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venerdì 16 aprile 2010

POCOS LOCOS Y MALUNIDOS

Ovvero, come trasformare le traversie in opportunità

Paola Alcioni


gentilmente concesso
a sa defenza


La concezione antropologica moderna presenta la cultura come quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, gli atteggiamenti, i valori, gli ideali e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società.
Concerne sia l’individuo, che la collettività di cui fa parte.
Viene supposta l’esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o raggruppamento sociale significativo, e l’appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente connessa alla condivisione di un’identità culturale.
In antropologia l'insieme di queste norme sociali vengono definite modelli culturali ideali.
La cultura è dunque un complesso di modelli (idee, simboli, azioni, disposizioni) PER e modelli DI.
In tutte le culture esiste un modello di (es. di sviluppo, comportamento, pulizia, decoro, legge), un modello attraverso cui si pensa qualcosa.
I modelli di generano modelli per, modelli guida al modo di agire, perché la cultura non è solo generatrice di modelli teorici, ma è OPERATIVA, permette cioè di passare dall’ideale del modello all’operatività, attraverso una serie di strumenti intellettuali e pratici, selezionando, tra i tanti che trova al suo interno, quei modelli che sono funzionali al presente.
La cultura è dinamica: interagisce con altre culture, accettando e provocando cambiamenti, perché è basata sulla comunicazione: la cultura nasce infatti da uno scambio costante. Questo provoca continui sconfinamenti tra le culture ed è difficile definire un vero limite, un vero confine tra esse.
C’è un rapporto strettissimo tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti attraverso i quali le persone concretamente si relazionano tra loro e con il mondo.
In altre parole il modo in cui pensiamo dipende dalla cultura che abbiamo (non dalla quantità, intendiamoci, in senso umanistico, ma dal tipo di cultura): due appartenenti a diversi gruppi etnici è probabile che, dinanzi ad uno stesso problema, elaborino soluzioni differenti.

Simon Mossa aveva individuato le ragioni per le quali il popolo sardo poteva considerarsi una Comunità etnica.
Queste ragioni le trovava nella storia, nella posizione geografica, nella struttura sociale, nell’economia. Ma ancor più nelle caratteristiche della cultura, della lingua e delle tradizioni.
In questi ultimi elementi individuava il patrimonio ancestrale della Comunità sarda.
Storicamente assistiamo, però, ad un’opera di spersonalizzazione e snazionalizzazione, a vantaggio di un nazionalismo colonialistico tendente ad imporre un modello culturale distruggendo l’altro.
Si è tentato un genocidio. Questo termine non significa l’eliminazione fisica di tutti i componenti di un popolo, ma significa uccidere l’anima di un popolo. E l’anima della nazione sarda risiede in questi tre elementi: cultura, lingua e tradizione.

Con tutto ciò che ha subito, la Comunità etnica sarda è ancora viva.

La cultura altra che le è stata imposta, le ha gravato addosso – come un giogo – MODELLI DI che hanno generato MODELLI PER sostanzialmente estranei alla cultura ancestrale.
Sradicare questa cultura, per imporre un’altra cultura diversa, senza lasciare spazi riconosciuti alla stratificazione ed alla sovrapposizione, significa involuzione culturale, crollo di un mondo, senza un sostitutivo, o con un sostitutivo meno valido.
Una persona che subisce questa violenza, entrando in un modello culturale che gli è estraneo, perde la fiducia in se stesso, non ha spirito di iniziativa autonoma, sgretolati i legami comunitari che costituivano la sua forza di individuo in quella società, preferisce essere comandato, servire, perché è l’unica maniera di azzerare i conflitti. Se il suo tozzo di pane è assicurato, non chiede più nulla, svende i suoi sogni, ascoltando solo le ragioni della propria pigrizia e della propria paura.
Se perde il pane ed il lavoro, di dispera, si sorprende senza risorse, senza soluzioni.
La Cultura, infatti, non è un apparato esterno ad ognuno di noi. E’qualcosa di legato all’esperienza individuale, perciò i modelli che vengono solo dall’esterno, proprio perché si pongono come modelli, sono passivizzanti: se ci danno l’illusione di aver trovato il significato e il fine da perseguire, ci tolgono la ricerca dinamica di miglioramento. Ci seducono, ma lo stimolo trova scarso o nullo spazio. Ci disabituano ad elaborare soluzioni.
Accettando dunque passivamente e perdendo il suo spirito critico, l’uomo perde il suo più affilato strumento per incidere nella realtà, che gli consentiva di essere regista della sua sorte, trovando strade anche dove apparentemente non ce n’erano.

Così, non potendo essere parte della soluzione il popolo sardo è diventando parte del problema.

Quando parlo di svendere i sogni, parlo di abdicare alla capacità immaginativa e dunque creativa anche di prospettive nuove.
La creatività è quella facoltà che consente di conciliare gli opposti, in un terzo termine che li supera, operando la sintesi dei contrari non come mera somma degli elementi, ma nella creazione di un novum.
E’ la creatività che consente quel processo trasformativo all’interno della nostra piccola storia di individui così come all’interno della grande storia dei popoli.
La creatività potenzia le risorse individuali, induce a scoprirsi abitati dalla dimensione del possibile.
La immaginazione (fantasia) produce immagini anticipatrici, incontri con il NON ANCORA, presentificando il futuro e dandogli, per il fatto solo d’essere pensato, un principio di realtà. (esempio della casa)
Queste anticipazioni sono i progetti, segno di qualcosa di non ancora realizzato ma progettato.
All’etimo greco poiein, che esprime l’attività prerogativa dell’homo sapiens et faber di fare, plasmare creare e progettare, si lega sia l’arte del poeta, che quella attraverso la quale progettiamo e plasmiamo la nostra vita.
I meccanismi poetici attraverso i quali si fa letteratura, hanno molto in comune con la nostra attività poetica quotidiana attraverso la quale tutti noi costruiamo i nostri sistemi di significato, la nostra stessa identità.
Noi, vivendo, ci narriamo a noi stessi e agli altri.

Narrare è una modalità di percepire e organizzare la realtà rendendola realtà interpretata, cioè filtrata dai nostri sistemi rappresentazionali (uditivo, visivo, cenestesico - tatto, olfatto gusto).
I racconti dunque sono una versione della realtà vissuta dal punto di vista esperienziale.
Dunque la mia realtà è quella che le mie parole descrivono.
Non esiste una realtà oggettiva, ma solo pratiche discorsive intorno ad una esperienza che ognuno di noi fa della realtà.
Il linguaggio polisemico della narrazione permette inoltre di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. Ha il meraviglioso potenziale di ri-figurare la realtà e di trasformare la nostra visione del mondo.

Ma cosa ha a che fare, tutto questo con il problema Sardegna?
Per esempio i sardi, che spesso hanno cercato la propria identità nei racconti dei viaggiatori del 700/800 invece che in se stessi, ora si descrivono spesso come li definì un dominatore: Pocos, locos y malunidos.
Dal narrarlo ad assumerlo come copione, il passo è breve.
Questa è quella che in psicologia si chiama “una narrazione patogena o disfunzionale”.
Cosa fa il terapeuta, quando ha davanti un paziente che si racconta in modo patogeno?
Non fa altro che “perturbare” la fissità del racconto, innescando la riorganizzazione dei significati legati all’esperienza del paziente. Aiuta il paziente a cercare altri “possibili” sviluppi di una storia patogena, che crea dolore e cristallizza in una fissità senza uscita. Il terapeuta propizia il cambiamento.
Perché un cambiamento?
Perché non è il passato a produrre disagi nella persona, ma il presente, i modelli di interazione e di comunicazione che usiamo con noi, con gli altri, con il mondo. Essi sono spesso disfunzionali, quando c’è un disagio. È il momento in cui noi comunichiamo con noi stessi attraverso una sorta di autoipnosi che produce una narrazione patogena (io sono sfortunato, non me ne va mai bene una...)
Il passato, nella sua dimensione problematica e patologica, impedisce la nascita di nuove idee ed ostacola l’originarsi di nuove possibilità. Sopprime la flessibilità del sistema, rendendolo rigido, lineare, irreversibile.
Il linguaggio della narrazione situa invece gli eventi in un orizzonte più vasto di possibilità, facendo uso del linguaggio polisemico che consente di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. A quel punto si ha la sensazione di avere presa sul proprio destino, si comincia ad avere l’impressione di poter essere non più attori della nostra vita dal copione fisso e grigio, ma registi, con una gamma di possibilità diverse.

Ritornando alla Sardegna e ai suoi problemi, è il cambiamento che dobbiamo propiziare. Lo possiamo fare cambiando forma e contenuto dell’autonarrazione, per aprirci ad un orizzonte più ampio di possibilità, aumentando la nostra capacità di vedere il problema da più punti di vista contemporaneamente.

Io credo che la cultura sarda abbia in sé i germi di una evoluzione rapida nel mondo moderno.
In presenza di stimoli, il substrato culturale di ogni individuo, riaffiora ed elabora soluzioni sincretiche in una situazione di incontro di culture.
Quelle che finora si sono accumulate su di noi e sulla storia come traversie, possono essere rielaborate come opportunità.
La lingua che ho scelto per questa relazione, per esempio, ha gravato e grava sul mio popolo come un giogo, con tutto il suo peso di codice scelto e gestito dal dominatore.
Ma io la rendo ora strumento, veicolo di comunicazione di concetti pensati in quella lingua e, dunque, in quella lingua più immediatamente comunicabili. E la uso, per portare acqua al mulino della mia lingua e della mia cultura.
Traformo una traversia in opportunità. Faccio il lavoro che fa il Judoka quando, sfruttando la forza che l’avversario impiega nell’eseguire una tecnica di combattimento, lo sbilancia e lo atterra sfruttando l’impeto della sua stessa forza.

I sardi potranno essere collettivamente padroni del loro destino - sottrarsi dal giogo di una colonizzazione politica e culturale ed attuare una reale crescita economica - soltanto quando avranno acquisito i poteri di uno stato.
Ma intanto possono, ognuno per sé, provare a riprendere in mano le redini del proprio destino individuale, studiando e rivalutando ai propri occhi i modelli culturali che gli appartengono come membri di questa comunità etnica, e utilizzando le categorie mentali proprie – fino ad ora gravate del tabù del dominatore – come stimolo contrastivo con le culture altre e gli altri modelli per la creazione di un novum che possa realmente attribuire senso nuovo al nostro stesso essere al mondo qui, in questa terra, secondo le modalità del poter essere, e non più dell’essere dati dal dominatore o dallo sfruttatore di turno.
La razza, a differenza dell’etnia, si riferisce ad una classificazione dell’uomo in base a tratti fisici e genetici, tipici dell’etnia cui appartiene, mentre il gruppo etnico è tale per avere in comune cultura, lingua, religione e caratteristiche fisico-genetiche
Che significa più cose contemporaneamente.

domenica 19 febbraio 2023

IL GRAFOLOGO romanzo di Mariano Abis parte seconda


 

IL GRAFOLOGO 

romanzo di Mariano Abis

parte seconda


La mia “evasione” avvenne ben oltre il tempo preventivato, in quanto i miei genitori quella notte andarono a letto più tardi del solito, e quando fui finalmente in strada, illuminata in maniera approssimativa, dovetti ricevere i rimproveri dei compagni, ormai stufi di aspettarmi, e decisi a giudicarmi in maniera non proprio favorevole, anche loro avevano rischiato punizioni per la strana uscita notturna. Ci avviammo verso la periferia estrema del paese, in una notte che diventava sempre più buia, man mano che ci lasciavamo alle spalle le ultime case, fino ad arrivare a ridosso di un muro che, viste le nostre stature, ci sembrava incredibilmente alto. Era il muro di recinzione del camposanto, eravamo arrivati a destinazione, mi aiutarono a scavalcarlo, lo feci senza problemi, ma il salto dall’altra parte era problematico, mi armai di coraggio e con un salto insicuro ero dall’altra parte, ora potevo contare solo sulle mie capacità, dovevo attraversare tutta l’area, a tentoni, e uscire dalla parte opposta, dove mi avrebbero aspettato i miei amici. Inciampai più volte al buio completo, ma finalmente arrivai a destinazione, chiamai tutti i nomi dei compagni, ma nessuno rispondeva, non mi preoccupai troppo, pensando che volessero ricambiare il favore di averli fatti aspettare in precedenza, e cercai un posto favorevole per scavalcare il muro, al buio scovai un albero quasi addossato al muro, e lo usai come appoggio per un’impresa che senza di esso sarebbe stata impossibile. Avevo finalmente quasi superato la prova, bastava un altro problematico salto verso la tranquillità, lo eseguii senza danni, ma con la speranza di atterrare in un posto senza ostacoli, visto che il buio era assoluto. Di amici nel circondario nemmeno l’ombra, mi avviai così da solo verso casa. Mi aspettavano a un centinaio di metri da casa mia, l’impresa era compiuta.

venerdì 30 agosto 2013

Oggi, natale della dea Syria, ma anche di Cibele, Tammuz, Asteroth, Gesù, ecc

 Oggi, natale della dea Syria, ma anche di Cibele, Tammuz, Asteroth, Gesù, ecc.
MARCUS PROMETHEUS

"Europa cristiana"? Piuttosto, romana e pagana. Pensate: l'intero Mediterraneo già unificato politicamente e amministrativamente dai Romani, già globalizzato dalla grande cultura greco-etrusco-romana oltre 1000 anni prima della presunta unificazione culturale tra cultura latina e germanica del Medioevo, di cui si vanta abusivamente la Chiesa. 

 Basta considerare la data di oggi, 25 dicembre 2009 dC, venerdi, festività cristiana del Natale di Gesù Cristo (ammesso e non concesso che sia esistito come personaggio unico, perché - strano - nessuno storico contemporaneo ne parla). Ebbene, non solo i Romani ma lo stesso ebreo Gesù - extracomunitario o civis romanus che fosse - l’avrebbero descritta in versione amministrativa pagana, com'era d'uso al tempo nel "villaggio globale romano", più o meno così: die VIII ante Kalendas Ianuarias [ad VIII Kal Ian], Veneris die, MMDCCLXII aUc.Ab Urbe condita, cioè 2762 dalla fondazione di Roma.

E anche questa data è arbitraria e simbolica. Basta dire che c’è lo zampino di quello storico assai poco scientifico che è Terenzio Varrone,etimologo "da bar" (volevo dire da thermopolium), se è stato capace di sostenere tra l'ironia di contemporanei e posteri che lucus (bosco) deriva da non luciendo, cioè un luogo dove non c’è luce, e urna da urina. Archeologi e storici ritengono oggi che i vari pagus (villaggi) che dettero origine per confederazione o unione alla città di Roma erano già presenti sui sette colli verso il 1000 o 900 aC.
Ad ogni modo sarebbe più corretto parlare del natale di Gesù (Joshua) e non di "Cristo", che era solo un appellativo ("l’Unto"). Però si è imposto il nome sbagliato "Cristianesimo" sul più naturale "Gesuismo". Una delle mille incongruenze, imprecisioni e confusioni della nascita di questa religione.
Anzi, diamo direttamente la parola a Marcus Prometheus, pseudonimo che sulla pagina di No God di Giulio Cesare Vallocchia passa in rassegna tutte le divinità che sarebbero nate o venivano celebrate il 25 dicembre e dintorni. Una data molto affollata nel mondo pagano.

"Origini pagane" del Cristianesimo? Di sicuro, c'è di mezzo la grande festività pagana religioso-orgiastica dei Saturnali, a cui il popolo era ormai abituato e che conveniva utilitaristicamente conglobare se si voleva che il nuovo culto avesse successo. Non per caso la nascita di Gesù che era fissata in origine al 6 gennaio (Epifania) fu anticipata alla fine di dicembre, in modo da occupare il target già esistente, posticipando la componente edonistica e trasgressiva al Carnevale. Furbissimi, roba da bizantinismi d'una Curia moderna.

Che si trattasse di accettazione realistica, di cinismo del potere, e comunque, come commenta l’acuminato Vallocchia nel suo blog, d'un vero"scippo" storico di festività e divinità altrui, fatto sta che non solo gli attuali, ma anche i primi sacerdoti in quanto a psicologia popolare e gestione del consenso sapevano il fatto loro. (NV)
.
IL NATALE FESTA SINCRETISTICA
"Anno 7 avanti l'era volgare, (oppure 6, 5, 4 avanti Cristo): secondo i moderni storici cristiani è l'anno in cui sarebbe nato Cristo, se è esistito storicamente (cosa messa in dubbio sempre piu' da altri, data l'assenza di testimonianze contemporanee). Anno 1 dopo Cristo: sarebbe la data del primo Natale di Gesu' secondo il creatore della datazione calendaristica degli anni a partire dall'anno del concepimento e della nascita di Cristo, adottata oggi da quasi tutto il mondo non islamico. Egli fu Dionysus Exiguus monaco del VI secolo, abitante della Scytia minor, ovvero della attuale Dobrugia, regione costiera della Romania sulla costia del mar Nero. Secondo la sua datazione non esiste un anno zero, ma solo un anno prima ed un anno dopo).

La nostra epoca è datata come "dopo Cristo" dai credenti cristiani e dagli indifferenti, ma i non cristiani più attenti la chiamano "era volgare". L'epoca precedente invece che " avanti Cristo" può essere detta "prima dell'era volgare" (o anche prima della nostra Era) Gli antichi romani il 25 Dicembre celebravano il gioioso dies Natalis, cioè giorno natale di Bacco, del Sole Invincibile, di Mithras e di altri dei solari. I cristiani dei primi 4 secoli, invece, celebravano la nascita di Gesù (successivamente trasformato in loro Dio), il 6 di Gennaio. Solo svariati secoli dopo ( fra il 337 ed il 450 dopo Cristo), per soppiantare le feste di questi dei solari, i cristiani spostarono al 25 Dicembre anche il natale del loro Dio per appropriarsi del significato del ben più antico natale dei politeisti che era il Natale del solstizio e del ritorno della luce del 25 Dicembre, il natale di Dionisio-Bacco, del Sole invincibile, di Helios, di Mithras.

Chi non si riconosce nella tradizione cristiana, dunque non si senta fuori posto durante le festività natalizie, ma festeggi pure, con parenti ed amici e con l’intera comunità italiana ed occidentale le feste del ritorno della luce, riconoscendole come proprie, come laiche o come pagane, con tutti i diritti di priorità rispetto all'appropriazione cristiana. Rivendichiamo come festa laica il ritorno di giornate di luce più lunghe, ottimo motivo per festeggiare.E di fronte ai cristiani che alzano la bandiera del tradizionalismo, rivendichiamo le autentiche tradizioni autoctone romane precedenti alla loro e da loro snaturate.


Ed anche l' albero di Natale non ha niente di originariamente cristiano! La tradizione di festeggiare alberi era tipicamente pagana ed aspramente condannata già dalla Bibbia [questo non lo sapevo, ma che fosse condannata dalla Chiesa fino a 40 anni fa lo ricordo benissimo, NdR]. L'abete poi (con precedenti romani), è di tradizione nordica, al solito tardivamente fatta propria dai cristiani, eppoi più recentemente "laicizzatasi" quasi completamente nel sentire comune.

I laici reagiscano alla retorica religiosa ma non estraniandosi dalla propria comunita', bensì rivendicando orgogliosamente le proprie radici nella tolleranza e nella libertà di pensiero dei tempi "pagani".
Se consideriamo (come fanno perfino i neopagani) che il paganesimo non è stato una religione, bensì un atteggiamento tollerante verso tutti i modi di pensare e tutte le tradizioni, non avremo difficoltà a mantenere intatto il nostro laicismo pur recuperando pienamente il folclore gioioso delle nostre radici più profonde.

Il 25 dicembre, giorno della rinascita della luce secondo gli Antichi [noi moderni divergiamo di poco: il solstizio d'inverno quest’anno è capitato il 21 dicembre, in altri anni è il 22, NdR], era comunque una data importante nell’Antichità, legata a Miti e riti primordiali. Fatto sta che il periodo della rinascita della luce, giorno più giorno meno, ha dato il natale a molti Dei, dei quali Gesù è stato solo l’ultimo


Passiamoli in rassegna:
.1. Dionisio o Bacco o Libero, dio del vino della gioia e delle orgie di Grecia e Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio (conosciuto da 13 secoli prima di Cristo) ed il "mito cristiano": Dioniso (uomo che divenne dio), era venerato come "dio liberatore" (dalla morte) perché una volta defunto discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. 
Anche per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati, introdotti al tempio e sottoposti ad un rigido digiuno. Altra somiglianza fra il culto di Dionisio e quello ben più tardo di Gesù è nel rituale che prevedeva l' omofagia (consumazione della carne e del sangue di un animale, identificato con Dioniso stesso), come segno di unione mistica con il suo corpo ed il suo sangue. Dioniso inoltre era strettamente connesso con i cicli vitali della natura alla quale venivano legati il concetto di resurrezione (primavera) e morte (autunno) proprio come manifestazione della morte e resurrezione del dio. 
Anche i simboli di Dioniso: la vite, il melograno l'ariete corrispondono perfettamente (vite e melograno) o approssimativamente (ariete - agnello) ai simboli attribuiti dai cristiani a Gesu'. Robert Graves in Greek Myths ha scritto: "... Dioniso, anche detto "colui che è nato due volte" una volta affermato il suo culto in tutto il mondo, ascese al cielo e ora siede alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi". Oltre a Dionisio fra i nati verso il solstizio d'inverno ci sono anche;

.2. Ercole ( Eracles nato il 21/12 per i greci, ma il 1/2 per i Romani)

.3. Sol Invictus dio indigete cioè fra le divinità delle origini romane piu' antiche, ricevuto da ancor più lontani cicli di civiltà cioe' dalla tradizione indoeuropea, identificato poi con Mithra ed anche col dio solare siriano Elio Gabalo

.4. Elio Gabalo (o El Gabal) di cui un gran sacerdote omonimo divenne (pessimo) imperatore per breve tempo.

.5. Mithras, nato in una grotta (da una roccia), sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell'impero dalle legioni, (e diverso dal numero 6 Mithra di Persia)

.6. Mithra di Persia, nato da una vergine morto e risorto (sembra dopo tre giorni) , e diverso ancora dal num. 7

.7. Mitra indiano, dio della luce e del giorno.

.8. Adone (o Adonis) di Siria, e forse anche il suo corrispondente di Frigia,

.9. Attys (nato da una vergine, morto a titolo di sacrificio, e che inoltre risorge il 25/3 in corrispondenza anche di data, oltre che di significato di rinascita della vegetazione, col periodo della pasqua) eppoi

.10. Atargatis di Siria, grande dea madre, dea della natura e sua rinascita, chiamata dai romani anche Derketo e dea Syria. La sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita.

.11. Kybele (o Cibele) dea della Frigia amata da Adone. Il 25 Dicembre era festeggiata insieme ad Adone: ma che tale data fosse considerata la nascita in questo caso non è certo, è solo presunto.

.12. Astarte (o Asteroth) della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell'amore. Venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita). Anche essa scese agli inferi e risorse.

.13. Shamash il dio solare babilonese e Shamash del Vicino Oriente, e

.14. Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia) il dio sumero Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia) la cui morte periodica rituale (corrispondente a quella di Adonis) era pianta anche alle donne ebree (Ezechiele VIII,14).

.15. Baal-Marduk, dio supremo del pantheon Babilonese.
. 
16. Osiride dio supremo egizio della morte e rinascita della vegetazione, e per estensione della rinascita dell'uomo. La resurrezione è il tema centrale del mito trinitario egizio di Osiride, Isis ed Horus dal quale pare proprio che sia stata presa l'ispirazione per una successiva famosa resurrezione in ambito ebraico. Anche Osiride muore con l'inverno e rinasce di primavera.
. 
17. Horus, dio falcone solare, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d'ispirazione alla triade cristiana non ufficiale di Dio padre, Madonna e Bambino Gesu', nonché al raggruppamento ufficiale della trinita', che esclude l'elemento femminile. La sua nascita era celebrata il 26 Dicembre

18. Ra, il dio Sole egizio corrispondente ad Helios, la cui nascita era celebrata il 29 Dicembre nella città-tempio di Heliopolis a lui dedicata nella zona dell'attuale Cairo.
. 
19. Krishna, (attualmente il dio più importante dell'India) che inizialmente appare nel testo sacro Mahabarata come reincarnato dal dio padre Visnù come un uomo eroico o semidio, ed infine si rivela come dio. Era venuto al mondo per riconquistarlo dai demoni. (Avete notato qualche parallelismo?). Infine Krisna muore ucciso (da una freccia, non sulla croce), ma, tranquilli, rinascerà anche lui. Fra l'altro anche lui come babbo natale porta doni nel cuore della notte! 
.
20 Scing-Shin in Cina
. 
In ambito Nord Europeo gli dei nati verso il solstizio sono due:
.21. Baldur, e
.
22. Freyr il figlio di Odino in Scandinavia,

23. Joshua Ben Josef (detto Gesù, Gesù bambino, Nazareno [o Nazireo], Galileo, Cristo = unto, Messia, Salvatore) che arriva buon ultimo nella serie di Dei di ambito mediterraneo orientale ed indo-iranico .
. 
Ma alcuni aggiungono alla lista anche Zaratustra in Media e l'indiano Buddha;
In ambito Centro Americano pre Colombiano troviamo:
. 
24. Bacab dio dei Maya dello Yucatan ( attuali Guatemala e Messico Sud Est), eppoi
. 
25. Huitzilopochtli e
,
26. Quetzocatl, entrambi del Messico centrale azteco.
. 
Quante coincidenze! Non solo Gesù ma molti altri eroi, semidei e dei discesero agli inferi e da lì' fecero ritorno: in totale sono sei fra quelli elencati come nati verso il solstizio d'inverno Dioniso, Adone, Attis, Tammuz, Baal-Marduk, Osiride. Poi separatamente ne contiamo almeno altri 10 fra quelli nati in altri periodi o di cui non si conosce la data: Teseo, Orfeo, Enea, Zagreo, Sabazio, Apollonio di Tiana, Chuchulain, Gwydion, Amathaon, Ogier danese, ma la lista è certo incompleta di molti altri personaggi antecedenti o contemporanei a Gesù Cristo.

Alcuni di questi 26 dei sono morti attorno all'equinozio di primavera (che è il periodo della Pasqua) e risorti dopo qualche giorno, a volte proprio dopo 3 giorni, come per Gesù (ma il dio Baldur, forse più pigro, è risorto dopo quaranta giorni). 

Ad alcuni di questi dei, (sembra una mezza dozzina, la maggior parte di quelli orientali dal 6. al 15.) è stata attribuita dai seguaci la nascita da una vergine (così come è attribuita una nascita da una vergine anche il non-dio Buddha. 
Anche Buddha, come Gesù, è stato deificato dai seguaci in aperto contrasto col suo insegnamento che non giustificava niente di simile".

http://tinyurl.com/y9cypse

mercoledì 23 novembre 2022

IL PROGETTO MONARCH

farfalla monarca
di isegretiditwinpeaks
Nel cortometraggio del 1968 intitolato “The Alphabet” (che trovate in fondo all'articolo) Lynch racconta simbolicamente gli effetti negativi dell’educazione. L’ambientazione onirica e l’atmosfera terrificante mi hanno fatto pensare a certi strani racconti a proposito di esperimenti di controllo mentale, di cui avevo letto qui e lì, senza far troppo affidamento sulla veridicità dei fatti narrati.

Parliamoci chiaro: a star dietro ai cospirazionisti non si finisce più di trovare nuovi indizi a proposito di quanto la nostra percezione della realtà sia distorta. Al fine di essere il più esaustiva possibile ho optato per citare qualcuno che a tale argomento ha deciso di dedicare molto più tempo di quanto ci metterò io a trascrivere i nastri che mi ha lasciato Dale.
Il saggio che qui vi propongo in versione integrale è stato scritto da Ron Patton. Una trattazione così completa dell’argomento non poteva essere sintetizzata in alcun modo. Mi scuso per la traduzione poco precisa. Buona lettura.

giovedì 9 settembre 2010

Viva l’economia della felicità

I ricchi sono più felici dei poveri, ma i paesi ricchi non sono più felici di quelli poveri. Gli abitanti della Costarica sono più felici di quelli degli Stati Uniti: la loro vita è più stabile

Manuel Castells
www.internazionale.it


Manuel Castells

Tre mesi fa, in un discorso all’università della Carolina del Sud, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha deciso di parlare dell’economia della felicità. Dato che siamo ancora nel bel mezzo della crisi economica più grave degli ultimi cinquant’anni, potrebbe sembrare una scelta frivola.In realtà Bernanke rientra in una corrente sempre più nutrita di professori, politici e imprenditori che stanno cominciando a prendere sul serio quello che i sondaggi mostrano sistematicamente: alla gente interessa soprattutto essere felice, anche se poi ognuno lo intende a suo modo.

Il denaro non fa la felicità e neanche il consumo. Il primo paese che ha deciso di cambiare la sua unità di misura del progresso sostituendo il calcolo del prodotto interno lordo con l’indice di felicità nazionale lorda è il Bhutan. Proposto nel 1972 dal re Jigme Singye Wangchuk, l’indice è diventato il parametro di sviluppo multidimensionale del paese, che combina tra loro quattro obiettivi: uno sviluppo economico equo e sostenibile in cui la crescita si traduca in beneici sociali per i cittadini, la conservazione dell’ambiente naturale, la difesa e la promozione dell’identità culturale butanese, un buon governo che garantisca la stabilità istituzionale e sociale da cui dipende l’armonia della vita quotidiana.

L’indice nazionale di felicità si basa su alcuni princìpi buddisti radicati nella cultura del Bhutan, ma la sua applicazione può essere estesa a qualunque paese o regione che scelga l’armonia come principio di organizzazione sociale. Questa nuova prospettiva di contabilità nazionale si è estesa a tutto il mondo.

Esistono indici comparati dei livelli di felicità che, se volete, potete trovare su internet e dimostrano che il Bhutan, un paese povero con meno di 700mila abitanti, è tra i primi venti al mondo per livello di felicità. Ovviamente tutto dipende dai criteri di misurazione scelti. E in questo i butanesi e i loro amici di altri paesi non sono soli. Sempre più studiosi stanno conducendo ricerche su questo tema, proponendo innovazioni metodologiche che tengono conto anche delle statistiche sullo sviluppo umano.

Così sono emerse alcune cose interessanti. Per esempio che i ricchi sono più felici dei poveri, ma i paesi ricchi non sono più felici di quelli poveri. Gli abitanti della Costarica sono più felici di quelli degli Stati Uniti, perché la felicità dipende dalle aspettative ma anche dalla stabilità. La crescita rapida abbassa il livello di fe- licità perché sconvolge la ruotine quotidiana.

Carol Graham, una ricercatrice della Brookings institution, ha condotto un’indagine in vari paesi e ha scoperto che i fattori chiave della felicità sono una vita privata stabile, rapporti afettivi soddisfacenti, una buona salute e un reddito suiciente. Ma ha anche osservato che la felicità aiuta a essere in buona salute. Dagli studi fatti emergono due fattori fondamentali: la socialità e la capacità di adattamento. Più reti familiari e sociali abbiamo, più siamo felici.

Gli esperti di comunicazione hanno già individuato questo fattore come il motivo determinante del successo dei social network. Più internet, più socialità, sia virtuale che reale. E maggiore è la socialità, maggiore è anche la felicità. Il rapporto con la comunità è essenziale per mantenere l’equilibrio psicologico. Partendo da questo presupposto alcuni programmi di assistenza sociale, per esempio in Canada, prevedono l’organizzazione di attività per i disoccupati che generino reti di relazioni sociali e raforzino l’autostima.

D’altra parte la capacità di adattamento degli esseri umani riesce a gestire delle condizioni di disequilibrio attraverso meccanismi di compensazione nei comportamenti. Bernanke ha citato un paragrafo rivelatore di Adam Smith: “La mente di ogni uomo, prima o poi, torna al suo stato naturale e usuale di tranquillità. Nella prosperità, dopo un certo periodo di tempo, riscende a quel livello; nelle avversità, dopo un certo periodo di tempo, risale a quel livello”. Quest’afermazione, corroborata dagli studi di psicologia economica, spiegherebbe la relativa calma sociale in situazioni di crisi: tutti inziamo per adattarci a cose che ci sembrerebbero insopportabili in altre condizioni.

Ma è proprio questa capacità di accontentarsi a produrre un’armonia che dipende da noi e non dal valore della vita misurato in termini monetari. In in dei conti lo scopo dell’economia classica era rendere felici gli esseri umani. Invece il concetto di felicità, data la diicoltà di misurarlo, si è trasformato in quello di utilità e il suo criterio di misura è diventato il prezzo.

Ma il consumo individuale non può sopperire ai bisogni che il mercato non è in grado di soddisfare, dal bisogno di afetto a quello di difendere i beni comuni (come la natura). Anzi, la fuga nel consumo accentua gli squilibri psicologici. Per questo non è un caso che quando ci viene a mancare il mercato ci sentiamo vuoti. Ma questo vuoto si va riempiendo delle scelte a cui fa riferimento questo nuo- vo ilone di ricerca, sintomo di un profondo cambia- mento culturale: l’economia della felicità. Spero abbiate trascorso delle vacanze felici.


Comunicazione e potere

MANUEL CASTELLS è un sociologo spagnolo che insegna all’University of Southern California. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Comunicazione e potere (Università Bocconi editore 2009)

Guardando i dati di tutti gli stati del mondo sembrerebbe però che le popolazioni più felici si trovino nell’America centrale!

Ecco la mappa dell’HPI di tutto il mondo:

Cartina dell’Europa che indica il livello di felicità nei vari Stati, calcolato in base all’indice HPI (Happy Planet Index)!

Questo indice prende in considerazione tre variabili: il livello di soddisfazione personale, l’aspettativa di vita e l’impatto ecologico.

A quanto pare, nonostante tutto, pare che in Italia non si stia cosi’ male!

sabato 23 luglio 2016

Brexit è la vittoria sui Rothschild, sulla UE ed i globalisti

Brexit è la vittoria sui Rothschild, sulla  UE ed i globalisti

humansarefree.com


La creazione globalista è uno stato di  guerra contro i popoli da decenni. Secoli di intrighi hanno prodotto il mostro di accentramento UE. L'inganno travolgente e la distruzione causata dalla classe dirigente ha finalmente ricevuto una battuta d'arresto al plebiscito per l'Unione europea.

Il Nuovo Ordine Mondiale dei collettivisti nati dalle ideologie sataniche, attuato dalla finanza internazionale, imposto attraverso la carneficina di continue guerre e amministrato da un sistema burocratico abusivo di élite tecnocratiche non elette ha subito il ripudio degli uomini e donne britanniche, che vogliono riportare l'Inghilterra ad essere una nazione sovrana secondo i principi della Magna Carta.

Con l'esultanza immediata dalle schede elettorali  conteggiate, il pubblico a lungo demoralizzato dall'eredità inglese, ha ritrovato l'ottimismo per la prima volta nel tempo e  di memoria recente.

Tale soddisfazione entusiastica è del tutto comprensibile per i risultati storici ottenuti che hanno chiaramente respinto il sistema pagano della dominazione straniera.

Ora è il tempo di maturazione per non essere  più servi della gleba sottomessi e raggiungere col divenire coraggioso di uomo nato libero.

Con la reazione organizzata e coordinata dei globalisti e UE che popolano la City di Londra e il colosso finanziario, è al di là di qualsiasi dibattito uno stato di guerra è messo in completo movimento contro la gente comune.

Il capitale manipolato, con le obbligazioni e valute nelle borse internazionali, hanno usato la vendita massiccia fuori per fare guadagni enormi su quelli posizionati e per cortocircuitare i mercati manipolati.

La prostituita stampa finanziaria e le prostitute dei media gettano il biasimo di questa caduta economica sui sostenitori stupefatti del Brexit, è evidente che il divario tra la popolazione e le classi privilegiate è tanto ampio come lo era nell'era della Compagnia delle Indie Orientali.

La Gran Bretagna, lasciando l'UE, dimostra di non essere la causa principale del crollo dei capitali. No, ma, la base monetaria del condutture commerciale è il centro di questa crisi ingegnerizzata (costruita).

Al fine di correggere il panorama economico a lungo termine per il merchant commerce, l'intero sistema bancario deve essere trasformato in amministrazione libera dalla moneta creata sul debito..

La reticente Banca d'Inghilterra componimento di Storia Proibita immediatamente focalizzata sul sistema dei Rothschild, per soggiogare l'Europa cristiana, nell'ambito della Talmud, esaltava il diagramma dell'usura della conquista dei bankster. Non commettete errori sullo stato attuale delle cose.

L'Europa molto tempo fa è stata sotto il dominio dei zeloti sionisti, che usano il multiculturalismo come capro, di Giuda, per la distruzione nazionale. Questo nemico della civiltà occidentale pratica la peggiore di tutte le identità politiche con i loro protocolli scelti.

Il voto a favore del Brexit è una mera vittoria emotiva, senza la rinuncia richiesta e necessaria del sistema monetario Shylock della tirannia delle banche centrali.

Tale valutazione è di fatto corretta, ma è considerata bigotta e razzista, da coloro che non danno la colpa a nessuno e che criticano la finanza internazionale come anti-semita.

Per questo le bugie anti-intellettuali, i difensori coraggiosi e onesti del nostro patrimonio culturale devono accelerare a dire la verità. Brexit è anche questo aspetto, al momento giusto e, favorevole, cosa che la maggior parte dei rapporti finanziari e politici hanno completamente perso.

Mantenere la moneta Sterlina indipendente e isolata dalle perversioni del sistema bancario centrale è essenziale per ripristinare la libertà politica e l'integrità nazionale del Regno Unito.

Se il luogo di nascita del parlamento è, di ristabilire i diritti naturali della natura umana, la volontà del popolo deve essere obbedita.

Tuttavia, le prospettive di restaurazione razionale e morale sono remote, quando viene minacciato, il potere dell'establishment collettivista.

I numerosi altri paesi che chiedono il referendum per lasciare l'UE o la secessione dalle proprie giurisdizioni statali sono incoraggiati dal successo Brexit.

Tuttavia, l'entusiasmo è  prematuro. Mentre la guerra sulla cittadinanza si intensifica, le élite al potere useranno ogni scusa per incolpare il Brexit dei propri fallimenti.

La creazione di un collasso economico intenzionale è altamente probabile. Da come reagiranno le persone si determinerà se il nuovo ordine mondiale sarà sconfitto.

L'ammontare del sostegno di rimanere all'interno dell'UE è un'indicazione di quanti sicofanti esistono che vogliono sopravvivere sotto i dettami dei tecnocrati tiranni ...

Per il resto dei lacchè che sono in realtà parte dell'apparato della pubblica amministrazione, il loro obiettivo è quello di proteggere le pensioni e benefici derivanti dal servire i loro padroni a tutti i costi.

I globalisti dell'UE hanno ancora saldamente il controllo delle istituzioni e l'ingegno coercitivo che continuano a definire la cultura popolare e il sistema politico.

Questo è il tempo per apprezzare il trionfo epico del sentimento, ma è molto più importante per costruire i reggimenti della rivolta contro i centri del potere dispotico reale.

Con il successo di un voto, gli atteggiamenti dei timidi astanti hanno sentito il campanello d'allarme per unirsi alla rivoluzione di liberazione.

E' atteso da tempo, e imparare le conseguenze dalla vera storia di Oliver Cromwell, come ha combattuto la guerra civile inglese, per stabilire la supremazia del Parlamento sul re. Il suo grave errore sotto il suo protettorato fu la riammissione degli ebrei in Inghilterra.

Poco dopo, che la Banca d'Inghilterra è stato creata è iniziato il tradimento della Gran Bretagna .

Ora notare la valutazione dello storico Michael Hoffman nell'ultima edizione delle sue mailing , il modello creato dalla Gran Bretagna prendere a morsi il Nuovo Ordine Mondiale.

"Non ci sono persone che possono sostenere ripetute sconfitte. Il 23 giugno 2016 la GB ha dato al nostro popolo una vittoria che eleva il morale in America e in tutto il mondo occidentale: hanno sfidato le élite e votato per lasciare l'Unione europea con sede a Bruxelles (UE).

Questo è il bello per molti motivi, non ultimo dei quali è il fatto che i media britannici hanno tirato fuori un corpus di "perizia" per ordinare ai cittadini silicei della nazione dell'isola di rimanere in Europa per il bene del consumismo e del globalismo.

Il denaro è stato il loro leitmotif in cima alle motivazioni supreme per rimanere [in UE], e quelli che hanno tenuto alto il cartello di mammona è il "settore dei servizi finanziari", che significa il medio-eufemismo della banda di usurai che dominano in quasi tutti i paesi occidentali.

In base alle leggi di super-Stato l'Unione europea, la piccola isola nazione avrebbe  dovuto accettare qualsiasi numero di immigrati, non importa quanto grande, dai paesi membri. Questo comprende milioni di giovani musulmani arrabbiati e alienati dei paesi membri dell'Unione Europea come la Francia e la Germania.

I sondaggi hanno più volte rivelato che questa invasione era la forza trainante dietro il voto per l'uscita britannica ( "Brexit") da Bruxelles.

L'inglese e il gallese ha scelto la sua terra e la sua gente - la sovranità nazionale e l'indipendenza - anziché, il denaro e il potere della Torre di Babele UE. Grazie a Dio!

Da non confondere la vittoria in una grande battaglia della Gran Bretagna con la sconfitta decisiva del regno di Satana, in Occidente, dobbiamo esaminare il quadro più ampio, che comporta i fattori dei piani sionisti per Gran Bretagna ed Europa.

Hanno una lunga memoria e il perdono non fa parte della loro *gestalt. Considerano la Gran Bretagna e l'Europa come ereditariamente e inestirpabile contaminazione della loro ex resistenza al giudaismo.

Influenti rabbini ortodossi, hanno lasciato il gatto fuori dal sacco, sogghignano alla crescente presenza di terroristi islamici sunniti-wahabita flagello di Gran Bretagna ed Europa.

Inevitabilmente questi rabbini citano la "imperdonabile" resistenza cristiana al giudaismo in passato,  si giustificano e gongolano per l'invasione in atto dei migranti, e i tassi di autoestinguenza con aborto, contraccezione, suicidio ed eutanasia in Europa e in Gran Bretagna.

Uno dei principali punti di vendita sionisti del loro odio eterno sono i media controllati del Ovest, dove gli europei e gli inglesi sono perennemente presi di mira con film, spettacoli televisivi e pubblicazioni che li ritraggono come lebbrosi morali, assassini di massa diabolicamente sadici e, in generale, in possesso di una genetica contaminata.

[ ... ]

Se veramente si vuole comprendere il culto globalista di controllo del corporativismo, è necessario avere il coraggio di affrontare la genesi e la natura dell'avversario.

La perdita di sovranità nazionale dei paesi occidentali è un obiettivo concreto della tribù globalista. Gli inglesi hanno espresso il loro disprezzo per i loro oppressori. Tuttavia, l'eterna lotta non è ancora vinta.

Brexit è un grande inizio, ma la struttura fluttua in molte opzioni per sabotare la voce e la determinazione della popolazione inglese.

Lei non potrà mai impegnarsi in questa discussione sui media di proprietà dei sionisti "PC", perché lor signori professano solo la versione cosmopolita di assimilazione conformista.

I dati demografici europei sono posti per l'estinzione della cultura tradizionale rinascimentale. Questa distruzione non è casuale.

Anche superare con successo la UE, il Regno Unito è nel percorso della dissoluzione dei componenti regionali. Scozia, Irlanda del Nord e anche la City di Londra, vogliono rimanere come parte dell'Unione europea.

Una seconda guerra civile inglese non è fuori questione. Si spera, in un metodo pacifico, per dividersi,  può essere trovato.

Nonostante ciò, se i bankster centrali rimangono in carica con il modello della riserva frazionaria del denaro, lo Scellino rimane la moneta del regno.

La resistenza alla classe dirigente globalista è l'imperativo senza fine, fino alla vittoria finale, e può essere vinta. Ci vorrà più di un semplice voto Brexit per porre fine all'occupazione.


Note:

*Gestalt: La psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, psicologia della forma o rappresentazione) è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell'esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania (nel periodo tra gli anni dieci e gli anni trenta), per proseguire la sua articolazione negli USA, dove i suoi principali esponenti si erano trasferiti durante il periodo delle persecuzioni naziste. da wikypedia


venerdì 22 novembre 2013

Parlare in limba come festa della parola, di Bachisio Bandinu.

Parlare in limba come festa della parola, di Bachisio Bandinu.

Bachisio  Bandinu

Sa limba: è possibile porre fine alla lingua dei litiganti? Contatto, confronto, adesione: fondamentali atteggiamenti della politica linguistica. La proposta che la Fondazione Sardinia consegna  al dibattito pubblico. La lingua come rapporto fraterno.


All’occorrenza, a ondate tempestose, si ripresenta la questione de sa limba, sempre nella polemica, nel teatro dei litiganti. In cinquant’anni di dibattito non c’è stato un cammino di elaborazione attraverso studi di filosofia, antropologia, sociologia, psicologia del linguaggio sardo. Gli studi hanno coltivato il campo della glottologica e della filologia, certamente importanti ma poco incisivi sulla questione concreta del sardo nelle scuole, nella famiglia, nella società, nei mass media, nel rapporto anche linguistico tra locale e globale. In verità la società è andata avanti nell’esperienza positiva a livello scolastico, teatrale, filmico, letterario, musicale, artigiano, purtroppo a livello di ricerca intellettuale è rimasto a una sorda contrapposizione di limba sì, limba no. Una sorta di tifoseria calcistica. Al riguardo poco è servita la legge regionale 26/97 che attribuisce pari dignità a lingua e cultura sarda rispetto all’italiano, non ha prodotto molti frutti la legge 492 che riconosce il sardo come lingua di minoranza, non ha neppure convinto la ricerca condotta dall’Università di Sassari e di Cagliari sulla competenza attiva o passiva del sardo nell’isola. Viene il sospetto che le polemiche dei litiganti siano di origine passionale, umorale, motivate da vissuti personali, da processi di rimozione, di resistenza, anche se si ammantano di spiegazioni storiche, sociologiche, ideologiche.
È così sentiamo, nel ritorno ossessivo di 50 anni, le stesse domande: esiste davvero una lingua sarda? quale sardo insegnare? E ancora si ripropongono le solite affermazioni: la lingua sarda appartiene al passato, non può parlare la complessità del mondo contemporaneo, la lingua sarda è destinata a scomparire ed è inutile tenerla in vita con le leggi. Immediatamente scatta la reazione: ciascuna lingua può parlare il proprio tempo se le viene data la libertà concreta di parità con le altre lingue, la lingua sarda non è solo il deposito conosciuto del vocabolario, ha invece capacità infinita di creare nuove espressioni, nuove parole e inedite combinazioni sintattiche. Muoiono metafore vecchie, ma la lingua ha un’infinita capacità di creare metafore nuove e perciò è capace di parlare il proprio tempo. Tra le due posizioni in conflitto non c’è dialettica perché non c’è elaborazione: il tempo della polemica è fermo e si irrigidisce confermando le proprie convinzioni.
A rinforzare il bisticcio arriva la domanda: a che serve la lingua sarda? Domanda retorica che ha già inclusa la risposta: non serve, meglio l’inglese. Insegnare il sardo è tempo perso, rubato alle altre lingue, oltre a comportare spese, risorse finanziarie che sarebbe meglio indirizzare verso il cinese, l’arabo e il russo. Non manca persino l’accusa: c’è chi ci mangia sul piatto della lingua sarda. Le risposte non si fanno attendere: la lingua sarda è lingua dell’identità, senza una propria lingua un popolo non esiste, è parlato dalla lingua degli altri e dunque colonizzato anche nell’atto di parola.
È possibile porre fine alla lingua dei litiganti? Abbandonare la logica del risentimento che anima le fazioni contrapposte? Da una parte il risentimento di chi difende la lingua proprio perché negata, tagliata, esclusa, dall’altro lato il risentimento di chi la combatte perché inattuale, rozza, incapace di dare risposte alla forma del nostro tempo. Si tratta di procedere dalla torre di Babele, (dalla confusione e dalla lotta tra le lingue) verso la Pentecoste: intendersi in ciascuna lingua senza annullare le differenze- Parlare in limba come festa della parola, senza narcisismo e senza vergogna, senza ritardo e senza anticipo, senza primogeniture e senza diseredamenti. La prova più convincente viene da un’esperienza scolastica. In una scuola dell’infanzia risuonano tre parole: casu, formaggio, cheese. Sono voci che danzano con la loro musica e persino con la loro mimica. Annunciano la loro identità e danno persino la sensazione di una diversa corporeità della parola. Nonostante rimandino a uno stesso oggetto, un prodotto del latte, creano associazioni con diverse sfumature di significato. Casu, formaggio, cheese fanno ballo tondo tenendosi per mano: nessun conflitto, nessun risentimento. I bambini procedono nel cammino emotivo e cognitivo di una esperienza trilingue. Quando verrà il cinese e l’arabo la festa sarà a cinque e dunque più ricca. Questa esperienza vale più di tutti dibattiti degli intellettuali.
La festa della parola la viviamo nell’ascolto del canto e della musica in limba, nella ricchezza delle espressioni teatrali, nella produzione filmica, nella poesia estemporanea, nel canto religioso. Ciò che fa festa è il suono, il ritmo e l’intonazione: intervengono variazioni melodiche e ristrutturazione ritmiche. Sotto la parola c’è una voce, il senso è mescolato al suono, così la parola comunica perché mostra il suo corpo pulsionale, la sua materia linguistica, infatti la parola è vitale se è corporea. Il tratto fondamentale di una lingua è dato dal significante più che dal significato: è fondamentale cioè l’immagine acustica della parola che si forma ben prima del significato, in ciò consiste la singolarità della lingua e la differenza da un’altra lingua.
Suono e senso della parola costruiscono il linguaggio, la comunicazione sociale e investono immediatamente l’abitare un territorio, la modalità e le scelte di vita. Domo, casa, house dicono di un particolare modo di abitare un territorio. Parlare anche in sardo la crescita della Sardegna vuol dire acquisire coscienza di soggettività: l’atto di parola è simultaneamente azione, indirizzo, progetto. Parlare anche in sardo lo sviluppo economico, le trasformazioni sociali, le mediazioni culturali. Sa limba è capace di fare le traduzioni che servono per comunicare con il mondo, per parlare in proprio, non per essere parlati. Nel processo di globalizzazione il dominio si esercita anche nell’imposizione dei linguaggi, nella produzione linguistica delle merci, nei codici linguistici della comunicazione tecnologica imponendo così un sistema di significazione che si realizza nell’esperienza relazionale di ogni giorno. Oggi il potere consiste in una produzione di senso come produzione materiale, un macchinario politico, economico, sociale e culturale. La lingua sarda può essere un dispositivo di accettazione e di rifiuto, di filtro, di traduzione e di relazione. Linguaggio parlato da sardi nel tempo attuale, quello vissuto rispetto alle cose da fare e da dire, rispetto all’economia e alle finanze, all’artigianato e al turismo, alle risorse locali e alla loro valorizzazione. Fare politica in lingua sarda.

Riconosciuta l’importanza de sa limba nella politica, nell’economia, nella cultura, è legittimo porre la questione dei modi e dei tempi di una politica linguistica. Su questo tema è importante il contributo degli studiosi ma anche di tutti cittadini perché riguarda proprio un indirizzo politico. La recente polemica ha investito l’Assessorato della Pubblica Istruzione, specificatamente nella figura di Peppe Corongiu, direttore del servizio della “Lingua sarda”.
Gli indirizzi della politica linguistica dell’assessorato sono diretti ad una decisa valorizzazione della Lingua sarda comune, la LSC, attraverso gli uffici linguistici provinciali e comunali, attraverso pubblicazioni e relazioni in congressi ufficiali, attraverso dibattiti e traduzioni. Nata come necessità burocratica per rispondere in un unico codice comunicativo alle diverse istanze espresse nelle molteplici parlate locali, a opera di Renato Soru, la Lingua sarda comune viene promossa a lingua ufficiale delle espressioni pubbliche promosse o sostenute dall’Assessorato. Si tratta dunque di una decisione politica e come tale dovrebbe estendersi anche all’insegnamento scolastico, alla comunicazione radiofonica e televisiva e porsi anche come discriminante in eventuali concorsi pubblici. L’obiettivo è quello di una istituzione della lingua nazionale sarda. Questa scelta è legittima ed è mossa da buoni propositi. Nella storia d’Europa ogni lingua nazionale è stata in qualche modo imposta, proprio per ragioni politiche e per unificare la nazione attraverso un idioma comune, d’altro canto non è pensabile che si arrivi spontaneamente ad una unificazione linguistica per consenso gratuito. Nel caso specifico l’obiettivo della politica linguistica voluta dall’Assessorato è valido e anzi meritevole. Discutibili, nel senso che meritano discussioni approfondite e allargate, sono i modi e i tempi del progetto che si vuole realizzare, infatti laceranti risultano le modalità di attuazione. Di fatto non preoccupa tanto la polemica tra i fautori della “lingua sì, lingua no”, quanto la conflittualità esasperata tra coloro che sono convinti fautori del sardo, sino a porre uno spartiacque discriminante fra Lingua sarda comune e le varietà isolane. Chi non condivide l’uso per così dire istituzionale della LSC si sente discriminato, si sente escluso dalle organizzazioni degli uffici della lingua, che comunque stanno diventando fonte di occupazione, e da altre presenzialità nei convegni e nei dibattiti pubblici, e addirittura larvatamente minacciato di rappresaglia e di futura esclusione. E’ una situazione assolutamente insostenibile, foriera di lacerazioni profonde a danno di una comune battaglia per la valorizzazione del sardo. È necessario dunque una politica linguistica che si fondi sulla mediazione di atteggiamenti differenti, anche perché ne va di mezzo il raggiungimento dell’obiettivo finale che è quello di una lingua nazionale sarda.

Facciamo un esempio significativo. Istituendo l’uso della lingua sarda nelle scuole, è opportuno insegnare la LSC o la variante locale? Secondo un discorso strettamente “ politico” e mirato all’obiettivo di una più sollecita unificazione linguistica, anche a costo di una imposizione, è consigliabile la LSC trattandosi di una occasione unica per impostare dalla base una lingua nazionale. Certo ci saranno opposizioni, risentimenti e conflittualità, ma gradualmente verranno meno ed intanto si ha avviato un processo fondamentale di parlata e di scrittura comune sarda. La mia preoccupazione è che proprio questa scelta possa compromettere i risultati desiderati. La lingua materna struttura l’inconscio dei singoli abitanti e per così dire della comunità, ciò vuol dire che la parlata locale ha un fortissimo carattere identitario che è principalmente fondato sull’immagine acustica della parola. La parlata della comunità ha una propria identità fonetica, una specifica qualità sensoriale. Conferma un riconoscimento e una appartenenza,  sicurezza e protezione. Ogni variazione minima è stigmatizzata. Fillu e fizu misurano una distanza netta a livello del profondo nei rispettivi parlanti, non per motivi superficiali o campanilistici. Un bambino può uscire dal coma se la madre sussurra delle parole o canta una ninnananna nella lingua nativa del bambino, se lo fa in una lingua acquisita, il messaggio è senza efficacia. Se la mamma logudorese, invece di dire fizu meu, dice fillu miu, il bambino non reagisce allo stimolo.
La logica conseguenza di questo discorso affermerebbe l’impossibilità di una lingua nazionale sarda che non fosse imposta dal potere politico. Non è così. La proposta elaborata negli anni ‘90 nei seminari della Fondazione Sardinia mi sembra più che mai valida. La scuola di un singolo paese pone come lingua base la parlata della comunità e in adiacenza propone la lingua unificata spiegando che è una ricchezza e che allarga il campo verso una cittadinanza linguistica sarda che ha la forza di una coesione politica e di una identità nazionale. La lingua standard come coscienza di popolo. Sarà l’insegnante a creare mediazione e alternanza simbiotica tra parlata locale e koinè, risolvendo quel senso di straniamento che il passaggio comporta. Contatto, confronto, adesione. Il meccanismo fondamentale è quello del trasferimento di suono e di emozione della parola paesana in quella standard. È un vero e proprio transfert dell’immagine acustica da un significante ad un altro significante, da una parola ad un’altra parola, peraltro assai simili. Si ha così una confidenza di suoni e una familiarità affettiva attraverso un gioco di scambio e di avvicendamento fino ad una compresenza accettata e condivisa. È un processo di integrazione senza espropriazione. La parlata paesana non viene repressa e neppure sminuita, si pone invece in adiacenza con quella koinè che vuole diventare lingua della nazione sarda.
È una proposta fra le possibili altre da elaborare e da consegnare al dibattito pubblico. Ogni fondamentalismo è negativo e finisce per creare “noi e gli altri, gli amici e i nemici, i sapienti e tonti”: chi in definitiva ne paga i costi è proprio la valorizzazione della lingua sarda, obiettivo che vale ben più delle ragioni personalistiche e di gruppo, del sadismo del masochismo conflittuale.
Bachisio  Bandinu, 19 novembre 2013

domenica 5 maggio 2024

Intervista a Valeri Rozanov. Disinformazione, mercato nero degli organi e della pedofilia "made in U.S.A."

Valeri Rozanov è un autore indipendente, di quelli che non hanno problemi a dire le cose come stanno. E' una personalità molto particolare, senza dubbio un esponente a pieno titolo della "controinformazione". Laureato in psicologia, nonché collaboratore giornalistico presso varie testate russe, Valeri è una fonte di informazioni preziosissime, che ci permettono di comprendere il nostro mondo occidentale attraverso il racconto di chi vuole raccontare e descrivere quello che gli passa davanti, senza filtri e manipolazioni. 

Valeri Rozanov

Valeri si è anche conquistato la fiducia degli oramai famosi "hacker russi" (di cui consigliamo le nostre interviste), ed ha approfondito una tematica per noi molto importante: il traffico dei bambini.

mercoledì 31 maggio 2023

Cosa sono i Registri Akashici?

registri akasici
Di Sayer Ji
Akasha (a-ka 'ska) è una parola sanscrita che significa “etere”: spazio che tutto pervade. Originariamente significava "radiazione" o "splendore", nella filosofia indiana akasha era considerato il primo e il più fondamentale dei cinque elementi - gli altri erano vata (aria), agni (fuoco), ap (acqua) e prithivi (terra). Akasha abbraccia le proprietà di tutti e cinque gli elementi: è il grembo da cui è emerso tutto ciò che percepiamo con i nostri sensi e in cui tutto alla fine ridiscenderà. L'Archivio Akashico (chiamato anche Cronaca Akashica) è la registrazione permanente di tutto ciò che accade, ed è mai accaduto, nello spazio e nel tempo. ~ Ervin Lazlo

domenica 13 dicembre 2020

LA VENDETTA È IL PIATTO NUCLEARE.

https://www.sadefenza.org/2020/12/la-vendetta-e-il-piatto-nucleare/


Riceviamo il bollettino sui problemi e rischi nucleari nel mondo dal Bulletin of the Atomic Scientists che volentieri pubblichiamo per rendere consapevoli di questo orrenda possibilità di olocausto nucleare tutti coloro che ci leggono e riusciamo a raggiungere, nella speranza che ci sia un ravvedimento su questo piano e si indirizzi una politica seria tra le parti per un disarmo nucleare generalizzato in tutto il mondo.

SaDefenza

Di Peter K. Hatemi , Rose McDermott 
the bulletin

La vendetta è il piatto nucleare meglio servito. La deterrenza statunitense dipende da questo. La strategia nucleare degli Stati Uniti si basa su un concetto apparentemente semplice: la deterrenza sotto forma di distruzione reciproca assicurata. Gli avversari non attaccheranno gli Stati Uniti, si pensa, perché sanno che gli Stati Uniti reagirebbero con una forza schiacciante, potenzialmente coinvolgendo armi nucleari.

Il concetto di deterrenza presuppone che entrambe le parti siano attori razionali che alla fine desiderano la sopravvivenza sopra ogni altra cosa. Il problema è che questo concetto non è valido. Nell’era degli attacchi suicidi e dei leader apocalittici, è chiaro che questa prima ipotesi è palesemente falsa. Anche se si dovessero mettere da parte i fenomeni recenti, nel corso della storia umana, la vendetta, non la razionalità, è stata il motivo principale della ritorsione, indipendentemente dall’autoconservazione. Se un attacco nucleare sta per arrivare contro gli Stati Uniti, non è probabile che sia una risposta a un attacco nucleare lanciato dai leader statunitensi, o anche la minaccia di uno, ma piuttosto istigato come rappresaglia per i danni, il degrado, l’ingiustizia e umiliazioni che gli oppositori ritengono che gli Stati Uniti abbiano già inflitto loro.

Di conseguenza, a meno che i leader statunitensi non inizino a pensare alla prevenzione della guerra nucleare da una prospettiva più coerente che includa motivazioni umane per la vendetta, è probabile che finiscano con esattamente ciò che stanno cercando di prevenire: distruzione assicurata. Per evitare un attacco nucleare in futuro, è fondamentale comprendere che la spinta psicologica umana alla ritorsione alla base non dipende da un calcolo razionale della probabilità di vittoria, ma dal desiderio indiscusso di ottenere una ricompensa di fronte a un infortunio. Tuttavia, poiché i responsabili delle decisioni continuano a credere che la stabilità globale sia derivata da leader razionali e dalla deterrenza, tali false credenze ora conducono a un mondo più pericoloso in cui l’autocompiacimento mette l’umanità a maggior rischio di fronte alla crescente proliferazione nucleare. La posta in gioco è troppo alta perché tale ignoranza continui.

La vendetta è il piatto nucleare.
La deterrenza nucleare è moralmente inaccettabile

I tre difetti della deterrenza.
La nozione di base di deterrenza è che a una parte viene impedito di attaccare l’altra a causa dell’aspettativa e della convinzione che la ritorsione che dovrà assorbire in risposta sarà peggiore di qualsiasi beneficio che possa ottenere iniziando un assalto. In questo modo, la deterrenza reciproca dipende dal fatto che ciascuna parte disponga di una forza di ritorsione sicura. Da questo punto di vista, solo allora entrambe le parti possono apparentemente essere sicure che l’altra non rischierebbe mai di lanciare un primo attacco, poiché in cambio si assicurerebbe la propria distruzione. Ad esempio, si ritiene che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si siano dissuasi a vicenda durante la Guerra Fredda attraverso una politica di distruzione reciproca assicurata (MAD). Tuttavia, il sistema internazionale e la natura della sicurezza internazionale sono cambiati notevolmente da allora e gli incentivi su cui si basa MAD non sono più validi.

Ci sono almeno tre difetti critici nella strategia della deterrenza come distruzione reciproca assicurata. In primo luogo, si basa sul presupposto di un processo decisionale razionale. In secondo luogo, presuppone in gran parte che siano coinvolti solo attori statali; in questo presupposto è inclusa la perfetta non proliferazione e la perfetta sicurezza tra e tra le potenze nucleari. In terzo luogo, richiede la chiara segnalazione di impegno e intenzione, nonché percezioni accurate di capacità e determinazione. Ciascuno di questi presupposti è completamente contrario alla natura, alle capacità e alla realtà umane.

Difetto numero uno: i leader non sono razionali . La logica della deterrenza è che una volta che ciascuna parte riconosce di essere bloccata in una reciproca minaccia di distruzione, entrambe le parti si trattengono dal fare ciò che altrimenti sarebbe naturale. Questa dottrina presume che i leader siano attori informati, razionali, egoisti, che danno sempre la priorità alla stabilità e alla sopravvivenza, e che la minaccia di un’autodistruzione di ritorsione limita il desiderio di annientare l’altro. Questo è palesemente falso. È palesemente ovvio, e lo è sempre di più nel mondo moderno, dove un numero maggiore di leader personalistici sta acquisendo o sta cercando di acquisire armi nucleari, che non tutti i leader sono razionali in alcun senso del termine. Come ha dimostrato il professore della Columbia University Robert Jervis, molti degli attori della politica internazionale, compresi i leader di grandi potenze, non sono razionali o addirittura preoccupati per l’autoconservazione. Le loro decisioni possono e hanno distrutto i loro stati. Hitler fornisce solo un esempio iconico di un leader autodistruttivo responsabile di un potere globale.

È importante sottolineare che i conflitti non riguardano semplicemente le risorse materiali, il territorio o le opportunità strategiche, ma si verificano sempre più su fattori che trascendono i confini nazionali, come la religione, l’etnia, l’ideologia e altri fattori amorfi ma potenti, incluso lo status. Tali obiettivi sono spesso più importanti per i leader persino della loro sopravvivenza personale o della loro gente. Inoltre, la maggior parte dei conflitti moderni sono caratterizzati da profondi odi culturali in molti luoghi del mondo, dall’Africa e dal Medio Oriente all’Asia, all’Irlanda del Nord e alle Americhe. Le persone combattono non solo perché vogliono vincere, ma perché vogliono che i loro avversari soffrano. E sono disposti a punirli indipendentemente dal costo per loro stessi, le loro famiglie, i loro cari o chiunque altro. In questo modo, non sono solo i leader maniacali o narcisisti che potrebbero dimostrarsi irrazionali di fronte a una minaccia e non essere scoraggiati dalla prospettiva di morte e distruzione. Ad esempio, molti anni dopo la crisi dei missili cubani, Fidel Castro ha ammesso all’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti Robert McNamara che avrebbe usato armi nucleari contro gli Stati Uniti durante la crisi se avesse avuto il controllo di quelle armi in quel momento.

In effetti, anche i leader di una delle potenze nucleari originarie del dopoguerra, gli Stati Uniti, non sono sempre stati razionali. Più recentemente, molti funzionari di alto livello, compresi quelli militari, si sono preoccupati realisticamente per la stabilità del presidente Trump; durante la sua presidenza si sono chiesti se avrebbe iniziato una guerra nucleare. Da quando è entrato in carica, Trump ha minacciato la Corea del Nord con “fuoco e furia”, si è vantato delle dimensioni del suo “pulsante nucleare” e ha considerato l’utilizzo di armi nucleari per fermare un uragano. Il suo capo del personale lo ha descritto come “scardinato”. Trump non fa eccezione, tuttavia, e condivide molte delle stesse caratteristiche di altri leader mondiali moderni che possiedono armi nucleari, compresi alcuni nelle stesse nazioni che hanno minacciato gli Stati Uniti con un attacco nucleare, come Kim Jong Un, per esempio.

Difetto numero due: gli Stati non agiscono, le persone lo fanno; e tutti gli attori sono più incentivati ​​che mai a procurarsi armi nucleari. La strategia di distruzione reciproca assicurata si basa in gran parte su una visione a tunnel che presuppone solo attori statali, e un numero molto piccolo di ciò, potrà mai possedere armi nucleari. Ci sono due errori fondamentali in tale logica. In primo luogo, tutti gli stati devono ora affrontare un futuro popolato da attori non statali con meno vincoli, in cui un generale militare o uno scienziato con accesso alle armi nucleari, o imprenditori che cercano di vendere materiali o tecnologie scarsamente protetti, possono scatenare livelli orribili di distruzione. AQ Khan, un metallurgista, non solo ha contribuito a rendere il Pakistan una potenza nucleare con piani rubati, ma ha anche avviato la creazione di una rete di contrabbando sotterranea per vendere sia tecnologie nucleari che piani di testate progettati dalla Cina a stati canaglia, tra cui Libia e Iran. Questo è un perfetto esempio di come la diffusione delle armi nucleari non possa essere fermata da stati più grandi, potenti o più influenti. I leader terroristi, tra cui Osama Bin Laden, Abu Musab al-Zarqawi e Abu Bakr al-Baghdadi, hanno dichiarato o implicito la loro disponibilità a usare tali armi contro gli Stati Uniti; pochi dubitavano della loro sincerità.

Di fondamentale importanza, la posta in gioco è diversa per attori non statali, terroristi e altri giocatori canaglia. In questa era nucleare, questi attori ben finanziati sono più pericolosi perché, a differenza delle grandi potenze, non sono vincolati dai mercati finanziari, dal commercio, dai trattati, dalle istituzioni o dall’opinione pubblica. In effetti, tali attori non statali, così come i leader degli stati più poveri, non sono più limitati dai costi precedentemente esorbitanti del carburante e dei sistemi di consegna, o da quelle che erano le reti strettamente controllate di conoscenza scientifica necessarie per creare armi di distruzione di massa. .

Forse il miglior esempio di quanto una potenza nucleare sia vicina a un attacco terroristico nucleare è arrivato nel novembre 1995, quando i separatisti ceceni hanno creato una rozza bomba di cesio 137 e dinamite e l’hanno collocata nel parco Izmailovsky di Mosca. Sebbene la bomba non sia stata fatta esplodere, si è scoperto che il terrore nucleare faceva parte dei piani del governo separatista ceceno sotto Dzhokhar Dudayev. C’era persino un piano per catturare un sottomarino nucleare russo dalla base navale vicino a Vladivostok. E il piano sembrava credibile, dal momento che l’ex capo di stato maggiore dei ribelli ceceni, Islam Khasukhanov, in precedenza era stato il secondo in comando di un sottomarino nucleare da quella base.

L’influenza di attori non statali nel regno della sicurezza difficilmente può essere sopravvalutata. Ci sono volute solo una manciata di individui l’11 settembre per mandare in frantumi l’economia degli Stati Uniti, facendo precipitare il paese in una guerra impossibile da vincere di 20 anni. Come ha dimostrato la pubblicazione del Washington Post degli “Afghanistan Papers”, nessun leader statunitense dal 2001 in poi ha agito razionalmente nella “guerra al terrorismo“. Alla fine, la guerra statunitense al terrorismo ha cambiato gli Stati Uniti molto più di quanto abbia cambiato l’Islam radicale. Le entità non statali non hanno i vincoli istituzionali, organizzativi o burocratici degli Stati Uniti, della Russia o del Regno Unito. Il ragionamento della realpolitik non si applica ad attori come ISIS e Al Qaeda, che sposano motivazioni religiose e apocalittiche.

Questo desiderio di armi nucleari non è limitato agli attori non statali. Piuttosto, gli stati sono più incentivati ​​a procurarsi armi nucleari oggi che in passato, anche di fronte alle sanzioni. Gli strateghi non hanno riflettuto a fondo sulle conseguenze delle lezioni che il mondo ha imparato sulla natura provocatoria dell’azione militare americana. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un’azione militare contro stati che non sono potenze nucleari come Iraq, Yemen, Afghanistan, Panama, Serbia, Somalia, Libia e Nicaragua, ma sono rimasti senza mani contro quei paesi che possiedono armi nucleari, come il Nord Corea, Cina e Russia, ad esempio. L’Iran potrebbe presto essere aggiunto a questa lista. Il messaggio al mondo è chiaro: ottenere armi nucleari è la migliore salvaguardia di un paese contro gli Stati Uniti.

Man mano che altri stati sviluppano inevitabilmente armi nucleari, la strategia di deterrenza viene estrapolata e applicata senza considerare come tale proliferazione potrebbe influenzare le sue basi teoriche. Tuttavia, le possibilità per gli attori sub-statali e canaglia di ottenere armi di distruzione di massa continuano ad aumentare, e aumentano allo stesso modo i rischi che tali attori attacchino gli Stati Uniti per vendetta per le azioni passate. Tuttavia, la maggior parte dei responsabili politici non prende in considerazione tali minacce perché si sente sicura che la MAD resisterà. Tali paraocchi sono probabilmente dovuti in parte all’apparenza di stabilità che sembrava reggere durante la Guerra Fredda. In questo modo, la strategia di deterrenza si basa su presupposti che rappresentano poco più dei difetti congeniti che hanno circondato la sua creazione:

Difetto numero tre: l’errata percezione prevale sulla deterrenza razionale. Anche se vivessimo in un mondo di attori perfettamente razionali in cui solo gli stati tradizionali possedevano capacità nucleari e ognuno aveva garanzie perfette per limitare l’accesso alle armi nucleari, ci sono una miriade di modi in cui l’errata percezione può portare al fallimento della deterrenza. Ostacoli consolidati nella psicologia umana, sia motivati ​​che inconsci, inclusi errori di attribuzione fondamentali, perseveranza nelle convinzioni, effetti di disinformazione, eccesso di fiducia, ragionamento motivato, correlazioni illusorie, bias di conferma e altri tipi di effetti cognitivi consentono alle persone di evitare di dover cambiare convinzioni che hanno a cuore sulla natura di se stessi o dei loro nemici. Tali pregiudizi inducono anche le persone a percepire erroneamente o negare informazioni accurate, a credere a informazioni false, a impegnarsi in compromessi di valore ingiustificati, e bloccare la capacità di confrontarsi con realtà spiacevoli sulle proprie capacità e capacità e su quelle dei propri avversari. Di fronte a questi blocchi cognitivi ed emotivi, può rivelarsi estremamente difficile valutare correttamente i valori, le intenzioni o gli obiettivi di un avversario; valutare accuratamente la credibilità di una minaccia; o per apprezzare appieno la percezione che l’avversario ha delle proprie scelte.

Forse l’esempio più recente e più forte di errata percezione è la risposta degli Stati Uniti agli attacchi dell’11 settembre. Gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iraq, un paese che non aveva nulla a che fare con l’11 settembre. L’amministrazione Bush ha giustificato le sue azioni sulla base di una lunga serie di ipotesi errate su Saddam Hussein, il suo potenziale per le armi di distruzione di massa, il popolo iracheno e il suo ruolo nel terrorismo. Piuttosto che gli iracheni che nel 2003 salutavano gli Stati Uniti come “liberatori” come predissero George Bush, Donald Rumsfeld e Richard Cheney, gli Stati Uniti erano visti come un occupante. La deterrenza dipende fondamentalmente dall’accuratezza in esattamente questo tipo di percezioni, e tuttavia questa capacità è precisamente ciò che viene compromesso sulla scia di una percezione distorta e ugualmente sfidato in condizioni di minaccia o di pressione del tempo come quelle che tipicamente caratterizzano una crisi.

La vendetta è il piatto nucleare.
missile nucleare

La vendetta è il motivo per cui la deterrenza funziona e perché fallisce.
È fondamentale capire cosa motiva veramente le persone ad agire con una forza eccessiva e persino autodistruttiva. Piuttosto che la paura della rappresaglia, da cui dipende la reciproca distruzione assicurata, la stabilità della deterrenza poggia, e si è sempre appoggiata, implicitamente sull’inattaccabile motivazione della vendetta. Se gli stati non credessero che una ritorsione sarebbe seguita a un attacco, anche quando assolutamente nessun beneficio può derivare da tale distruzione, la deterrenza non sarebbe stabile. In effetti, è il desiderio di vendetta che motiva in primo luogo l’azione distruttiva. In futuro, le armi di distruzione di massa finiranno nelle mani di attori nuovi e meno vincolati. In tali condizioni, la distruzione reciproca assicurata non sarà un deterrente. Ma la vendetta rimarrà una motivazione estremamente potente per l’attacco.

A dire il vero, la vendetta fornisce una base psicologica più forte e più stabile per la deterrenza rispetto a presupposti errati di razionalità. Ma supporta anche una maggiore inclinazione al primo colpo. Storicamente, i leader hanno lanciato ogni tipo di assalto semplicemente per un desiderio di vendetta o per un impulso a far soffrire coloro che li feriscono. E spesso hanno intrapreso queste azioni rendendosi conto pienamente delle conseguenze.

Le Crociate forniscono un ottimo esempio di questa dinamica, ma gli attori moderni non sono immuni da tale comportamento. Ad esempio, la vendetta ha fornito la ragione principale per cui i ceceni hanno fatto ricorso al terrorismo e si sono uniti ad Al Qaeda, eliminando ogni speranza strategica per una legittimità statale. Shamil Basayev, il famoso comandante sul campo della resistenza cecena, lo ha detto esplicitamente: “Mio padre era stato ucciso da un elicottero; mio fratello maggiore era stato fatto saltare in aria da una mina. Era mio dovere vendicarmi o avrei perso il mio onore davanti ai miei vicini “. Lo stesso impulso di vendetta ha motivato le cosiddette vedove nere, che hanno partecipato agli attentati suicidi nella guerra. Più che scopi religiosi o politici, queste donne rivendicarono specificamente la vendetta come motivo principale delle loro azioni di terrore di massa. La vendetta è anche alla base di gran parte della risposta degli Stati Uniti agli attacchi dell’11 settembre.

Una volta tolta la componente nucleare, sembra più facile digerire che le persone agiscano sulla base della vendetta in tutti i tipi di circostanze. L’intera ipotesi che circonda il motivo per cui tali motivazioni non si applicano nel regno dello scontro nucleare si basa sull’idea che, poiché la posta in gioco è così alta, è più probabile che le persone si comportino in modo razionale e un motivo di vendetta non entrerà in gioco. Eppure questo è assurdo. Prendi la maggior parte dei libri di testo introduttivi di psicologia e diventa chiaro che le persone sono più vendicative quando la posta in gioco è più alta. Le persone fanno saltare in aria matrimoni, collaborazioni, conti bancari e persino rischiano lesioni personali per vendicarsi di coloro che li hanno feriti, spesso pienamente consapevoli e tuttavia indifferenti ai rischi per se stessi o per i loro cari. La convinzione che i leader siano in qualche modo immuni a tali processi psicologici è idealistica.

In sintesi, nonostante le affermazioni contrarie, il concetto di MAD si basa in realtà sulla convinzione dell’istigatore che i leader del paese preso di mira agiranno in modo irrazionale e vorranno vendetta anche se non possono trarne vantaggio. Ciò contraddice una prospettiva razionale perché il processo decisionale sotto minaccia, pressione o costrizione è tutt’altro che razionale. Spesso si basa su motivazioni emotive. Se questo aspetto emotivo del processo decisionale non è incluso e adeguatamente riconosciuto e considerato nel modello di deterrenza, il fattore più critico viene trascurato. Se un leader ha già perso tutto ciò che apprezza in un attacco, allora, da una prospettiva razionale, il leader non ha nulla da guadagnare dalla rappresaglia. Il leader non può più proteggere o preservare nulla di valore. Tutto ciò che possono ottenere è il senso di soddisfazione intrinseco che deriva dal fornire un rimborso. Psicologicamente, questo senso di soddisfazione può essere tutto, e ci sono prove evidenti che tutti gli esseri umani, leader inclusi, si comportano in questo modo al di fuori dell’arena nucleare. In effetti, anche se molti possono essere riluttanti ad ammetterlo, tutti conoscono la sensazione di voler vendicarsi di qualcuno che li ha danneggiati, anche se non c’è nulla di oggettivamente da guadagnare da una simile risposta, per quanto costi. Questo – non il proposto affidamento sulla razionalità – è ciò che ha consentito alla deterrenza di avere successo per oltre 70 anni. anche se non c’è niente da guadagnare oggettivamente da una simile risposta, non importa quanto costa. Questo – non il proposto affidamento sulla razionalità – è ciò che ha consentito alla deterrenza di avere successo per oltre 70 anni. anche se non c’è niente da guadagnare oggettivamente da una simile risposta, non importa quanto costa. Questo – non il proposto affidamento sulla razionalità – è ciò che ha consentito alla deterrenza di avere successo per oltre 70 anni.

L’obiettivo della ritorsione è sempre stato quello di punire gli altri che minacciavano una comunità e in molti casi di eliminare del tutto la minaccia. La deterrenza è il sottoprodotto di una spinta evolutiva per la vendetta, e quando esiste un equilibrio, o vari lati sono vincolati dagli equilibri di potere, può reggere, come è stato dall’inizio delle armi nucleari. Ma questo non significa necessariamente che continuerà a valere per il futuro indefinito. Sebbene la psicologia naturale che crea un desiderio di vendetta di fronte agli attacchi esista in tutti, esistono ancora differenze individuali e le circostanze influenzano il processo decisionale.

Cosa significa in pratica? L’attenzione alla distruzione reciproca assicurata nella politica può sembrare stabilizzante, e talvolta lo è stata, ma le condizioni odierne sono molto diverse rispetto a quelle della Guerra Fredda. Quando si discute di chiamate ravvicinate nel regno della guerra nucleare, è diventato comune invocare il caso storico della crisi missilistica cubana. Ma immagina di sostituire Kennedy e Krusciov con Trump e Kim. È credibile credere che gli obiettivi finali dei leader moderni siano abbastanza simili a quelli del passato? Possiamo fare affidamento sulle lezioni passate per istruire il comportamento futuro? Se una strategia si basa su persone specifiche, non è affatto una strategia. Se le persone sono disposte a pagare un costo per impegnarsi in una vendetta dopo un attacco e possibilmente distruggere un’intera società per vendetta, allora diventa ingenuo presumere che i leader di paesi come l’Iran, la Corea del Nord,

In effetti, ciò che è diverso ora è che molti attuali avversari statunitensi sono spinti dalla vendetta non per qualsiasi incipiente attacco nucleare che potrebbero subire, ma piuttosto per i danni e il degrado che credono che gli Stati Uniti abbiano già inflitto loro. E questo è un tipo di calcolo molto diverso. Se gli avversari attaccano gli Stati Uniti perché l’irrazionalità dei loro leader rispecchia quella dei responsabili politici statunitensi, anche la rappresaglia degli Stati Uniti sarebbe senza dubbio guidata dalla vendetta. Quindi, è la doppia irrazionalità dei leader instabili e la spinta alla ritorsione anche quando non c’è più nulla da guadagnare che insieme mineranno la deterrenza. Queste semplici verità fanno crollare l’intera logica della MAD.

La vendetta è il piatto nucleare.
è inaccettabile stare a guardare che gli eventi si compiano , NO AL NUCLEARE!

È necessaria una nuova strategia. 
Se la razza umana vuole sopravvivere, c’è un disperato bisogno di una nuova strategia che vada oltre la deterrenza. Tutto ciò che serve è un errore di calcolo, o una persona, e nemmeno un leader, per avviare uno scambio nucleare. Un numero maggiore di potenze nucleari, compresi i paesi che hanno le proprie rivalità durature, rende tutti nel mondo meno sicuri. Le opportunità per terze parti o leader instabili di lanciare un attacco proliferano in un mondo in cui non si tiene conto del materiale fissile e le competenze tecniche per costruire una bomba sono sempre più disponibili. Questa realtà ha importanti implicazioni per il futuro della politica. Qualsiasi strategia che presuppone la razionalità dei leader invita a conseguenze catastrofiche. Tuttavia il piano formale per scoraggiare gli attori disonesti non differisce dalla strategia progettata per allontanare gli attori statali stabiliti, anche quando è chiaro che le motivazioni, gli obiettivi e gli incentivi degli attori non statali non si sovrappongono a quelli dei leader statali. Se l’umanità vuole sopravvivere, i responsabili politici devono intraprendere grandi cambiamenti, tra cui una forte spinta per ridurre le armi nucleari su tutta la linea e un investimento più profondo nella prevenzione, al fine di ridurre il rischio di incidenti e di escalation involontaria.

Riduci le motivazioni per vendetta.Nemici e rivali degli Stati Uniti sono motivati ​​a cercare vendetta contro l’America per ingiustizie sia reali che immaginarie. Il comportamento americano ha alimentato queste lamentele, alimentando un pericoloso desiderio di vendetta. Gli Stati Uniti richiedono un vero cambiamento nel loro approccio di politica estera e non possono più agire come se fossero l’unico egemone globale senza conseguenze o previdenza. Per troppo tempo dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno tentato di fare un compromesso con la propria reputazione e di sfruttare la propria potenza militare ed economica per incentivare, punire o frenare gli attori il cui comportamento non era in linea con gli interessi americani. Tuttavia, negli ultimi due decenni il sistema internazionale è diventato disseminato di più Stati falliti. Le azioni e l’inazione degli Stati Uniti hanno svolto un ruolo importante in questo risultato. Gli Stati Uniti devono ora affrontare sfide crescenti che i responsabili politici non solo hanno fatto poco per affrontare, ma hanno piuttosto invitato: la Russia che marcia in Crimea incontrastata; La Siria utilizza ripetutamente armi chimiche contro i civili senza rappresaglie significative; e l’Iran che bombarda navi nel Golfo Persico senza ritorsioni sono solo una manciata di esempi recenti. Le azioni bellicose dell’America, come la guerra in Iraq che ha portato il Medio Oriente in una terribile instabilità e fatto arrabbiare le popolazioni islamiche del mondo, sono servite solo per alimentare più odio, creare un desiderio di vendetta e generare infinitamente più nemici. e l’Iran che bombarda navi nel Golfo Persico senza ritorsioni sono solo una manciata di esempi recenti. Le azioni bellicose dell’America, come la guerra in Iraq che ha portato il Medio Oriente in una terribile instabilità e fatto arrabbiare le popolazioni islamiche del mondo, sono servite solo per alimentare più odio, creare un desiderio di vendetta e generare infinitamente più nemici. e l’Iran che bombarda navi nel Golfo Persico senza ritorsioni sono solo una manciata di esempi recenti. Le azioni bellicose dell’America, come la guerra in Iraq che ha portato il Medio Oriente in una terribile instabilità e fatto arrabbiare le popolazioni islamiche del mondo, sono servite solo per alimentare più odio, creare un desiderio di vendetta e generare infinitamente più nemici.

Peggio ancora, l’intervento americano in tutto il mondo non ha dimostrato alcun obiettivo o programma chiaro. Piuttosto, le dimostrazioni di interesse personale personale, l’arricchimento e l’affermazione del potere militare per perseguire le agende nazionali tendono a dominare l’azione americana all’estero. Agire senza riguardo per come tale comportamento viene accolto o interpretato è precisamente il tipo di comportamento che ispira attacchi contro gli Stati Uniti, motivato dal desiderio di vendetta contro azioni intrusive e distruttive. L’11 settembre 2001 avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme per il fallimento della leadership globale americana.

Se gli Stati Uniti vogliono ridurre le motivazioni di vendetta e prevenire attacchi futuri, hanno bisogno di un cambiamento radicale nella loro politica estera. Questa non è un’osservazione di parte: Bush ha condotto l’America in una guerra inutile e distruttiva in Iraq, ma la “impronta leggera” e l’approccio testa-nella-sabbia di Obama hanno ignorato gli eventi globali e le azioni degli avversari, incoraggiandoli ad attaccare gli alleati statunitensi. E, naturalmente, Trump ha peggiorato le cose incommensurabilmente attraverso le sue politiche irrazionali e conflittuali, tra cui corteggiare dittatori come Kim Jong Un, trattare Putin come un amico mentre la Russia attaccava le elezioni statunitensi e incoraggiare avversari come la Cina. Per la prima volta nella memoria, nell’ottobre 2019, agli ordini di Trump, il mondo ha visto i soldati statunitensi in Siria che sembravano fuggire mentre le truppe russe si muovevano in una base americana caricato con milioni di dollari in sofisticate forniture mediche e militari. All’estero, questi video sono stati celebrati come un momento iconico in cui l’America ha ceduto la sua leadership in Medio Oriente.

In questo modo, la politica estera americana ha creato la motivazione perfetta per incoraggiare gli altri ad attaccare mostrando debolezza da un lato e antagonizzando i belligeranti dall’altro. Quella politica bipolare vacillante deve finire. Ciò significa che gli Stati Uniti devono non solo imparare ad accettare i limiti, ma anche a riconoscere i legittimi interessi di altri attori sulla scena mondiale. Ad esempio, i leader devono trovare un modo sia per limitare l’Iran sia per riavviare relazioni pacifiche con esso, indipendentemente dal fatto che apprezzino o meno il sistema di governo iraniano. I leader statunitensi devono imparare a incentivare tutti gli stati a cooperare con il sistema internazionale per rendere vantaggioso per tutti proteggere e non vendere materiale e tecnologia fissili.

La politica estera postcoloniale, guidata dall’ego, etnocentrica che ha trattato gli altri paesi come vassalli americani non può più reggere il controllo. Ma nemmeno i leader statunitensi possono consentire agli stati di sviluppare materiali nucleari impunemente. Per quanto gli Stati Uniti possano aver invitato molte delle violazioni contro i loro interessi, devono ancora cercare e rispondere alle minacce nucleari. Ridurre la motivazione ad attaccare gli Stati Uniti inizia con la fine della politica estera incoerente e senza scopo.

Abbandonare le passate piattaforme di policy non sarà facile, né esiste una soluzione perfetta. Ma il mondo oggi sembra difficile e pericoloso sotto molti aspetti, simile ai precipitanti esistenti prima della prima guerra mondiale, con molti stati fratturati e nessun leader chiaro. Il passato egemone, l’America, è in declino, mentre altri stati, come la Cina, sono in aumento. Gli Stati Uniti hanno bisogno di una discussione approfondita su come formulare al meglio una politica estera orientata agli obiettivi. Non ha bisogno di creare nuovi nemici, né di opporsi a stretti alleati del passato. Piuttosto, deve mostrare sia la forza che la moderazione dove ciascuna è necessaria e per conoscere la differenza. Dovrebbe porre fine ai conflitti, piuttosto che crearne di nuovi. Una tale prospettiva non fermerà ogni attore con intenti dannosi, ma anche se arresta un singolo attore cattivo, ciò rappresenta un successo prezioso.

La vendetta è il piatto nucleare.

Investire nella prevenzione . Anche se gli Stati Uniti riducono le motivazioni degli altri ad attaccare, devono comunque agire in modo aggressivo per impedire agli altri i mezzi per attaccare. Per molti aspetti, gli Stati Uniti sembrano aver abbandonato sforzi significativi per regolamentare e identificare lo scambio di informazioni nucleari e materiali fissili. L’America ha trascorso gli ultimi 20 anni a caccia di estremisti islamici e terroristi nominali, spesso istituendo politiche performative come la richiesta di attività in gran parte inutili come la rimozione delle scarpe all’aeroporto. Quello che non ha fatto è raggiungere il livello di investimento necessario per identificare e intercettare le reti di scambio di armi nucleari. Un’arma nucleare avrebbe raso al suolo un’intera città. Guarda la distruzione avvenuta a Beirut dalla recente esplosione di materiali combustibili, eppure tale distruzione rappresenta circa il 7 per cento del potenziale distruttivo della bomba sganciata su Hiroshima. E la bomba di Hiroshima impallidisce in confronto a una moderna testata nucleare in cima a un missile lanciato da un sottomarino Trident II, che produce 455 kilotoni di potenza .

Vi sono seri dubbi che gli Stati Uniti e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dispongano di un apparato efficace e sistematico attraverso il quale indagare veramente sulla vendita e il trasferimento di tecnologia nucleare e materiali fissili da parte della Cina, della Corea del Nord o del mercato nero al di fuori del Pakistan. C’è poca fiducia che si tenga conto dell’ubicazione di tutto il materiale nucleare per uso militare, specialmente dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Sono necessari investimenti più seri nella ricerca e nell’identificazione di broker nucleari, nonché nella protezione dei confini e dei cantieri navali statunitensi con sensori in grado di rilevare materiali nucleari. L’America sembra essere cieca quando si tratta di trasferimento di materiali nucleari. Eppure questo costituisce una minaccia molto più seria del terrorismo di livello inferiore, non perché sia ​​più probabile, ma perché il costo potenziale è molto più alto.

Gli Stati Uniti sembrano mancare di un’agenzia o di un programma dedicato all’infiltrazione in questi mercati neri, all’identificazione e all’individuazione di punti e attori ad alto rischio prima della vendita e alla sicurezza di materiali e punti di ingresso negli Stati Uniti e nelle basi all’estero, con tecnologia che identificherebbe il nucleare. materiale e movimento. Alcune di queste azioni sono in gioco, ma se l’intelligence degli Stati Uniti è qualcosa al livello che è stato per Iraq, Afghanistan, Yemen, Siria o Libia, allora rappresenta poco più di una semplice dichiarazione. Gli Stati Uniti sono stati ciechi di fronte a quasi tutti i principali conflitti negli ultimi tre decenni; fingere che la sua intelligenza sui materiali nucleari sia migliore costituisce un abbandono del dovere.

Ciò che serve è un’agenzia specificamente dedicata ai rischi associati ai materiali nucleari simili al tipo di investimento che l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha fatto contro le minacce informatiche. Proprio come la CIA raccoglie e analizza l’intelligence per la sicurezza nazionale e il Dipartimento della Difesa è dedito alla condotta di successo della guerra, è tempo di considerare un’agenzia o un’agenzia secondaria appositamente incaricata di ridurre questi rischi. Sebbene parte di questo lavoro possa svolgersi in modo clandestino, un compito così serio e importante merita un’unità separata progettata per localizzare, rimuovere o tentare di mitigare la miriade di rischi associati ai materiali fissili. I responsabili politici semplicemente non sanno dove si trova tutto il materiale nucleare. Quindi devono presumere che esista una ragionevole probabilità, per quanto bassa, che tali materiali possono essere nelle mani dell’intento di attori pericolosi sul loro utilizzo. Sono necessarie misure preventive aggressive per trovare e neutralizzare i materiali fissili e ritirarli dal mercato per ridurre la possibilità del loro utilizzo in futuro. In breve, l’America dovrebbe investire in apparati strutturali protettivi per il personale e le risorse, sia in patria che all’estero.

Preparati alle conseguenze di un attacco nucleare . La pandemia COVID-19 mostra le conseguenze devastanti che possono verificarsi quando le minacce prevedibili vengono minimizzate o ignorate. Il coronavirus ha trovato gli Stati Uniti sia impreparati che incompetenti di fronte alla sfida, anche se le agenzie di intelligence statunitensi ne avevano informato il presidente dall’inizio di gennaio e la precedente amministrazione aveva creato un dettagliato “playbook” sulla pandemia per guidare una risposta. Nel caso delle armi nucleari, il potenziale di distruzione è migliaia di volte peggiore. Se altri vogliono vendicarsi dell’America, allora l’America deve essere preparata per le conseguenze di tale azione. L’ultima campagna di preparazione pubblica negli Stati Uniti risale agli anni ’50, quando ai bambini in età scolare veniva detto di “nascondersi e coprirsi” o di usare la scrivania come scudo contro un attacco nucleare. Questa è l’estensione della preparazione americana in questo campo.

È inoltre fondamentale considerare che tali cambiamenti, sebbene appaiano ragionevoli, è improbabile che si verifichino. In molti modi, il sistema di governo americano sta fallendo. Non sembra più in grado di operare a vantaggio del pubblico, anche se minacciato da forze esterne. In effetti, non sembra esserci alcun incentivo per i leader eletti a cercare di fare attenzione al pubblico. La connessione tra rappresentanza ed eleggibilità è stata interrotta dal sistema bipartitico. Idealmente in una democrazia, c’è una connessione tra leader e costituenti, per cui i leader sperano di risollevarsi servendo il loro paese e contribuendo a migliorare la vita dei loro seguaci. Ma il sistema bipartitico negli Stati Uniti ha aggirato quella connessione, creando regole per consolidare il potere in contraddizione con l’attuazione di una governance efficace. I leader eletti sono più fedeli al loro partito che al loro paese o ai loro elettori, e il sistema garantisce che siano puniti dal loro partito più che dai loro elettori. Quando un governo non è in grado di proteggere il suo popolo, ha fallito nel suo compito più centrale e importante. Molti sostengono che COVID sia un esempio del genere.

Esistono tipi specifici di misure che aiuterebbero meglio gli Stati Uniti a prepararsi per un attacco nucleare. Lo stoccaggio di medicinali, la creazione di rifugi, piani ed esercitazioni per distribuire cibo e acqua, squadre nazionali di mobilitazione e risposta e centinaia di altre misure potrebbero salvare milioni di vite se istituite prima di un attacco.

Al fine di intraprendere le azioni necessarie per ridurre la motivazione alla vendetta da parte dei nemici, nonché per prevenire la proliferazione nucleare e prepararsi alle conseguenze di tale vendetta qualora si verificasse, potrebbe essere necessario estrarre il controllo dei partiti sulle nostre elezioni, e rimuovendo la patina partigiana ora posta sulla Costituzione degli Stati Uniti. Non è un compito da poco, dato che i partiti controllano le elezioni, chi può correre, discutere o addirittura agire al Congresso.

In un mondo sempre più popolato da leader personalistici che cercano di acquisire, o hanno recentemente acquisito, armi nucleari, il pericolo di un’escalation aumenta. Man mano che il numero di tali paesi aumenta, compresi quelli come l’India e il Pakistan con le proprie rivalità durature, tutti diventano meno al sicuro. Aumentano drasticamente anche le opportunità per terze parti e leader instabili di lanciare un attacco o proliferare. Non solo questi leader sono meno vincolati dalle istituzioni e dalle strutture organizzative e statali, ma i loro obiettivi possono differire in modo significativo dai leader delle potenze nucleari più consolidate o tradizionali. La mancanza di vincoli burocratici o pubblici consente inoltre a tali leader di dare libero sfogo ai loro obiettivi e impulsi psicologici più fondamentali, incluso il desiderio di vendetta e di rimborso, non solo sulla scia della minaccia, ma anche di fronte a presunte mancanze di rispetto o ingiustizie, inclusi torti o offese storici o presunte trasgressioni future. Le forze psicologiche che hanno contribuito a tenere sotto controllo le armi nucleari in passato sono proprio gli istinti che pongono maggiori rischi in un futuro popolato da un maggior numero di attori non vincolati o instabili.

La gente usa la frase “passare al nucleare” così spesso che ha perso il suo potere di raffreddarsi. In effetti, l’idea di quanto facilmente qualcuno possa perdere la capacità di controllare il proprio comportamento parla direttamente dell’ubiquità dell’impeto psicologico della vendetta. La deterrenza dipende attivamente dalla convinzione che sia vero l’esatto contrario: la convinzione implicita e universale che la vendetta motiverà in modo affidabile la ritorsione anche quando non c’è più nulla da guadagnare esigendo una punizione sull’attaccante. La spinta psicologica a impegnarsi nella vendetta, guidata da qualsiasi pubblico rimasto che potrebbe allo stesso modo richiedere ritorsioni, semplicemente sopraffà i leader della sicurezza nazionale in un momento di grande crisi e assicurerà che anche l’attacco più limitato si trasformerà rapidamente in una grande guerra nucleare.

Dati questi imperativi psicologici, dovrebbe essere chiaro che fare affidamento sulla deterrenza per limitare il rischio di un attacco nucleare sembra essere poco più di una fantasia assurda del tipo ritratto così bene in Dr. Stranamore . Questa realtà ha importanti implicazioni in futuro, perché qualsiasi strategia che dipenda dalla razionalità degli attori, da segnali chiari, percezioni accurate, attori esclusivamente statali, non proliferazione e sicurezza perfetta porta a conseguenze catastrofiche.

La vendetta è il piatto nucleare.
no al nucleare ma anche alle armi a energia diretta nello spazio

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