domenica 17 aprile 2011

Un nuovo inizio.. a Fukushima.....

Ian Buruma
The Wall Street Journal

Non è la prima volta che Shintaro Ishihara – scrittore, politico e attuale governatore di Tokyo (di fatto, il sindaco della città) – commette una gaffe. Ishihara ha definito il terremoto dell’11 marzo un “castigo divino” per l’“egoismo” dei giapponesi. È un chiodo fisso della destra giapponese l’idea che le giovani generazioni pensino solo a se stesse, siano troppo individualiste e abbiano perso il vecchio spirito collettivo dei giapponesi obbedienti e disciplinati che apparentemente hanno sempre anteposto l’interesse nazionale al loro.

Questa volta le parole del governatore non sono passate sotto silenzio. Ishihara è stato immediatamente subissato di critiche ed è stato costretto a chiedere scusa per la mancanza di solidarietà nei confronti delle innumerevoli vittime del terremoto, dello tsunami e del disastro nucleare. Non solo: i giapponesi, giovani compresi, hanno dimostrato in queste settimane quanto possano ancora essere disciplinati e altruisti.

Ishihara, nella sua insensibilità, non ha fatto altro che cedere a un’abitudine primitiva quanto diffusa nella storia dell’uomo, quella di attribuire un’intenzionalità alle forze impersonali della natura. Nell’antica Cina un terremoto o un qualsiasi altro disastro stro naturale veniva considerato un cattivo presagio, il segno che una dinastia imperiale stava per terminare. Anche in Giappone c’erano credenze simili. Tradizionalmente i terremoti venivano attribuiti ai sussulti di un pesce gatto gigante. Sempre nella tradizione, il pesce gatto era considerato come una divinità da adorare e placare.

In quale altro modo degli esseri umani indifesi possono dare un senso al fatto di vivere ai piedi di un vulcano o nel mezzo di una faglia tettonica? Un attimo prima bevono tranquillamente il tè o preparano il pranzo; e un istante dopo tutto il loro mondo può essere spazzato via da una gigantesca ondata di lava o dall’acqua. Ovviamente non c’è un perché, ma per l’uomo è diicile vivere senza dare un senso alle cose. Questo non riguarda solo i cinesi e i giapponesi. La reazione del giornalista statunitense ultraconservatore Glenn Beck al terremoto è stata altrettanto risibile di quella del governatore Ishihara: secondo lui si sarebbe trattato di un invito di Dio a seguire i dieci comandamenti.
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I giapponesi fanno da sempre i conti con la forza distruttrice della natura. In passato, tuttavia, questa forza è stata anche benevola. Quando nel 1274 una lotta di quasi sedicimila guerrieri mongoli, cinesi e coreani tentò di attaccare il Giappone, uno spaventoso tifone face naufragare le navi, scongiurando l’invasione. Di qui il termine kamikaze, vento divino. In quella circostanza la natura venne in soccorso del Giappone.

Non per niente nel 1944, quando il paese si trovò in una situazione altrettanto disperata, i piloti suicidi furono ribattezzati kamikaze. I soli sforzi militari non erano più sufficienti a evitare la sconfitta. Si invocava qualcosa di più sacro e spirituale: il sacrificio dei giovani migliori e più brillanti. Solo così le superiori forze americane si sarebbero piegate. O almeno, quella era la speranza.

C’è una terribile ironia nel fatto che il Giappone, dopo il terremoto, si trovi ad affrontare un disastro nucleare. Il Giappone, come tutti sanno, è stato il primo paese (e finora l’unico) a subire un attacco atomico.

Anche quello fu considerato da qualcuno come un castigo divino. Vedere Tokyo in fiamme sotto le ondate di bombe incendiarie dei B-29, che provocarono quasi centomila vittime in poche notti, fu terribile.

Non si conosce ancora la portata esatta della catastrofe che ha colpito il Giappone. Sicuramente il paese reagirà, come ha fatto in passato. Anzi, tornerà più forte di prima, scrive Ian Buruma in un certo senso comprensibile. Il fatto che un’intera città venisse rasa al suolo in pochi secondi da un’unica bomba, invece, era paragonabile solo a una calamità naturale.

In effetti non si trattava più di qualcosa di assimilabile a una “normale” operazione di guerra. Il nemico era invisibile. Non c’erano difese possibili. Questo, probabilmente, convinse anche i più irriducibili del comando militare nipponico a firmare la resa incondizionata. La bomba atomica, nelle parole dell’imperatore Hirohito, era “un’arma nuova e terribile” capace di portare alla “totale estinzione della civiltà umana”. Non era considerato un disonore arrendersi per salvare la civiltà umana.

Sotto l’ombra del fungo atomico Oltre ai tremendi costi umani delle esplosioni atomiche, i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki hanno avuto altre conseguenze nefaste. Hanno messo in una prospettiva distorta la questione della responsabilità giapponese nella guerra. Le bombe hanno fatto apparire l’intero disastro bellico come una calamità naturale, una specie di gigantesco terremoto, invece che una storia di follia umana di cui tutti i giapponesi erano stati complici.
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkkEPpi2NJybawrwFEXTJwucVUHI4o71K8rpRiVNSvHrCr6qcIx_q923LXyIjVfgTfaWuwFDIKH1dTrn9riA1LECy8q0u42yX2XF3jNo0gz0FJvGt2lCtzWudV0dnTDwyt6aaEyXwySzRY/s1600/terremoto-centrale.jpg

Molti giapponesi, in buona fede, considerarono la bomba atomica come un castigo divino, una sorta di lavacro della coscienza. La descrizione più famosa del bombardamento di Nagasaki fu quella di una delle vittime, il dottor Takashi Nagai, un esperto di radiologia che poi sarebbe morto di leucemia. Ai suoi occhi la bomba fu come una benedizione, una catastrofe capace di portare l’umanità alla redenzione. Nagai era cattolico, come molti cittadini di Nagasaki. Ma tanti giapponesi hanno creduto nel suo messaggio. La casa di Nagai è diventata una specie di santuario. Proprio in quanto vittime della bomba atomica, da allora in poi i giapponesi si sarebbero trasformati in salvatori della civiltà umana, rifiutando la guerra e pregando per la pace eterna.

In questo nuovo atteggiamento pacifista, i giapponesi si sono comportati come hanno fatto sempre di fronte alle forze della natura: hanno cercato di placarle ricorrendo a formule magiche. Nel frattempo le responsabilità della seconda guerra mondiale sono state quasi completamente dimenticate. La responsabilità della sicurezza militare è stata aidata al vecchio nemico, gli Stati Uniti, e il principale garante della sicurezza è diventato l’ombrello nucleare americano.
Nagai, pur consapevole della potenza distruttiva dell’energia atomica, la considerava anche “un trionfo della fisica”, un passo da gigante nel progresso dell’umanità.

Fin dall’inizio i giapponesi hanno avuto un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’energia nucleare. Il fatto che varie componenti dell’ombrello atomico americano entrino ed escano a piacimento dai portil’istituzione più criticata nell’ultimo disastro nucleare sia la Tokyo electric power company (Tepco), nota per aver più volte coperto le pericolose avarie dei suoi reattori nucleari. Eppure, come sappiamo, il Giappone dipende dall’energia nucleare più di qualsiasi altro paese del mondo.

La costante consapevolezza che la calamità può colpire in qualsiasi momento ha segnato la cultura giapponese. Questo vale soprattutto per la cultura postbellica, che ha prodotto la famosa serie dei film di Godzilla. Godzilla non era stato concepito solo come una specie di King Kong gigante. Il personaggio nacque in seguito a un incidente nucleare del 1954, quando gli Stati Uniti fecero esplodere una bomba all’idrogeno e un membro dell’equipaggio di un peschereccio giapponese rimase ucciso dalle radiazioni. Godzilla, il distruttore del Giappone, veniva fatto saltare in aria da una serie di esplosioni nucleari sottomarine.

Tra l’altro, il creatore degli efetti speciali per i film di Godzilla, Eiji Tsuburaya, era stato anche l’autore degli spettacolari effetti di un altro film, Sea battle from Hawaii to Malaya (Battaglia in mare dalle Hawaii a Malaya), girato nel 1942 per festeggiare il primo anniversario della vittoria di Pearl Harbor. In Giappone, dunque, i pericoli dell’energia nucleare creata dall’uomo vengono strettamente associati alle catastrofi naturali, come è accaduto durante l’ultimo grande terremoto. Questa sensazione di pericolo costante ha lasciato il segno sulla cultura del paese. La prima religione originaria del Giappone, lo shinto, letteralmente “la via degli dei”, si basa su una serie di rituali volti a placare le forze della natura, considerate divine. Poiché la natura può essere allo stesso tempo irata e benevola, queste divinità devono essere continuamente gratificate con offerte, cerimonie e sacrifici. Gli dei shinto, a differenza del Dio cristiano o ebraico, non impongono leggi o regole morali, né dogmi. Esigono solo rispetto.

Anche il buddismo, con la sua profonda consapevolezza della natura effimera della vita e il suo ciclo di morte e rinascita, si addice particolarmente a un popolo costretto a vivere sotto la costante minaccia di una catastrofe naturale. “Fatalismo” è la parola che spesso viene usata per descrivere il tipico atteggiamento dei giapponesi. Essere rassegnati ai capricci della natura e del destino, tuttavia, non vuol dire considerare la vita priva di valore. Al contrario, può far apprezzare ancora di più il poco tempo a di morte aspirando a una sorta di immortalità: se non per se stessi, almeno per le loro opere. I monumenti all’uomo (per esempio, Manhattan o Chicago) sono costruiti per durare in eterno, almeno idealmente, e lo stesso vale per i monumenti a Dio come le grandi cattedrali europee. I giapponesi, che vivono ai piedi di vulcani e su faglie tettoniche, non costruiscono per l’eternità. L’architettura tradizionale, che utilizza materiali lessibili come carta e legno per resistere alle scosse, non è pensata per durare in eterno. Il più famoso santuario shinto in Giappone, talmente sacro che solo i membri della famiglia imperiale possono esercitarvi la funzione di alti sacerdoti, si trova a Ise, nel Giappone centrale. È stato fondato quindici secoli fa, ma in un certo senso è nuovissimo, perché viene abbattuto e ricostruito ogni vent’anni. L’unica continuità è nella discontinuità.

I fiori di Edo
Oggi a Tokyo e in altre moderne città giapponesi ci sono grattacieli di cemento e vetro progettati per resistere ai terremoti, ma si tratta di uno sviluppo recente. Anche se gli edifici non vengono più costruiti in legno (troppo costoso e difficile da mantenere), le città hanno tuttora un aspetto precario, simile a un set cinematograico, quasi fossero consapevoli della loro transitorietà. In questo, ricordano più Los Angeles che Manhattan.

In effetti, nel ventesimo secolo Tokyo è stata quasi totalmente distrutta per ben due volte: la prima durante il terribile terremoto del 1923 e la seconda nel 1945, quando fu ridotta in cenere dalle bombe incendiarie statunitensi. E per ben due volte gli abitanti di Tokyo, in modo rapido, energico e perino entusiastico, hanno ricostruito la loro capitale. Quando Tokyo era ancora chiamata Edo, prima del diciannovesimo secolo, i suoi abitanti erano orgogliosi della loro stoica accettazione di terremoti e incendi, noti come “i fiori di Edo”.


È l’altra faccia del fatalismo, la capacità di reagire al disastro ovunque esso colpisca, a Tokyo o sulla costa nordorientale. Gli osservatori stranieri hanno sottolineato la disciplina e la solidarietà dei giapponesi in quest’ultima circostanza. Niente saccheggi, niente rivolte, niente violenza. Non sempre è stato così. Subito dopo il terremoto del 1923, quando si sparse la voce che i cittadini coreani stavano avvelenando le riserve d’acqua, la folla entrò nel panico e cominciò Non stavolta. La disciplina ha tenuto.

Forse per il conformismo sociale imposto a tutti i giapponesi in dalla più tenera età, o forse per il dovere di prendersi cura delle proprie cose, o per il timore di mettere in difficoltà il prossimo. Ma forse anche per la consapevolezza, maturata dopo secoli di convivenza con i disastri, che tutto ciò che crolla può essere ricostruito. I giapponesi hanno un’espressione: “traboccare con l’acqua”. È un modo di dimenticare ciò che è passato. Può essere un difetto – non assumersi le responsabilità del passato – ma anche un pregio, se si traduce nella capacità di guardare al futuro.

Ancora non conosciamo la portata esatta dell’attuale catastrofe giapponese, però possiamo essere certi che il paese non solo reagirà ancora una volta, ma tornerà più forte di prima. Il fatto che il governo non abbia esitato ad accettare l’aiuto dei paesi stranieri, a differenza di quanto avvenne nel 1995 dopo il terremoto di Kobe, è un segno che il Giappone di oggi è più aperto verso il mondo ed è meno sensibile al tema dell’orgoglio nazionale. Per la prima volta i coreani e i cinesi hanno prestato aiuto al Giappone, e questo contribuirà senz’altro a migliorare le relazioni fra i tre paesi, in passato compromesse da odi e spargimenti di sangue. La mobilitazione delle forze armate e lo sforzo straordinario compiuto dai soldati per soccorrere i loro concittadini gioverà all’immagine dei militari giapponesi e restituirà la fiducia a un paese che, dopo una guerra disastrosa, non era ritenuto in grado di difendersi da solo.

Il segnale più importante, tuttavia, è il comportamento dei cittadini comuni, che con la loro reazione tranquilla hanno dimostrato che le parole sprezzanti del governo a Ishihara non erano solo sciocche e rozze, ma sbagliate. I cittadini stanno prendendo sul serio le loro responsabilità, non solo nei confronti di se stessi e delle loro famiglie, ma anche del prossimo. E se questo contrasta con gli stereotipi sui giapponesi, ben venga: andavano demoliti da tempo.

Nuove scosse
Il 7 aprile una scossa di magnitudo 7,4 ha colpito il nordest del Giappone provocando quattro morti ma lasciando apparentemente illesi i due reattori della centrale nucleare di Fukushima. L’11 aprile, un mese dopo il terremoto del Tohoku, l’area è stata colpita da una scossa di magnitudo 7,1 che ha temporaneamente messo fuori uso l’impianto elettrico esterno dei reattori 1 e 3 dell’impianto Fukushima 1, rallentando i lavori di rafreddamento tramite il pompaggio di acqua. La scossa ha provocato almeno una vittima. Zona di evacuazione L’11 aprile le autorità hanno deciso di estendere la zona di evacuazione obbligatoria ad alcuni comuni che si trovano a più di 20 chilometri dalla centrale di Fukushima. A Katsurao, Iitate e Kawamata – che si trovano oltre la zona di evacuazione volontaria, compresa tra i 20 e i 30 chilometri – gli abitanti rischiano di assorbire una quantità di radioattività ritenuta pericolosa. Per questo entro un mese dovranno lasciare le loro case. Greenpeace, dopo aver fatto delle misurazioni, ha chiesto di allontanare le donne incinte e i bambini anche dall’area metropolitana di Fukushima, giudicata “altamente pericolosa”. Il 12 aprile il governo ha alzato il livello di gravità della crisi nucleare portandola a 7, il più alto, equivalente all’incidente di Cernobyl.

Giappone/ Manifestazioni a Tokyo e Nagoya contro il nucleare Dopo incidente Fukushima cresce protesta contro impianti atomici


Manifestazioni
Il 10 aprile 17.500 persone sono scese in piazza a Tokyo contro gli impianti nucleari.

sabato 16 aprile 2011

I SUCCESSI DELL'ENERGIA PULITA!

Le Monde

Spagna.
La centrale termica di Sanlúcar, vicino Siviglia
La centrale energetica PS10 da 11 MW produce elettricità dal sole usando 624 specchi mobili chiamati eliostati.  Planta Solar 10 (PS10) è una centrale termosolare costruita a Sanlúcar la Mayor, vicino Siviglia, in Spagna. Questa centrale elettrica è formata da una torre situata al centro di una pianura coperta da 624 eliostati, essenzialmente specchi, ciascuno con una superficie di ben 120 m2, che riflettono la luce solare verso un punto di fuoco posto in prossimità della sommità della torre. Il calore prodotto dalla concentrazione dei raggi solari riscalda le condutture dell'acqua presenti nella parte superiore della torre trasformando l'acqua in vapore acqueo. Il vapore prodotto fornisce fino a 11 MW di elettricità.


La centrale energetica PS10 da 11 MW produce elettricità dal sole usando 624 specchi mobili chiamati eliostati. Planta Solar 10 (PS10) è una centrale termosolare costruita a Sanlúcar la Mayor, vicino Siviglia, in Spagna. Questa centrale elettrica è formata da una torre situata al centro di una pianura coperta da 624 eliostati, essenzialmente specchi, ciascuno con una superficie di ben 120 m2, che riflettono la luce solare verso un punto di fuoco posto in prossimità della sommità della torre. Il calore prodotto dalla concentrazione dei raggi solari riscalda le condutture dell'acqua presenti nella parte superiore della torre trasformando l'acqua in vapore acqueo. Il vapore prodotto fornisce fino a 11 MW di elettricità.

L’incidente alla centrale di Fukushima ha
riaperto il dibattito sull’energia. Si può ridurre la
dipendenza dal nucleare e dal petrolio? Quattro
progetti in Spagna, Svezia e Francia dimostrano
che le fonti rinnovabili sono un’alternativa
concreta. Il reportage di Le Monde


Il valore simbolico è forte. Il 4 e 5 aprile, a più di tre settimane dallo tsunami in Giappone e dall’incidente nella centrale di Fukushima, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili ha tenuto la sua prima assemblea generale. L’obiettivo dell’agenzia, creata nel 2009, è aiutare il mondo a non dipendere dalle energie fossili, in modo da contenere le emissioni di gas a efetto serra e lottare contro il cambiamento climatico.

Nuovi dubbi
È un obiettivo ambizioso. Oggi il trio petrolio-carbone-gas costituisce l’87 per cento dell’offerta mondiale di energia, le energie rinnovabili il 7 per cento e il nucleare il 6 per cento. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, entro il 2035 le energie fossili scenderanno al 78 per cento, mentre il solare, l’eolico, la biomassa e le altre energie rinnovabili dovrebbero arrivare al 14 per cento e il nucleare dovrebbe spingersi ino all’8 per cento.

I nuovi dubbi sull’atomo limiteranno il dibattito allo scontro tra le energie fossili e
quelle rinnovabili. Il futuro del pianeta passa per la vittoria del sole e del vento. Ma resta ancora moltissimo da fare. I governi, le imprese e i sette miliardi di persone che vivono sulla Terra dovranno assumersi le loro responsabilità.
Il primo ostacolo all’uso delle energie rinnovabili è il prezzo dell’elettricità che
producono. Per ridurlo serve il sostegno degli stati. Nel 2009 i governi hanno destinato 312 miliardi di dollari (219 miliardi dieuro) alle energie fossili, rispetto ai 57 miliardi stanziati per le energie rinnovabili.
Bisogna ricordare, però, che per il momento il primo settore produce molta più occupazione del secondo.
Ma piuttosto che aumentare i fondi per la ricerca e lo sviluppo destinati alle soluzioni verdi, molte industrie lavorano a energie fossili “più pulite”, per esempio
promettendo di catturare e stoccare l’anidride carbonica. Perché, invece, non impariamo a immagazzinare l’energia solare?

Risultati concreti
Per lanciarsi nell’avventura delle rinnovabili, le aziende e i privati hanno bisogno di
un quadro legislativo stabile. I governi dovranno lavorare in questa direzione. Alla fine del 2009 in molti paesi europei la riduzione degli aiuti al fotovoltaico, causata
dai tagli di bilancio, ha mostrato ino a che punto le energie verdi sono ancora trascurate. Lo sarebbero meno se i negoziati sul clima, ripresi di recente a Bangkok, arrivassero a dei risultati concreti, in grado di fissare delle regole sulla riduzione dei gas a effetto serra.
A livello locale le iniziative non mancano. Le Monde ne ha individuate alcune che racconta in una serie di articoli.
In tutta Europa ci sono popolazioni che si riscaldano e s’illuminano senza usare né
carbone né gas o che riescono a fare straordinari risparmi di energia.

venerdì 15 aprile 2011

GIURO CHE HO VISSUTO!!


VITTORIO ARRIGONI


Uomo di Pace e di Libertà lascia questa terra martoriata a motivo della superficialità e dell'incuria delle persone che l'abitano.

Un uomo che ha dato la sua vita per la libertà del popolo Palestinese Gazawi, Vittorio ha donato il tempo terreno perchè giustizia si facesse sulla terra di Palestina senza raggiungere l'intento, la violenza di pochi esseri "umani(?)" infatuati da potenza straniera (Israele?) ha levato la gioia ai molti che l'adoravano, pel suo sentimento solidale e l'ardore che imprimeva nella lotta di libertà de popoli, è questo che loro lo legava a Vittorio!

SA DEFENZA

LA TUA LIBERTA'

F. GUCCINI

Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;

se fossi un fiume
...potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni

Ma sono un uomo
uno fra milioni
e come gli altri ho il peso della vita

e la mia strada
lungo le stagioni
può essere breve, ma può essere infinita;

la tua libertà

cercala, che si è smarrita

cercala, che si è smarrita.


giovedì 14 aprile 2011

La lobby nucleare all’italiana “A Fukushima tutto bene”

Fukushima, alzato livello di gravità a 7
Naoto Kan: “Situazione si sta stabilizzando”

Fukushima come Chernobyl: l’agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha innalzato al livello massimo di 7 la classificazione dell’incidente nucleare alla centrale del nord-est, di fatto ponendolo al livello dell’incidente in Ucraina del 1986, il più grave di tutti i tempi. Un funzionario della Tepco, la società che gestisce l’impianto, ha evocato addirittura la possibilità che i livelli di radioattività siano superiori: “La perdita radioattiva non si è ancora arrestata completamente”, ha spiegato, “e la nostra preoccupazione è che possa anche superare Chernobyl“. Nelle prime ore del mattino è scoppiato un incendio al reattore numero 4 di Fukushima, subito spento. Le fiamme sie erano sviluppate in un edificio nei pressi dell’uscita di acqua in mare e il fumo è stato notato da un operaio che ha avvertito i pompieri, subito intervenuti.

L’assegnazione di un grado 7 all’incidente di Fukushima, lo stesso a suo tempo attribuito al disastro di Chernobyl, è “provvisoria”, ha precisato l’Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare, specificando che il livello delle emissioni radioattive registrate dall’inizio della crisi equivale appena al 10% di quello misurato nel 1986 dopo la catastrofe della centrale Ucraina.

Le misure disponibili sulla fuga di radioattività dalla centrale di Fukushima, comunque, “mostrano dei livelli equivalenti al livello 7”, il massimo della scala Ines degli eventi nucleari. “Continueremo a sorvegliare la situazione – ha detto un responsabile dell’organismo ufficiale -. E’ un livello provvisorio”, ha aggiunto, spiegando che la decisione definitiva sulla classificazione dell’incidente dovrà passare all’ulteriore vaglio di un comitato di esperti.

L’Agenzia per la sicurezza nucleare giapponese aveva fino ad ora classificato l’incidente di Fukushima al livello 5, corrispondente a “un incidente con delle conseguenze estese” con un “danno grave al cuore del reattore” ma con un “rilascio limitato di materiale radioattivo all’esterno”.

L’omologa agenzia francese lo aveva valutato di livello 6, pari ad un “incidente grave”. Il livello 7, quello massimo, viene assegnato in presenza di un “notevole rilascio di sostanze radioattive” con “effetti considerevoli sulla salute e sull’ambiente”.

L'Associazione italiana nucleare (Ain) rassicura, ma cita tecnologie inesistenti. Areva invece è sempre più preoccupata, mentre l'Agenzia per la sicurezza giapponese non sa perché esca acqua contaminata dal reattore.

La lobby nucleare all’italiana “A Fukushima tutto bene”

di Marco Maroni e Paolo Ruffati
ilfatto

Dopo le emissioni in atmosfera, il problema del giorno della centrale di Fukushima è diventato il flusso di acqua radioattiva dal reattore 2. Viene riversato direttamente nell’oceano, dove ieri è stato registrato un livello di iodio 131 pari a 7,5 milioni di volte il limite legale. I tecnici sono allo sbando: “Abbiamo provato con la segatura, fogli di giornale e una miscela di calcestruzzo da applicare sulla zona delle perdite, ma la miscela non sembra in grado di entrare nelle falle”. Hidehiko Nishiyama, vice direttore dell’Agenzia per la sicurezza nucleare giapponese ieri ha dettto: “Non sappiamo ancora come fuoriesca l’acqua contaminata dal reattore numero 2”.

La situazione si fa ogni giorno più confusa e secondo i tecnici di Areva, primo costruttore mondiale di impianti nucleari, per domare la catastrofe e capire se l’incidente di Fukushima evolverà nel peggiore disastro della storia del nucleare civile ci sono ancora pochi giorni. Gli ingegneri del colosso pubblico francese, chiamati in soccorso dalla Tepco, (la società proprietaria della centrale) lunedì hanno pubblicato un rapporto, rivelato dal sito linkiesta.it, in cui si confermano i rischi già evidenziati dagli osservatori più esperti. In sostanza, mentre due dei tre vessel d’acciaio che contengono il nocciolo del reattore sembrerebbero integri, su un terzo (reattore numero 2) ci sono seri dubbi, viste le fuoriuscite radioattive. “Non ci sono chiare informazioni sul perché il reattore due si stia comportando in questo modo”, dice il rapporto.

Ma la sitazione che al momento appare più grave è quella delle refueling pools, le piscine in cui è stoccato il combustibile di ricambio e quello esausto. Ci vogliono 10 giorni, dice il rapporto Areva, perchè finisca l’acqua della piscina dell’impianto numero 4 (quello fermo al momento del terremoto) e da cinque a sei settimane perché rimangano a secco quelle degli impianti 1 e 3. La conseguenza sarebbe: “fusione a cielo aperto e vasta dispersione dei prodotti di fissione”. La situazione del reattore 4 potrebbe essere particolarmente critica, perché non è escluso che l’incidente sia accaduto mentre il vessel era aperto per il ricambio delle barre di combustibile. Secondo i tecnici di Areva, è difficile dare un quadro preciso anche perché “la Tepco sta rilasciando troppo poche informazioni”.

Molto più tranquilli sono gli esperti dell’Associazione italiana nucleare (Ain), comitato tecnico-scientifico finanziato dai principali gruppi industriali interessati al business nucleare italiano.

L’Ain, pur non partecipando alle operazioni in Giappone, ha pubblicato sul suo sito una ricostruzione degli eventi che è un capolavoro di minimalismo, condito di affermazioni che paiono quantomeno avventate.
Nella ricostruzione dell’evento, per esempio, si legge che a Fukushima tutti gli impianti hanno resistito al sisma e si sono arrestati automaticamente. Affermazione che sembra ignorare non solo il fatto che i sistemi di raffreddamento sono saltati, ma anche quello che una centrale nucleare non si può spegnere con un interruttore, tantomeno automatico.

Anche in caso di emergenza, per il cosiddetto “shut down” è necessaria la corrente elettrica (che a Fukushima è mancata) e centinaia di operazioni che richiedono giorni. Riguardo alla situazione delle piscine poi si afferma chel ’acqua della piscina deve essere continuamente raffreddata, come se fosse scontato che di acqua nelle piscine di Fukushima ce ne sia ancora. Tuttavia, secondo l’Ain in condizioni normali la piscina non raggiunge la temperatura di ebollizione dell’acqua prima di diversi giorni anche in caso di interruzione del raffreddamento.

Più realisticamente i tecnici di Areva hanno però fatto notare che di giorni ne rimangono pochi e se non si trova il sistema di assicurare la refrigerazione delle barre, si andrà incontro al rilascio delle radiazioni a cielo aperto. Il rapporto Ain non manca infine di rassicurare sui mega reattori di terza generazione, gli Epr da 1.600 Mw che si vorrebbero costruire in Italia (progetto che sta incontrando enormi difficoltà proprio sotto il profilo della sicurezza), definendoli “intrinsecamente sicuri” e progettati per fronteggiare anche un evento grave come la fusione del nocciolo.

Il nucleare di terza generazione, assicura l’Ain, è predisposto con modalità di refrigerazione del nocciolo fuso: anche in caso di fallimento dei sistemi di rimozione del calore residuo dal combustibile e suo danneggiamento o fusione, sarebbe possibile assicurarne il raffreddamento, senza che il contenitore risulti danneggiato. Salvo che un sistema di questo tipo non è mai stato nemmeno progettato, visto che tecnologie per fronteggiare un tale evento allo stato non ne esistono.





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