martedì 31 agosto 2010

Il gene del profitto che va modificato

Claudio Malagoli*
www.ilmanifesto.it



Il nostro paese con il 7% circa della superficie agricola utilizzata (12,7 milioni di ettari), produce il 13% circa del fatturato agricolo dell'Ue (50.000 milioni di euro), segno inequivocabile di una produzione ad alto valore aggiunto, decisamente apprezzata dal consumatore. Da un punto di vista economico e sociale si tratta di un grande patrimonio da tutelare, in quanto la produzione agricola per il mercato rappresenta solo una parte dei reali benefici che il settore agricolo apporta alla collettività. Non dobbiamo dimenticare che nel nostro paese il ruolo dell'agricoltura è di fondamentale importanza per il presidio e la manutenzione del territorio, per la conservazione dell'assetto idrogeologico, per la conservazione e la tutela del paesaggio, per la conservazione della biodiversità, per la creazione di spazi ad uso ricreazionale, ecc. Pertanto è riduttivo vedere l'agricoltura solo dal lato produttivo per il mercato, occorre vederla e tutelarla per le esternalità positive che essa fornisce.

Ecco allora che la nostra società ha bisogno della presenza dell'agricoltura e dell'agricoltore sul territorio e dovrà adottare politiche in grado di proteggere il suo reddito, al fine di consentire la permanenza di questa attività anche in aree marginali, che non possono certo competere sul mercato globale sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita. È in questo contesto che si inseriscono le problematiche relative agli organismi geneticamente modificati. Purtroppo qualcuno crede ancora che lo sviluppo di una società dipenda dal prodotto interno lordo, per cui se gli ogm sono un modo per incrementare il Pil devono essere accettati e chi esprime pareri contrari, o quantomeno scettici, è ipocrita o falso. Se questo ragionamento fosse vero, perché essere contrari agli ormoni utilizzati nell'allevamento bovino, o agli animali transgenici, o agli animali clonati, o agli animali transgenici clonati?
Secondo queste persone qual'è l'obiettivo degli ogm? Facile: produrre cibo a basso costo per esportare e per fare profitto. È pura utopia pensare che il nostro paese possa essere competitivo sul mercato internazionale con gli stessi prodotti! L'Italia, con aziende agricole della superficie media di 5-6 ettari (contro i 220 ettari degli Usa), con i suoi costi burocratici, con la sue limitazioni nell'uso di antiparassitari e di concimi («legge nitrati» ), con il suo sistema sociale, come potrà competere con gli stessi prodotti con gli Usa, con la Cina o con l'Argentina? Sarebbe come se la Ferrari volesse competere con la Fiat nella produzione delle Panda, sarebbe come se Valentino volesse competere con l'India nella produzione delle magliette di cotone!

Occorre poi considerare che sul mercato internazionale vige ancora il baratto per cui se noi esportiamo qualcosa, poi dobbiamo importare come pagamento qualcos'altro. Ecco allora che le cose cambiano, in quanto l'invasione dei pomodori dalla Cina o delle carni dai paesi dell'Est (spesso esportati con politiche di dumping) probabilmente non è legato allo sviluppo tecnologico, ma è il risultato di accordi commerciali mediante i quali noi esportiamo prodotti industriali/tecnologici e loro ci pagano con quello che hanno, prodotti agricoli. Ecco allora che in questo modo si rischia di mettere in discussione anche la sovranità alimentare del nostro Paese. Mai come in questi ultimi anni abbiamo vissuto una così forte crisi del settore agricolo, con prezzi di mercato dei cereali e dei prodotti zootecnici che hanno raggiunto livelli da non coprire il costo di produzione. In questa situazione, purtroppo, molte aziende agricole di aree marginali (di collina e di montagna) hanno abbandonato l'attività produttiva (nel 2000 erano presenti secondo l'Istat 2,5 milioni di aziende agricole, che oggi ammontano a circa 1,7 milioni) e altre aziende agricole hanno «seminato» campi fotovoltaici e/o eolici. Non dimentichiamo poi che la concorrenza del mercato globalizzato, basata sull'importazione di alimenti di qualità discutibile a bassi prezzi, potrebbe essere la causa indiretta di comportamenti illeciti sul mercato del lavoro. Imprenditori senza scrupoli, pur di mantenere un certo livello di redditività, ricorrono a manodopera illegale, non applicano le tutele sindacali eccetera.

Gli ogm sono in grado di rafforzare la nostra agricoltura e il reddito dell'agricoltore? Purtroppo la risposta è negativa, in quanto, con ogni probabilità: se è vero che determineranno un abbassamento dei costi di produzione (cosa tutta da verificare fin tanto che ci sarà separazione di filiera, ovvero l'etichettatura per alimenti ogm e non ogm), è altrettanto vero che favoriranno un abbassamento dei prezzi di mercato dei prodotti agricoli, impedendo così un aumento dei profitti e determinando una perdita di reddito reale per l'agricoltore; brevetto e sviluppo di sementi apomittiche (che producono vegetali geneticamente identici) causeranno la perdita di imprenditorialità per l'agricoltore, che diventerà un prestatore di manodopera per conto di chi detiene il brevetto, in quanto le produzioni saranno attuate sulla base di un «contratto di coltivazione»; faciliteranno l'operazione di delocalizzazione delle coltivazioni agricole, che saranno trasferite nei paesi caratterizzati da un minor costo dei fattori produttivi; determineranno l'abbandono dei territori marginali, che non hanno le potenzialità produttive necessarie a far produrre queste piante (terreno, acqua di irrigazione, clima, ecc.) e non saranno in grado di competere sulla base dei bassi costi di produzione; attraverso strategie di appropriazionismo e di sostituzionismo attuate dall'industria sementiera determineranno una minor utilizzazione, e conseguentemente un minor reddito, dei fattori produttivi solitamente apportati direttamente dall'agricoltore (manodopera soprattutto); aumenteranno la dipendenza del nostro paese nei confronti delle forniture di sementi provenienti dall'estero; determineranno un danno di immagine per l'agro-alimentare nazionale, da tutti conosciuto e copiato per le sue produzioni di eccellenza.

In definitiva, le problematiche relative all'introduzione degli ogm sono notevoli e di portata tale da non giustificare una decisione affrettata. Come per altre innovazioni tecnologiche, se da un lato il tipo di sviluppo attuato in agricoltura in questi ultimi anni, improntato soprattutto all'esasperata ricerca del profitto, ha consentito di massimizzare la produttività dei fattori della produzione, dall'altro non è sempre stato in grado di garantire sia un'equa ripartizione delle produzioni tra le diverse aree del pianeta, sia modalità di produzione compatibili con l'esigenza di salvaguardare l'ambiente e lo sviluppo sostenibile del territorio rurale. A questo proposito si auspica che gli ogm, così come gran parte delle innovazioni tecnologiche introdotte in agricoltura in questo secolo, non siano viste come un ulteriore strumento «necessario» per incrementare la produttività del lavoro, a scapito, ancora una volta, dell'ambiente. Se si parte dal presupposto che occorra incrementare il reddito da lavoro in agricoltura, mantenendo inalterato il salario e abbassando il prezzo di vendita dei prodotti agricolo-alimentari, affinché con motivazioni di tipo ricardiano il consumatore incrementi il suo reddito reale e possa così destinare la parte eccedente ad altri consumi non primari, l'«individuo biotecnologico» diventa strumento fondamentale per attuare tale strategia.

Discorso a parte è quello relativo alla ricerca sugli ogm che, se fatta con le dovute cautele, deve andare avanti. Occorre però considerare che lo sviluppo tecnologico, che non attiene certo al campo della ricerca scientifica, non è neutro e deve sottostare a giudizi economici, politici ed etici. In particolare, prima di una loro introduzione è necessario rispondere ad alcune domande: 1) per quale motivo il nostro Paese, che vanta produzioni alimentari copiate in tutto il mondo (agropirateria), dovrebbe aprire al transgenico se il consumatore non lo vuole? 2) esiste sul mercato un'impresa che vuole iniziare a produrre un bene che il 75% degli acquirenti ha detto di non voler comprare? 3) perché la nostra agricoltura dovrebbe abbandonare una strategia sicura, basata sulla qualità, sulla tracciabilità e sulla sicurezza alimentare, per far posto ad una produzione omologante, sempre meno richiesta dal mercato? 4) potrà competere il nostro paese sul mercato globale sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita o, più realisticamente, potrà competere sulla base di produzioni di eccellenza ad alto valore aggiunto? 5) è eticamente giusto ricercare un aumento del reddito reale attraverso un abbassamento del prezzo degli alimenti, mantenendo così inalterati i salari? 6) è eticamente giusto creare un mercato degli alimenti ritenuti di serie A (biologico, Dop, Igp ecc.) ed un altro ritenuto di serie B (ogm), col pericolo di creare una sorta di proletariato alimentare?

*Università di Scienze Gastronomiche, Pollenzo/Bra (CN)

sabato 28 agosto 2010

"Nucleare pericoloso la Russia insegna"

Parla il direttore di Greenpeace: "Il fuoco non minaccia solo le centrali, ma anche gli impianti che trattano le scorie. Anche un black-out di pochi minuti porterebbe all'emergenza"

di ANTONIO CIANCIULLO
repubblica.it

Oltre alla minaccia terroristica, alla carenza di acqua dolce per il raffreddamento degli impianti e ai costi che s'impennano, per il nucleare arriva ora la grana incendi: lo scenario della Russia di questi giorni ci offre una nuova visione dei rischi legati alle centrali atomiche. Da una parte Chernobyl torna a manifestare i suoi effetti, dall'altra l'assedio delle fiamme attorno agli impianti nucleari rivela una minaccia finora poco considerata.

Come è possibile che, a distanza di 24 anni dalla catastrofe che ha distrutto il reattore ucraino, quella radioattività torni a essere un problema?

"I radionuclidi del cesio emesso nell'esplosione della centrale di Chernobyl si ridurranno a un millesimo solo fra tre secoli", risponde Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. "Oggi il 60 per cento di quella radioattività è ancora lì, nel terreno e nelle piante: il fumo degli incendi la rimette in circolazione, anche se con un effetto locale, a differenza di quanto avvenne nel 1986, quando la nube radioattiva si alzò per chilometri seminando il suo carico distruttivo in un'area enorme".

Quindi nel conto degli incendi russi dobbiamo mettere anche la contaminazione radioattiva?

" Una parte della nube di Chernobyl è stata rimessa in circolazione. E' un elemento che va ad aggravare un bilancio sanitario già critico, visto che si è parlato di un raddoppio della mortalità a Mosca a causa del fumo degli incendi. Sono aumentati in maniera consistente sia il particolato, creando problemi immediati alla respirazione, che elementi cancerogeni come il benzene".

Altri incendi minacciano le centrali nucleari.
"Non solo le centrali, anche gli altri impianti nucleari. Ad esempio quelli del centro atomico di Mayak, negli Urali, dove c'è un deposito a cielo aperto di scorie nucleari in cui sono stoccate 40 tonnellate di plutonio".

Qual è il rischio?
"Ci sono vari livelli di rischio. Supponiamo ad esempio che le fiamme colpiscano solo le linee esterne di trasmissione della corrente elettrica, i trasformatori. Ebbene la centrale si troverebbe isolata e si dovrebbe procedere a un arresto rapido del reattore, una procedura che comporta sempre una certa dose di rischio".

E' già successo?

"E' successo proprio a Mayak il 3 settembre del 2000. Per venti minuti fu interrotta la fornitura elettrica e lanciato il sistema di sicurezza basato su motori diesel. Quei motori erano in condizione di lavorare solo per 30 minuti, se il problema fosse durato più a lungo si sarebbe entrati in una situazione critica".

Un problema del genere potrebbe riguardare anche gli impianti che il governo Berlusconi vuole costruire in Italia?

"Nel nostro caso si parla di reattori epr per i quali è previsto un tetto di due minuti per circoscrivere un incendio. Quando guardiamo quello che sta succedendo in Russia e pensiamo che con i cambiamenti climatici andrà sempre peggio...."

venerdì 27 agosto 2010

La democrazia dell'acqua e l'economia dei cowboy

La scienziata indiana e la sua lotta per i diritti idrici. "La democrazia si fonda su questo bene comune. La creazione di un mercato non gestito dalla collettività ci riporta al far west. Non possiamo diventare egoisti nell'uso delle risorse della natura"

di VANDANA SHIVA

http://www.repubblica.it/




Ci troviamo di fronte a una crisi idrica globale, che minaccia di peggiorare nei prossimi decenni; e man mano che la crisi si aggrava proseguono gli sforzi per ridefinire il concetto di diritti idrici. Un passo storico è avvenuto il 28 luglio, quando le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione che recita così: "L'acqua è una risorsa limitata e un bene pubblico fondamentale per la vita e la salute. Il diritto a disporre di acqua è indispensabile per condurre una vita dignitosa. È un prerequisito per la realizzazione di altri diritti dell'uomo".

Ma l'economia globalizzata trasforma sempre di più la definizione dell'acqua da proprietà comune a bene privato, da estrarre e rintracciare senza limiti. L'ordine economico globale esige la rimozione di tutti i vincoli, la deregolamentazione dell'uso dell'acqua e la creazione di mercati dell'acqua. I fautori del libero scambio delle risorse idriche considerano i diritti di proprietà privata l'unica alternativa alla proprietà pubblica, e il libero mercato l'unico sostituto della regolamentazione burocratica delle risorse idriche.

L'acqua deve rimanere, più di qualsiasi altra risorsa, un bene pubblico e dev'essere gestita dalla collettività. Nella maggior parte delle società l'acqua era ed è un bene che non può essere posseduto da privati. Testi antichi come le Istituzioni di Giustiniano dimostrano che l'acqua e altre risorse naturali sono beni pubblici: "Per legge di natura queste cose sono comuni all'umanità: l'aria, l'acqua corrente, il mare e di conseguenza la riva del mare...".

L'arrivo delle moderne tecnologie di estrazione dell'acqua ha accresciuto il ruolo dello Stato nella gestione delle risorse idriche. Soppiantando i metodi di autogestione, queste tecnologie hanno inflitto un duro colpo alle strutture democratiche per la gestione delle risorse idriche, che giocano un ruolo sempre meno importante nella conservazione. La globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche stanno erodendo i diritti della popolazione e la proprietà collettiva si sta trasformando in proprietà delle grandi aziende. Le comunità di persone reali, con bisogni reali, vengono messe da parte nella corsa alla privatizzazione.

La spinta a privatizzare le risorse idriche comuni nasce da quella che io chiamo "l'economia del cowboy": se arrivi per primo in un posto hai il diritto assoluto di stuprare, saccheggiare, inquinare. Non hai nessun dovere verso i tuoi vicini, verso quelli che sono venuti prima di te, verso gli abitanti del luogo o quelli che sono venuti dopo di te. È interessante osservare che gli attuali tentativi di privatizzazione e queste leggi da far west sulle risorse idriche sono visti come un modello dal Cato Institute, un istituto di ricerca della destra americana: "Dalla frontiera occidentale, in particolare dai giacimenti minerari, sono nate la dottrina dell'appropriazione preventiva e le basi della commercializzazione dell'acqua. Questo sistema ha offerto gli ingredienti fondamentali per un mercato efficiente dell'acqua, dove i diritti di proprietà sono ben definiti, rispettati e trasferibili". (T. Anderson e P. Snyder).

La tendenza attuale a estendere l'economia del cowboy a livello globale è la ricetta ideale per distruggere le scarse risorse idriche mondiali e per escludere i poveri dal diritto all'acqua. Dal momento che l'acqua cade sulla terra in modo disomogeneo, dal momento che ogni essere vivente ha bisogno dell'acqua, la gestione decentralizzata e la proprietà democratica sono gli unici sistemi efficienti, sostenibili ed equi per il sostentamento di tutti.

Un elemento fondamentale della filosofia indiana, essenziale per la giustizia sociale, è l'uso accorto e morigerato delle risorse. Secondo un antico testo indiano, le Ishopanishad: "Un uomo egoista nell'usare le risorse della natura per soddisfare i propri bisogni crescenti non è nient'altro che un ladro, perché usare le risorse al di là del proprio bisogno vuol dire usare risorse a cui altri hanno diritto". E come disse con straordinaria concisione il Mahatma Gandhi: "La terra offre abbastanza per i bisogni di ciascuno, ma non per l'avidità di ciascuno".

Oltre lo Stato e oltre il mercato c'è la forza della partecipazione collettiva. Oltre le burocrazie e oltre il potere delle aziende c'è la promessa della democrazia idrica.

(Traduzione di Fabio Galimberti)




SINOSSI:
Un intenso ritratto di Vandana Shiva realizzato da Maurizio Zaccaro durante le riprese in India per il docu-film Terra Madre di Ermanno Olmi. Il documentario prodotto da Cineteca di Bologna e ITC Movie srl, racconta lesperienza del movimento Navdanya di cui Vandana Shiva è ideatrice e promotrice, la sua banca delle sementi per la salvaguardia della biodiversità della produzione agricola. Un nuovo modo di pensare, una conoscenza aperta e integrata, un approccio ai temi dell'ambiente come strettamente connessi allo sviluppo economico e alla lotta alla povertà.
Il nome del movimento Navdanya (che in Hindi significa nove semi) trae spunto dal rituale, molto diffuso nel sud dellIndia, di piantare nove semi in un vaso il primo giorno dellanno. Dopo nove giorni le donne si incontrano e confrontano i risultati, vedendo quali semi si sono comportati meglio; a questo punto si organizzano scambi cosicché tutte le famiglie possano piantare i migliori semi a disposizione. Gli scopi di Navdanya sono la difesa della biodiversità, la creazione di una banca di sementi da scambiare con i contadini che aderiscono al movimento, la riconversione dei campi a unagricoltura interamente biologica. Grazie a questa esperienza, Vandana Shiva è diventata una delle leader mondiali del movimento contro i brevetti sugli organismi viventi.

Il ciclo del combustibile nucleare (uranio, plutonio)

folliaquotidiana

Una parte complessa ma fondamentale della generazione di energia dal nucleare è costituita dal ciclo del combustibile. La sua importanza è dovuta a molte alle caratteristiche stesse della produzione di energia attraverso le reazioni di fissione nucleare.

Le sfide tecniche e tecnologiche sono estremamente impegnative, ed hanno l’obiettivo di rendere l’energia nucleare una fonte sostenibile. Alcuni favorevoli al nucleare affermano che il nucleare sia già un’energia sostenibile, paragonandola addirittura alle fonti rinnovabili e argomentando che, se si sfruttasse tutta l’energia dell’uranio naturale si potrebbero garantire i fabbisogni del pianeta per moltissimo tempo (diversi secoli). E’ bene sottolineare che la sostenibilità del nucleare, se è possibile in linea teorica, si è scontrata con grosse problematiche, tali da far desistere molte nazioni dal percorrere questa via.

Combustibile tradizionale e riciclo del combustibile esaurito

Gli elementi interessanti per i reattori nucleari si distinguono in

  • elementi fissili: possono essere sottoposti a fissione nucleare e possono sostenere una reazione nucleare a catena
  • elementi fissionabili: possono essere sottoposti a fissione nucleare
  • elementi fertili: non possono essere sottoposti a fissione nucleare ma possono trasmutare in materiali fissili

L’uranio naturale è composto per il 99,3% da U-238, che è fissionabile da neutroni veloci ed è fertile, e per lo 0,7% da U-235, che è fissile. Quindi solo l’U-235 sostiene la reazione a catena, mentre l’U-238 contribuisce in misura minore. La fissione di un atomo di U-235 produce due o tre neutroni veloci (ovvero con energia superiore a 0.5 MeV), ma per la fissione dell’U-235 sono necessari neutroni lenti o termici (con energia inferiore a 0.5 MeV). Quindi si impiega un materiale, detto moderatore, che rallenta i neutroni senza assorbirli, diminuendone l’energia.

Il combustibile nucleare è formato per circa il 4% (la percentuale precisa dipende dal tipo di reattore) da U-235 e per il resto da U-238. L’energia generata dalla fissione proviene principalmente dall’U-235 che viene sottoposto a fissione. Ma, durante l’utilizzo, alcuni atomi di U-238 possono assorbire un neutrone lento e diventare Pu-239. Quest’ultimo è fissile, quindi può essere impiegato per la produzione di energia poiché può sostenere una reazione a catena. Un terzo dell’energia generata da un reattore nucleare viene prodotta dalla fissione del Pu-239 “creato” all’interno del reattore stesso. In pratica si può affermare che di tutto il combustibile nucleare inserito nel reattore, solo il 3% dell’U-235 e il 2% del Plutonio trasmutato dall’U-238 crea energia.

Il combustibile esaurito proveniente da un reattore nucleare tradizionale è composto principalmente da U-238 e contiene per il 3% prodotti di fissione dell’U-235 (tipicamente Cesio-137, Stronzio-90, Iodio-129, e altri), per il 2% da prodotti di fissione del Pu-239, per l’1% di Plutonio, di cui metà Pu-239, e un ulteriore 1% di U-235.

combustibile_nucleare

A questo punto, se si utilizza un ciclo del combustibile aperto, il combustibile esaurito deve essere smaltito come rifiuto radioattivo. Se invece si utilizza un ciclo del combustibile chiuso si impiegano degli impianti di riprocessamento del combustibile per estrarre i materiali utili, come l’U-238 e il plutonio.

In questo modo si può ottenere una nuova mescola di materiali fissili che può essere riutilizzata nel reattore per produrre nuovamente energia. Questo combustibile “riciclato” prende il nome di MOX (Mixed Oxide Fuel) ed è composto da circa il 7% di Plutonio e dal 93% di U-238.

combustibile_mox

Problemi

Il riprocessamento del combustibile esaurito e la trasformazione in combustibile MOX viene effettuata in impianti dedicati. La produzione e l’utilizzo del MOX presenta varie difficoltà tecnologiche.

Impiego nei reattori

Non è attualmente possibile utilizzare in un reattore tradizionale solo combustibile MOX, che deve essere impiegato assieme al combustibile tradizionale [1]. Normalmente viene impiegato un terzo di MOX e due terzi di combustibile tradizionale, ma è possibile raggiungere il 50%. I reattori di generazione III+ potranno impiegare combustibile MOX: AREVA afferma che i reattori EPR potranno utilizzare fino al 100% di combustibile riprocessato e degli studi confermerebbero tale possibilità anche per i reattori Westinghouse AP1000.

Rischi relativi al riprocessamento

Il riprocessamento stesso produce dei rifiuti radioattivi a medio (ILW) e basso (LLW) livello, che spesso vengono rilasciati direttamente nell’ambiente senza essere smaltiti in modo appropriato. I siti di Sellafield e La Hague sono stati al centro di aspre polemiche negli ultimi decenni a causa di incidenti e rilasci radioattivi. Ad esempio, uno studio calcola [7] che negli anni ‘90 i rilasci atmosferici di Iodio-129 dei due impianti ammontavano a circa 200 kg annui.

L’impianto di Sellafield, ha sollevato preoccupazioni per lo scarico in mare di rifiuti contenenti Tecnezio-99 a partire dal 1994, data di inizio delle operazioni di riprocessamento del MOX, fino al 2004, quando è stato installato un nuovo sistema di condizionamento degli scarichi a seguito di pressioni internazionali da parte dei paesi scandinavi e dell’Irlanda. Nel 2005 il dibattito si è esacerbato a seguito della rottura di un tubo che ha riversato all’interno di un locale dell’impianto liquidi radioattivi. Tale perdita non è stata notata per 9 mesi.

Anche il sito di Cap de La Hague è stato criticato per le emissioni di materiali radioattivi nei mari e nell’atmosfera.

Rischi relativi allo smaltimento del MOX

Lo smaltimento del combustibile esaurito MOX è molto più problematica rispetto a quella del combustibile esaurito tradizionale [2], poiché contiene maggiori quantità di plutonio. In particolare, sono presenti quantitativi più elevati di Pu-238, Pu-241, Americio, Curio, che comportano maggiori livelli di radioattività e maggiore produzione di calore [2]. Per questo motivo il combustibile MOX esaurito richiede da 3 a 7 volte lo spazio del combustibile esaurito tradizionale [4][6] per distanziare a sufficienza i contenitori e permettere al calore di essere disperso nell’ambiente del deposito. In alternativa, è necessario conservare il combustibile MOX esaurito per 150 anni [4][6] in depositi superficiali per poter raggiungere lo stesso livello di emissioni termiche del combustibile esaurito tradizionale (e quindi poter essere smaltito con la stessa occupazione di volume nel deposito). La minore quantità di rifiuti viene quindi bilanciata dal maggior volume richiesto o dal lungo periodo di raffreddamento in superficie.

Oltre allo smaltimento del combustibile esaurito, dovrebbe essere conteggiato anche lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dal riprocessamento.

Costi

I costi del combustibile MOX sono superiori a quelli del combustibile tradizionale. È stato stimato [3] che i costi del MOX siano pari al triplo rispetto a quelli normali e che, per essere competitivo, l’uranio naturale dovrebbe raggiungere un costo di almeno 400 $/kg (il prezzo massimo raggiunto negli ultimi anni è stato pari a 130 $/kg nel 2007).

Proliferazione

I sostenitori del riprocessamento sostengono che il plutonio recuperato e impiegato per fabbricare il MOX è in grado di resistere alla proliferazione delle armi nucleari. Per comprendere questa affermazione è necessario sottolineare che non tutti gli isotopi del plutonio sono “ottimali” per creare una bomba nucleare. In particolare, il plutonio maggiormente adatto per gli scopi bellici (detto “weapon-grade”) è costituito da una miscela di isotopi composta da oltre il 90% di Pu-239 e da non più del 6% di Pu-240. Il plutonio presente nel MOX è composto invece da circa il 50% di Pu-239, 15% di Pu-241 e da 24% di Pu-240. Questo miscela (detta “reactor-grade”) è meno adatta all’impiego militare e viene impiegata per la produzione di energia per usi civili.

Tuttavia, è possibile costruire una bomba nucleare anche con plutonio “reactor-grade”. Tale ordigno avrebbe una potenza molto inferiore rispetto a una bomba con plutonio “weapon-grade” (si calcola [7] che se la bomba che colpì Nagasaki fosse stata costruita impiegando plutonio “reactor-grade” avrebbe avuto una potenza di 1 kT, invece di 20 kT), ma comunque devastante.

Da questo punto di vista, si è sottolineato il pericolo relativo al furto di plutonio a scopo terroristico. I siti di riprocessamento e i trasporti dei materiali devono essere sottoposti a strettissima sorveglianza [8].

Riferimenti:

[1] World Nuclear Association, “MOX, Mixed Oxide Fuel”, disponibile: http://www.world-nuclear.org/info/inf29.html
[2] International Atomic Energy Agency, "Status And Advances In Mox Fuel Technology", Technical Reports Series No. 415, Vienna, 2003, Disponibile: http://www-pub.iaea.org/MTCD/publications/PDF/TRS415_web.pdf
[3] Richard K. Lester, "The Economics of Reprocessing in the United States", July 12, 2005, Disponibile: http://web.mit.edu/ipc/publications/pdf/The_Economics_of_Reprocessing.pdf
[4] Schneider, M., Marignac, Y., "Spent Nuclear Fuel Reprocessing in France", Research Report No. 4, International Panel on Fissile Materials, Princeton University’s Program on Science and Global Security, April 2008 http://www.fissilematerials.org/ipfm/site_down/rr04.pdf
[5] Schneider, M., Coeytaux, X., Faïd, Y.B., Marignac, Y., Rouy, E., Thompson, G., Fairlie, I., Lowry, D., Sumner, D., "Possible Toxic Effects From The Nuclear Reprocessing Plants At Sellafield (UK) And Cap De La Hague (France)", Luxembourg, November 2001, Disponibile: http://www.europarl.europa.eu/stoa/publications/studies/20001701_en.pdf
[6] Kate J. Dennis, Christopher D. Holmes, Kurt Z. House, Jacob J. Krich, Benjamin G. Lee, Lee T. murray, Ernst A. Van Nierop, Justin Parrella, David M. Romps, Jason Rugolo & Mark T. Winkler, "Should the United States resume reprocessing? A pro and con", The
Bulletin of the Atomic Scientists, November/December 2009, vol. 65, no. 6, pp. 30–41. DoI: 10.2968/065006003, Disponibile: http://romps.org/2009/reprocessing/09reprocessing_paper.pdf
[7] Moran, Jean E., Oktay, S., Santschi, Peter H., Schink, David R., "Atmospheric Dispersal of 129 Iodine from Nuclear Fuel Reprocessing Facilities", Environ. Sci. Technol. 1999, 33, 2536-2542, Disponibile: http://lib3.dss.go.th/fulltext/Journal/Environ%20Sci.%20Technology1998-2001/1999/no.15/15,1999%20vol.33,no15,p.2536-2542.pdf
[8] In Francia il plutonio estratto dal sito di Cap de la Hague viene trasportato per circa 1000 km fino al sito di Marcoule per creare il combustibile MOX

lunedì 23 agosto 2010

Protocollo DI GUERRA


Whistle-blowing website releases video of U.S. Army Pilots begging to kill people on the ground in Eastern Afghanistan in 2007. 12 are killed in the attack, including two employees for Reuters. Its the first time a video like this has been released to the public. Why, then, was Tiger Woods the top story on most mainstream media outlets?

Intervista a Josh Steiber, il soldato che faceva parte del battaglione sia di terra che dei piloti dell'elicottero Apache che il 12 luglio del 2007 trucidò a Baghdad 12 civili iracheni e due reporter. L'eccidio è stato svelato dal video di 38 minuti estratto dal materiale consegnato da Wikileaks al New York Times

Patricia Lombroso

www.ilmanifesto.it

NEW YORK

http://www.facebook.com/note.php?saved&&note_id=147153778639826#!/notes/sayli-vaturu/protocollo-di-guerra/147153778639826

«Il video dell'organizzazione informativa Wikileaks che ha scioccato il mondo tre mesi fa, relativo all'eccidio da parte dei miei commilitoni, piloti dell'elicottero Apache, di 12 civili e di due reporter, a Baghdad, , quel giorno del 12 luglio 2007, segue, né piu né meno, il protocollo militare impartito dai comandi ad alto livello e dal Pentagono. Da portare a termine senza esitazioni da parte dei soldati che lo hanno appreso durante un lento e studiato addestramento a uccidere. Anche i civili. Gli eccidi di quella particolare missione sono chiamati freddamente collateral murder».

Questo dice la sconvolgente testimonianza rilasciata al manifesto da Josh Steiber, in missione in Iraq nel 2007 e ora obiettore di coscienza e fra i tantissimi soldati di «Iraq Veterans Against the War», della quale fa parte dopo il ritorno dalla sua esperienza militare. Steiber era in missione a Baghdad e faceva parte dello stesso battaglione militare di terra e dei piloti dell'elicottero Apache che trucidò 12 civili iracheni e due giornalisti mostrati nel video di 38 minuti: soltanto un frammento della mole di documentazione di Wikileaks rilasciata al New York Times, a The Guardian e a Der Spiegel, finora mai venuta alla luce e già paragonata ai «Pentagon papers» (di Daniel Ellsberg), che si riferiscono alle testimonianze raccolte in Vietnam.

Nell'intervista che ci ha rilasciato, Josh Steiber - proprio come fecero un tempo i soldati del «Winter soldiers» durante la guerra in Vietnam - rivela al mondo la sua macabra esperienza. Simile, peraltro, a quella vissuta in guerra da ogni soldato, in Afghanistan come in Iraq.Lei era in missione in Iraq a Baghdad nel 2007.

Cosa ricorda del cosiddetto «collateral murder» mostrato nel video di 38 minuti da «Wikileaks»?

In effetti facevo parte dello stesso battaglione militare nel contingente di terra proprio quel giorno della missione nella quale i due piloti dell'elicottero Apache trucidarono 12 civili, fra cui alcuni bambini e due reporter, come si vede nei 38 minuti di audio e video di Wikileaks. La cosa ha provocato giustamente scandalo, ma non in modo sufficiente a mettere in discussione la guerra.

Lei conosce i due piloti dell'elicottero che, come emerge dal video, vedendo il carro armato passare sul corpo già morto della bambina irachena gridarono: «così quei bastardi impareranno a portare i bambini in guerra»?

No. Pur facendo parte dello stesso contingente a terra, quel giorno per punizione dovetti restare alla base dato che mi rifiutavo ripetutamente di eseguire gli ordini della missione e non intendevo uccidere innocenti iracheni, così come non avrei ucciso innocenti cittadini in America.

Come descriverebbe questo massacro dei militari nei confronti della popolazione civile inerme in Iraq?

Ho visto con attenzione tutti i 38 minuti del video e ritengo, o spero, che possano suonare come una sveglia per l'opinione pubblica americana: una sveglia sulle conseguenze e l'orrore della guerra, che produce mostri pronti a uccidere. Anche se quanto le dirò non risponde ai miei valori morali, come obiettore di coscienza vorrei aggiungere questo: il video mostra che i piloti risposero così come sono addestrati a reagire. Sono queste le orrende conseguenze del nostro allenamento a uccidere e, del resto, tutte le regole d'ingaggio militare costituiscono un protocollo da eseguire «meticolosamente». È un cruda verità e meriterebbe almeno un dibattito sul contesto che genera le mostruosità intrinseche alla decisione di scatenare una guerra.

Ci spieghi meglio

Le reazioni scioccate che nel mondo sono state seguite ai video resi pubblici da Wikileaks, in cui si mostrano appunto eccidi di civili in Iraq, così come le reazioni generate da ciò che è successo in Afghanistan, sono giustificatissime. Spero che questo tipo di informazione affronti ora i veri problemi sul sistema decisionale adottato ai piu alti livelli militari e politici. I soldati, piu o meno ideologizzati, vengono mandati al fronte con un messaggio: aiutare la popolazione. Ma poi, grazie a una progressiva desensibilizzazione, si trasformano. Del resto, vengono inviati a invadere un altro paese e strumentalizzati per un obiettivo impossibile da ottenere. Il motivo per cui sono, come tanti, contrario alla guerra sta nella constatazione, personalmente verificata, del fatto che ipocritamente inviamo al fronte giovani imbevuti di messaggi illusori e idealistici, ma al tempo stesso li prepariamo a massacrare e a uccidere anche le popolazioni civili.

Come spiega le giustificazioni pubbliche del Pentagono, che definisce questi tutt'altro che eccezionali eccidi come imprevisti «danni collaterali», inevitabili in ogni missione di guerra?

Il Pentagono omette sempre di chiarire che l'addestramento impartito ai soldati, e le regole d'ingaggio trasmesse ai soldati ancora prima di partire per il fronte di guerra, comportano ordini e un sistema di regole interno al protocollo militare in cui si prevedono tecniche e pratiche da eseguire senza farsi prendere da dubbi o da perplessità di coscienza. Quanto viene richiesto va dal semplice arresto alla pratica di sparare e uccidere senza pietà.

Quanto tempo dura l'addestramento di base, sia fisico sia di desensibilizzazione psicologica, impartito ai soldati inviati al fronte?

Dura circa sedici settimane intense e continue. In seguito l'addestramento e le esercitazioni proseguono alla base militare, finchè non si arriva alla partenza per il fronte.

Questo vuol dire che venite addestrati fino a che diventate in grado di uccidere impunemente?

Sì. Il Pentagono, dopo una serie di studi e di ricerche specifiche, ha lavorato sulla psicologia dei soldati, per renderli più pronti a uccidere, perché è stato valutato insufficiente il numero delle morti causate. Il bersaglio che, inizialmente era semplicemente costituito da un cerchio, è stato sostituito da foto e video di persone virtuali, in continuo movimento. Questa lenta procedura rende il soldato pronto a colpire chiunque si configuri come una minaccia, venendo subito identificato come un nemico. Al fronte, lo stato di allerta è permenente, tanto che si pensa solo a come una mossa sbagliata possa mettere a repentaglio la propria vita. E va a finire che questo eccesso di reattività porta a uccidere anche i civili.

Quale altra tecnica viene impiegata dal sistema di protocollo per desensibilizzare i soldati?

Durante le esercitazioni, mentre marciavamo, dovevamo cantare ad alta voce, ripetendo le parole di due canzoni che quasi ci venivano dettate dai comandanti.

Ci vuole ripetere il contenuto di questi canti di istigazione alla violenza?

Sì le faccio un esempio. «Sono andato al mercato dove le donne si recano a comprar cibo/ Ho tirato fuori il mio machete e ho cominciato a tagliarle a pezzi». E ancora: «Sono andato nel parco dove i bambini vanno a giocare/ Ho tirato fuori il mio mitragliatore e ho cominciato a sparare all'impazzata sui bambini». Anche questo fa parte dell'addestramento impartito ai piloti americani dall'elicottero Apache, che ha sparato sui civili.Eppure, questi soldati non hanno subito alcun processo contrariamente al soldato che ha dato a Wikileaks il video...

Perché hanno fatto quanto richiesto dal Pentagono.

Josh Steiber




Wikileaks video shows United States forces firing on journalists and citizens in Baghdad. Josh Stieber a soldier who was in the same company as the men in the video says that he would have been in that video but luckily was not given that duty that day. He goes on to say that the video poses a broader question of is this necessary to spread freedom and democracy.

► Potrebbe interessare anche: