domenica 10 maggio 2015

LA DOMANDA POSTA DAGLI USA A YEVTUSHENKO NEL 1961: I RUSSI VOGLIONO LA GUERRA? E OGGI, GLI USA VOGLIONO LA GUERRA?

La situazione politica generale nel mondo versa in cattive condizioni , poiché essa non è  più vera e propria espressione della volontà dei popoli sovrani, ma di piccole élite, di interessi particolari, delle  grandi corporation e della grande finanza...    Vedi la politica italiota da Monti in poi, sono etero-diretti dall'estero, dai burocrati della UE, BCE e dall'alta finanza americana... Il saggio che riportiamo è motivo di riflessione politica per i paesi ancora sovrani che dovrebbero porvi ragionamento serio e profondo per attivare le giuste decisioni politiche.
Sa Defenza

LA DOMANDA POSTA DAGLI USA A YEVTUSHENKO NEL 1961: I RUSSI VOGLIONO LA GUERRA? E OGGI, GLI USA VOGLIONO LA GUERRA?







Zinoviev Club Timofey Sergeytsev
sputniknews


Questa domanda è stata ripetutamente posta a Yevtushenko negli Stati Uniti nell'autunno del 1961. In risposta è stata scritta una famosa canzone che è stata quasi bandita come pacifista. Un anno dopo scoppiò la crisi dei missili cubani.
I russi risposero a questa domanda con i fatti nel 1962. Ci ritirammo tatticamente. Lontano dal peccato. Questa domanda oggi viene posta all'Occidente, quasi allo stesso modo. Non la eviteremo. La ferita aperta dell'Ucraina ha messo in evidenza l'anatomia delle nostre relazioni con l'Occidente. I fatti sono chiari. Qui non sono richieste intuizioni. La difesa dell'evidente di fronte alle menzogne è importante, ma viene in secondo piano. Il nocciolo della questione è all'interno di queste relazioni. La questione principale non è l'economia, non sono le sanzioni. Il problema principale è questione di guerra o pace.
Il problema di guerra o pace non può essere risolto con motivi particolari. Nè la cultura, né l'economia, né la morale, né la religione, né il diritto né le questioni umanitarie hanno sufficiente coerenza, complessità e totalità se considerate come motivi. Si potrebbe dire il contrario. Il dilemma tra guerra e pace non si può risolvere sulla base dei cosiddetti "valori" (tutti sopracitati). La guerra e la pace non hanno prezzo.

Si può illustrare quanto detto con un semplice esempio. Quando il coro di propagandisti filo-occidentali ha cominciato a cantare armoniosamente che Leningrado non andava difesa perché il prezzo sarebbe stato troppo alto, non si può sostenere che una simile affermazione fosse stata immorale, o diciamo in contrasto con la fede, se quest'ultimi fossero intesi come valori e non come basi della vita. Infatti i valori sono solo valori e si rappresentano come un caso particolare di accettazione (non accettazione) e valutazione. Ma proprio questa fede e morale sono comprese oggi.

I bambini di Leningrado durante l'assedio nazista.












































La coerenza (totalità) di base per affrontare la questione della guerra o della pace è la politica. Non c'è niente di particolarmente nuovo.


La dialettica tra guerra e pace riguarda tutti, nonostante il mito liberista cerchi di dimostrare che la stessa questione sia privata, come tutte le altre nella società (il punto di vista liberale). Gli antichi greci chiamavano una persona disinteressata alla politica "idiotikos", vale a dire idiota. "Idiotikos" significa anche proprietario, proprietà. Ovvero interessato della sua proprietà…quindi la condizione tecnica della soluzione del dilemma tra guerra e pace è la cultura politica.

Il critico del liberalismo Schmitt riteneva che la politica fosse complessiva, dunque la guerra era un punto estremo della politica e la guerra, secondo Schmitt, era un affare pubblico, generale e di vita. Lasciando da parte il dibattito dei liberali pro e contro Schmitt, notiamo che nella nostra situazione è abbastanza il contrario, perché di fronte ad una più rigorosa logica, siamo già immersi in questa materia, nella questione della guerra. Quindi dobbiamo pensare politicamente, complessivamente e in modo sistematico. I valori non ci aiuteranno, vi si può sempre rinunciare attraverso il loro rapporto con il prezzo. Si tratta della nostra esistenza.

Schmitt considerava al limite della realtà la distinzione politica tra amico e nemico. Amici e nemici sono avversari, al limite sono solo parti in conflitto. Possiamo aggiungere: la politica è il coinvolgimento nei propri affari del maggior numero di sostenitori, ovvero amici. La distrazione dal nostro affare comune con gli amici è dei nemici. Con i nemici non si può avere in comune l'economia. Vedi la storia delle sanzioni.

Ma qualcosa è accaduto nella politica dal momento in cui sembrava ovvio che gli avversari avrebbero combattuto. Oggi la guerra nel suo insieme sistemico (quindi la politica) si organizza con una terza forza, che crea "nemici" e "amici" a piacimento. La stessa forza stabilisce la qualifica di "amico" o "nemico" per chiunque. Anche se si utilizza tale status, è una menzogna deliberata. La principale esperienza di alienazione del vantaggio dall'alto per la parte della "terza" forza "neutrale" dietro gli "amici" e "nemici" nel XX secolo lo hanno ricevuto gli Stati Uniti durante le due guerre mondiali. Questa esperienza ha plasmato la loro politica. Proprio la partecipazione degli Stati Uniti in queste battaglie è stata minima in relazione ai "principali" e "veri" nemici. Subito dopo la sconfitta della Germania nazista, gli Stati Uniti in modo efficace "sono passati" sul suo lato. In seguito gli Stati Uniti hanno perfezionato questa tecnica, sfuggendo efficacemente dal ruolo di amico, quindi cosa più importante, dal ruolo di nemico dell'Urss e poi della Russia.

Costringere a combattere gli altri è possibile per una superpotenza solo in pace. Senza entrare nei dettagli della formazione di questo concetto da Hobbes a Nietzsche fino a Zinoviev, faremo a meno che la superpotenza sottometta molti Stati ad uno senza il loro coinvolgimento nel suo insieme, né politico o giuridico. La pace degli Stati (altro non è) è considerata dal sovrano di questo ordine come campo di applicazione del proprio diritto illimitato di resistergli, alla superpotenza assicurano "sicurezza", la cessazione della "guerra di tutti contro tutti." Cioè, il concetto del Leviatano non è applicato agli individui-persone, ma ai soggetti-Stato. E' per l'interpretazione dello Stato come individuo in questo ordine è richiesto il noto principio di "integrità territoriale".

© AFP 2015/ SERBIAN TV
Un fotogramma televisivo che illustra il bombardamento NATO del 4 aprile 1999 a Novi Sad.


Nella realtà storica gli Stati sono anche divisibili (cioè non indivisibili). Ma nella realtà della storia con la moltitudine di tutte le guerre e nonostante la guerra sia forse l'essenza della storia, non esiste una "guerra di tutti contro tutti". Tutto è sempre molto preciso. Per quanto si faccia la guerra ed una superpotenza sovrana sia coinvolta, si usa la formula della guerra contro "il nemico di tutti", "il male mondiale" è il terrorismo e sono i terroristi, in generale, "i criminali mondiali" (Paesi canaglia). Prendono questi epiteti tutti quegli Stati che non riconoscono la "legge" istituita per volontà del sovrano del mondo, il super Leviatano.

Naturalmente non si parla in nessun codice di diritto internazionale di tale ordine mondiale. In termini rigorosi, il diritto internazionale come legge è rimasto fermo al 19° secolo ed è stato completamente sepolto dalle guerre mondiali del XX secolo. Allora si chiamava "Concerto europeo", ovvero il consenso di molti Stati della civiltà europea sulle regole della guerra. Oggi non ci sono queste regole e non è richiesto il consenso di nessuno. L'ultimo atto del diritto internazionale è stato il processo di Norimberga. Oggi, niente di tutto questo è possibile, almeno non ancora. Al posto della realtà del diritto internazionale esistono (dopo aver conquistato il loro posto) le organizzazioni internazionali, che svolgono il ruolo della superpotenza sovrana.

L'obiettivo politico degli USA è costringere la Russia a combattere con l'Ucraina. Sarebbe meglio un'invasione russa. Per questo scenario è stato fatto, se non tutto il possibile, almeno già molto. L'attacco dell'Ucraina alla Crimea è inoltre un'opzione, anche se più debole. Gli Stati Uniti devono stare al di sopra delle parti, evitando il ruolo di amico o nemico. Lo stesso dovrebbe fare l'Europa, i Paesi della UE. Il mondo di "sicurezza", "garantito" dagli Stati Uniti, può allora salire bruscamente nel valore. I criminali e gli emarginati saranno entrambe le parti. Ma in generale i russi. Perché in Europa, e ancora di più nel mondo intero (diciamo, per esempio in Malesia) in linea di principio non ci distinguono dagli ucraini. Ciò significherebbe che i violenti e rozzi russi combattono tra di loro. Quindi è necessario separarli ed isolarli. Hanno cresciuto i talebani ed ora saranno distrutti. Hanno messo al potere Saddam e poi lo hanno appeso. Hanno fatto nascere ISIS ed ora lo bombardano. Non piace? Ma voi, voi tutti (il Vecchio Mondo in generale, l'Europa occidentale e orientale e la Russia) siete capaci di fare solo la guerra, una non vi è bastata. Sotto di noi è meglio. Credeteci. Ma guardando all'Ucraina, non ci crediamo. Di sicuro non sarà meglio per noi. Molto probabilmente non esisteremo più in questo modo.

© FLICKR.COM/ US MARINE CORPS /




















Non dobbiamo combattere con l'Ucraina. Non perché ci vivono i nostri "fratelli" (questa motivazione non è mai stata presa in considerazione da nessuno), ma perché non ha alcun senso politico. Dall'Ucraina ci dipingono come "nemico", ma questo è un falso nemico, non reale, nonostante un comportamento piuttosto convincente. 

Tuttavia in questi vent'anni di trasformazione non abbiamo mai interferito. E' quasi impossibile risolvere qualcosa con la guerra, piuttosto il contrario, serve solo per completare ed eseguire il passaggio dell'Ucraina nell'orbita della superpotenza. Quindi non dobbiamo cedere. Quello che fa Putin. Arrivederci.

Ma se ci toccherà combattere, il nostro obiettivo politico può essere solo la necessità di conquistare una posizione di amico o nemico degli Stati Uniti e dell'Europa. Questo è il loro punto debole. E' difficile credere che gli Stati Uniti possano diventare un amico. Questo è improbabile. Ma non vogliono essere il nemico, entrambe le determinazioni privano il loro status di superpotenza sovrana. Poi tutto crollerà, sia il dollaro e la loro influenza in Europa (tra l'altro anche su di noi). Così che diventino il nemico. Sopravviveremo. Saremo più forti. Ma i Paesi europei, non tutti, possono essere gli amici di cui abbiamo bisogno. Tuttavia in tale veste serve ancora educarli. Ma è possibile, gli Stati Uniti non possono essere loro amico. Credo che qui ed ora discutere gli obbiettivi militari sia inadeguato. Tuttavia la stessa minaccia di una guerra (assolutamente reale e crescente) mette già innanzi proprio questo tipo di compito politico.

Finiamola con il delirio sul Mondo Russo. Non esiste nulla. Esistono la Russia, l'emigrazione, la diaspora, l'esilio. I russi sono un'unità politica. Dove non ci sono Stati di nazione politica russa non c'è Mondo Russo. Non ci sono russi, ma solo russofoni. In teoria questi Stati potrebbero essere diversi. Ecco la Bielorussia: è uno Stato di nazione politica russa? Allo stesso modo gli USA, il Regno Unito, l'Australia, il Canada e la Nuova Zelanda sono Stati di nazione politica anglosassone? Anche la Bielorussia non lo è? Che parte prenderà nella questione di guerra o pace? Che dire dell'Ucraina di oggi. La Novorossiya può diventare uno Stato, ma nella realtà politica è ancora lontana da quel punto. La questione dell'espansione della Russia è esattamente il problema della guerra o pace, la "democrazia" e "il diritto all'autodeterminazione" qui non aiuteranno.

Piantamola del mito"eurasiatico" come nuova "ideologia" per la Russia. Non solo perché non abbiamo praticamente bisogno dell' "ideologia", ce ne siamo appena sbarazzati, abbiamo bisogno di una politica, di obiettivi politici giusti e di comprensione da parte della popolazione.Non esiste alcuna "Eurasia" come Stato ed entità politica. Dovrebbe esserci (e già c'è) la politica della Russia nella regione asiatico-pacifica. Abbiamo bisogno di amici lì. Può nel loro numero entrare la Cina? È fattibile? E' necessario?

Pensiamo concretamente a risolvere il dilemma tra guerra e pace.

Il Prof. Alberto Bagnai: "Un bell'aggancio valutario euro-dollaro e il TTIP trasformerebbero gli Stati europei nei PIIGS dell'Unione transatlantica (il paese in deficit estero)"

Il Prof. Alberto Bagnai: "L'euro è precisamente il segno della nostra sudditanza culturale e politica agli Stati Uniti"


"Un bell'aggancio valutario euro-dollaro e il TTIP trasformerebbero gli Stati europei nei PIIGS dell'Unione transatlantica (il paese in deficit estero)"






Vi dicono (dal Pd e giornali servili principalmente) che l'euro sarebbe il momento più significativo di costruzione dell'identità "europea", nonché uno strumento essenziale per competere ad armi pari non solo con la Cina ma anche con gli Stati Uniti. Questo è ciò che si vuole imprimere nell'immaginario collettivo da coloro che continuano a voler difendere l'indifendibile, vale a dire un'unione monetaria fallita e fallimentare che ha sulla coscienza povertà diffusa, disoccupazione di massa e la perdita progressiva di diritti sociali acquisiti negli anni nel contienente.

Ebbene, scrive Alberto Bagnai sul suo blog Goofynomics in uno dei suoi ultimi articoli, l'argomento secondo cui “gli Stati Uniti ci invidierebbero l'euro, e per questo motivo tanti studiosi statunitensi lo criticherebbero, ha il valore degli studiosi che l'hanno proposto (quasi zero)”. Dopo la Seconda guerra mondiale, prosegue l'economista, l'Europa continentale era una tabula rasa, “semplicemente non c'era più, lacerata da guerre civili combattute prima, durante e in parte anche dopo il conflitto mondiale”. In questo contesto a dettare le regole furono i vincitori (gli Usa) che avevano a cuore alcune priorità: “ricostruire un mercato mondiale per quei beni che solo lui aveva ormai la capacità di produrre, e garantirsi un baluardo contro un sistema, quello sovietico, che, nel bene e nel male, si poneva come antagonista al suo modello di capitalismo. L'Europa, da ricostruire col piano Marshall, e da mantenere coesa col Movimento federalista europeo, risolveva entrambi questi problemi. E infatti gli Stati Uniti finanziarono l'uno e l'altro. Sapete, probabilmente, del piano Marshall, ma magari non sapete che il movimento federalista europeo era finanziato da una speciale "agenzia" del governo statunitense (prima di essere finanziato dalla Commissione)”.

Questo ha comportato un passaggio storico molto semplice: "essere americani, non europei". “Per capirlo meglio, considerate l'altro caposaldo del populismo europeista, quello secondo cui "L'Europa ci avrebbe dato la pace". Un'affermazione che si sbriciola di fronte all'evidenza del fatto che la pace sono state la basi NATO a darcela: l'Europa è, dalla Seconda guerra mondiale in poi, una allegra brigata di paesi sconfitti e militarmente occupati. Meglio questo della guerra, siamo d'accordo. Ma è questo, non è un'altra cosa”.


Dal post del Prof. Alberto Bagnai su Goofynomics


La costituzione economica europa, tutta articolata sul concetto di stabilità dei prezzi, viene fatta risalire al sacro orrore dei tedeschi per l'inflazione di Weimar che avrebbe portato al nazismo. Ma questo, si sa, è un falso storico (peraltro, costruito a tavolino dalla Bundesbank): al nazismo ci portò, e ci sta riportando, la deflazione, e ormai questa cosa, che raccontavo nel Tramonto dell'euro (quando già non era originale), dovrebbe essere di dominio pubblico. Senza disconoscere le radici europee dell'ordoliberismo (a proposito, vi saluta Lars Feld), va però chiarito che anche l'apparato ideologico di Maastricht è prima facie del tutto statunitense: l'impiego di regole fisse (monetarie e fiscali) è infatti il cavallo di battaglia del monetarismo statunitense anni '70 (Milton Friedman, per capirci), ed è a causa dell'egemonia culturale e geopolitica di quel monetarismo che fu relativamente facile far recepire l'approccio "regole fisse" in un progetto che però voleva qualificarsi come europeo. Peraltro, il dibattito fra regole fisse e regole flessibili all'inizio degli anni '80 oppose economisti statunitensi (come Barro, per capirci) a economisti europei (come Buiter). Le regole flessibili sono europee: le regole fisse sono yankee. Il Trattato di Maastricht è il momento più infimo di sudditanza culturale dell'Europa alla sua ex colonia (roba che in confronto il MacDonald a piazza di Spagna è le cinque giornate di Milano...).

[...]
L'euro è precisamente il segno della nostra sudditanza culturale e politica agli Stati Uniti: uno strumento costruito con logica statunitense per difendere interessi statunitensi di carattere economico e geopolitico. Sì, perché, come spiego ne l'Italia può farcela, in un mondo che si sta de-dollarizzando, e dove quindi il potere di signoraggio degli Stati Uniti ("stampo e compro") è progressivamente eroso, gli Stati Uniti intuiscono che non potranno continuare ad essere "l'acquirente mondiale di ultima istanza" (o, il che è lo stesso, a finanziare un deficit estero strutturale stampando dollari), e quindi, esattamente come dopo la Seconda guerra mondiale, noi europei gli serviamo come mercato di sbocco. Un bell'aggancio valutario euro-dollaro e il TTIP trasformerebbero gli Stati europei nei PIIGS dell'Unione transatlantica (il paese in deficit estero), con grande soddisfazione degli Stati Uniti, che di questa unione diventerebbero la Germania (il paese in surplus estero)! Saremmo noi a comprare, con un eurollaro sopravvalutato, la merce Usa, aiutando la nostra ex-colonia a correggere il proprio deficit estero, esattamente come, grazie all'euro, abbiamo aiutato "il malato d'Europa" (come abbiamo visto più volte). Inutile notare che gli Stati Uniti hanno, come la cronaca dimostra, strumenti di controllo sociale molto più efficaci dei nostri, e che qualora volessero, come la Germania, ad aggancio valutario effettuato, effettuare una sleale svalutazione competitiva dei propri salari, saprebbero come gestire il malcontento in casa propria!

[...]

La questione economica è più complessa. Avrete visto, credo, segni di scetticismo sempre più diffusi provenire da ambienti vicini alla finanza statunitense (da Michael Pettis a Patrick Chovanec a tanti altri). Lasciate perdere che questi argomenti per noi sono standard: per loro no (più precisamente: lo sono in ambito accademico, ma non in ambito operativo). Accompagnando a Pescara Philippe Weil, quest'ultimo mi faceva notare come si stia diffondendo negli ambienti che contano l'idea che quella dei Bund sia una bolla speculando contro la quale ci si mette in banca per il resto della propria esistenza: lo ha detto Bill Gross, che a quanto pare è uno che se ne intende. Il problema è il timing. Io l'ho detto troppo presto (e quindi ho sbagliato, è uno dei miei errori). Tuttavia, vi assicuro, a Wall Street l'idea che il sistema sia disfunzionale, il che lo rende potenziale fonte di grosse perdite per molti (e di grossissimi guadagni per pochi) si sta piano piano diffondendo. Il problema è solo capire quando i pochi che hanno i mezzi per guadagnare molto decideranno di passare all'attacco (come fece Soros nel 1992).



Insomma, e per concludere, nonostante in questo periodo la stanchezza mi induca al pessimismo, mi sento istintivamente vicino al commento di un altro lettore (non riesco a trovare il suo tweet, se ha interesse si dichiari lui): il fatto che gli Stati Uniti sentano il bisogno di ribadire così apertamente l'ovvio, ovvero che l'euro è cosa loro e che qui comandano loro, paradossalmente apre a qualche speranza. Le minacce sono sempre armi del minacciato, anche e soprattutto quando il minacciato è, in linea di principio, così potente da poterne tranquillamente fare a meno.


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