La premessa è d’obbligo: «Affronterò la questione in un quadro generale, visto che il mio ruolo di pm non mi consente di addentrarmi in aspetti specifici» dell’inchiesta sul Poligono di Quirra. Ma non può fare a meno di descrivere quanto accaduto nell’area interdetta come «un’attività di smaltimento di Stato».
Domenico Fiordalisi, il procuratore di Lanusei - da alcuni visto come «il giudice a Berlino» che squarcia il velo delle omertà, dai detrattori come magistrato sensibile alla ribalta - parla per la prima volta dall’inizio dell’inchiesta che ha fatto discutere. E rischia di costringere lo Stato a rivedere il rapporto di forza tra la Sardegna e la sgradita presenza militare. A partire proprio da Quirra.
Divenuto “Un caso emblematico”, il titolo scelto dal Gruppo di Impegno politico e sociale per il convegno sul rapporto tra ambiente, salute e giustizia, discusso ieri nell’aula magna dell’Università di Sassari, così affollata da sembrare un palazzetto dello sport. Ospite di punta, Fiordalisi ha ripercorso anni di legislazione «inadeguata» per tutelare la salute in relazione al diritto ad un ambiente salubre.
Seguito poi da Vincenzo Migaleddu, il presidente dei Medici per l’Ambiente, e Riccardo Cerri, docente di Chimica farmaceutica, con l’introduzione di Piero Mannironi, giornalista de La Nuova Sardegna , che ha fatto da moderatore.
A una platea di cittadini, curiosi, operatori della Giustizia, ma soprattutto giovani studenti - alcuni dei quali prendevano appunti -, Fiordalisi ha fornito strumenti tecnici per comprendere come solo di recente, e grazie alla giurisprudenza delle allora preture, cioè dei giudici di provincia e di frontiera, la Legge si sia adeguata al sentire comune: la necessità, avvertita solo a metà anni Ottanta, di perseguire traffici di rifiuti, inquinamento di ogni tipo, avvelenamento delle falde. Per garantire un diritto che in realtà è tutelato dalla Costituzione. Ma non è riuscito a trattenere una valutazione, ilmagistrato calabrese, forse frutto dell’anno e mezzo di indagini sugli esperimenti bellici di Quirra, dal 20 giugno in un’aula di Tribunale.
Affrontando il tema delle carenze normative sull’inquinamento dell’aria, ha detto: «Adesso parliamo di nanoparticelle come possibile pericolo nel Salto di Quirra, dopo che venivano distrutte - poi si vedrà nel contradditorio - e smaltite tutte le bombe e le munizioni obsolete dell’Aeronautica militare.
Fatto non da poco. Se non avessi fatto intercettazioni o un’inchiesta, una vicenda così grossa, durata tra l’84 e il 2008, un’attività di smaltimento di Stato, fatto noto in alcuni ambienti istituzionali, forse non sarebbe emersa». Un fatto che nemmeno i primi giornalisti che avevano scoperto l’altissima incidenza di linfomi ad Escalaplano, ai primi del 2000, aveva immaginato. Mannironi ha ricordato come tutto sia nato proprio lì, da quel sindaco solo e inascoltato, Antonio Pili, medico e primo cittadino di Villaputzu, che per primo aveva denunciato pubblicamente «il 2 ottobre 2001, il caso dei linfomi di Quirra, poi attribuiti dalle istituzioni all’arsenico». Una versione oggi smentita, che Mannironi non ha esitato a definire «una forma di depistaggio», per i silenzi e le omissioni di chi doveva invece garantire la salute dei cittadini.
Di silenzi non ne può più Rita Tilocca di Porto Torres, moglie di Natalino Delrio, operaio del Petrolchimico morto dopo quattro tumori. Così ieri ha ricordato: «I colleghi di mio marito non possono parlare perché perderebbero il posto. Ma io sì: voglio giustizia. Mio marito portava a casa pane imbottito di cancro. A noi dava il pane, lui si è tenuto il cancro».