mercoledì 20 luglio 2011

Secessione monetaria? I possibili scenari

Marko Papic, Robert Reinfrank e Peter Zeihan

stratfor

The Jihadist Strategic Dilemma

La crisi dell´euro e le opzioni proibitive che potrebbero disinnescarla. Berlino può rilanciare il marco tedesco o la Grecia uscire dall´euro: due ipotesi che spiegano la gravità della crisi della moneta unica e quali conseguenze possono determinarsi.
Nonostante i migliori sforzi degli europei per tenere insieme l´unione monetaria, continuano a circolare voci di un prossimo collasso dell´eurozona. Alcuni nel mondo finanziario ipotizzano addirittura che la frustrazione tedesca potrebbe portare Berlino ad uscire dall´eurozona; mentre all´ultimo incontro dei leader europei il presidente francese Nicolas Sarkozy era sembrato minacciare di serrare i ranghi se Berlino non avesse aiutato la Grecia. Nel frattempo molti in Germania, incluso il cancelliere Angela Merkel hanno proposto di creare un meccanismo con cui la Grecia o le altre economie ultra indebitate e non competitive dell´area euro possa essere espulsa in futuro, se non sarà capace di rimediare alla sua attitudine a spendere irresponsabilmente. Voci, indizi, minacce, proposte e veline "da fonti bene inserite" sembrano tutte puntare dritto al tema caldo in Europa al momento, ovvero, la rifondazione dell´area euro tramite l´uscita della Germania o l´espulsione della Grecia. Affrontiamo il tema chiedendoci innanzitutto se questa opzione esista.

La geografia dell´unione monetaria europea
Quando si affronta la questione del futuro dell´euro, è importante ricordare che le basi economiche della moneta non sono tanto importanti quanto le basi politiche. Senza una decisione politica a monte che renda la moneta cartacea la forma di pagamento ufficiale nei commerci, essa sarebbe senza valore. Ciò vuol dire che un governo deve avere la volontà e la capacità di imporre la moneta come forma di pagamento del debito, e che il rifiuto di accettarla è punibile, senza limite alcuno, dalla legge. Il problema dell´euro è che esso cerca di sovrapporre una dinamica monetaria ad una geografia che non necessariamente si presta ad uno "spazio" economico o politico comune. L´eurozona ha una banca centrale, la Bce, e quindi ha un´unica politica monetaria, che si applica tanto a chi sta nel nord quanto a chi sta nel sud Europa. Ecco quindi il fondamentale dilemma geografico dell´euro. L´Europa è il secondo più piccolo continente ma ha il secondo maggior numero di Stati ammassati sul suo territorio. Non è una coincidenza. L´abbondanza di penisole, grandi isole e catene montuose crea le condizioni morfologiche che spesso consentono alle più piccole realtà politiche di persistere. Così, il Montenegro è sfuggito alla presa degli Ottomani, proprio come hanno fatto gli irlandesi con gli inglesi. Nonostante questo mosaico politico, l´abbondanza di fiumi navigabili, gli ampi golfi e le coste frastagliate hanno facilitato i movimenti di merci e di idee nel continente, incoraggiando l´accumulazione del capitale grazie ai bassi costi di trasporto, al tempo stesso promuovendo quella rapida diffusione dei progressi tecnologici che ha consentito ai vari Stati europei di diventare sorprendentemente ricchi. Cinque delle prime dieci economie mondiali sono in Europa, nonostante le popolazioni relativamente esigue. Però la rete fluviale e i mari d´Europa non sono integrati da un unico fiume dominante o da una direttrice navale, il che implica che la generazione di capitale si verifica in centri economici piccoli e localizzati. Ad oggi, e nonostante una grande integrazione politica ed economica, l´Europa non ha la sua New York. Qui, il Danubio ha Vienna, il Po ha Milano, il Mar Baltico ha Stoccolma, la Renania ha sia Amsterdam che Francoforte e il Tamigi ha Londra. Una pluralità di centri del capitale che si sovrappone poi a quello degli Stati europei, che presidiano gelosamente il loro capitale e quindi il loro sistema bancario. Nonostante questa pluralità di centri di potere economico e per estensione politico, vi sono Stati che, a causa della loro geografia, non hanno accesso ad un proprio centro capitalistico. A parte la valle del Po nel nord Italia e per un tratto il Rodano l´Europa meridionale non ha un grande fiume utile per i commerci. Di conseguenza, l´Europa settentrionale è più urbanizzata, industriale e tecnocratica, mentre quella meridionale tende ad essere più rurale, agricola e povera di capitali.

L´introduzione dell´euro
Vista l´ondata di volatilità economica che ha investito l´eurozona negli ultimi trimestri e le sfide rappresentate dall´imposizione di un unico sistema monetario a una geografia e una storia così articolata, è facile oggi scordarsi il motivo per cui l´eurozona è stata istituita in origine. La Guerra fredda ha reso possibile l´Unione europea. Per secoli, l´Europa è stata la sede di imperi feudali e Stati. Dopo la Seconda guerra mondiale, è divenuta la patria di nazionalità lacerate, la cui sicurezza era affidata agli Stati Uniti. Con gli accordi di Bretton Woods, gli Stati Uniti costruirono un sistema economico regionale capace di rilanciare le fortune dell´Europa occidentale sotto l´egida militare di Washington. Sgravati dal peso della competizione bellica, gli europei non solo furono liberi di perseguire la crescita, ma anche di sfruttare l´accesso illimitato al mercato americano per alimentare quella crescita. L´integrazione economica europea per massimizzare queste opportunità era un´opzione assolutamente sensata. Gli Usa incoraggiarono l´integrazione politica ed economica perché dava una base politica all´alleanza militare imposta all´Europa, cioè la Nato. Ecco come nacque la Comunità economica europea l´antenato dell´attuale Unione europea. Quando gli Usa abbandonarono la parità aurea del dollaro nel 1971 (per motivi in gran parte non correlati alle vicende europee), Washington abrogò essenzialmente il regime di cambi fissi di Bretton Woods che era legato allo standard. Una conseguenza fu il panico in Europa. Le monete fluttuanti resero inevitabile la competizione tra valute in Europa, quella stessa competizione che aveva contribuito alla Grande depressione quaranta anni prima. Quasi immediatamente si impose la necessità di limitare questa competizione, prima con il coordinamento delle monete inizialmente centrato sul dollaro, e poi dal 1979 sul marco tedesco. Lo spettro di una Germania riunificata nel 1989 diede nuovo vigore all´integrazione economica. L´euro era in grande misura un tentativo di dare a Berlino gli incentivi necessari per non staccarsi dal progetto della Ue. Ma per spingere Berlino a condividere la sua moneta con il resto dell´Europa, l´eurozona fu modellata sulla Bundesbank e sul marco tedesco. Per entrare nell´area, un Paese deve rispettare rigorosi "criteri di convergenza" progettati per sincronizzare l´economia del Paese candidato a quella della Germania. I parametri includono un deficit di bilancio pari al 3% del Prodotto interno lordo; un livello del debito pubblico al di sotto del 60% del Prodotto interno lordo; un´inflazione annuale non superiore all´1,5 punti percentuali al di sotto della media dell´inflazione annuale dei tre Paesi minori; e un periodo di prova di due anni durante il quale la valuta nazionale dei Paesi candidati, dovrà fluttuare entro una fascia di oscillazione con l´euro del 15%. Mentre cominciano a manifestarsi incrinature nel sostegno politico ed economico all´euro, è chiaro comunque che i criteri di convergenza non sono riusciti a superare le diverse identità geografiche e storiche. La violazione greca del Patto di crescita e stabilità è chiaramente la più clamorosa, ma in pratica tutti i Paesi membri incluse Francia e Germania, che hanno contribuito alla stesura del Patto hanno contravvenuto alle sue regole fin dal principio.

La meccanica dell´uscita dall´euro
I trattati europei al momento obbligano ogni Stato membro eccetto Danimarca e Gran Bretagna, che hanno negoziato il loro opt-out a divenire parte dell´eurozona. L´espulsione forzata o autoimposta è tecnicamente illegale, o al più richiederebbe l´approvazione di tutti e 27 gli Stati membri (poco importa il motivo per cui uno Stato membro dovrebbe approvare la sua stessa espulsione). Anche se fosse possibile, è certo che ci sono membri attuali e candidati che sarebbero cauti a stabilire un tale precedente, specialmente se la loro situazione fiscale potesse assomigliare a quella di Atene. Un´opzione creativa potrebbe consentire all´Unione europea di espellere tecnicamente senza violare i trattati. Si tratterebbe di creare una nuova Unione europea senza lo Stato colpevole (la Grecia, nel nostro caso) e di stabilire una nuova eurozona all´interno del nuovo perimetro istituzionale. Si tratta di manipolazioni che non necessariamente distruggerebbero la Ue; i suoi membri "semplicemente" ricreerebbero le sue forme senza il partner di cui non si preoccupano più. Anche se creativa, è una soluzione ancora piena di incognite. In un´eurozona così ridimensionata, la Germania sarebbe la potenza senza rivali, qualcosa di cui il resto d´Europa potrebbe non essere esattamente entusiasta. Se Francia e Benelux ricostruissero l´area con Berlino, l´economia tedesca salirebbe dal 26,8% del prodotto nella versione eurozona 1.0 al 45,6% nella versione 2.0. Anche Stati esplicitamente esclusi sarebbero soggetti a devastanti contraccolpi: le economie sud-europee potrebbero semplicemente andare in default per qualsiasi livello di debito detenuto da istituzioni della nuova eurozona.
Tenendo presenti queste due complicazioni politiche, ci rivolgiamo ora ai due scenari di rifondazione dell´eurozona oggi maggiormente discussi.

Scenario 1: la Germania rilancia il marco tedesco
L´uscita dall´euro per la Germania è riconducibile alle passività potenziali che Berlino patirebbe se Portogallo, Spagna, Italia ed Irlanda seguissero la Grecia lungo la via del default. Mentre si prepara a votare per il contributo da 123 miliardi di euro all´interno del dispositivo da 750 miliardi che si aggiungerebbe quindi ai 23 miliardi di euro già approvati per Atene la questione se "ne valga la pena" deve essere al centro dei pensieri di ogni politico tedesco. E questo è particolarmente vero nel momento in cui cresce l´opposizione politica al piano di salvataggio, sia tra gli elettori tedeschi che tra i partner e gli alleati della coalizione Merkel. Nelle ultime rilevazioni, il 47% dei tedeschi si è detto a favore dell´adozione del marco. Inoltre, la coalizione di governo ha perso una cruciale elezione regionale lo scorso 9 maggio, un segno di crescente insoddisfazione verso la Cdu e il suo alleato, l´Fdp. Anche se è riuscita a mantenersi in piedi durante i passaggi del salvataggio greco, ci sono ora seri dubbi che la Merkel sia in grado di fare lo stesso nei prossimi mesi.
La Germania non lascerebbe l´eurozona per salvare la sua economia o per liberarsi dai propri debiti, ma piuttosto per evitare il peso finanziario del sostegno alle economie del Club Med e della loro capacità di ripagare la montagna di debiti (3 trilioni di euro). Ad un certo punto, la Germania potrebbe decidere di tagliare le perdite fino a 500 miliardi di euro, che è all´incirca l´esposizione delle banche tedesche al debito del Club Med e stabilire che ulteriori salvataggi sarebbero perdite di danaro in un pozzo senza fondo. Inoltre, la Germania potrebbe sì fare affidamento sulla Bce per violare le sue regole ed avviare la politica di acquisto del debito dai governi in difficoltà dell´eurozona con denaro di nuova creazione ("quantitative easing"), ma ciò di per sé costituirebbe un salvataggio. Il resto dell´area, inclusa la Germania, pagherebbe con l´indebolimento dell´euro. Se questa deriva dovesse prevalere, significherebbe che la situazione si è molto deteriorata. L´eurozona offre alla Germania considerevoli benefici economici. I suoi vicini non sono in grado di contrastare le esportazioni tedesche con la svalutazione competitiva, e le esportazioni tedesche a loro volta hanno guadagnato quote di export nell´eurozona, sia al suo interno che nei confronti del resto del mondo. Dall´adozione dell´euro, il costo unitario del lavoro nel Club Med è aumentato rispetto a quello tedesco di circa il 25%, consolidando ulteriormente il vantaggio competitivo della Germania. Prima che la Germania possa riutilizzare il marco, dovrebbe istituire nuovamente la sua banca centrale, ritirare le riserve dalla Bce, stampare la moneta nazionale e ridenominare attività e passività nazionali in marchi. Potrebbe non essere un processo facile e senza ostacoli, ma certo per la Germania sarebbe molto più agevole che per altri Stati membri. Il marco tedesco aveva una reputazione molto solida di valuta forte quando la rinomata Bundesbank guidava la politica monetaria tedesca. Se la Germania fosse in grado di reintrodurre la sua moneta nazionale, difficilmente gli europei potrebbero credere che i tedeschi si sono dimenticati di come si guida una banca centrale la memoria istituzionale nazionale riemergerebbe rapidamente, ristabilendo la credibilità sia della Bundesbank che, per estensione, del marco tedesco. Dal momento che così si sostituirebbe una moneta più debole e in fase calante con una più forte e stabile, se pure i mercati finanziari non accogliessero a scatola chiusa il cambio, certamente sarebbero assai meno riluttanti ad accettarlo dalla Germania che da altri Paesi membri. E così Berlino non sarebbe necessariamente costretta a ricorrere a restrizioni pesanti ai flussi di capitale, per bloccare patrimoni in fuga dalla conversione. Probabilmente, sarebbe in grado di ridenominare tutto il suo debito in marchi tedeschi attraverso bond swap. I mercati accetterebbero il cambio perché probabilmente avrebbero assai più fede nel marco sostenuto dalla Germania che nell´euro sostenuto dal resto dei Paesi dell´eurozona. Riportare in circolazione il marco sarebbe comunque un processo complicato, e probabilmente con danni collaterali, in particolare per il settore finanziario. Le banche tedesche detengono gran parte del debito emesso dal Club Med, che probabilmente andrebbe in default nel caso che la Germania abbandonasse l´euro. Se si arrivasse vicini al punto di rottura tra Germania ed eurozona, queste perdite sarebbero probabilmente poca cosa in confronto ai costi economici e politici di rimanere dentro l´eurozona e sostenerne finanziariamente l´esistenza.

Scenario 2: la Grecia lascia l´euro
Se Atene fosse in grado di controllare la propria politica monetaria, sarebbe manifestamente anche in grado di "risolvere" i due maggiori problemi che affliggono oggi l´economia greca. In primo luogo, potrebbe alleggerire notevolmente la sua situazione finanziaria. La banca centrale greca potrebbe stampare monete e acquistare debito sovrano, scavalcando la mediazione del mercato creditizio. In secondo luogo, la reintroduzione della moneta nazionale consentirebbe ad Atene di svalutarla successivamente, il che stimolerebbe la domanda estera per le esportazioni greche e promuoverebbe la crescita economica. Così, non avrebbe più bisogno di sottoporsi al doloroso processo di "svalutazione interna" con le misure di austerità che sono state imposte ai greci come condizione per il salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale e della Ue. Se Atene dovesse reintrodurre la moneta nazionale al fine di controllare la politica monetaria, il governo, però, dovrebbe prima riuscire a farla circolare (una condizione necessaria per la svalutazione). Il primo problema pratico è che nessuno vorrà questa nuova moneta, principalmente perché sarebbe chiaro che il governo la rimette in circolazione per poi svalutarla. A differenza dell´aggancio all´euro dove la partecipazione era motivata dai benefici effettivi e percepiti di adottare una moneta forte e stabile e di incamerare tassi di interesse più bassi, nuovi flussi e la possibilità di fare transazioni in molti nuovi mercati lo "sganciamento dall´euro" non offre tali incentivi ai mercati: a) la dracma non sarebbe una moneta forte, dato che lo scopo della sua reintroduzione è la svalutazione; b) la dracma sarebbe probabilmente accettata solo all´interno della Grecia, e anche lì non ovunque una condizione che probabilmente durerebbe per qualche tempo; c) la reintroduzione unilaterale della dracma vedrebbe probabilmente la Grecia esclusa dall´eurozona, e probabilmente anche dall´Unione europea, in base alle regole sopra citate. Il governo dovrebbe essenzialmente chiedere agli investitori e agli elettori di firmare un contratto sociale che lo stesso poi, chiaramente, intenderebbe abrogare in futuro, se non immediatamente, una volta che ne sia in grado. Quindi, l´unico modo per diffondere la dracma sarebbe con l´uso della forza. Lo scopo non sarebbe di convertire ogni asset denominato in euro in dracme, ma piuttosto di mettere le mani su una massa sufficiente di asset da cui partire per trasmettere la scossa necessaria alla diffusione della dracma. Per essere fatto in modo efficace, il governo dovrebbe minimizzare la quota di capitali che si preparano a fuggire con prelievi o trasformazione in beni facilmente sottraibili al fisco. Per fare ciò, sarebbero necessari restrizioni sui movimenti di capitale e la chiusura di alcune banche, e probabilmente anche l´uso della forza per prevenire disordini ancora più estesi di quelli visti finora. Una volta che il danaro è stato messo sotto chiave, il governo poi convertirebbe forzosamente i patrimoni bancari letteralmente rimpiazzandoli con somme analoghe in moneta nazionale. Ai greci sarebbe consentito effettuare prelievi soltanto nelle nuove dracme, appositamente trasferite dal governo alle banche per i servizi alla clientela. Al tempo stesso, tutte le spese e i pagamenti del settore pubblico sarebbero effettuati in moneta nazionale, per stimolarne la circolazione. Il governo dovrebbe poi trasmettere la propria determinazione a perseguire chiunque scambi euro sul mercato nero, pena la totale perdita di valore della nuova moneta. Dato che nessuno, a parte il governo, vorrebbe mai agire in questa maniera, al sentore che esso potrebbe muoversi in questa direzione, la prima cosa che i greci vorranno fare è di ritirate tutti i depositi da ogni sportello, dove il loro patrimonio sarebbe a rischio. Analogamente, la prima cosa che farebbero gli investitori e ricordiamoci che la Grecia è un Paese tanto povero di capitali quanto la Germania ne è ricca è di tagliare ogni esposizione. Quindi, la conversione forzosa dovrebbe essere coordinata e definitiva, e cosa più importante di tutte dovrebbe essere il più possibile inattesa. Realisticamente parlando, l´unico modo per compiere questa transizione senza fare impazzire l´economia greca, lacerandone il tessuto sociale, sarebbe di coordinarla con organizzazioni in grado di fornire assistenza e vigilanza. Se l´Fmi, la Bce o gli Stati membri dell´eurozona coordinassero il periodo di transizione e magari nel frattempo offrissero un qualche sostegno al valore della moneta nazionale, aumenterebbero le possibilità di una transizione non completamente distruttiva. È difficile immaginare le circostanze in cui questo aiuto si manifesti, attraverso un pacchetto che farebbe impallidire per dimensioni i 110 miliardi di euro attualmente sul tavolo. Perché se le popolazioni d´Europa sono così riluttanti a salvare la Grecia ora, che cosa penserebbero se i loro governi si prendessero ancora più rischi pur di sostenere l´intero sistema finanziario di un ex membro dell´eurozona, aiutandolo così a sfuggire alle sue responsabilità di debitore verso il resto dell´area?

Dilemma europeo
L´Europa si trova perciò di fronte ad un nodo gordiano. Da una parte, la geografia del continente presenta un numero di incongruità che non possono essere superate senza uno sforzo erculeo (e politicamente impopolare) da parte dell´Europa meridionale e da un compromesso (ugualmente poco attraente) da parte dell´Europa settentrionale. Dall´altra parte, il costo dell´uscita dall´eurozona in particolare in un momento di calamità finanziaria globale, quando questa mossa potrebbe far precipitare in una crisi ancora maggiore è, a dir poco, spaventoso. Ne risulta un enigma che, ad un certo punto, potrebbe prevedere una soluzione, attraverso la ricostruzione dell´area euro. Ma la rete di relazioni economiche, politiche, legali e istituzionali la rende quasi impossibile. Che abbia o meno senso, il costo dell´uscita è proibitivo.

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