venerdì 8 giugno 2012

Doddore Meloni: «Indipendenza, si va avanti»


Fabio Manca
Parla il fondatore della Repubblica di Malu Entu dopo la bocciatura del suo quesito 
 «Indipendenza, si va avanti» 
 Meloni: un no politico, faremo votare comunque i sardi
«È una decisione politica e anticostituzionale contro la quale ricorreremo in tutte le sedi. Non solo: faremo comunque un referendum informale girando la Sardegna in lungo e in largo per chiedere ai sardi che cosa vogliono fare. Spero abbiano un moto d'orgoglio e si ribellino allo Stato arrogante e tiranno».
Doddore Meloni ha appena ritirato la copia della delibera dell'Ufficio regionale del referendum che mercoledì ha dichiarato non ammissibile il quesito consultivo proposto dal suo movimento che chiedeva ai sardi se volessero l'indipendenza. Dopo aver letto le motivazioni, il leader di Malu Entu è ancora più convinto della battaglia che ha intrapreso. 
Secondo Giangiacolo Pisotti, Vincenzo Amato, Tito Aru, Antonio Contu e Gabriella Massidda «la materia...non può essere oggetto di referendum consultivo» perché «...contrasta con l'ordinamento generale e i principi fondanti della Repubblica» e «...con l'articolo 5 della Costituzione in cui si afferma che la Repubblica è una e indivisibile». Inoltre, sostiene l'Ufficio, «...non è consentito sollecitare il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modifiche costituzionali...».


Si aspettava la bocciatura?«No, perché si tratta di un referendum consultivo in cui chiediamo ai sardi che cosa sperano per il loro futuro. L'ufficio elettorale ha preso una decisione politica».
Eppure nella motivazione della decisione è chiaro il riferimento alla Costituzione?«Le valutazioni in materia di costituzionalità non dovevano nemmeno essere fatte. La legge regionale sul referendum all'articolo 7 stabilisce che l'ufficio deve verificare se le firme sono in regola e svolgere una funzione neutrale prescindendo da qualunque considerazione politica».
Quindi a suo avviso l'ufficio è andato oltre le sue competenze?«Certo, noi chiedevamo solo un parere. Se ritengono incostituzionale il quesito si rivolgano alla Corte costituzionale».
Lei sa bene che la Repubblica Italiana è una e indivisibile.«Sì, anche se non capisco, visto che siamo un'isola separata dall'Italia da acque internazionali. In ogni caso noi facciamo riferimento alla legge di ratifica della Carta delle Nazioni Unite del '57 e al Patto di New York del '66 che sanciscono il diritto di autodeterminazione dei popoli».
Ma prima c'è la Costituzione.«L'articolo 80 della Costituzione dice che le Camere devono recepire i trattati ratificati anche se comportano variazioni territoriali».
Alle Carte da lei citate ha fatto riferimento la Catalonia?«Esatto. Di recente il Parlamento europeo ha deciso che la Catalonia ha diritto all'indipendenza, che avrà anche la Scozia dal 2014. I Fiamminghi in Belgio hanno votato per la loro indipendenza, Malta, Cipro, la Slovenia, il Montenegro l'hanno ottenuta. Potrei citare molti altri esempi, dal Quebec alle tribù pellerossa che quattro mesi fa hanno ottenuto dalla Corte suprema degli Usa la restituzione delle loro terre e una provvisionale di 3,5 miliardi di dollari. L'ultimo caso è quello della Groenlandia che a metà 2011 ha ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca».
Ora che cosa farete?«Innanzitutto ricorreremo al tribunale internazionale per i diritti dell'uomo e al tribunale civile contro un arbitrio dello Stato italiano contro il popolo sardo».
Poi?«Faremo comunque una consultazione raccogliendo pareri in tutti i Comuni della Sardegna, non abbiamo bisogno di nessuna autorizzazione. Poi da martedì ci metteremo in marcia partendo da Carbonia, una delle zone più disastrate della Sardegna e considereremo virtualmente indipendenti tutti i luoghi dove passeremo».
Sente anche lei spirare un vento indipendentista?«Sì, e penso che se questa volta i sardi non si muovono rischiamo di retrocedere verso il quinto mondo». 
E i politici?«Il Consiglio regionale deve insorgere e Cappellacci si deve dimettere».
Perché?«Perché è stato lui a nominare i membri dell'ufficio elettorale che hanno bocciato il referendum facendo valutazioni politiche anziché limitarsi a verificare la correttezza formale delle firme».
Secondo lei il Consiglio, da cui emerge una sempre più diffusa insofferenza verso i soprusi dello Stato, la sosterrà?«Una presa di posizione politica forte sarebbe importantissima. Spero che si mettano d'impegno per legiferare in materia. Non vedo perché possiamo farci una nostra legge elettorale e non possiamo esprimerci su questo referendum».
I sardi la sosterranno?«Spero che abbiamo un moto d'orgoglio. Combatto da trent'anni per l'indipendenza e mi sembra che non ci siano stati momenti più propizi per tirare fuori la testa. Ora o mai più».


I commenti:


Sni (Sardigna Natzione Indipendentzia) 
Bustianu Cumpostu«Non ci fanno esprimere»
«I sardi non possono neanche esprimere un parere di libertà perché le chiavi della gabbia italiana le possiede solo l'Italia: sono l'articolo 5 della Costituzione Italiana e l'imposto articolo 1 dello statuto sardo». Lo sostiene Bustianu Cumpostu. Ma il leader di Sni ribadisce le critiche a Meloni per la sua corsa solitaria. «L'indipendenza è un lavoro collettivo, solo così Sni è disponibile portarlo avanti».

Psd'az  (Partidu Sardu-Partito Sardo d'Azione
«Serve una reazione d'orgoglio»
«L'Ufficio regionale del referendum certifica ancora una volta il rapporto di subalternità e di sudditanza in cui è costretta la Sardegna alla quale è impedito di esprimersi attraverso lo strumento democratico del voto». Lo sostiene il segretario del Psd'az Luigi Colli, secondo cui «il processo di indipendenza non può prescindere da un profondo coinvolgimento di tutti i sardi ed ancor prima da una condivisione politica».

LA RUOTA PER CRICETI E LA LINGUA SARDA


LA RUOTA PER CRICETI E LA LINGUA SARDA



Mentre i gruppuscoli indipendentisti ( per non parlare di chi è in Consiglio regionale di ogni partito) corrono nella loro personale ruota per criceti, nel Parlamento italiano si sta ratificando la Carta delle lingue europee che, discriminando ferocemente la lingua sarda non riconosce nei fatti la minoranza linguistica sarda trattata da serie C rispetto a quelle dell'arco alpino ( escluso il friulano egualmente discriminato ).
Questa discriminazione ha un valore politico internazionale che disconosce alla radice la SPECIALITA' della QUESTIONE SARDA.

Tarpa le ali all'applicazione della Convenzione quadro sulle minoranze nazionali e nazionalità del Consiglio d'Europa che riconosce ( contrariamente alla Costituzione italiana che considera solo le minoranze linguistiche ) i sardi come componenti la Nazione sarda.

E siccome solo chi non approfondisce che il diritto di autodeterminazione è il DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE NAZIONALE e che l'INDIPENDENZA è una delle OPZIONI dell'esercizio di questo diritto, si riempio la bocca di un suono cioè la parola INDIPENDENZA, senza riempirlo di contenuti e quindi dare vero valore politico a un messaggio di libertà accessibile ai sardi.

Anzi c'è anche chi si definisce indipendentista adornandosi del massimo piumaggio indipendentista ma è contrario al nazionalismo sardo di libertà , quindi alla nazione sarda e alla lingua sarda quale sua maggiore caratteristica aprendo le porte alla santificazione della lingua italiana non come lingua dello stato ma come una lingua nazionale dei sardi facilitando l'assimilazione.

Diritto d'autodeterminazione può anche voler dire MAGGIORE E MIGLIORE AUTONOMIA, vuol dire anche aumento della SOVRANITA' e quindi pure gli autonomisti o i nuovi SOVRANISTI dovrebbero battersi per la lingua sarda perchè anche nel loro caso il riconoscimento vero della lingua sarda, la sua costituzionalizzazione con l'inserimento in un nuovo Statuto di sovranità della lingua sarda sarebbe garanzia di applicazione dei loro propositi istituzionali e politici.

Eppure basta leggere la proposta di legge di ratifica della Carta delle lingue approvata in Commissione per capire al volo che non solo si pone un ostacolo insormontabile a modifiche costituzionali di riconoscimento dei diritti politici della nostra nazione, ma si bocciano tutti i presupposti per l'insegnamento della e nella lingua sarda in tutte le scuole, del suo uso paritetico e normale veramente efficace nei media e nella giustizia e in tanti altri settori ancora.

Lo Stato italiano, nel silenzio di tutti i parlamentari sardi, ma anche dei consiglieri regionali e della Giunta, dei partiti indipendentisti in Consiglio regionale e fuori di esso, di amanti di Storia patria sarda, di fantasie Shardaniche, dell'ecologia isolana, di ballerini in tondo, cantanti a tenores o con la chitarra elettrica, di poeti, scrittori e affabulatori che “ a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche” , sta ratificando la soluzione finale per la lingua sarda, trasformando in cappio la corda tesa dal Consiglio d'Europa per salvare la lingua sarda dall'affogamento nello stagno italiano e tutelare l'identità nazionale dei sardi.

Malgrado le affermazioni di sardità e di fedeltà alla lingua dei padri nella cosiddetta area indipendentista sarda c'è una sordità costante, una accidia sostanziale, una ignoranza dei veri termini della questione, un rifiuto sostanziale ad affrontare per le corna la questione linguistica sarda come fatto politico precondizionante ogni programma di libertà strategico e sopratutto tattico di sovranità.

La battaglia per la lingua sarda, come diritto collettivo, come diritto civile e umano degli abitanti la Sardegna, non viene concepita come invece è l'unica ipotesi rivoluzionaria e pacifica e non violenta, spendibile in campo internazionale.

Non viene neanche assunta come proposta che prefigura non solo un ottenimento di diritti politici costituzionali di sovranità col passaggio dall'Autonomia all'Indipendenza, sopratutto come garanzia di un rovesciamento dei poteri interni alla Nazione sarda, che sconfigga i ceti Compradores italianizzati e facendo emergere nuovi soggetti politici sardi nazionalisti, unici capaci di porre mano col piccone alla dipendenza istituzionale, economica, culturale e alla autocolonizzazione imperante in ogni campo della nostra società.

Girano in tondo, ognuno nella propria ruota organizzativa, come criceti dell'Autonomia malgrado correndo in tondo dentro la gabbia colonialista emettano vaghi suoni indipendentistici, dimenticando di lottare veramente per la lingua dei sardi.

Se esiste una responsabilità da parte dei poteri coloniali, esiste anche una responsabilità per omissione. Se sarà ratificata così come si può leggere nel sito del Parlamento , commissione esteri, sarà responsabilità anche di chi non ha fatto nulla per impedirlo, anzi non ne sapeva proprio nulla..impegnato a correre sulla ruota..

Per chi voglia documentarsi...



UN COMMENTO 
di Sa Defenza

..condivido pienamente l'analisi dei comportamenti descritti da Mario, e lo ringrazio della franchezza con cui tratta l'argomento; ho visto , ho notato anch'io quanto rimproveratoci e la incapacità che regna dentro le fila dell'indipendentismo  ove io milito e mi assumo anch'io la mia parte di colpa e mi aspergo di cenere il capo e devo vestire il saio di juta per essere asperso di umiltà, a motivo della mia apatica rinuncia alla lotta per il cambiamento del movimento; spesso, comunque  è visibile, latente, la sirena del mettersi in mostra nella vetrina dell'ego, anzichè  avere gli oneri e gli onori dovuti dall'azione; azione profumata dall'amore per la nostra terra; invece di agire e darsi una struttura per organizzare diffusamente indipendenza politica ed economica, stiamo sonnecchiando,  e come detto da Mario ci scordiamo l'importanza della nostra amata lingua.


 Nel passato in questa terra di Sardinya, a differenza dell'oggi, si vedeva fortemente come la nostra terra fosse  piena di passioni di profumi pieni di lotta, di onore ancestrale dei nostri padri,  di amore forte sudato e gridato che emerge dall'agire, del nascente movimento di giovani idealisti de su populu sardu. 
Io stesso negli anni settanta giovinetto di appena diciasette anni in su disterru  già da oltre dieci anni incontravo questo  fermento,  che vi stavo appena descrivendo, della lingua mia a me semi-sconosciuta; io che vivevo in uno dei tanti hinterland del milanese pregni di tristezza e puzzolente odore di smog e nebbia malsana in un  grigiore da Grande Fratello  "1984" di memoria Orwelliana,  dentro una fabbrica molto sindacalizzata in principio non dai sindacati della triplice, bensì, dall'autonomia della classe operaia in un turbinare di fermento intellettuale ed espressione  di sovranità, all'Alfa Romeo incontro un compagno un patriota sardo, con barba fulva e un pò di piazzetta appena accennata, era un uomo pieno di passione per la nostra terra e mi portava questo inebriante profumo attraverso il giornale "Su populu sardu", ne  ero affascinato nel vedere  una lingua sarda scritta, lingua che mi apparteneva sebbene non parlata ne  mai insegnata . Un ricordo bellissimo di militanza gagliarda, guardata con occhi di chi non aveva ancora una piena consapevolezza in se del progetto della sovranità in terra sarda, come  proponeva il giornale che mi veniva dato in fabbrica, vivevo in un luogo che non mi apparteneva, e grazie a ciò che leggevo  mi nasceva e instillava il desiderio di tornare alla mia antica PATRIA sarda. 


Voglio rammentare agli amici, ai patrioti, ai fratelli e ai compagni ai sardisti agli indipendentisti o ai sovranisti, quanto fosse importante per lo stesso Gramsci, uomo che sappiamo tutti come fosse ideologo del partito comunista, ciononostante mostrò quanto fosse  legato alle sue origini alla sua terra ed alla sua lingua. 


Seguiamone l'esempio nel ricordarne i suoi  scritti, quando riconosce l'importanza della lingua natzionale sarda: "In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino piú lingue, se è possibile." 


A. Gramsci, Lettera a Teresina, 26 marzo 1927

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