmente una: «Mediare con Gheddafi non è possibile». La stessa idea l’ha espressa il presidente Obama: «Non allenteremo finché il popolo libico non sia protetto e l’ombra della tirannia scomparsa». In parole povere, si stanno preparando a occupare la Libia.

E mentre il G8 chiede a Tripoli «l’immediata cessazione dell’uso della forza», la Nato intensifica le incursioni aeree che, in meno di otto settimane, hanno superato le 8.500. Partono per la maggior parte dalle basi nel meridione d’Italia, rifornite dalle altre. Pisa è continuamente sorvolata da C-130J e altri aerei cargo che, dall’aeroporto militare, trasportano alle basi meridionali le bombe e i missili della base Usa di Camp Darby (prefigurando cosa avverrà quando entrerà in funzione l’Hub aereo nazionale, da cui transiteranno tutti i militari e i materiali diretti ai teatri operativi). Che gli attacchi aerei preparino lo sbarco, lo conferma l’entrata in azione di elicotteri francesi Tigre, probabilmente affiancati da Apache britannici.

Ancora più significativo l’arrivo nel Mediterraneo di un imponente gruppo navale da attacco, guidato dalla più moderna e potente portaerei nucleare della classe Nimitz, battezzata George H.W. Bush, in onore del presidente che nel 1991 fece nel Golfo la prima guerra del dopo guerra fredda (oggi siamo alla quinta). Lunga 333 m e larga 40, ha a bordo 6mila uomini, 56 aerei (che possono decollare a 20 secondi l’uno dall’altro) e 15 elicotteri, ed è dotata dei più sofisticati sistemi di guerra elettronica. E’ quindi una grande base militare mobile. E’ allo stesso tempo una centrale nucleare mobile: ha due reattori ad acqua pressurizzata PWR A4W/A1G, il cui vapore aziona le turbine delle quattro eliche. Una centrale nucleare che, pur avendo a bordo reattori più pericolosi di quelli di Fukushima, entrerà nella baia di Napoli e in altri porti.

La portaerei George H.W. Bush è affiancata da un gruppo di battaglia formato dai cacciatorpediniere lanciamissili Truxtun e Mitscher, dagli incrociatori lanciamissili Gettysburg e Anzio e da otto squadriglie aeree. Va a rafforzare la Sesta flotta, il cui comando è a Napoli, affiancandosi ad altre unità, tra cui i sottomarini nucleari Providence, Florida e Scranton. Si è aggiunto alla Sesta flotta anche uno dei più potenti gruppi da attacco anfibio, guidato dalla Uss Bataan, che da sola può sbarcare oltre 2mila marines, dotati di elicotteri e aerei a decollo veriticale, artiglieria e carrarmati. E’ affiancata da altre due navi da assalto anfibio, la Mesa Verde e la Whidbey Island, che ha effettuato il 13-18 maggio una visita a Taranto. Quest’ultima ha a bordo quattro enormi mezzi da sbarco a cuscino d’aria che, avendo un raggio d’azione di 300 miglia, possono trasportare velocemente fin sopra la costa 200 uomini alla volta, senza che la nave sia in vista. Tutto è pronto, dunque, per lo sbarco «umanitario» in Libia. Agli europei l’onore di sbarcare per primi, sotto le ali protettrici della portaerei Bush.


portaerei USA Bush

domenica 29 maggio 2011

SE L'AFRICA HA IL MAL D'EUROPA


ilfatto.it/

DI MASSIMO FINI

Siamo continuamente sollecitati a versare, anche via sms, un obolo per l’Africa nera, soprattutto per i bambini che non hanno scuole, che non possono usufruire di un’educazione come si deve, che muoiono di malattie da noi curabilissime, come il tifo, o scomparse da tempo come la malaria. Alcune aziende, per accattivarsi i possibili clienti, dichiarano che uno o due euro saranno destinati ad aiutare l’Africa. Quando questi soldi arrivano a destinazione, se vi arrivano, sono maneggiati da ong che, animate dalle migliori intenzioni, li utilizzano per certi progetti in loco.

A queste ‘anime belle’ voglio raccontare la storia di Nana Konadu Yadom, una Ashanti, antichissima tribù dell’Africa nera, regina di un piccolo villaggio, Besoro, immerso nella giungla subtropicale del Ghana.

Quando è ancora principessa Nana parte per l’Italia perché vuole incontrare una suora di cui ha sentito parlare e l’ha affascinata. Al momento di partire è presa da qualche dubbio guardando i volti luminosi, gli occhi limpidi, sereni della sua gente e i mille bambini che scorrazzano allegramente. Ma parte. L’impulso alla conoscenza è più forte. Prima di raggiungere la suora, che dovrebbe stare, secondo vaghe indicazioni, in una città del Nord, si ferma in Sicilia dove, per vivere, si adatta a fare la colf. Quando raggiunge la città della suora, Schio, viene a sapere che è morta da cinquant’anni. Si ferma a Schio, sempre come domestica. Del nostro Paese non ha una percezione negativa, ne ammira le conquiste, anche se nota che tutti hanno sempre una tremenda fretta, vanno di corsa, sono ossessionati da uno strano strumento, l’orologio, tutte cose sconosciute a Besoro, anche perché a Besoro l’orologio non esiste, ci si regola con il levar del sole e quando l’ombra lambisce le radici di un certo baobab.

Nel frattempo a Besoro la regina morente, che è sua zia, l’ha nominata per la successione. Ma Nana rimane ancora un po’ in Italia. Diventa un caso: una regina che fa la sguattera! Finisce sui giornali. Per un pelo non la portano all’Isola dei Famosi. Dopo diciotto anni in Italia, Nana torna al suo villaggio, richiamata dal Consiglio degli Anziani perché adempia ai suoi doveri di regina. Ormai partecipe delle due culture Nana vuole portare qualche innovazione a Besoro, niente di grandioso: una piccola scuola, un piccolo ospedale. Costruito questo il medico, un nero pure lui, le fa notare che l’ospedale è inutile se non si costruisce anche un pozzo in modo che i bambini e gli adulti di Besoro non si abbeverino a un laghetto putrido dove si infettano. Comincia così una nota trafila da cui non si esce più. I bambini si ammalano di meno, ma Nana nota con sorpresa, che gli abitanti sono diventati tristi, non hanno più i volti luminosi, gli occhi limpidi, felici, mentre è comparsa una malattia mai vista a Besoro, l’ipertensione.

Il virus occidentale ha rotto equilibri ancestrali. Il primo a squagliarsela è il cacciatore Coio che torna nella foresta, poi altri, infine anche il tranquillo zio Ofa se ne va, mentre uno che lavora in ospedale le dice con una voce quasi infantile: “Io non posso vivere con l’orario”. L’esperimento è stato fallimentare.

Mi piace concludere questo apologo con le parole di Andrea Pasqualetto, il giornalista che ha raccolto il racconto della regina Nana Konadu Yadom per un libro che uscirà prossimamente da Marsilio: “Chi l’ha detto che l’Africa nera deve essere aiutata? Chi l’ha detto che servono scuole, ospedali, pozzi? Servono a chi? Agli africani o a noi?”.

Massimo Fini
Fonte:
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/29/se-l’africa-ha-il-mal-d’europa-siamo/114309/

sabato 28 maggio 2011

Usa,violati i piani del supercaccia F-35 Lightning II

Unknown hackers have broken into the security networks of Lockheed Martin Corp (LMT.N) and several other U.S. military contractors, a source with direct knowledge of the attacks told Reuters.



"Abbiamo le politiche e le procedure in atto per attenuare le minacce informatiche per il nostro business, e siamo fiduciosi nella integrità del nostro robusto, a più livelli dei sistemi di informazione-sicurezza multi", ha detto il portavoce della Lockheed Jeffery Adams.

Hacker rubano i progetti dai server

I piani del Pentagono per la costruzione del caccia d'attacco F-35 Lightning II, il più costoso progetto mai affrontato dalla Difesa degli Stati Uniti, sono stati violati da misteriosi hacker. I pirati informatici sono riusciti a scaricare diversi dati sul supercaccia (conosciuto anche come JSF, Joint Strike Fighter), ma non hanno avuto accesso ai dati più sensibili. Solo perché questi sono custoditi in computer non collegati a internet.

Secondo il Wall street journal, che riporta la notizia dell'intrusione informatica citando fonti dell'attuale e precedente governo americano, non è chiaro chi siano gli hacker responsabili, anche se alcuni attacchi informatici sembrano provenire dalla Cina (ma ciò non prova nulla, perché si potrebbe trattare di identità mascherate).

Gli attacchi ai server del progetto JSF non sono nuovi: i primi risalgono al 2007, ma si sono intensificati negli ultimi sei mesi. E non tutti sono passati dal Pentagono: il problema della sicurezza, in questo caso, è molto più vasto perché le intrusioni sono avventue, per la maggior parte dei casi, nei sistemi informatici di ditte esterne o di Paesi alleati che collaborano al progetto del nuovo caccia americano (tra i quali c'è anche l'Italia). Uno degli attacchi è passato dalla Turchia, un secondo da un altro Paese che non è stato specificato.

Le nuove intrusioni hanno riportato alla luce un problema noto da tempo: l'assenza di un'agenzia governativa o di un ufficio militare preposti alla sicurezza informatica: proprio per questo l'amministrazione Obama potrebbe presto varare una nuova agenzia di cyber-007.

Il Pentagono smentisce
Il Pentagono e la Lockeed Martin hanno smentito la notizia. L'attacco, hanno di fatto spiegato i portavoce, c'è stato ma i pirati informatici (forse cinesi secondo il giornale) non sono riusciti a rubare nulla. "Non sono informato di alcun tipo di preoccupazione (sul furto)", ha spiegato il portavoce della Difesa Bryan Whitman riferendosi al progetto monstre da 300 miliardi di dollari con cui gli Usa acquisteranno 2.443 F-35.

domenica 22 maggio 2011

Un fantasma si aggira per la Spagna... e l'Europa: la crescente impopolarità dell'U. E.

“Non siamo una merce in mano a politici e banchieri”
Un fantasma si aggira per la Spagna...


Javier Fernández Retenaga

Per concessione di Tlaxcala

Tradotto da Aurora Santini

Alla vigilia delle elezioni autonomiche e municipali, migliaia di giovani stanno occupando le piazze delle principali città della Spagna. Seguendo l'esempio delle rivoluzioni arabe, giovani e meno giovani si sono organizzati attraverso diverse piattaforme internet ed hanno deciso di scendere in strada per mostrare la propria indignazione.


“La chiamano democrazia e non lo è”, “Non è la crisi, è una truffa”, “Non siamo una merce in mano a politici e banchieri” sono alcuni dei loro motti. Si mobilitano senza sigle né dirigenti, delusi dai tradimenti delle grandi organizzazioni politiche e sindacali e dal frequente settarismo di quelle piccole. Nonostante abbiano sempre agito in modo pacifico, la stampa dominante ed i politici professionisti hanno cercato di tacciarli come "violenti", dapprima per guadagnarsi il consenso dell'opinione pubblica e poi per giustificare la repressione. Non ci sono riusciti e le mobilitazioni si stanno guadagnando le simpatie della gente. Ora, timorosi, i politici del regime dicono di “comprendere” la rabbia popolare.

La Giunta elettorale centrale, per un risultato stretto di cinque voti contro quattro e dopo un po' di polemiche, ha deciso di proibire le mobilitazioni di sabato e domenica. Successivamente, la Giunta elettorale provinciale di Madrid ha proibito la manifestazione di oggi (venerdì), per la quale era stato richiesto un permesso. Va messo in evidenza che la convocazione di manifestazioni al di fuori delle giornate di riflessione è tutelata dalla Legge. Di fronte a queste risoluzioni ufficiali, i manifestanti, che evitano espressamente di esporre messaggi di nessun partito, dichiarano di non voler chiedere il voto per nessuna formazione politica, ragion per cui ritengono che la risoluzione della Giunta non sia giustificata e si propongono di proseguire con le mobilitazioni.

La rivolta inizia adesso ad estendersi ad altre città d'Europa e del mondo (Ecco qui sotto l'immagine ed il link al mappamondo delle mobilitazioni: http://www.thetechnoant.info/campmap/):


La crescente impopolarità dell'Unione Europea


Vicenç Navarro

Tradotto da Alba Canelli
Editato da Aurora Santini

L'Unione europea ha un problema serio. Stanno emergendo movimenti popolari anti-Unione Europea (UE) in quasi tutti i paesi membri di quest'entità politico-amministrativa. E' vero che l'UE non è mai stata un concetto popolare. In realtà, nacque per iniziativa di alcune élite che volevano creare un mercato comune per il quale c'era bisogno di una moneta, l'euro, che andò a sostituire le monete nazionali della maggior parte dei paesi dell'UE. Solo nel Sud Europa quei paesi che hanno sofferto dittature fasciste o fascistoidi (Spagna, Grecia e Portogallo), l'UE ha generato un certo entusiasmo, poichè l'Europa rappresentava per la popolazione di questi paesi la speranza di sfuggire alle odiate dittature e realizzare il sogno democratico comune assunto nel resto d'Europa. Ancora oggi, l'UE è il sogno di alcuni movimenti secessionisti, come il movimento indipendentista catalano, che vede nell'Europa il modo di rendersi indipendente dallo stato spagnolo. Ma, del resto, l'UE non è mai stata molto popolare e ora è fortemente contestata da vasti settori delle classi popolari. Perché?

LA SPIEGAZIONE DELLA CULTURA IDENTITARIA
Una delle spiegazioni più frequentemente date a questo fatto è l'esplicazione dell'identità culturale secondo cui questo distanziamento (supponendo erroneamente che vi fosse in precedenza una vicinanza) dall' Europa, è una conseguenza della disgregazione di un'identità comune - quella europea – la quale è andata via via svanendo con i movimenti migratori che hanno caratterizzato l'istituzione di tale entità. Inutile dire che le migrazioni che hanno avuto luogo tra i paesi dell'UE e tra l'UE ed i paesi in via di sviluppo (ed in particolare il mondo islamico) hanno accentuato delle tensioni sociali che hanno ravvivato il senso di appartenenza e d’identità, essendo considerata l'immigrazione una minaccia all'identità nazionale, ed essendo attribuita l'immigrazione all'istituzione dell'UE, con il suo impegno per la mobilità delle persone al suo interno.

Foto Francesco Cascioli

Questa spiegazione culturale-identitaria, tuttavia, è chiaramente insufficiente, poiché evita la questione del perché questo rifiuto accade ora e non prima. Tale spiegazione non risponde nemmeno al perché s'identifica l'immigrazione con l'istituzione dell'UE. In realtà, come sottolineato da Goran Therborn, uno degli analisti più acuti della realtà europea, l'Europa è un continente basato sull’immigrazione, caratterizzato da una varietà etnica maggiore persino degli Stati Uniti, considerati come il paese basato sull'immigrazione per eccellenza. L'immigrazione di per sé, quindi, non è la principale causa di rigetto dell'UE da parte di ampi settori delle classi popolari. Per comprendere questo rifiuto dobbiamo recuperare categorie analitiche che sono cadute in disuso, come le classi sociali, il potere di classe e la lotta di classe, categorie usate da due tradizioni esistenti nelle scienze sociali occidentali, tanto quella marxista quanto quella weberiana, categorie praticamente scomparse nelle analisi attuali. Quando analizziamo l'UE da questo prisma analitico (delle scienze sociali tradizionali) possiamo vedere che la costruzione dell'UE è stata realizzata principalmente a beneficio del capitale (in particolare del capitale finanziario) e a spese del mondo del lavoro. I dati sono chiari e forti. Vediamoli.
COSA STA ACCADENDO NELL'UNIONE EUROPEA?
Dal momento in cui l'Unione Europea e la sua Eurozona sono state stabilite, abbiamo visto i seguenti fatti:
  1. In ogni paese dell'UE (e ancor di più in ogni paese dell'Eurozona), il reddito del lavoro, come percentuale del totale del reddito nazionale, è calato (passando dalla media UE-15 del 68% di reddito nazionale al 56%) mentre i redditi da capitale (soprattutto, i redditi del capitale finanziario) sono aumentati.
  2. La disoccupazione è aumentata nella maggior parte dei paesi dell'UE, la cui media è diventata più alta in Europa che negli Stati Uniti, invertendo una posizione precedente (1950-1980) in cui la disoccupazione era stata più bassa in Europa che negli Stati Uniti.
  3. Le condizioni di lavoro sono peggiorate, con l'aumento della percentuale di lavoratori che riferiscono di essere stressati sul lavoro, che ha raggiunto nel 2009 la cifra del 52% del totale della forza lavoro media dell'UE-15. Inoltre, e in relazione con ciò, l'incidenza delle malattie professionali correlate allo stress è aumentata significativamente.
  4. Il tasso di crescita della spesa pubblica per trasferimenti e servizi pubblici dello stato sociale è calato, mentre i tassi di crescita dei bisogni sono aumentati.
  5. I diritti dei lavoratori e i diritti sociali sono stati ridotti.
È logico, quindi, che l'UE stia creando maggior rifiuto tra ampi settori delle classi popolari. L'immigrazione accentua solo ciò che esiste già in questi paesi: il deterioramento dei servizi sociali e della qualità della vita della classe operaia e degli altri settori delle classi popolari. In realtà, l'immigrazione è stata utilizzata dalle imprese per abbassare il prezzo della manodopera e consentire il deterioramento delle condizioni di lavoro. La negazione di questo fatto, verificabile mediante i dati empirici esistenti, da parte di settori della sinistra, ha contribuito alla sua perdita di popolarità tra queste classi popolari. In realtà, il forte calo della socialdemocrazia nell'Unione Europea si deve al fatto di essere percepito da queste classi popolari come protagonista nella costruzione di un'Unione Europea di questo tipo. Non solo i partiti socialdemocratici che governano in Europa, ma anche la governance dell'UE, in cui i personaggi della socialdemocrazia (come i Commissari degli Affari Economici e Monetari, Pedro Solbes e Joaquin Almunia) hanno giocato un ruolo chiave nello sviluppo dell'UE e delle sue politiche.
LA CRISI ATTUALE E COME L'UE CERCA DI USCIRE DA ESSA
Questa realtà discriminatoria nei confronti del mondo del lavoro e in favore del capitale si è accentuata ancora di più nel modo in cui si vuole uscire dalla crisi. Le stesse forze finanziarie, economiche e politiche (e anche gli stessi personaggi) che ci hanno condotto alla crisi, stanno ora cercando di uscirne a condizioni molto favorevoli al capitale e sfavorevoli al mondo del lavoro. Vediamo i dati.
Il paese che ha subito il più grande collasso della propria economia in Europa è stata la Lettonia, la quale è stata costretta ad apportare modifiche estremamente favorevoli ai redditi da capitale e molto dannose per il mondo del lavoro, come condizione per l'ingresso nell'UE e nell'Eurozona.
Tali cambiamenti, imposti dall'Unione Europea e dall'allora Commissario Europeo per gli Affari Economici e Monetari, Joaquín Almunia (figura di spicco del socialismo spagnolo), hanno incluso un taglio del 30% dei salari dei dipendenti pubblici, una diminuzione del 20% della spesa pubblica, una riduzione dei salari in tutti i settori dell'economia (con l'argomento di rendere l'economia più competitiva), e altri cambiamenti che hanno prodotto come conseguenza una diminuzione (nel 2008-2009) non inferiore al 25% del suo PIL. Si stima che le classi popolari non raggiungeranno il tenore di vita che avevano nel 2007 fino al 2016, il che impone dieci anni di enormi sacrifici. I tagli alla sanità, all'istruzione, alla sicurezza sociale e al pubblico impiego sono stati enormi, ed hanno smantellato lo stato sociale.
Anche la Grecia è stata un paese in cui le politiche di austerità stanno creando una grande mobilitazione popolare (che i mezzi di comunicazione trasmettono appena) ed hanno allarmato la borghesia greca (complice con l'UE nello sviluppo di tali politiche), perché contano sulla simpatia da parte delle forze dell'ordine, come su quella della polizia, la quale si è opposta a reprimere tali disordini. Il futuro della Grecia è un punto interrogativo.
In Irlanda, la politica di austerità ha portato a una mobilitazione popolare contro la classe politica. Giammai l'Irlanda aveva avuto un rifiuto così marcato (e meritato) verso la sua classe politica. In Portogallo, il capitale finanziario (compresa la banca portoghese) ha costretto a un "salvataggio" di enorme austerità, che sta danneggiando lo stato sociale e il tenore di vita della maggioranza della popolazione.
E in Spagna, com’è successo prima in Germania con il governo socialdemocratico guidato dal Cancelliere Schroeder, il governo di Zapatero è uno dei governi più impopolari che siano esistiti in questo paese durante la democrazia, come risultato delle politiche di austerità del suo governo.
UN FANTASMA SI AGGIRA NELL'UE
Anche se questi paesi sono i casi più estremi, la realtà è che uno spettro si aggira per l'Europa ed è la rabbia verso "questa" Europa, che non è l'Europa dei popoli, ma l'Europa del capitale. Contro quest'Europa del capitale, dev'essere stabilita l'Europa delle Nazioni, con l'alleanza delle classi popolari. È importante per l'intera UE, ad esempio, che la classe operaia tedesca recuperi i salari che le consentono la sua elevata produttività, in modo che il consumo (e non solo le esportazioni) contribuisca a rilanciare la domanda interna a livello europeo. È importante inoltre che il lavoratore finlandese si allei con il lavoratore spagnolo, affinché la borghesia, la piccola borghesia e le classi medie spagnole paghino le tasse che oggi non pagano. Scriveva un cittadino finlandese, in una lettera al Financial Times, che "mentre noi finlandesi paghiamo diligentemente le tasse, giacché l'onestà è considerata un pilastro della società, mi risulta difficile vedere come gli euro delle mie tasse vengano spesi per sostenere paesi che hanno mentito sulle loro economie (Grecia) e in cui l'evasione fiscale è un hobby nazionale (Spagna) ". E il cittadino finlandese aveva in parte ragione, anche se dobbiamo aggiungere due importanti sfumature.
Una è che il lavoratore spagnolo paga le tasse a livelli simili a quelli del lavoratore finlandese. Leggermente inferiori, ma non molto differenti. Il lavoratore meglio pagato, un operaio dell'industria manifatturiera, in Spagna già paga circa il 72% delle tasse pagate dal suo omologo in Finlandia. In Spagna, sono il mondo imprenditoriale e finanziario ed i redditi superiori quelli che pagano molto meno dei loro omologhi in Finlandia. Un ricco in Spagna paga di tasse solo il 23% di quello che paga un ricco in Finlandia.
La seconda precisazione è che il presunto aiuto finlandese alla Spagna, in caso di "salvataggio", non andrebbe al lavoratore spagnolo, ma alle banche spagnole e straniere, soprattutto tedesche e francesi, che riceverebbero i soldi che lo Stato spagnolo otterrebbe per pagare il debito. E questo è importante. L’operaio finlandese e quello spagnolo (e l'operaio greco, tra gli altri) hanno molti interessi in comune. Tutti loro vogliono che i redditi superiori, le banche e le grandi imprese, sia in Finlandia sia in Spagna, paghino le tasse. E che i loro soldi vadano ad aiutare le persone in difficoltà e non le banche. Sicuramente, se si chiedesse il parere delle classi popolari della Finlandia e della Spagna (e della maggior parte dei paesi UE) su quest’argomento, questi risponderebbero positivamente e sarebbero d'accordo. Da qui la sfida per le forze progressiste dell'UE di mostrare gli elementi e gli interessi in comune con altre nazioni e popoli esistenti in questo continente. E costruire su questi interessi un'Europa del mondo del lavoro diversa da quella che si sta costruendo a vantaggio del capitale. Molte proposte sono state fatte in questa direzione. (Vedi il mio articolo "Il fallimento del neoliberismo nel mondo e nell'UE ).
So che una risposta immediata a questa proposta è privarla di merito giudicandola utopica e mostrando e difendendola situazione attuale come l'unica possibile. E qui c'è precisamente il potere dell'establishment europeo così come quello del mondo finanziario, mediatico e politico: hanno eliminato ogni possibilità di creare un'alternativa. Ma che sia o no un’alternativa dipenderà dalla mobilitazione sociale. Quello a cui oggi stiamo assistendo è una tensione sociale mai vista dagli anni sessanta, agitazione che sta accadendo in questo continente. La storia non è finita. Il futuro della sinistra europea è quello di facilitare tali mobilitazioni di protesta contro questa Europa, per creare un'alternativa.




Per concessione di Vicenç Navarro

giovedì 19 maggio 2011

La trappola del governo italiano sui referendum

  • Su 15 e 16 de Maju Vota EJA contra su nucleare

In Sardinia il 15 e 16 MAGGIO 2011 si è svolto il primo referendum al mondo sul nucleare (consultivo) dopo il disastro accaduto a Fukushima.
SARDIGNA NATZIONE (movimento indipendentista sardo) ha raccolto le 16600 firme per permettere ai sardi di esprimere il loro parere sul nucleare, 6000 firme oltre le necessarie dovute a termine di legge Regionale; l'impegno profuso per la sua riuscita è dovuta ai movimenti indipendentisti e ambientalisti sardi, hanno dato al popolo sardo questa libertà di espressione, strumento di democrazia diretta, e portato al voto oltre 860.000 elettori sardi (su un milione e mezzo di abitanti siti su un'isola di appena 24mila Kmq )
Elettori molto determinati a dire la loro, e che hanno votato espressamente contro il nucleare con un a percentuale che non lascia dubbi sul loro pensiero antinuke, infatti il 97.40% di SI per il rifiuto del nucleare ha determinato il NO alle centrali nucleari e ai suoi residuati e scorie, ponendo una pietra tombale sulle bocche dei tanti lachè e affaristi italioti;
Un grandissimo risultato raggiunto a motivo della stanchezza ed il rifiuto popolare delle servitù imposte alla Sardegna da un centinaio e più d'anni dallo stato italiota, una terra vituperata e resa colonia, martoriata dalle servitù militari, da discariche di scorie industriali delle acciaierie italiane del nord e con l'iquinamento del suo territorio a motivo di industrie collocate fuori luogo dal potere italiota negli anni sessanta e settanta, rendendo il territorio schiavo della logica del capitale USA e GETTA oltre alla umiliazione del collocare gente attiva e dignitosa in situazioni offensive per noi sardi come la cassa integrazione ecc.. (da sapere: il 60% del totale delle servitù militari in estensione territoriale dello stato italiano sono site in Sardinia) la logica di colonia a cui ci hanno relegato e imposte da centocinquanta anni di occupazione italiota, ci da molto fastidio e vogliamo fare azione di liberazione sia: dalle promesse vane dei porci servi (tzaracus) dei politicanti "italioti", che di quegli idioti-servi sardo-italioti prostarti davanti all'altare del denaro della loro vera "patria", infastidisce molto vedere la forza che questi governi di destra e centrosinistra italici esercitano per sottomettere il nostro popolo in terra di Sardinia!

Per noi sardi questo referendum consultivo sul nucleare ha significato un forte no a questa speculazione sul nucleare in terra nostra del premier italiota Berluscone, e la rivendicazione di sovranità sulla proria terra atta dal nostro essere natzione matura per la libertà e autodeterminazione, stanca di essere sottoposta da troppo tempo a queste amenità di oltre Tirreno.





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LIBERTADE PRO SA SARDINIA EST COSA GIUSTA E DEPIDA!!

A FORA IS ITAGLIANUS DE SARDINIA, LIBERTADE E JUSTITZIA PRO SU POPULU SARDU!!




















Michael Leonardi

Counterpunch USA


Il 12 e 13 giugno gli italiani
voteranno su nucleare, legittimo
impedimento e privatizzazione
dell’acqua. La maggioranza sta
facendo di tutto per ostacolare le
consultazioni popolari

In Italia la democrazia è sempre più a pezzi. Il governo di Silvio Berlusconi e la sua maggioranza in parlamento stanno cercando di bloccare un refrendum che dovrebbe impedire la costruzione di nuove centrali nucleari sul territorio nazionale. L’Italia non produce energia nucleare dal 1990, e i recenti sondaggi indicano che più del 75 per cento degli italiani è contrario alla costruzione di questi impianti.

Il referendum è in programma per il 12 e 13 giugno, ma un emendamento presentato il 19 aprile dal governo prevede la so-spensione di un anno del progetto di rilancio dell’energia nucleare e rischia di far saltare la consultazione popolare. La campagna è stata condotta dal partito d’opposizione Italia dei valori, che ha guidato un vasto movimento di cittadini e associazioni ambientaliste riuscendo a raccogliere le 500mila firme necessarie per proporre il referendum.

L’Italia è l’unico, tra i paesi del G8, a non produrre energia nucleare. Sulla penisola non ci sono centrali attive dal 1990,anche se circa il 10 per cento dell’elettricità consumata viene da energia nucleare prodotta in Francia e Germania. Nel 1987, un anno dopo l’incidente di Cernobyl, i cittadini italiani votarono un referendum che ha sancito la diminuzione graduale e infine la sospensione della produzione di energia nucleare. In quel momento l’Italia aveva due centrali attive, e in tutta la storia del paese ci sono stati quattro reattori in funzione.

Nel 2007, durante la campagna elettorale che l’ha portato al governo per la terza volta, Berlusconi annunciò l’intenzione di voler tornare alla produzione di energia nucleare, nel quadro di una strategia energetica nazionale.
All’epoca Berlusconi non era stato l’unico a sostenere la necessità di un ritorno al nucleare. Anche alcuni importanti esponenti del Partito democratico (Pd), appena fondato, si erano espressi a favore.

Un cablogramma pubblicato da Wikileaks ha rivelato che Pier Luigi Bersani, l’attuale segretario del Partito democratico, che nel 2007 era in carica come ministro dello sviluppo economico nel governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, aveva aperto uno spiraglio al ritorno del nucleare attraverso un accordo sulla Global nuclear energy partnership (Gnep) con il segretario per l’energia statunitense di allora, Samuel Bodman. Parlando del referendum del 1987, Bersani aveva detto che il risultato della consultazione “non esclude l’Italia dalla generazione di energia nucleare, che è solo sospesa”. Inoltre, il leader del Partito democratico si augurava che l’accordo stipulato tra l’amministrazione Bush e il governo Prodi potesse “cambiare l’atteggiamento degli italiani verso l’energia nucleare”.

Anche Walter Veltroni, l’ex sindaco diRoma che nel 2008 è stato il primo candidato del Pd per la presidenza del consiglio,nel suo programma elettorale si era detto pronto a discutere l’idea di un ritorno alla produzione di energia atomica di quarta generazione.

Dopo Fukushima

Dopo l’incidente della centrale di Fukushima, in Giappone, Bersani e il Partito democratico hanno fortemente ridimensionato il loro sostegno al nucleare, schierandosi
contro il progetto del governo di costruire nuovi reattori. I democratici si sono schierati al fianco del partito dei Verdi, dell’Italia dei valori e di migliaia di cittadini italiani che hanno criticato i tentativi di Berlusconi di bloccare il referendum, accusandolo di “intralciare il processo democratico”. Fukushima ha dato nuova forza al movimento antinucleare e ha radunato intorno al no all’energia atomica un’opinione pubblica che nel corso degli anni si era gradualmente spaccata.

Dopo il ritorno di Berlusconi al governo, nel 2008, il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola, prima di essere costretto alle dimissioni a causa di uno scandalo di corruzione, annunciò che il governo intendeva costruire la prima delle nuove centrali nucleari entro il 2013. Il 24 febbraio del 2009 è stato siglato un accordo tra la Francia e l’Italia per permettere agli italiani di usufruire delle conoscenze degli esperti francesi in materia di progetazione delle centrali. Il 9 luglio del 2009 l’Italia ha approvato un disegno di legge sull’energia che prevedeva l’istituzione di

Nucleare, <a href="/quotazioni/quotazioni.asp?step=1&action=ricerca&codiceStrumento=u2ae&titolo=ENEL">Enel</a>/Edf soci maggioritari con alleanza allargata









Nel 2009 l’Enel ha
concluso un accordo
con Électricité de
France (EDF) per la
creazione della joint
venture Sviluppo



un’Agenzia per la sicurezza nucleare e concedeva al governo sei mesi per individuare i siti dove costruire le nuove centrali. Siti che a tutt’oggi non sono ancora stati selezionati. Il 3 agosto del 2009 l’Enel, il gigante italiano dell’energia, ha concluso un ac­cordo con Électricité de France (Edf) per la creazione della joint venture Sviluppo Nu­cleare Italia. Il compito della società è studiare la possibilità di costruire almeno quattro reattori usando un progetto dell’azienda francese Areva, la più importante del mondo in questo settore. Questi oligarchi dell’energia, con l’alto patronato di Berlusconi, stanno facendo il possibile per proteggere l’investimento multimiliar­dario in un futuro nucleare.

Suicidio politico

In quest’ottica si spiega la decisione del go­verno di rinviare di un anno tutte le discussioni sulla ricerca e la selezione dei siti de­stinati alle nuove centrali in Italia. Una mossa che ha suscitato immediatamente lo scetticismo del movimento antinucleare e dei partiti d’opposizione, ed è stata inter­pretata da molti come un goffo tentativo di bloccare il referendum di giugno. Il 26 apri­le del 2011, nel giorno del venticinquesimo anniversario dell’incidente di Cernobyl, Berlusconi ha tenuto una conferenza stam­pa a Roma insieme al presidente francese Nicolas Sarkozy. In quell’occasione il pre­sidente del consiglio ha chiarito una volta per tutte le intenzioni del governo: “Siamo assolutamente convinti che l’energia nu­cleare sia il futuro per tutto il mondo”, ha detto. Berlusconi ha mostrato alcuni son­daggi recenti, secondo i quali, allo stato attuale, il referendum per bloccare il ritorno al nucleare potrebbe davvero passare. Il presidente del consiglio ha ammesso poi di aver deciso di sospendere temporanea­mente il programma nucleare per ritornare sull’argomento quando i cittadini italiani si saranno “calmati” e avranno compreso che le centrali nucleari sono la via più sicu­ra e praticabile per produrre energia.

Il Ca­valiere ha inoltre accusato “la sinistra e gli ecologisti” di aver manipolato le emozioni degli elettori dopo Cernobyl e di aver pe­nalizzato i cittadini italiani, che sono costretti a pagare bollette della luce più care rispetto ai francesi, che dispongono di 58 reattori. Berlusconi si è poi detto convinto che “la situazione in Giappone abbia spa­ventato gli italiani”, e ha concluso garantendo che “l’inevitabile ritorno dell’Italia all’energia atomica” non sarà ac­cantonato, e che la collaborazio­ne tra Enel ed Edf andrà avanti. Sostenere il nucleare proprio quando la Germania e il Giappo­ne annunciano la sospensione dei loro programmi e l’abbandono dei pro­getti di costruzione di nuovi reattori, po­trebbe sembrare un suicidio politico. Ma non in Italia, almeno fino a quando Berlu­sconi sarà al potere.

Il Cavaliere controlla ormai tutte le principali reti televisive.
Questo fa sì che informare i cittadini sul voto del 12 e 13 giugno sia molto complicato, anche perché la longa manus della censura si sta facendo sentire. Al concerto del primo maggio, organizzato ogni anno a Roma dalle principali organizzazioni sin­dacali e trasmesso dalla Rai, agli artisti è stato chiesto di firmare una liberatoria con cui, tra le altre cose, accettavano di non parlare dei referendum, pena una multa di migliaia di euro.

Per ora il referendum per bloccare l’energia nucleare è ancora in programma.
Solo la corte di cassazione, con una senten­za dell’ultimo minuto, potrebbe decidere di cancellarlo. È quello che spera il gover­no, conidando nell’efetto della cosiddetta moratoria nucleare. Oltre a quello sull’e­nergia, il 12 e 13 giugno si terranno altri tre referendum: due per annullare il tentativo del governo Berlusconi di privatizzare le risorse idriche, l’altro per abrogare il cosid­detto legittimo impedimento, una norma approvata dalla maggioranza per proteg­gere Berlusconi dai processi a suo carico.
Per ognuno dei quesiti i promotori hanno dovuto raccogliere 500mila firme, e i referendum saranno validi solo se andrà a vo­tare il 50 per cento più uno degli aventi di­ritto. Negli ultimi dieci anni nessun refe­rendum ha raggiunto il quorum.

La battaglia dell’acqua

Secondo alcuni il governo Berlusconi avrebbe intenzione di bloccare anche la consultazione sull’acqua pubblica. Si spie­gherebbe in quest’ottica la decisione di creare una nuova authority per l’acqua. Per chi è impegnato e politicamente attivo sembra evidente che il governo Berlusconi sta tentando in ogni modo di bloccare il processo democratico. Ma la maggior par­te dei cittadini riceve informazioni solo attraverso l’impero di reti televisive pub­bliche e private sotto il controllo del Cavaliere, e rimane all’oscuro di tutto.

Le noti­zie sui referendum vengono tra­smesse quasi solo a notte fonda o all’alba. Per pubblicizzare i refe­rendum molti cittadini sono sce­si in strada distribuendo volanti­ni, ricorrendo ai social network e ad azioni creative e dirette per difondere le notizie e portare le persone alle urne. Il 9 maggio alcuni attivisti di Greenpeace han­no srotolato un grosso striscione dal balco­ne che Benito Mussolini usava per i suoi discorsi, a Palazzo Venezia a Roma. Sullo striscione c’è una caricatura di Berlusconi accompagnata dalla frase “Italiani, il vostro futuro lo decido io”, e da un invito ai cittadini ad andare a votare il referendum sul nucleare.

Angelo Bonelli, presidente della Federazione dei Verdi, ha riassunto così la situazione: “I referendum si faranno anche se i ladri di democrazia sono tornati in azione. Il governo non riuscirà a rubare il diritto degli italiani di esprimersi demo­craticamente contro il nucleare e la priva­tizzazione dell’acqua”.

Il 12 e 13 giugno il popolo italiano avrà l’opportunità di cambiare il corso del proprio futuro votando sì per dire no all’ener­gia nucleare e alla privatizzazione dell’ac­qua.

mercoledì 4 maggio 2011

Geronimo EKIA (enemy killed in action). Lo stupro del diritto internazionale

peacereporter.net
Angelo Miotto

Il Nemico da abbattere giustifica l'uso della forza - leggi violenza - senza rispetto del diritto. Le regole sono scritte a uso e consumo privato, perdendo così il carattere universale e sancendo, nei fatti, la legge del taglione. Intervista a Danilo Zolo

Due dozzine di rambo statunitensi su due elicotteri in territorio sovrano pachistano, un blitz con armi da fuoco, un cadavere fantasma, una cerimonia su una portaerei con sepoltura in mare. In un copione da effetti speciali, raccontato come un'avvincente saga hollywoodiana, si è sancita la definitiva morte del diritto internazionale. Un insieme di regole ragionate, studiate e condivise nel corso di decenni, fredde e razionali proprio per dirimere contenziosi infuocati che vivono di tensioni drammatiche. Il Nemico da abbattere giustifica l'uso della forza - leggi violenza - umiliando il diritto condiviso. Le regole sono scritte a uso e consumo privato, perdendo così il carattere universale e sancendo, nei fatti, la legge del taglione.

Danilo Zolo è professore di filosofia del diritto e di filosofia del diritto internazionale a Firenze. A PeaceReporter racconta lo sdegno per le regole infrante in una comunità internazionale incapace di rispondere alle nuove sfide della guerra asimmetrica e della propagandata 'guerra al terrorismo' che ha caratterizzato fine e inizio di due secoli.

Professore, un blitz illegale dal punto di vista del diritto internazionale? Spogliamoci dell'emotività della notizia: abbiamo assistito al fulcro dello sfascio delle regole condivise (almeno sui trattati)?

Siamo in presenza di uno stravolgimento radicale del diritto internazionale, che è divenuto risibile per come viene applicato dalla comunità internazionale. È chiaro che gli Stati Uniti usano le Nazioni Unite e il suo Consiglio di sicurezza come una copertura. Aggrediscono, usano armi potentissime, fanno stragi di decine e centinaia di migliaia di persone come in Iraq e poi ottengono dal Consiglio di sicurezza una accettazione di fatto della realtà. L'Onu serve a questo, a giustificare post factum crimini gravissimi. Ci sono tre crimini in atto, a carico di Obama: la guerra in Afghanistan, che continua con strage di innocenti senza nessuna fondazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni unite. La guerra contro la Libia, altra violazione della Carta Onu che al comma sette articolo 2 vieta qualsiasi intervento all'interno di tensioni di carattere di guerra civile di altro stato. E ora siamo in presenza di un'altra gravissima violazione, perché un gruppo di militari altamente specializzati sono stati incaricati di fare strage e di assassinare una persona in uno Stato terzo, il Pakistan. Una gravissima violazione del diritto internazionale e del diritto alla vita delle persone non motivata da motivi particolari. Perché che quella persona fosse bin Laden non è sicuro e d'altra parte la cerimonia di cui si parla su portaerei e poi la scomparsa in mare del cadavere dell'ucciso sono procedure vergognose sul piano del diritto e dell'esistenza delle persone.

Siamo di fronte alla necessità di riformare il diritto internazionale?

Riformare il diritto internazionale significherebbe riformare le Nazioni unite, cambiare la Carta dell'Onu. Mentre si parla di un diritto internazionale consuetudinario, ma è una chiacchiera a vuoto perché non viene rispettato. Una riforma significherebbe chiedere agli Usa di rinunciare ai propri privilegi. Il Consiglio di sicurezza, che è l'unico organo che può usare la forza nelle situazioni estreme, è dominato da cinque membri permanenti e questa la dice lunga su come sia democratico. L'assemblea non ha alcun potere decisionale. La mia opinione è che non ci sarà nessuna riforma delle istituzioni internazionali, e quindi del diritto, se non ci sarà il cambiamento profondo nei rapporti di forza economici, militari e nucleari con le potenze come Russia, India, Cina, Brasile e anche il Sudafrica. Se queste forze riescono a stabilire dei rapporti internazionali che li liberino dal dominio degli Usa. Altrimenti, nessuna riforma.

Il concetto di guerra simmetrica complica il quadro.

Le guerre scatenate dagli Usa dal 1991 contro l'Iraq sono guerre in cui c'è una asimmetria nella potenza militare e una asimmetria profonda nelle conseguenze delle guerre: le perdite militari occidentali sono risibili, mentre le strage di militari iracheni, degli afgani si contano a migliaia, con persone innocenti. Vittime della guerra o per le conseguenze di essa.

La tanto sbandierata democrazia occidentale, secondo lei, ieri con il blitz e certe rappresentazioni di giubilo che segnale ha dato di sé stessa? C'è voluto il Vaticano per richiamare alla compostezza di fronte alla morte.

È singolare che lo abbia detto il Vaticano, che questi ultimi anni non si è particolarmente schierato con la pace. Il pontefice ha spento le candeline festeggiando con Bush e facendo una dichiarazione di entusiasmo nei confronti dei comportamenti degli Usa. Meglio che lasciamo perdere questo aspetto.

Per quanto riguarda l'Occidente da oltre venti anni scatena guerre di aggressione nei confronti di una serie di stati collocati in Medio Oriente, e sono tutte guerre che violano il diritto internazionale. Stessa situazione anche nei Balcani: ricordiamo la guerra del 1999 contro la Serbia, di fatto con la motivazione falsa di carattere umanitario che ha portato alla strage di alcune migliaia di serbi e ha avuto un solo risultato umanitario; in Kosovo oggi vicino a Urosevac ci sono 7000 soldati nordamericani, armatissimi e con ordigni nucleari. L'Occidente non può avere una qualifica onoraria nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani. La dottrina dei diritti umani è in declino perché è una ideologia occidentale completamente falsificata dai comportamenti di fatto.


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