mercoledì 9 novembre 2016

Парад в честь 70-летия Великой Победы



Парад в честь 70-летия Великой Победы


Президент России – Верховный Главнокомандующий Вооружёнными Силами Владимир Путин присутствовал на военном параде в ознаменование 70-й годовщины Победы в Великой Отечественной войне 1941–1945 годов.
9 мая 2015 года
11:20
Москва, Красная площадь




01:19:45


Поделиться
SD



Перед началом парада в Гербовом зале Кремля Владимир Путин приветствовал лидеров иностранных государств и крупнейших международных организаций, прибывших в Москву для участия в праздничных мероприятиях.

Военный парад в ознаменование 70‑летия Победы в Великой Отечественной войне – один из самых масштабных за всю историю парадов на Красной площади. В нём приняли участие более 15 тысяч военнослужащих, 194 единицы сухопутной военной техники, 143 самолёта и вертолёта.

Смотрите также
Выступление Президента России на параде, посвящённом 70-летию Победы в Великой Отечественной войне
9 мая 2015 года

В качестве почётных гостей на Красной площади присутствовали более двух тысяч ветеранов Великой Отечественной войны.

Парад начался с выноса на Красную площадь знамени Победы и государственного флага России.

В память о погибших в Великой Отечественной войне Владимир Путин впервые в ходе военного парада объявил минуту молчания.

Парад традиционно открыла рота барабанщиков Московского военного музыкального училища, а также знамённые группы со штандартами 10 фронтов заключительного этапа Великой Отечественной войны.

Затем в составе пешей колонны по Красной площади прошли парадные расчёты Азербайджана, Армении, Белоруссии, Казахстана, Киргизии, Таджикистана, Индии, Монголии, Сербии и Китая.

Вооружённые Силы России представляли военнослужащие высших военных учебных заведений, суворовских, нахимовских военных училищ, кадетских корпусов, военнослужащие Западного военного округа, МЧС, внутренних войск МВД и погранвойск ФСБ России. Впервые в мероприятии приняли участие воспитанницы кадетской школы-интерната.

Историческая часть механизированной части парада была представлена легендарными танками времён Великой Отечественной войны Т‑34‑85, самоходными артиллерийскими установками СУ‑100.




17 из 67

Военный парад в ознаменование 70-й годовщины Победы в Великой Отечественной войне 1941–1945 годов. Фото: may9.ru.

За ними по Красной площади прошли современные бронеавтомобили, в том числе «Тигр» и «Тайфун», бронетранспортёры БТР‑82А и «Ракушка», боевые машины БМД‑4М, бронетранспортёры и боевые машины на платформах «Курганец», «Армата» и «Бумеранг». В параде также были задействованы танки Т‑90А и «Армата», самоходные артиллерийские установки «Мста‑С» и «Коалиция‑СВ», оперативно-тактические ракетные комплексы «Искандер», «Бук‑М2» и «Тор‑М2У», ракетно-пушечные «Панцирь‑С1», пусковые установки систем С‑400, грунтовые ракетные комплексы «Ярс».

Парад завершился пролётом авиации. Пилотажные группы «Русские витязи» и «Стрижи» продемонстрировали знаменитый «кубинский бриллиант» в составе девяти истребителей Су‑27 и МиГ‑29. Лётчики авиагруппы «Соколы России» показали воздушное построение «тактическое крыло» из 10 самолётов. В строю вертолётов пролетели экипажи пилотажной группы «Беркуты» на Ми‑28Н «Ночной охотник».

Смотрите также
Возложение венка к Могиле Неизвестного Солдата
9 мая 2015 года

Кроме того, в парадном строю авиации были представлены стратегический бомбардировщик-ракетоносец Ту‑160 «Белый лебедь», самолёты дозаправки Ил‑78, тяжёлые военно-транспортные самолёты Ил‑76, группы армейской и оперативно-тактической авиации. В рамках «воздушного парада» над Красной площадью впервые пролетели экипажи новейших истребителей поколения 4++ Су‑35 и Су‑30, модернизированных ударных вертолётов Ми‑35М и учебно-тренировочных вертолётов «Ансат‑У».

После окончания парада Владимир Путин вместе с главами иностранных государств и правительств почтил память погибших в Великой Отечественной войне, возложив цветы к Могиле Неизвестного Солдата в Александровском саду.


IL PRETESTO DEL DEBITO PUBBLICO PER FAR INDEBITARE I CITTADINI

IL PRETESTO DEL DEBITO PUBBLICO PER FAR INDEBITARE I CITTADINI

Di comidad 

I dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico indicano che i cittadini italiani sono in assoluto tra i meno indebitati del mondo, meno degli Americani, meno dei Francesi e meno dei Britannici. Il Regno Unito presenta addirittura il record di indebitamento delle famiglie. Contrariamente a ciò che ci si potrebbe aspettare, la disoccupazione e la precarietà costituiscono un incentivo all’indebitamento. E dove ci sono più disoccupati, cioè tra i giovani, vi è anche meno percezione dei rischi connessi all’uso della carta di credito. Il quotidiano “Il Sole-24 ore” comunica a riguardo un dato sconcertante, secondo il quale almeno il 5% dei giovani utenti inglesi di carte di credito non ha neppure la consapevolezza che il denaro speso vada restituito. 

Se i dati OCSE confermano invece l’attitudine prudente e risparmiatrice degli Italiani, l’informazione ufficiale non perde comunque l’occasione per ricordare che il debito pubblico italiano appare ancora fuori controllo. I due dati però non sono affatto in contraddizione come ci si vorrebbe far credere. Se gli Italiani sono poco indebitati è perché sono in gran parte creditori dello Stato, cioè tendono a risparmiare in titoli pubblici nonostante i consigli in senso contrario delle banche, le quali vorrebbero riservare per loro stesse quel tipo di investimento così scevro da rischi.

Attualmente il debito pubblico italiano è di nuovo quasi tutto interno ed un governo meno prono alle lobby finanziarie potrebbe facilmente renderlo tutto interno, perché c’è un ceto medio ancora capace di comprarlo, quindi oggi l’emergenza-spread appare più fittizia che mai. Ciò dovrebbe sfatare molto del terrorismo che ancora si diffonde circa i disastri di un’eventuale uscita dell’Italia dall’euro. Evocare continuamente l’esempio della Grecia per avallare questi terrori non tiene conto del fatto che il debito pubblico greco è nella gran parte nei confronti di creditori esteri.


Probabilmente gli “euristi” fanno tanto terrorismo poiché sono a loro volta
terrorizzati; infatti non ci viene spiegato come mai, in quattordici anni di storia, l’euro non sia mai diventato una valuta di riserva, cioè una moneta di pagamento per gli scambi internazionali che fosse alternativa, o almeno complementare, al dollaro. Il punto è che l’euro va bene per tenere compatto il gregge europeo sotto lo stemma NATO, ma non certo per dar fastidio agli Stati Uniti, ovviamente se si vuole rimanere vivi ed in salute (e ciò spiega la persistente pavidità anche di quegli esponenti della “sinistra” e di quei dirigenti sindacali che, a differenza di Renzi, non possono affidare la propria salvezza personale alla prospettiva di farsi cooptare in qualche lobby multinazionale). 

Il motivo per cui in Italia c’è meno indebitamento delle famiglie non è genericamente culturale, ma è dovuto appunto alla presenza di un ceto medio vasto e consistente; un ceto medio che costituisce un notevole datore di lavoro attraverso il fenomeno dei badanti e che svolge anche la funzione di ammortizzatore sociale per i giovani lavoratori precari e privi di garanzie che trovano nella famiglia il proprio punto d’appoggio. Ci sarebbe comunque da dubitare circa il carattere lusinghiero e confortante dei dati OCSE sullo scarso indebitamento delle famiglie italiane. Quei dati indicano infatti che gli Italiani rappresentano un target dei “servizi finanziari” ancora tutto da colonizzare.
 
Nel settembre scorso la Banca Centrale Europea ha rilasciato dichiarazioni di apprezzamento sui risultati del renziano “Jobs Act”, il quale avrebbe impresso“dinamismo” all’occupazione. La stessa BCE si lamenta però del fatto che l’Italia ha contribuito scarsamente alla ripresa economica in Europa. Le dichiarazioni della BCE sono quindi contraddittorie o quantomeno equivoche. In realtà se ci fosse stato davvero un aumento dell’occupazione in Italia, questo si sarebbe riflesso anche in un aumento della produttività e del PIL, che invece non c’è stato. Non per niente la BCE, invece di parlare di aumento dell’occupazione, adopera un’espressione ambigua come “dinamismo”, che può voler dire tutto e niente.


Le mistificazioni spudorate del nostro compatriota Mario Draghi dimostrano chiaramente per quale lobby coloniale lavori, quella che vuole sostituire i redditi da lavoro con i prestiti, ciò che in termini tecnici si può definire come “finanziarizzazione dei rapporti sociali”. Il credito/debito diviene quindi la relazione sociale fondamentale, quella a cui tutte le altre sono subordinate. E questo è ancora niente, in quanto occorre considerare che il credito elargito in denaro elettronico/digitale è a rischio zero, poiché l’eventuale insolvenza del debitore non comporta per le banche nessuna perdita di liquidità. Il rischio è quindi interamente a carico del debitore. Non si era mai verificata nella Storia una relazione sociale così squilibrata. La finanziarizzazione dei rapporti sociali non rappresenta una “fase” del capitalismo, bensì costituisce l’esito scontato dell’assistenzialismo per ricchi ogni qual volta i rapporti di forza lo consentano, ovvero quando la disoccupazione sia ormai cronicizzata.

Gli obiettivi del “Jobs Act” si inquadrano perciò nel progetto recessivo dell’euro, cioè impoverire e precarizzare la popolazione lavoratrice e logorare il ceto medio per costringere tutti ad accedere maggiormente a “servizi finanziari”. Non a caso la stessa BCE, dopo gli apprezzamenti sul “Jobs Act”, non rinuncia alla solita ramanzina sul debito pubblico; proprio quel debito pubblico che costituisce tuttora il rifugio del risparmio delle famiglie e che fa da ombrello persino alle banche italiane.
  
Sino alla caduta del Muro di Berlino il ceto medio proprietario di immobili e titoli era stato uno dei capisaldi della reazione al comunismo, mentre oggi la lobby finanziaria globale sta facendo di tutto per spolparlo. Il ceto medio italiano è più nel mirino di altri perché dispone ancora di parecchio da saccheggiare. Questo ceto medio ha difficoltà a difendersi a causa della sua vulnerabilità ideologica nei confronti degli slogan del “rigore” e dell’ “abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi”; ciò in conseguenza di una tradizionale mentalità pauperistica e di un atteggiamento punitivo nei confronti del lavoro. Tale mentalità può spesso camuffarsi di slogan progressisti e di moralismo anti-consumistico, ma si smaschera per la sua tendenza a colpevolizzare le rivendicazioni salariali. Un’alleanza tra il ceto medio in via di “proletarizzazione” e la classe operaia rimane quindi problematica e forse impossibile.

► Potrebbe interessare anche: