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Sant'Efisio non è un martire cristiano, ma il figlio di Jahu/Jahwé, una divinità millenaria adorata dai popoli nuragici simile al Dio degli ebrei. In scrittura semitica viene riportato come Lefe/is-y (le vocali sono incerte perché non venivano scritte) e nel tempo il nome si è tramandato passando da una civiltà religiosa all'altra. Sino all'epoca romana quando Lefe/is-y è diventato il guerriero cristiano Efisio, il santo ancor oggi venerato dai cagliaritani e in tutta l'Isola. È quanto sostiene, in estrema sintesi, uno studioso oristanese che fa risalire le origini nuragiche del nome e del personaggio di Efisio all'epigrafe della stele di Nora, uno dei reperti più importanti e famosi del museo nazionale archeologico di Cagliari. Non è un caso che l'Efisio romano fu martirizzato proprio a Nora, nella zona dove nel 1773 venne trovata la stele con un'iscrizione fenicia sino a oggi ritenuta il documento scritto più antico della storia occidentale. Ma anche questo caposaldo dell'archeologia sarda rischia di essere demolito, insieme al mito di sant'Efisio, dalle clamorose rivelazioni di Gigi Sanna, già noto per le battaglie sull'esistenza di una lingua scritta usata dai popoli dei nuraghi. Ex docente di lingua e letteratura latina e greca, ora insegnante di storia della Chiesa antica presso l'istituto di Scienze religiose di Oristano, ha raccolto le sue tesi in un libro di 250 pagine "La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo" (edizioni Ptm) che oggi alle 18 verrà presentato nella sala consiliare del Municipio oristanese.
NUOVO LIBRO Già si annuncia come una bomba, con effetti deflagranti per il
mondo culturale sardo e per gli studiosi di antichità. Gigi Sanna non è nuovo ai clamori delle sue ricerche, spesso duramente criticate e qualche volta persino sbeffeggiate da chi non aveva argomenti validi da opporre. Due anni fa, per avvalorare quanto da tempo va affermando con saggi e convegni, venne in Sardegna Remo Mugnaioni, docente francese dell'università di Lyon, assiriologo di fama mondiale. Questa volta dalla sua ha altri due studiosi di spicco quali Aba Losi, docente di fisica dell'università di Parma e il vice rettore dell'università Pontificia di Cagliari, Antonio Pinna, noto biblista ed esperto di antico ebraico. Entrambi da tempo seguono gli sviluppi degli studi sulla stele e oggi ne discuteranno durante l'incontro in Comune.
Una vicenda complessa, questa delle stele, che potrebbe aprire nuove strade sullo studio della lingua dei cosiddetti nuragici. «Ormai non ho più alcun dubbio che avessero anche una loro lingua scritta» dice Sanna: «Le prove? Sinora ho classificato come nuragici 52 documenti con iscrizioni riportate prevalentemente su pietre, su cocci, su bronzo, come quelle stupende di Tzricotu di Cabras. Tutti documenti scritti con caratteri di alfabeti consonantici semitici. Tra questi documenti nuragici ora può essere inserito il monumento di Nora che, anche sulla base di una rilettura dell'alfabeto fenicio arcaico o protocananeo, contiene una straordinaria scritta con significati solo ieri del tutto inimmaginabili».
LA TRADIZIONE Per l'archeologia ufficiale la stele è scritta in lingua fenicia ed è ritenuta l'iscrizione più antica rinvenuta nell'isola e nel Mediterraneo occidentale. Ricavata da un blocco di pietra fu trovata in un muretto a secco vicino a una chiesa di Pula, il paese che trae origine dall'antica città di Nora fondata dai fenici. Secondo l'interpretazione più nota, l'epigrafe - che si fa risalire al nono/ottavo secolo - riporterebbe la parola b-srdn , cioè «in Sardegna», la prima citazione dell'isola che si conosca. Per alcuni studiosi, invece, la sequenza alfabetica srdn della terza linea farebbe riferimento agli Shardana, che probabilmente vivevano in Sardegna nel'età del bronzo e che facevano parte della coalizione dei "popoli del mare". Guerrieri e navigatori che combatterono anche come mercenari nell'Egitto dei faraoni. Nell'epigrafe si legge all'inizio un'altra parola: b-trss , «in Tartesso», toponimo misterioso dell'antichità citato più volte nella Bibbia.
LE NOVITÀ Ebbene Gigi Sanna spazza via tutto questo: «Intanto non è il più antico documento perché una quarantina di quelli da me studiati e pubblicati sono, per tipologia alfabetica, antecedenti al fenicio arcaico della stele. Inoltre la stessa stele, a mio parere, ha una datazione più alta di quella seguita dai più, riconducibile al 1100 -1000 avanti Cristo». Ma la vera scoperta di Sanna sarebbe un' altra: «L'epigrafe - spiega - non è fenicia, ma nuragica, caratterizzata dalla presenza di una lingua prevalentemente semitica riportata con caratteri di tipologia semitica. Il documento attesta in tutta chiarezza che i costruttori dei nuraghi parlavano anche una lingua semitica e la scrivevano utilizzando, nell'occasione, l'alfabeto fenicio arcaico».
Per lo studioso oristanese b-srd non vuol dire affatto «in Sardegna»: mettendo al giusto posto della sequenza la consonante della linea precedente si ottiene «aba shardan», che vuol dire «padre signore giudice». Le altre parole che precedono «aba shardan», cioè b-trss e w grs sono invece due toponomi sardi uniti dalla congiunzione "e": il primo è il nome di Tharros e l'altro quello di Corras/Cornus.
I DUE ESPERTI Ma non è tutto. La studiosa Aba Losi , con un'osservazione tipica del matematico, ha individuato la ripetitività di tre precise lettere in simmetria, con andamento alto-basso e basso-alto nelle parti laterali dell'epigrafe. «Da lì - afferma Sanna - a concludere che esistesse una seconda lettura "a cornice" della stele il passo è stato breve. Come breve è stato scoprire anche una terza lettura, stavolta centrale, con l'andamento delle lettere in forma di un serpente, uno dei simboli più forti e ricorrenti, insieme al numero tre, nelle iscrizioni di natura religiosa nuragica», sottolinea lo studioso: «Bisogna considerare che gli scribi nuragici si esprimevano con scrittura "a rebus", traducibile evidentemente solo da chi possedeva la complessa chiave di lettura del codice espressivo». Sino a pochi decenni fa gli storici sostenevano che i sardi non avevano una loro scrittura, ma si servivano volta per volta di quella altrui. La stele - chiaramente un monumento religioso a forma fallica (simbolo della potenza creatrice della divinità) - è dedicata al «dio padre giudice signore» ed è un'offerta dei Norani ( mlkt nrns).
LUNGA VITA Questa stele ebbe vita lunghissima a Nora in quanto fu leggibile sino al momento in cui i caratteri fenici furono usati in Sardegna e la lingua semitica compresa se non da tutta, da una parte delle popolazioni residenti. «Non si dimentichi - scrive Sanna nel libro - che la Sardegna mantenne caratteri alfabetici fenici cosiddetti neopunici e ovviamente la parlata semitica sino al terzo secolo dopo Cristo. È presumibile che con l'avvento del Cristianesimo e con l'affermarsi dei caratteri alfabetici romani, che soppiantarono quelli semitici, l'oggetto di culto degli abitanti di Nora cominciò a perdere d' importanza e significato, anche perché sostituito da qualche altro simbolo monumentale per il santo Lefe/is-y. Questo è infatti il nome "incredibile" che si legge alla fine della stele: "Lefe/isy bn ngr" . Nome che, nella lingua parlata locale, da Santu Lefe/isy, per indebolimento della consonante liquida (la elle), diventò Sant' Efisy (poi Efisio). Efisy figlio di ngr, ma anche "figlio del dio padre" aba -shardan, da celebre santo pagano, col tempo, passò pari pari alla venerazione cristiana».