sabato 6 agosto 2016

DEPOSITO NUCLEARE NEL POLIGONO DI TEULADA, NON AMO I SEGRETI DI STATO

DEPOSITO NUCLEARE NEL POLIGONO DI TEULADA, NON AMO I SEGRETI DI STATO

Mauro Pili
06/08/2016


Quello che sto per raccontarvi leggetelo qui, difficilmente altri decideranno di farne un sol minino cenno.

Conosco i motivi di tanto silenzio, me ne dolgo ma non ci posso far niente. Sono già tanti i nemici di questa terra che sarebbe tempo perso occuparsi anche delle censure di casa nostra.
Vado avanti, sperando che la goccia alla fine dei conti riesca a spaccare la roccia dell’omertà, del silenzio, dell’oscurantismo di Stato.

Dodici ore non sono ancora passate da quando un dirigente dell’Arpas Sardegna, in nome e per conto della Procura di Cagliari, afferma in commissione uranio impoverito che dentro la base di Teulada sono stati rinvenuti degli spezzoni di missili ancora radioattivi e che dentro il poligono esiste un deposito di materiali e residui nucleari. 

Più di una volta, nell'incalzare delle mie domande in commissione, emerge la sensazione di non aver capito.
Di aver traslato parole e significati. Sottolineo e ripropongo reiteratamente il quesito: mi sta dicendo che dentro Teulada sono stati esplosi missili con contenuto radioattivo?
Mi sta dicendo che esiste un deposito di scorie radioattive? 
Mi sta dicendo che alla procura è stato negato l’accesso alla tracciabilità di queste scorie nucleari? 

Non ci pensa due volte il dirigente e risponde: Sì. 

Leggo e rileggo per tutta la notte gli appunti di quella che doveva essere un’anonima seduta di una blanda commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito. 

il Deputato sardo di Unidos  Mauro Pili
Alle 8.34 del mattino di giovedì decido di porre fine ai miei dubbi: la mail parte alla volta del Ministro della Difesa.

Si chiede in base alle norme vigenti di autorizzare entro le prossime 24 ore la mia visita ispettiva alla base di Teulada. 

La risposta arriva in serata: dalle 8.34 di venerdì la sua visita è autorizzata. C’è un però, però: non potrà visitare nessuna area classificata, ovvero sottoposta a regime di segreto di stato.

E’ la prima volta che il solerte ministro della difesa utilizza questa formula, che tradotta significa: ti faccio vedere solo quello che voglio e quello che non voglio ti dico che c’è il segreto di stato.
Siamo all'opacità di chi ha qualcosa da nascondere. E lo manifesta nel modo più troglodita possibile. Un preavviso nemmeno troppo sussurrato che in gergo significa: è inutile che vai a Teulada perché tanto non vedrai niente! 

Fisso la mia visita per il primo pomeriggio di ieri. Cerco di capire chi possa essere il mio accompagnatore autorizzato per la visita ispettiva. Alla fine opto per me stesso e nomino sul campo il mio sgangherato tablet come unico testimone. Del resto chiunque avessi portato con me avrebbero fatto storie e magari lo avrebbero anche inquisito per falsa testimonianza. Meglio non rischiare, visti i precedenti! 

I tornanti per raggiungere una delle coste più belle del mondo, quella di Teulada, sono l’antipasto di uno sviluppo antropico tendente alla cancellazione. Strade volutamente tortuose e pericolose per rendere inaccessibile l’area e cancellare preventivamente le aspettative di chi vorrebbe continuare a vivere nel proprio paese. 

Arrivo con qualche minuto di ritardo, un’apixedda da sola è riuscita ad imporre non meno di un chilometro di fila e tempi non proprio da safety car. 

Il cancello è sbarrato. Il filo spinato è il motivo conduttore. Suono. Nessuna risposta: il catenaccio della serratura scatta come un colpo di fucile. Il tabellone elettronico segna 33 gradi. Qui, però, tutto è sempre tarato al ribasso. 

Mi viene incontro con un fare minaccioso una fotografa, che scatta all’impazzata. Come se dovesse documentare l’ingresso di un terrorista. Al seguito comandante e ufficiali. Per dirla senza troppi fronzoli: non vengo percepito come un portatore di rose e fiori. Nonostante il termometro segnasse temperature sahariane percepisco il gelo. 

Superati i fronzoli di protocolli arriviamo al dunque. 

Il comandante vuole essere chiaro: può vedere tutto tranne ciò che è area classificata, ovvero sottoposta a segreto di Stato. 

Gli spiego che mai, anche nelle precedenti visite, mi era stato detto che esistevano aree sottoposte a segreto di Stato e che avrei voluto conoscere i decreti istitutivi. 

Ovviamente nessuna risposta. La replica sembra un’apertura: mi dica ciò che vorrebbe vedere e vediamo se possiamo accontentarla. Cartina alla mano snocciolo i punti chiave della mia visita ispettiva: prima di tutto voglio vedere il deposito di scorie radioattive. La risposta è preparata: lo può vedere ma non possono essere fatte foto o video. Replico: se non c’è segreto di stato posso fotografare quello che ritengo necessario! E nessuno me lo può impedire! 

La reazione rallenta la visita per una telefonata degli ufficiali con gabinetto del ministro che dopo un quarto d’ora sentenzia: niente immagini, vietate. 

A quel punto siamo già dinanzi a quello che dovrebbe essere il luogo del deposito di scorie radioattive. Lo guardo, resto interdetto. Sono senza parole. Un lucchetto da pollaio di campagna, una rete difensiva che zio Giovanni non usava nemmeno per i maiali. E poi il trifoglio, giallo e nero. Pericolo radiazioni. I cartelli sono affissi come i post della bacheca universitaria, a penzoloni e provvisori. Quel maledetto tablet va in tilt e registra tutto fregandosene del divieto del Ministro della Difesa! E del resto è lo stesso tablet che collegandosi con il sito del ministero aveva accertato che quelle immagini non potevano essere in alcun modo vietate.

Tra comandante e ufficiali spunta un’esperta in radioprotezione. La sua missione è una sola: qui è tutto in regola, facciamo controlli semestrali, tutto radioprotetto. Mi guardo intorno e non credo nemmeno ad una monosillabe di quanto mi sta dicendo. Ho visitato depositi nucleari di bassa, media e alta intensità e mi rendo conto che qui si sta giocando
Giocando con la vita, con l’ambiente, con il rispetto delle leggi.
Questa è l’unica zona franca della Sardegna, dove tutto è possibile e non si pagano dazi. Ascolto la litania, ma mi soffermo su un dato esternato con la stessa preoccupazione di un gelato poco poco più caldo: le scorie radioattive contenute in questo deposito superano del doppio o del triplo le norme consentite.
Guardo e riguardo questo stabile che sembra appena uscito da un set cinematografico di una guerra reale. Oso commentare: lo stabile non mi sembra proprio messo bene per ospitare un deposito di scorie nucleari. Mai l’avessi detto, la replica è dura: ma sta scherzando? È il miglior stabile possibile, è un deposito temporaneo di scorie radioattive. 

Temporaneo quanto? Le scorie sono qui dal 2014! 

Due anni di provvisorietà per le scorie nucleari, almeno quelle rinvenute dall’Arpas. Roba da non credere. Affermazioni di una gravità inaudita raccontate come se niente fosse. 

E soggiunge la responsabile radioattiva: in Italia non è facile smaltire le scorie nucleari

Il comandante si allontana per un attimo. Un ufficiale ha da riferire l’ultima interlocuzione con il Ministro. Parlano fitto fitto, dentro le rispettive orecchie. La disposizione è pronunciata con l’aplomb dell’autorità costituita: niente foto


Lascio correre. E’ inutile polemizzare! E del resto gli ordini erano in capo al ministro e loro dovevano solo eseguire. L’ipad, però, non percepisce sino in fondo le disposizioni.

La registrazione si è inceppata e inconsapevolmente tutto viene fissato digitalmente nel rullino virtuale.
Quasi a significare che il momento clou era ormai giunto uno degli uomini addetto alla radio protezione sfoggia una tuta bianca nucleare di ultima generazione, che indossa con tanto di maschera e cappuccio. 

Varchiamo il cancello dove il simbolo nucleare segna il confine teorico tra il lecito e l’illecito. 

Vengo tenuto a distanza. Le ante scorrevoli del secondo cancello non sono né blindate né ignifughe. Ai lati il simbolo giallo nero del trifoglio nucleare. L’uomo di bianco vestito le fa scorrere. Manco farlo apposta sparati lì da davanti tre fusti, con la numerazione a tinta rossa ben in vista. Sistemati davanti la porta, piazzati li per essere visti da curiosi e ipad insubordinati. Sembra tutto preparato, per essere visto senza entrare dentro. In fondo un'altra porta, questa volta in legno, priva di qualsiasi resistenza anche ad un modesto colpo di vento. 

Resto senza parole. Guardo i vetri dello stabile, tutti divelti dal tempo. I muri corrosi dalle intemperie e dalla vetustà dell’età. Del resto questa era una vecchia officina degli anni 60/70. Abbandonata a se stessa.  Ed ora deposito temporaneo di scorie radioattive.
Per i vertici militari, ovviamente, tutto sotto controllo. Ma il buon senso dissente, come non mai.
Gli spiego che un deposito temporaneo di scorie radioattive ha un processo autorizzativo lunghissimo. Rilanciano: ma tutti gli organismi preposti hanno dato l’autorizzazione.
Domando, ma anche la Regione Sarda ha dato l’autorizzazione? Risposta secca: la regione Sarda non è competente a queste autorizzazioni.
Dissento: guardi lei non conosce le più elementari leggi di questa regione. Qui un deposito di scorie nucleari non poteva essere fatto né provvisoriamente né permanentemente. 

Sit In Chernobyl Day piazza del Carmine Cagliari
Penso e ripenso. Scorro i nomi di quelle tante vittime silenziose, giovani militari e civili, che per quella maledetta radioattività hanno smesso di vivere anzitempo.
Sono passati 17 anni dal primo impiego in questo poligono dei missili Milan carichi di Torio. Ed ancor oggi scorie e residui di quella radioattività sono qui.

Sempre con lo stesso spirito: non bisogna parlare, bisogna stare in silenzio, bisogna nascondere tutto.
E del resto me lo ripetono sistematicamente in questa visita: qui ci lavorano tanti sardi.

E tra me e me rifletto: sardi sotto ricatto.

Mi fanno l’elenco di quanti prendono i soldi per il fermo pesca, quanti bambini vengono presi con il pulmino dell’esercito per andare al mare, quanta acqua viene data al comune di Sant’Anna Arresi nei periodi di siccità, quante spiagge sono concesse ai sardi per due mesi all’anno.

Insomma, vi diamo da bere, da mangiare e possiamo, dunque, stoccare anche le scorie radioattive del poligono.

Replico: in realtà tutte queste cose non dovrebbero essere un favore ma un diritto. Se fosse per me, gli spiego, i militari sarebbero anche di più. Ma li userei diversamente, non per farli morire tra torio e uranio, ma per proteggere i cittadini, l’ambiente, per la sicurezza e la protezione civile.

Mi guardano come un povero illuso. E loro sanno che la Oto Melara la fabbrica che ha prodotto i missili della morte, quella dei nostri militari, è ricca e potente. Poco importa, poi, se le scorie nucleari prodotte da quei missili sono conservate dentro un fabbricato dove nemmeno polli e galline sarebbero al sicuro.

Lascio la base alle 21. Pubblicherò domani la seconda parte della visita ispettiva nelle aree dove sono stati trovati gli spezzoni radioattivi dei missili.

Pubblico ora le prime immagini del deposito radioattivo. E come amava ripetere Pertini: a brigante, brigante e mezzo.

Mai nascondere, mai vietare, mai prevaricare, quando in gioco c’è la vita.

Serve rispetto per una terra da sempre violentata da uno Stato vigliacco che tratta questa povera isola come una colonia. Reagire è il minimo. Senza se e senza ma. Sapendo che il silenzio è complice.


Il ricatto di Weidmann

Il ricatto di Weidmann

Nessie


Le banche e i banchieri non hanno più bisogno della democrazia e non ne fanno neanche più mistero.

 La democrazia è quell'intralcio nel loro percorso di cui vogliono sbarazzarsi quanto prima. E lo dicono pure a chiare lettere. Tempo fa JP Morgan ebbe a decretare la fine delle costituzioni degli stati nazionali, perché troppo "antifasciste"e attente al welfare. Il galoppino Renzi, ubbidì seduta stante e fece alla spicciolata la "controriforma costituzionale" a cura dell'avvocaticchia Boschi, ora posta a referendum confermativo. un vero obbrobrio giuridico. Come è noto, Manuel Barroso, l'eurocommissario che venne nottetempo a far modificare l'articolo 81 sul pareggio di bilancio, è passato con disinvoltura alla presidenza di Goldman Sachs. Da commissario europeo di un parlamento-fantoccio servo delle banche, alla direzione della principale Banca d'Affari internazionale. Perbacco, che fulgida carriera!


La politica (dal greco dal greco "πόλις", polis = città), che è insieme arte e scienza in riferimento all'attività ed alle modalità di governo della cosa pubblica, viene smantellata nel suo precipuo ruolo di mediazione per essere posta al servizio delle oligarchie finanziarie. Nessun politico (nemmeno tra i meglio intenzionati) può sognarsi più di mantenere un contatto basato sull'indice di gradimento del proprio elettorato, perché innanzitutto ci sono le "regole": cioè i famigerati parametri di Maastricht ai quali attenersi. Che però non valgono per tutti. Non valgono innanzitutto per la Germania. La Francia sfora già da tempo dal famigerato 3%. Sforano perfino i latinissimi Portogallo e Spagna. Ma i più bischeri, i più sottomessi a Berlino, li abbiamo noi, tra i nostri governi abusivi: arroganti, dispotici e villani con i loro cittadini sempre più torchiati, ma viscidi, striscianti e subalterni con gli ineletti di Bruxelles.


Ecco dunque l'intervista inginocchiata di Federico Fubini a Jens Weidmann della Bundesbank, per il Corriere della Sera nella quale il banchiere si esprime col sussiego di un monarca assoluto.


Weidmann fu nel 2006 il braccio destro economico della Merkel (direttore della quarta divisione politica economica e finanziaria della Cancelliera). Sentite un po' come giustifica la sua flessibilità per il governo tedesco, ai tempi del suo incarico governativo:
 «Allora eravamo in una crisi finanziaria globale e non c’erano ancora le attuali regole europee. Queste norme sono una delle lezioni centrali tratte dalla crisi: dovrebbero contribuire a far sì che gli investitori e le banche valutino meglio i rischi che si assumono. All’epoca ne avevano presi troppi anche perché contavano che in caso di emergenza lo Stato sarebbe intervenuto».

Che è come dire: "Etsi omnes ego non".

Perché noi siamo noi, e voi non siete un... ecc. ecc.

Ed ecco altri passaggi di spicco che riporto testualmente:

Ci siamo già? L’Italia ha un debito pubblico oltre il 130% del Pil.
«I criteri di Maastricht ci dovrebbero proteggere da questi scenari e un debito oltre il 130% è più del doppio del livello compatibile. Per questo è importante non scalzare la disciplina di mercato. Alti livelli di debito vanno ridotti in fretta».

Se Renzi promettesse di fare tutte le riforme strutturali in cambio del permesso di avere un po’ più di deficit, per non perdere il sostegno del Paese, che ne penserebbe?

«Riforme strutturali e finanza pubblica sana non sono in contrapposizione. L’Italia stessa ha messo in campo alcune importanti riforme che non hanno gravato sul bilancio. Per inciso, ogni governo può sostenere che sta facendo riforme importanti per il proprio Paese. Allo stesso tempo le misure di risanamento sono sempre impopolari e vengono messe nel dimenticatoio, ed è una delle ragioni di debiti così alti. Se sorgesse l’impressione che le norme si interpretano parametrandole alle chance elettorali dei partiti di governo, sarebbe fatale per la capacità della Ue di farsi accettare».


Dopo la Brexit in Italia ci sono state proposte di approfondire l’unione monetaria, in Germania si predilige una pausa. Da che parte sta?
«È un dibattito che ha poco a che fare con la Brexit, ma credo che siamo arrivati a un bivio. Possiamo stabilire un legame ancora più stretto fra noi, per esempio con un bilancio comune. Ma in questo caso dovremmo anche essere pronti a trasferire anche la sovranità a livello europeo. È una disponibilità che non vedo né in Germania, né in Italia».
L’alternativa?
«Un ritorno al principio di responsabilità di Maastricht, sia per gli investitori che per gli Stati. Ma funziona solo se in ultima istanza è possibile anche affrontare e superare l’insolvenza di uno Stato senza che questo porti al crollo del sistema finanziario. Per questo abbiamo bisogno di una più robusta separazione fra banche e Stati, e procedure ordinate in caso di problemi finanziari degli Stati».

Non sembra che i politici siano disposti a scegliere una delle due strade: né la condivisione di sovranità, né procedure d’insolvenza per gli Stati. Significa che il destino dell’euro è segnato?
«La formulerei così: i governi europei hanno preso una via di mezzo che ci fa guadagnare tempo. Ma prima o poi dobbiamo decidere una direzione, se vogliamo ancorare l’unione monetaria come unione di stabilità».

Corsera 4 agosto 2016



C'è già la fila dei paesi per uscire da questo inferno di Ue e loro lo sanno. Brexit ha già assestato un bel colpaccio sonoro. Ma gentaglia come Weidmann osa fare l'arrogante con gli ultimi zerbinotti rimasti in circolazione, disposti a farsi calpestare: Renzi e i suoi. Il ricatto del banchiere tedesco è chiaro: o cessione definitiva di sovranità o procedure di default. Cioè pistole puntate alla tempia.
E' ora di liberarci dei carnefici-cravattari così come dei loro collaborazionisti schiavizzati.


Cinque motivi per (non) guardare le Olimpiadi di Rio

Cinque motivi per (non) guardare le Olimpiadi di Rio

#FueraTemer- #Rio2016 - #Rio2016xTVES

Riccardo Pessarossi

Le Olimpiadi di Rio de Janeiro sono ai nastri di partenza. Fino al 21 agosto 10 500 atleti di 206 paesi si contenderanno 306 medaglie in 28 sport diversi. Ecco 5 motivi per (non) seguire i Giochi Olimpici di Rio.


1) Vincere, partecipare, o far finta di nulla

Tornano le Olimpiadi e questo vuol dire che quasi sicuramente per i prossimi diciassette giorni non si parlerà d'altro o quasi. Puntuali ritorneranno gli esperti improvvisati di sport sconosciuti e i lampi di veemente amor patrio per il connazionale campione nel ping pong. E poi la solita diatriba tra i campioni milionari del calcio ed i "cossidetti sport minori", che a fatica si guadagnano la ribalta ogni quattro anni e giusto in tempo per spegnere il braciere prima del fischio d'inizio del campionato di serie A. Le Olimpiadi, nate come un momento di fratellanza tra i popoli, finiscono per buttare dentro il parco olimpico di Rio gli stessi problemi che ci sono fuori: il Brasile farà la fine della Grecia per organizzare questi Giochi? Che fine ha fatto la tregua olimpica? I capi di stato e di governo non hanno altro di meglio da fare che viaggiare a Rio a nostre spese? E così via.. Ce n'è abbastanza per stancarsi anche senza muoversi di un centimetro dalla poltrona di casa. Oppure far finta di nulla e godersi lo spettacolo.

© SPUTNIK. VITALY PODVITSKY I Giochi Olimpici


2) Fare le ore piccole

Per effetto del fuso orario le finali più attese si svolgeranno in piena notte. Siete disposti a rimanere svegli fino alle 3.25 per vedere i 9 secondi e rotti di gara di Husain Bolt, oppure puntare la sveglia alle 4 del mattino per vedere la finale dei 400 metri stile libero di Federica Pellegrini? Ammesso che lo siate davvero, e siate i primi a retwittare le medaglie, quando vi sveglierete il giorno dopo per andare al bar o in spiaggia ne avranno già discusso tutti. Se proprio non riuscite ad addormentarvi, piuttosto che rimanere davanti alla tv, date un occhiata al cielo: ad agosto i fenomeni celesti non hanno niente da invidiare a quelli sportivi. La notte del 6 agosto la Luna crescente sarà in congiunzione con Giove, mentre il 10 agosto torna l'appuntamento con le stelle cadenti dello sciame delle Perseidi, infine l'11 agosto la Luna sarà accanto a Marte e Saturno ed il 12 ai tre astri si aggiungerà in allineamento anche la stella Antares. Se per le prossime Olimpiadi basta aspettare 4 anni, un cielo così ricco lo rivedremo (?) solo nel 2148.


3) Il desiderio di emulazione (e le sue conseguenze)

A forza di guardare sport tutti i giorni, per due settimane di fila, potrebbe venirvi voglia di mettervi in gioco in prima persona. Equipaggiati con gli accessori più tecnologici, eccovi pronti a sfidare il vostro vicino di casa o di ombrellone a piedi, in bici, o nell'acqua. Però se la spiaggia che avete di fronte ai vostri occhi non è quella di Cobacabana, ci sarà un motivo. E se intorno al 15 agosto avete fatto un cerchio sul calendario, non è per la finale del lancio del martello femminile, o del dressage, ma per il classico pranzo con i parenti. Intendiamoci, non c'è nulla di male nel volersi mettere d'impegno dopo le ferie per iniziare a fare un po' di sport e buttar giù qualche chilo di troppo. Ma a settembre, appunto…ricordandosi che lo slancio iniziale è fondamentale, ma per ottenere risultati ci vogliono pazienza e costanza (come vi aveva detto il personal trainer 4 anni fa).









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© SPUTNIK.Un allenamento dei saltatori prima delle Olimpiadi


4) La Cerimonia di Apertura

Anche chi non è particolarmente appassionato di sport, alle Olimpiadi trova qualcosa da vedere. La cerimonia di apertura. Tre ore di spettacolo sulla storia, la cultura, le "eccellenze" del paese che ospita le Olimpiadi, con il piatto forte della sfilata dei 207 paesi partecipanti (o almeno 102, fino a quando non tocca all'Italia) corredato dalla collezione di altrettante divise ufficiali, ognuna con il suo stile e le sue stranezze. Quest'anno ancor di più visto che molti dei capi che indosseranno gli atleti sono stati trattati con del repellente anti-virus Zika. Intanto, la divisa ufficiale degli Stati Uniti a qualcuno ricorda la bandiera russa:


5)​ Esclusi e Salvati

La vigilia di queste Olimpiadi è stata accompagnata da diversi scandali. Lavori non finiti, virus Zika, esclusione degli atleti russi per effetto dello scandalo doping. A farne le spese sono stati atleti puliti come Elena Isinbayeva, che sognava di chiudere la carriera a Rio, mentre altri vinceranno delle medaglie senza molti dei loro rivali. L'unica eccezione è Darya Klishina, la bella saltatrice in lungo russa che si allena negli Stati Uniti da tre anni e per questo è stata ammessa a partecipare a Rio. Addidata di tradimento in patria, per aver pubblicamente ringraziato la IAAF che invece ha squalificato tutti gli altri suoi connazionali, Darya scenderà sulla pedana del salto in lungo la notte del 18 agosto. Se vincerà, quale inno suoneranno sul podio?

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