martedì 2 luglio 2013

L’Iran pronto ad inviare in Siria 4.000 combattenti in aiuto alle forze del presidente Assad


L’Iran pronto ad inviare in Siria 4.000 combattenti in aiuto alle forze del presidente Assad
independent.co.uk
ROBERT FISK

La decisione di Washington di armare i ribelli musulmani sunniti della Siria ha fatto precipitare gli Stati Uniti nel grande conflitto tra Sunniti e Sciiti del Medio Oriente islamico, entrando in una lotta che ormai sta arrestando lo sviluppo delle rivoluzioni arabe che hanno rovesciato le dittature in tutta la regione. Per la prima volta, tutti gli “amici” dell’America nella regione sono musulmani Sunniti e tutti i suoi nemici sono Sciiti. Rompendo tutte le consuetudini di non-allineamento del presidente Barack Obama, ora gli Stati Uniti si sono pienamente impegnati a fianco di gruppi armati che comprendono i movimenti islamici sunniti più estremisti in Medio Oriente.


L’Independent di domenica ha appreso che in Iran è stata assunta una decisione militare - anche prima delle elezioni presidenziali della scorsa settimana - per inviare un primo contingente di 4.000 Guardie Rivoluzionarie iraniane in Siria, a sostegno delle forze del presidente Bashar al-Assad contro la rivolta in gran parte sunnita, che è costata quasi 100.000 vite in poco più di due anni. Secondo fonti filo-iraniane profondamente coinvolte nella sicurezza della Repubblica Islamica, l’Iran è ormai pienamente impegnato a preservare il regime di Assad, fino al punto di proporre l’apertura di un nuovo fronte “siriano” sulle alture del Golan contro Israele.
In anni a venire, gli storici si chiederanno come gli Stati Uniti - dopo il loro fallimento in Iraq e il loro ritiro umiliante dall’Afghanistan in programma per il 2014 - possano essersi tanto sconsideratamente allineati con una fazione in una lotta titanica islamica, che risale al VII secolo, alla morte del Profeta Maometto.
Gli effetti profondi di questo grande scisma, tra Sunniti che credono che il padre della moglie di Maometto fosse il nuovo califfo del mondo musulmano e gli Sciiti, che considerano il genero di Maometto, Ali, come suo legittimo successore - un conflitto che nel VII secolo ha inondato di sangue tutta l’area attorno alle attuali città irachene di Najaf e Kerbala – si fanno sentire a tutt’oggi in tutta la regione. Un arcivescovo di Canterbury del diciassettesimo secolo, George Abbott, ha paragonato questo conflitto musulmano a quello tra “papisti e protestanti”.
L’alleanza con gli Stati Uniti include ora gli Stati più ricchi del Golfo Arabo, i vasti territori sunniti tra l’Egitto e il Marocco, così come la Turchia e la fragile monarchia in Giordania, creazione dell’impero britannico. Re Abdullah di Giordania – paese invaso, come tante nazioni confinanti, da centinaia di migliaia di profughi siriani - potrebbe addirittura trovarsi sul fulcro del conflitto siriano. Si pensa che attualmente in Giordania siano presenti fino a 3.000 “consiglieri” statunitensi, e la creazione di una “no-fly zone” nella Siria meridionale – in opposizione alle batterie antiaeree controllate dall’esercito siriano - trasformerebbe questa crisi in una guerra “calda”.
Questo, per quanto riguarda gli “amici” degli Stati Uniti d’America.
I loro nemici comprendono gli Hezbollah libanesi, il regime sciita alawita di Damasco e, naturalmente, l’Iran. E l’Iraq, una nazione in gran parte sciita, che gli Stati Uniti hanno “liberato” dalla minoranza sunnita di Saddam Hussein nella speranza di bilanciare il potere sciita dell’Iran, e che - contro tutte le previsioni statunitensi - in gran parte è finita sotto l’influenza e il potere di Teheran. Gli Iracheni sciiti, così come i membri di Hezbollah, hanno insieme combattuto a fianco delle forze di Assad.


Le scuse e le motivazioni addotte da Washington per la sua nuova avventura in Medio Oriente – vale a dire che è indispensabile armare i nemici di Assad perché il regime di Damasco ha usato il gas nervino sarin contro di loro – non convincono nessuno in Medio Oriente.
La prova cruciale che una delle parti in conflitto in Siria abbia fatto uso di gas rimane quasi nebulosa, tanto quanto l’affermazione del presidente George W. Bush che l’Iraq di Saddam possedesse armi di distruzione di massa.
Il vero motivo per cui gli Stati Uniti d’America hanno disposto la loro potenza militare a fianco dei ribelli sunniti siriani è perché questi stessi ribelli stanno ora perdendo la loro guerra contro Assad. Questo mese, la vittoria del regime di Damasco nella città di Qusayr nel centro della Siria, a prezzo della vita di combattenti Hezbollah come quella di appartenenti alle forze governative, ha gettato la rivoluzione siriana nello scompiglio, minacciando di umiliare le pretese statunitensi e dell’Unione Europea per un abbandono del potere da parte di Assad.


Si dovrebbe presumere che i dittatori arabi dovrebbero essere deposti - a meno di non essere re o emiri del Golfo in relazioni amichevoli - e non di essere sostenuti. Eppure la Russia ha garantito il suo appoggio totale ad Assad, tre volte ponendo il veto su risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che avrebbero permesso all’Occidente di intervenire direttamente nella guerra civile.

In Medio Oriente, esiste un cinico scetticismo sulla presunzione statunitense che si possano distribuire armi – inclusi quasi certamente missili terra-aria - solo alle forze ribelli laiche sunnite rappresentate in Siria dal cosiddetto Esercito Libero Siriano. Il potentissimo Fronte al-Nusrah, alleato di al-Qaeda, domina il campo di battaglia a fianco dei ribelli ed è stato accusato di atrocità, tra cui l’esecuzione di governativi siriani prigionieri di guerra e l’omicidio di un giovane quattordicenne per blasfemia.
Costoro saranno in grado di appropriarsi delle nuove armi statunitensi strappandole con poco sforzo ai loro camerati dell’Esercito Libero Siriano. D’ora in poi, quindi, ogni attentato suicida dinamitardo a Damasco - ogni crimine di guerra commesso dai ribelli - verrà considerato nella regione di responsabilità di Washington. Gli stessi islamisti Sunniti-Wahabiti che hanno ucciso migliaia di cittadini americani negli attentati dell’11 settembre 2011 - che sono i più grandi nemici degli Stati Uniti così come della Russia - stanno per diventare alleati per procura dell’amministrazione Obama.

Questa terribile ironia può venire ancor più inasprita dal deciso rifiuto del presidente russo Vladimir Putin a tollerare una qualsiasi forma di estremismo sunnita.
La sua esperienza in Cecenia, la sua retorica anti-musulmana – Putin ha rilasciato considerazioni oscene circa gli estremisti musulmani in una conferenza stampa in russo - e la sua convinzione che il vecchio alleato della Russia in Siria si trova ad affrontare la stessa minaccia che Mosca ha combattuto in Cecenia, giocano un ruolo importantissimo nella politica di Putin nei confronti di Bashar al-Assad, quanto la permanenza della base navale concessa alla Russia presso la città mediterranea siriana di Tartous.
Per i Russi, naturalmente, il “Medio Oriente” non è affatto in “oriente”, ma è a sud di Mosca, e i dati statistici sono di somma importanza. La capitale cecena di Grozny è appena 500 miglia dalla frontiera siriana. Il quindici per cento dei Russi sono musulmani. Sei delle repubbliche comuniste dell’Unione Sovietica avevano una maggioranza musulmana, di cui il 90 per cento sunnita. E i Sunniti in tutto il mondo costituiscono forse l’85 per cento di tutti i Musulmani.
Visto l’intento della Russia  di riconquistare posizioni in un ampio territorio che comprende la maggior parte della ex Unione Sovietica, i suoi principali antagonisti sono gli Islamisti Sunniti sul tipo di quelli che ora stanno combattendo il regime di Assad.
Le fonti iraniane dicono di mantenere costantemente contatti con Mosca, e che, mentre il ritiro totale di Hezbollah dalla Siria probabilmente verrà completato al più presto – però con il mantenimento di formazioni di “intelligence” di questa milizia all’interno della Siria - il sostegno iraniano a Damasco crescerà più che inaridire. Questi informatori sottolineano che i Talebani hanno recentemente inviato una delegazione ufficiale per colloqui a Teheran, e che gli Stati Uniti avranno bisogno dell’aiuto dell’Iran nella conduzione del loro ritiro dall’Afghanistan.
Gli Stati Uniti, affermano gli Iraniani, non saranno in grado di portare i loro armamenti e le loro attrezzature fuori dal paese, con la guerra contro i Talebani ancora in corso, senza l’assistenza attiva dell’Iran. Una delle fonti ci ha dichiarato - non senza una qualche ilarità - che i Francesi furono costretti a lasciarsi alle spalle 50 carri armati nel momento del loro abbandono, perché non avevano ricevuto l’aiuto di Teheran. Questo è un segno del modello storico di cambiamento in Medio Oriente per cui, nel quadro delle vecchie rivalità da “guerra fredda” tra Washington e Mosca, la sicurezza di Israele è passata in secondo piano rispetto al conflitto in Siria.
In effetti, alle politiche di Israele nella regione si sono messe di traverso le rivoluzioni arabe, che hanno lasciato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, disperatamente alla deriva in mezzo ai cambiamenti storici. Solo una volta nel corso degli ultimi due anni, Israele ha pienamente condannato le atrocità commesse dal regime di Assad, e mentre ha fornito aiuto medico per i ribelli feriti al confine israelo-siriano, teme l’insediarsi di un califfato islamico a Damasco molto più che una continuazione del governo di Assad. Un ex comandante dei servizi di spionaggio di Israele ha recentemente descritto Assad come “l’uomo di Israele a Damasco”.
Solo pochi giorni prima che il presidente Mubarak venisse rovesciato, sia Netanyahu che il re Abdullah dell’Arabia Saudita si appellavano a Washington per chiedere ad Obama di salvare il dittatore egiziano. Invano. Se il mondo arabo è stato a sua volta travolto da due anni di rivoluzioni, con l’andar del tempo nessuno più dei Palestinesi avrà sofferto tanto dalla guerra siriana e ne verrà più danneggiato. La terra che vorrebbero chiamare come loro Stato futuro è stata così occupata e popolata da coloni ebrei israeliani da non essere per i Palestinesi più sicura o “vivibile”.
I tentativi dell’inviato di “pace” Tony Blair per la creazione di un tale Stato sono stati risibili.
Una “Palestina” futura sarebbe una nazione di Sunniti. Ed oggi, Washington fa menzione appena ai Palestinesi. Un’altra delle ironie massime della regione è che Hamas, i presunti “super-terroristi” di Gaza, hanno abbandonato Damasco e ora sostengono la bramosia degli Arabi del Golfo di schiacciare Assad. Forze governative siriane denunciano che Hamas ha perfino addestrato i ribelli siriani nella fabbricazione e nell’uso di razzi fatti in casa.
Agli occhi degli Arabi, la guerra di Israele del 2006 contro gli Sciiti di Hezbollah era un tentativo di colpire al cuore l’Iran. L’appoggio dell’Occidente fornito ai ribelli siriani è un tentativo strategico di schiantare l’Iran. Ecco dunque che l’Iran sta preparandosi all’offensiva. Quindi, per il Medio Oriente è alta la posta in gioco e pesante l’ipoteca sul futuro.

In questo contesto terribile, la tragedia per i Palestinesi continua!

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