IL RATING SU CASTRO OSCURA GLI ASPETTI ISTRUTTIVI DEL CASTRISMO
La morte di Fidel Castro ha dato il via ad una pioggia di commenti, più istruttivi su chi li ha formulati che sull’oggetto dei commenti stessi. La maggiore preoccupazione è stata infatti quella di incasellare il personaggio nella categoria dei “buoni” o dei “cattivi”, ciò in linea con l’attuale civiltà (o inciviltà) del “rating”, cioè della valutazione a tutti costi che soppianta ogni tentativo di comprensione. Dopo la riforma Renzi della Scuola anche gli studenti non vanno più a scuola per imparare qualcosa, bensì per “valutare” gli insegnanti.
I commenti hanno finito per lo più per mettere in ombra gli aspetti istruttivi dell’esperienza castrista, ed invece ce ne sono alcuni da mettere in evidenza, a cominciare dalla stessa avventura insurrezionale del 1959. I luoghi comuni che si sono consolidati tra gli anni ‘60 e ‘70 a proposito della guerriglia hanno fatto credere che il fattore-tempo giocasse a favore della guerriglia stessa, una tesi che l’esperienza non ha mai confermato. L’azione di Fidel Castro ha dimostrato infatti che le insurrezioni hanno possibilità di successo in una limitata finestra temporale. Quando Castro ha spinto per un colpo di mano decisivo contro il regime di Batista, ciò poteva apparire prematuro, mentre in effetti preveniva sia la possibilità per il nemico di rafforzarsi, sia lo spegnimento del movimento insurrezionale a causa delle consuete defezioni, divisioni e infiltrazioni, oltre che per il probabile deterioramento dei rapporti con una popolazione sottoposta alle angherie supplementari di una situazione bellica.
Si potrebbe dire che in un certo senso lo stratega Castro ha agito e pensato più da quell’allenatore di baseball che era, quindi consapevole che il tempo a disposizione per vincere non è illimitato, che da marxista (ammesso che marxista lo sia mai stato). L’altro aspetto interessante dell’esperienza castrista ha riguardato la fase dell’isolamento economico dopo la caduta del blocco sovietico. Dato per spacciato dall’opinione dominante, il regime castrista ha conosciuto la sua maggiore stagione di popolarità proprio dopo la fine del mito del socialismo cubano, quando il senso del castrismo si indirizzava al semplice obiettivo della resistenza all’imperialismo USA, senza più pretendere di rendersi degno di tale opposizione offrendo in cambio la prospettiva di un paradiso in Terra.
L’esperienza cubana degli anni ‘90 ha demistificato molti miti sull’economia, dimostrando che non solo si poteva sopravvivere alle sanzioni, ma che si poteva addirittura allestire un welfare a copertura totale contenendone i costi al minimo. Dato che oggi in Europa la tesi dominante riguarda proprio l’insostenibilità dei costi del welfare, si può facilmente dedurne che l’enfatizzazione e la lievitazione dei costi del welfare sia tutt’altro che una legge economica ineluttabile, bensì l’effetto delle pressioni delle lobby delle privatizzazioni, molte delle quali agiscono sotto l’etichetta di quella superstizione chiamata “Stato”; lobby che spingono per passare da un welfare pubblico ad un
“welfare aziendale”. Che il “welfare aziendale” costi realmente meno sarebbe tutto da dimostrare, dato che già ora si regge grazie alle enormi agevolazioni fiscali. Quando cesserà di essere “alternativo”, si può essere certi che anche il “welfare aziendale” verrà sussidiato apertamente con denaro pubblico.
Con la malattia e l’imbalsamazione in vita del leader massimo, anche a Cuba si è insediata da un po’ di tempo una agguerrita quanto subdola lobby delle privatizzazioni. Dopo le prime privatizzazioni “soft” che hanno riguardato taxi e piccolo commercio, la lobby è riuscita persino ad ottenere che la
gestione dell’aeroporto dell’Avana venisse concessa ad una multinazionale francese. L’evento dà la misura dell’irresponsabilità e dello sradicamento territoriale di queste bolle oligarchiche che si avvantaggiano del business delle privatizzazioni. Fin troppo noto è infatti il rapporto organico che vige tra multinazionali e servizi segreti, una relazione consolidata dal costume delle porte girevoli che consentono agli ex (?) agenti segreti di aprirsi carriere nelle multinazionali. La Francia fa parte della NATO, perciò tanto valeva levarsi il pensiero affidando le chiavi della porta dell’Avana direttamente alla CIA.
Il punto è che lo stesso socialismo va demistificato, in quanto è la fisima di “costruirlo” a portare fuori strada. La gestione privata non si regge senza il costante supporto del denaro pubblico, perciò ogni privatizzazione è a carico del contribuente, che la paga prima, durante e dopo. Le privatizzazioni sono un welfare pubblico a favore dei ricchi. Non si tratta quindi di “costruire il socialismo” ma semplicemente di smettere di privatizzare.