martedì 2 agosto 2011

IL SEME SOTTO LA NEVE

di Francesco Codello
libertaria



Un anarchico pragmatico, questa era la definizione ricorrente di Colin Ward
morto l’11 febbraio.Inglese,nato nel 1924, architetto, insegnante, giornalista
e scrittore ha pubblicato oltre trenta libri di argomento politico, urbanistico
e pedagogico.Ward è una figura di primo piano dell’anarchismo.I suoi libri
pubblicati in italiano: Anarchia come organizzazione (1996), Dopo
l’automobile (1992), Acqua e comunità (2003),L’anarchia. Un approccio
essenziale (2008), Conversazioni con Colin Ward (a cura di David Goodway,
2003) tutti pubblicati da Elèuthera. E La città dei ricchi e la città dei poveri
(1998), Il bambino e la città (2000).Mentre il Bollettino dell’Archivio
G. Pinelli (supplemento al n.30) ha pubblicato L’anarchismo pragmatico
di Colin Ward. Qui ne tratteggia la figura e il pensiero Francesco Codello,
dirigente scolastico a Treviso, autore di Educazione e anarchismo (1995),
La buona educazione (2005),Vaso, creta o fiore? (2005), Né obbedire
né comandare (2009) e Gli anarchismi (2009)


«Come si reagirebbe alla scoperta che la società in cui si vorrebbe realmente vivere c’è già (…), se non si tiene conto, ovviamente, di qualche piccolo guaio come sfruttamento, guerra, dittatura e
gente che muore di fame? Questo libro vuol proprio dimostrare che una società anarchica,
una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello stato e della burocrazia, del capitalismo e dei suoi sprechi, del privilegio e delle ingiustizie, del nazionalismo e delle sue lealtà suicide, delle religioni e delle loro superstizioni e separazioni» [1].

In questa citazione è compendiata tutta la ricerca a cui Colin Ward [2] ha dedicato la vita di
attento indagatore della società con l’intento di dimostrare che l’anarchia non è una visione,
basata su congetture, di una società futura, quanto piuttosto un modo del tutto umano di
organizzarsi, ben radicato da sempre nella concreta esperienza della vita quotidiana, che funziona a fianco delle tendenze spiccatamente autoritarie della nostra società e nonostante
quelle.

La domanda che fin dal 1961 Ward si pone è se, come anarchici, si è sufficientemente rispettabili (Anarchism and Respectability, 1961), vale a dire se la qualità delle idee e proposte libertarie
sono meritevoli di rispetto, in quanto suggeriscono concrete soluzioni libertarie ai problemi
del vivere sociale, da preferirsi a quelle autoritarie.
Uno degli aspetti più interessanti e nuovi (nel panorama anarchico) è costituito dal fatto che
tra gli oltre venti libri da lui scritti (senza contare l’enorme numero di articoli pubblicati in
una varietà di periodici non solo libertari), solo due sono esplicitamente riferiti all’anarchia,
mentre tutte le sue ricerche sono indirizzate a un’ampia gamma di problematiche sociali
(educazione, urbanistica, politica, architettura, costumi e comportamenti sociali, economia...)
utilizzando sempre fonti e studi, oltre che esperienze, di provenienza e orientamento culturali
vari.

Ward scriveva infatti già nel 1958: A mio modo di vedere la caratteristica più saliente del «libro che non c’è» sul movimento anarchico del ventesimo secolo non dovrebbe tanto essere il superamento delle concezioni proprie ai pensatori classici dell’anarchismo, Godwin, Proudhon, Bakunin, Kropotkin, ma la rielaborazione che ne è stata fatta, la loro estensione ad ambiti più vasti. Si è trattato di un processo selettivo che ha respinto il perfezionismo, la fantasticheria utopistica, il romanticismo cospirativo, l’ottimismo rivoluzionario, prendendo dai classici dell’anarchismo le idee più valide, non quelle più discutibili… E vi ha infine inglobato l’apporto concreto offerto dalle scienze sociali del nostro secolo, in particolare dalla psicologia e dall’antropologia, oltre che dall’evoluzione tecnica [3].

Le influenze culturali anarchiche e libertarie
Per sua stessa ammissione Colin Ward dichiara che questo quesito e questa idea dell’anarchia
non è nuova nel panorama dei pensatori e nella storia dei movimenti libertari, ma è stata sicu-
ramente poco ripresa e non sviluppata, al di fuori di qualche intuizione peraltro minoritaria. Si può quindi sostenere che essa rappresenta un’idea sostanzialmente originale e diviene una sfida nuova con cui misurarsi.

Lo stesso Ward individua in alcuni autori i suoi punti di riferimento principali, senza tralasciare gran parte della tradizione storica dell’anarchismo stesso, ma cercando di privilegiarne quegli elementi non obsoleti o chiaramente insoddisfacenti.
Le principali influenze culturali (non le uniche ovviamente) verso le quali si sente debitore, ce
le ricorda egli stesso, e sono quelle di William Godwin e Mary Wollstonecraft per l’educazione, Alexander Herzen per la politica, Pëtr Kropotkin per l’economia, Martin Buber per la sociologia, William Richard Lethaby e Walter Segal per l’architettura, Patrick Geddes e Paul Goodman per la pianificazione urbanistica [4].

Accanto a questi riferimenti, diciamo originari, egli assume e sviluppa molte altre indagini e ricerche, privilegiando quegli studi più originali e attuali in grado di portare dati e riscontri certi
alla sua tesi di fondo. Infatti nelle varie bibliografie che accompagnano i suoi scritti sono molto più citati autori e ricercatori che nulla hanno a che fare con l’anarchismo, ma che hanno indagato a fondo aspetti diversi di un problema, arrivando a conclusioni che possono
essere utilmente e facilmente portate a suffragio di una visione libertaria.

Il pensiero di Colin Ward arriva in Italia grazie soprattutto a pochi anarchici riuniti attorno al-
l’esperienza dei Gaf (Gruppi anarchici federati) e in particolare alla rinnovata gestione delle
Edizioni Antistato (curata da Amedeo Bertolo e Rossella di Leo) e alla rivista Volontà (diretta da
Luciano Lanza). Saranno proprio questi e pochi altri anarchici che accoglieranno con piacere la
sfida innovativa che l’anarchico inglese aveva lanciato fin dagli inizi degli anni Sessanta attra-
verso, soprattutto, le pagine di quella indimenticabile rivista che è stata Anarchy [5].

1. Colin Ward, Anarchy in Action, (1973) ora Anarchia come organizzazione, Elèuthera, Milano, varie edizioni, qui 2006.
2. Per una biografia intellettuale di Colin Ward vedi: David Goodway, Conversazioni con Colin Ward. Lo sguardo anarchico, Elèuthera, Milano, 2003; Stuart White, Un anarchismo rispettabile?, Bollettino Archivio Pinelli, n. 30, Milano, 2007; Francesco Codello, La lezione di Colin Ward, in A rivista anarchica, Milano, n. 2/2010; Id., Il seme sotto la neve. Intervista a Colin Ward, in Libertaria, Milano, n. 3/2001. David Goodway, Anarchist Seeds Beneath the Snow, Liverpool University Press, Liverpool, 2007, pp. 309-325.
Alla Colonia Berneri. Colin Ward nel 1952 in visita alla colonia marina fondata da Giovanna Caleffi, la vedova di Camillo Berneri, con Cesare Zaccaria a Piano di Sorrento nel 1951 nel nome della figlia MariaLuisa morta nel 1949. Un’esperienza che si chiude nel 1957
3. Colin Ward, The Unwritten Handbook, in Freedom, Londra, 28 giugno 1958.
4. Cfr.: Colin Ward, Influences. Voices of Creative Dissent, Green Books, Bideford, 1991.
5. Sulla esperienza di Ward (fondatore) alla rivista Anarchyvedi l’introduzione dello stesso al volume da lui curato, A Decade of Anarchy (1961-1970), Freedom Press,
Londra, 1987. Il volume contiene una scelta di articoli dalla rivista su vari argomenti di diversi autori.
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjG8QcWlmIOUm0ZNraETYFomNQoKmnAGisT2HcqQBFFor-n1Oov_AxeTIPmqsSkN5mblE8vkbzEIC8fc3q5IjRBklOlWdPvlLhkNyLQXlpOBRCpcDtz7egaPB7kZ5P43rMLKnYdRkuGc0/s660/untitled.bmp

Il tesoro delle corporation

de su espressu
espresso

I colossi americani del business hanno accumulato un milione e mezzo di miliardi di dollari di guadagni all'estero. Vogliono farli rientrare per rilanciare l'economia in cambio di uno sconto fiscale. Ma Obama nicchia. Perché teme che ci sia un trucco

LA PROPOSTA DELLE MULTINAZIONALI AMERICANE E' LA STESSA CHE HANNO OTTENUTO QUELLE ITALIANE DA TREMONTI: PAGARE IL 5% DEL CAPITALE ANZICHE' IL 35% PER FAR RIENTRARE I CAPITALI IN USA...


Il terreno fu sondato da una coppia d'eccezione: l'amministratore delegato di Cisco Systems John Chambers e il presidente di Oracle Safra Catz. I due decisero di uscire allo scoperto il 20 ottobre dell'anno scorso con un articolo a loro firma sul Wall Street Journal. Esordirono dicendo che era loro intenzione dare una mano a Barack Obama per far ripartire l'economia e accelerare la creazione di nuovi posti di lavoro.
Come? L'idea era semplicissima.

Leggete Chambers e Catz: "C'è un trilione (un milione di miliardi, ndr) di dollari che le società americane hanno guadagnato nelle loro operazioni all'estero e che potrebbe essere riportato negli Stati Uniti. Quel denaro, una volta rientrato, potrebbe essere investito per creare posti di lavoro nel Paese, per rinforzare il patrimonio delle aziende, per la ricerca e lo sviluppo, e in altro ancora". Beh, che cosa aspettano le multinazionali che hanno tutti questi soldi inutilizzati all'estero a portarli a casa per creare altra ricchezza e uscire ancora più velocemente da una stagione di crisi?

Siamo pronti, annunciarono Chambers e Catz. Ma...c'è sempre un ma in queste storie. Continuate a leggere l'op-ed pubblicato dal Wall Street Journal: "Per le società americane far ritornare a casa questi guadagni significa incorrere in una significativa sanzione: ovvero, pagare una tassa del 35 per cento. Questo vuol dire che le società americane possono, senza tante conseguenze, utilizzare i loro guadagni esteri per investire in qualsiasi Paese del mondo, eccetto che negli Stati Uniti". La legge degli Stati Uniti prevede che i profitti che le società americane fanno all'estero siano tassati solo nel momento in cui vengono portati a casa: fino a che stanno fuori il fisco non li può toccare.

Se quella dell'ottobre scorso fu l'apertura degli amministratori delegati e dei presidenti delle multinazionali made in Usa, mercoledì 15 giugno 2011 si è svolto a Washington un convegno dove una moltitudine di manager ha reso pubblica la proposta che, in via riservata, era stata presentata al presidente Obama e al Segretario al Tesoro Timothy Geithner sotto il nome di "Repatriation Holiday", la festa del rimpatrio. Noi portiamo a casa i soldi che adesso sono nelle casseforti delle nostre società estere diventando così i protagonisti di un nuovo stimolo all'economia e il governo ci regala un bello sconto fiscale. Quanto? Dal teorico 35 per cento, che è la aliquota prevista per la Corporation tax, al 5 per cento, 30 punti in meno, ovvero una montagna di denaro in più a disposizione delle multinazionali.

La Casa Bianca non ha risposto né sì né no. Obama ha detto: "Se ne parla solo quando l'intera materia fiscale sarà affrontata". Ovvero, scordatevi un regalo così grande fino a quando i repubblicani insistono per mantenere in vita gli sconti fiscali a coloro che guadagnano più di 250 mila dollari e rifiutano ogni accordo sui tagli di bilancio e sulla manovra fiscale che servono a porre il governo al riparo di un sicuro default se non si alza il tetto del deficit programmato. E dimenticate ogni Festa del Rimpatrio mentre milioni di americani non hanno lavoro o sono alle prese con seri problemi di bilancio familiare. Sulla scia di Obama si è messo il ministro Geithner.

Ma come, le aziende private offrono una sponda al governo dicendosi pronti a riportare i soldi fermi all'estero per iniettarli nel sistema economico interno e la Casa Bianca non afferra al volo l'occasione? Obama è affetto da cecità ideologica? Eppure si tratta di una montagna di dollari. Molti di più di quelli di cui avevano parlato nel loro articolo Chambers e Catz. All'estero, secondo i dati del Tesoro, ci sono un trilione e mezzo di dollari. Se si scorre un primo, parziale elenco delle società, è come fare l'appello del fior fiore dell'economia americana. La Pfizer e la Merck, giganti della farmaceutica hanno all'estero rispettivamente 48 e 40 miliardi di dollari, Johnson & Johnson 37, Citigroup 32, la Ibm 31, Procter & Gamble 30, PepsiCo 26,6, Hewlett-Packard 21,9, Coca-Cola 20,8, Google 17,5, Bristol-Myers Squibb 16,4, Oracle 13, DuPont 12,6, Apple e Dell 12,3 ciascuna, Intel 11,8, McDonald's 11, Morgan Stanley 5,1 miliardi di dollari.

Quando però l'enfasi della proposta, l'eccitazione della battaglia lobbystica e i fuochi d'artificio dell'elenco di miliardi di dollari in attesa di rientrare si posano come la sabbia dopo una tempesta di vento, le cose appaiono naturalmente un po' diverse. Basta guardare alla storia recente degli Stati Uniti. Senza andare troppo lontano nel tempo, ma fermandosi all'ottobre del 2004. Alla Casa Bianca c'era George W. Bush al quale le grandi corporation fecero la stessa proposta che hanno avanzato oggi a Obama. Condita sempre dalla previsione che il denaro avrebbe finito per creare nuovi posti di lavoro e sarebbe stato massicciamente investito in ricerca e sviluppo e in nuovi impianti. Bush e i suoi ministri, la stessa pattuglia che non ha mosso un dito contro le deviazioni della finanza che hanno portato l'America e il mondo al collasso economico del 2008, applaudirono e si adoperarono perché fosse varata una legge apposita per abbattere l'aliquota fiscale dal teorico 35 per cento all'effettivo 5,25 per cento (in realtà, tra deduzioni, semplificazioni, codicilli vari le società americane pagano una corporate tax che si aggira sul 27 per cento). Una volta approvato il super sconto fiscale, le cose andarono in modo molto differente.

Lo ha raccontato al New York Times Kristin J. Forbes, professoressa di economia alla Sloan School of Mangement del Mit e che ha guidato un gruppo di studio sugli effetti del Repatriation Holiday per conto del National Bureau of Economic Research. Premessa, la professoressa Forbes non è accusabile di partigianeria anti azienda e anti repubblicana, visto che è stata nel Council of Economic Advisers di W. Bush: "Per ogni dollaro riportato a casa, non è stato speso neanche un centesimo in nuovi impianti, ricerca e sviluppo, nuove assunzioni o aumenti di stipendio".

Dunque, una presa in giro in salsa patriottica, quella delle multinazionali. Continuando la lettura del rapporto della Forbes, si scopre che hanno utilizzato il denaro per riacquistare azioni proprie, per distribuire dividendi agli azionisti e per premiare i manager di vertice con bonus in contanti e stock option. C'è chi - è il caso della Merck - ha approfittato del rientro di capitale per ristrutturare l'azienda, licenziare migliaia di lavoratori e tacitare una class action miliardaria di clienti cui era stato venduto un farmaco che aveva creato più problemi che curato malattie.

Visto così, il niet di Obama assume un sapore diverso. Ma in questa storia c'è anche un personaggio che gioca due parti in commedia. E' Jeffrey Immelt, l'amministratore delegato della General Electric, la multinazionale delle multinazionali, la società che paga in assoluto meno tasse di tutti in America grazie a una costante e martellante azione di lobby che consente di ridurre i profitti interni ed esteri con mille cavilli fiscali. Immelt non è solo il numero uno della Ge: a gennaio è stato chiamato da Obama alla testa del Council for Jobs and Competitiveness. E allora ha provato a formulare una proposta intermedia: vuole il Repatriation Holiday, ma sostiene che il denaro che rientra andrebbe utilizzato per creare una grande banca privata specializzata in prestiti finalizzati alle infrastrutture del Paese. La proposta è caduta nel disinteresse generale delle grandi corporation e qualche amministratore delegato si è chiesto se Immelt fosse stato colpito da improvviso statalismo acuto.

Adesso tutto è fermo, l'opinione corrente è che fino alle prossime elezioni presidenziali (novembre 2012) non accadrà nulla. Ma chi ha cominciato questa battaglia non intende per nulla arrendersi. Anzi ha deciso di cominciare a fare sul serio pressione sull'amministrazione. La Cisco Systems ha annunciato il 21 luglio che è pronta a ridurre il personale di 6.500 unità, 4.500 licenziati il resto in pensione anticipata volontaria.

Quanti altri faranno come il ceo John T. Chambers per far cambiare opinione a Barack Obama?

http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/draghi/Cash%20vs%20UST.jpg

domenica 31 luglio 2011

Il nuovo antisemitismo



Uri Avnery אורי אבנרי

http://zope.gush-shalom.org
tradutzioni de Sa Defenza

Il ministro della propaganda nazista, il dottor Joseph Goebbels, chiama il suo capo, Adolf Hitler, dal telefono degli inferi.

"Mein Führer", esclama eccitato. "Notizie dal mondo. Sembra che eravamo sulla strada giusta, dopo tutto. ” L'antisemitismo sta conquistando l'Europa! "
"Bene!" Il Führer dice: "Sarà la fine dei Giudei!"

"Hmmm ... beh ... non esattamente, mein Führer. Sembra che abbiamo scelto i Semiti sbagliati. I nostri eredi, i nuovi nazisti, stanno per annientare gli arabi e tutti gli altri musulmani in Europa. "Poi, con una risatina:" Dopo tutto, ci sono molti più musulmani che ebrei da sterminare. "

"Ma per quanto riguarda gli ebrei?" insiste Hitler .
"Tu non ci crederai: i nuovi nazisti amano Israele, lo Stato ebraico - e Israele li ama!"


L'atrocità commessa questa settimana dal norvegese neo-nazista - è un caso isolato? Estremisti di destra in tutta Europa e negli Stati Uniti stanno già declamando all'unisono: "Egli (Breivik ndr) non appartiene a noi! Lui è solo un individuo solitario con una mente squilibrata! Ci sono pazzi ovunque! (dicono) ” Non si può condannare un intero campo politico per le azioni di una singola persona! "

Suona familiare. Dove abbiamo sentito, prima, parlare così?

Naturalmente, dopo l'assassinio di Yitzhak Rabin.

Non vi è alcun collegamento tra l'omicidio di massa di Oslo e l'assassinio di Tel Aviv. Oh c'è?


"Odio" montaggio immagine di Juan Kalvellido


Durante i mesi che hanno preceduto l'assassinio di Rabin, una campagna di odio crescente è stata orchestrata contro di lui. Quasi tutti i gruppi di destra israeliani erano in competizione tra loro per vedere chi lo demonizzava più efficacemente.

In una dimostrazione, una foto-montaggio di Rabin in uniforme di ufficiale SS era sfilata dentro. Sul balcone che si affaccia questa sulla dimostrazione, Binyamin Netanyahu potrebbe essere stato visto applaudire selvaggiamente, mentre una bara finta di "Rabin" è sfilata sotto. Gruppi religiosi hanno inscenato, una cerimonia cabalistica di stampo medievale in cui Rabin fu condannato a morte. Rabbini anziani hanno preso parte alla campagna. Nessuna voce di destra o religiosa è stata sollevata nell'ambito del macrabo avvertimento.

L'omicidio effettivo è stato infatti svolto da un singolo individuo, Yigal Amir, un ex colono , studente di una università religiosa. Si ritiene generalmente che prima dell'atto si sia consultato con almeno un anziano rabbino. Come Anders Behring Breivik, l'assassino di Oslo, ha progettato il suo gesto con attenzione, per un lungo periodo, e ha giustiziato a sangue freddo. Non aveva complici.

O ne ha avuti? Se non tutti, gli istigatori, chi sono suoi complici? Se non i responsabili demagoghi spudorati, come Netanyahu, che sperava di cavalcare il potere sull'onda dell'odio, paure e pregiudizi?

Come si è scoperto, i loro calcoli sono stati confermati. Meno di un anno dopo l'assassinio di Rabin, Netanyahu giunse al potere. Ora la destra è dirigente in Israele, diventando sempre più radicale, di anno in anno, e, ultimamente, sembra, di settimana in settimana. Vincitori fascisti ora giocano un ruolo di primo piano nella Knesset.

Tutto questo - il risultato di tre colpi sparati da un singolo fanatico, a seguito di parole di cinici demagoghi si sono mostrate mortalmente serie.

L'ultima proposta dei nostri fascisti, direttamente dalla bocca di Avigdor Lieberman, è quello di abrogare il coronamento di Rabin: gli accordi di Oslo. Quindi torniamo a Oslo.

Quando ho sentito la notizia circa l'oltraggio di Oslo, avevo paura che i responsabili potessero essere stati alcuni musulmani pazzi. Le ripercussioni sarebbero state terribili. Infatti, in pochi minuti, un gruppo musulmano stupido già vantava di aver effettuato questa impresa gloriosa. Fortunatamente, l'attuale assassino di massa si è arreso nella scena del crimine.

Lui è il prototipo di un nazista antisemita della nuova ondata. Il suo credo consiste nella supremazia bianca, fondamentalismo cristiano, l'odio per la democrazia e lo sciovinismo europeo, mescolato con un odio virulento dei musulmani.

Di questo credo ora spuntano propaggini in tutta Europa. Piccoli gruppi radicali dell'ultra-destra si stanno trasformando in dinamiche dei partiti politici, prendono posto nei parlamenti e diventano persino kingmakers qua e là. I paesi che sembravano sempre essere modelli di sanità mentale politico improvvisamente producono fascisti sobillatori del tipo più disgustoso, anche peggio del US Tea Party, un altro frutto di questo nuovo Zeitgeist. Avigdor Lieberman è il nostro contributo a questo illustre campionato del mondo (world-wide league) .

Una cosa che quasi tutti questi gruppi di ultra-destra europei e americani hanno in comune è la loro ammirazione per Israele. Nel suo manifesto politico di 1500 pagine , sul quale aveva lavorato per lungo tempo, l'assassino di Oslo ha dedicato un'intera sezione a questo. Ha proposto una alleanza della destra estrema europea e Israeliana. Per lui, Israele è un avamposto della civiltà occidentale nella lotta mortale con il barbaro Islam. (Questa reminiscenza ricorda un pò la promessa di Theodor Herzl (1) che il futuro Stato ebraico sarebbe stato un "avamposto della cultura occidentale contro la barbarie asiatica"?)

Parte dei professi filo-sionisti di questi gruppi islamofobici è, naturalmente, pura finzione, progettata per camuffare il loro carattere neo-nazista .Se amate gli ebrei, o lo Stato ebraico, non si può essere un fascista, giusto? Ci puoi scommettere che potete! Tuttavia, credo che la maggior parte di questa adorazione di Israele è del tutto sincero.
Israeliani di destra , che sono corteggiati da questi gruppi, sostengono che non è colpa loro che tutti questi mercanti di odio sono attratti da loro. Di fronte a esso, è certamente vero. Eppure non si può non chiedersi: perchè sono così attratto? Oppure, in che cosa consiste questa attrazione? Questo non giustifica un certo serio esame di coscienza?

Son venuto a conoscenza della gravità della situazione quando un amico ha attirato la mia attenzione su alcuni blog tedeschi anti-islamici .

Queste effusioni sono copie quasi identiche alle lettere delle diatribe di Joseph Goebbels . La stessa demagogia e slogan. La stessa base di accuse. La stessa demonizzazione. Con una piccola differenza: al posto degli ebrei, questa volta ci sono gli Arabi che stanno minando la civiltà occidentale, una seducente Cristianità, riporta a dominare il mondo. I Protocolli dei Savi di Mecca.

Il giorno dopo gli eventi di Oslo mi è capitato di guardare la TV Al Jazeera del network inglese, uno dei migliori al mondo, e ho visto un programma interessante. Per un'ora intera, il giornalista ha intervistato per strada gente italiana sui musulmani. Le risposte sono state scioccanti.

Le Moschee dovrebbero essere vietate. Sono luoghi dove i musulmani complottano per commettere crimini. In realtà, non hanno bisogno di moschee per tutti - hanno bisogno solo di un tappeto per pregare. I musulmani vengono in Italia per distruggere la cultura italiana. Sono parassiti, diffondono la droga, la criminalità e le malattie. Devono essere buttati fuori, fino all'ultimo uomo, donna e bambino. (ndr probabilmente interviste fatte al nord italia a leghisti)

Ho sempre considerato gli italiani alla mano, gente amabile. Anche durante l'Olocausto, si sono comportati meglio di molti altri popoli europei. Benito Mussolini è diventato un fanatico antisemita solo durante le ultime fasi, quando era diventato totalmente dipendente da Hitler.

Eppure eccoci qui, appena 66 anni dopo che i partigiani italiani hanno impiccato il corpo di Mussolini per i piedi in un luogo pubblico a Milano ( pzl Loreto) - e oggi una forma molto peggiore dell'antisemitismo è dilagante nelle strade italiane, come nella maggior parte [o "molti"? ] di altri paesi europei.

Naturalmente, vi è un problema reale. I musulmani non sono esenti da colpe per la situazione. Il loro comportamento li rende facili bersagli. Come gli ebrei nel loro tempo.

L'Europa è in un dilemma. Hanno bisogno di "stranieri" - e sono tutti musulmani - a lavorare per loro, a mantenere forte la loro economia, e, a pagare le pensioni dei loro anziani. Se tutti i musulmani fossero lasciati andar via domani mattina dall'Europa, il tessuto della società in Germania, Francia, Italia e molti altri paesi sarebbe un dramma, sociale ed economico.

Eppure molti europei sono sconcertati quando vedono questi "stranieri", con le loro strane lingue, manierismi e vestiti che affollano le strade, cambiando il carattere di molti quartieri, aperture di negozi, sposare le loro figlie, in competizione con loro in molti modi. Fa male. Come il ministro tedesco ha detto una volta: "Abbiamo portato qui lavoratori, e ho scoperto che avevamo portato degli esseri umani!"

Si può capire questi europei, fino ad un certo punto. L'immigrazione provoca problemi reali. La migrazione dal Sud povero al ricco Nord è un fenomeno del 21 ° secolo, a causa della disuguaglianza che soffrono le nazioni. Ha bisogno di un'altra politica europea sull'immigrazione, un dialogo con le minoranze e integrazione e multiculturalismo.
Non sarà facile.

Ma questa ondata di islamofobia va ben oltre. Come uno tsunami, può causare devastazione.



Molti dei numerosi partiti e gruppi islamofobici ricordano l'atmosfera della Germania agli inizi del 1920, quando i gruppi e milizie "völkisch" stavano diffondendo il loro veleno odioso, e una spia dell'esercito chiamato Adolf Hitler si era guadagnato allori come oratore antisemita .

Sembravano irrilevanti, marginali, addirittura folli. (i nazisti)
Molti ridevano di questo uomo Hitler , il pagliaccio chapliniana baffuto.

Ma il fallito putsch (colpo di stato) nazista del 1923 è stato seguito da quello del 1933, quando i nazisti presero il potere, e nal 1939, quando Hitler ha iniziato la seconda guerra mondiale, e nel 1942, quando le camere a gas sono stati messe in funzione.

E' dall'inizio che sono critici, quando opportunisti politici si rendono conto che è la paura e suscitare l'odio e il modo più semplice per arrivare di fortuna al potere, quando disadattati sociali diventano fanatici nazionalisti e religiosi, quando si attaccano le minoranze inermi diventa accettabile e la politica lo legittima , quando divertenti uomini si trasformano in mostri.

È che il dottor Goebbels che sento ridere dall'inferno?



Note de Sa Defenza

(1) Theodor Herzl Insieme a Max Nordau, Herzl è il padre del sionismo e il fondatore del Movimento sionista al congresso di Basilea del 1897, in cui venne eletto presidente. Sostenne il diritto degli ebrei di fondare uno stato ebraico, in Palestina o in Uganda (come proposto dagli Inglesi). Questa patria sarebbe dovuta servire per accogliere gli ebrei che avessero voluto o non avessero potuto vivere serenamente nel paese in cui abitavano. (http://it.wikipedia.org/wiki/Theodor_Herzl)

giovedì 28 luglio 2011

Quegli schiaffi del Governo italiota alla Sardinya

maddalena

sardegna24

La Giunta Sarda censura il Governo Italiano dopo la clamorosa vicenda della vendita della Tirrenia, ma già in passato la storia del "Governo amico" si era rivelata una bufala. Ecco un piccolo riassunto delle puntate precedenti.

SASSARI-OLBIA. Lo scippo dei 520 milioni per la 4 corsie

Il 6 marzo del 2009 il Cipe sottrae 520 milioni di euro destinati alla costruzione della quattro corsie Olbia-Sassari. La somma era stata riconosciuta dal governo Prodi tra le opere per il G8 di La Maddalena

G8 BYE BYE. Il governo toglie il summit a La Maddalena

«Ci spiace non avere potuto avvertire il presidente Cappellacci». Con queste parole, il 23 aprile 2009, il presidente del Consiglio annuncia che il vertice sarebbe stato spostato nella città devastata dal terremoto

FERROVIE. L’Isola perde 800 milioni per aggiornare la rete

Dal contratto di servizio per gli investimenti nella rete ferroviaria si scopre che la Sardegna è stata esclusa e le sono stati sottratti circa 800 milioni per interventi tra Olbia, Golfo Aranci, Sassari e San Gavino.

ENTRATE. I quattro miliardi di trasferimenti mancati

La vertenza entrate aveva stabilito trasferimenti Irpef e Iva alla Sardegna per circa 4 miliardi di euro. Ma quei soldi non arrivano, ufficialmente per la mancanza di un regolamento attuativo mai varato

PATTO DI STABILITÀ. Fitto contro il Consiglio regionale

È il mese di febbraio quando il Consiglio vota una legge per estendere dall’ambito locale a quello regionale i parametri sui vincoli di spesa. Il ministro Fitto ricorre contro la normativa alla Consulta

TIRRENIA. Venduta alla Cin all’insaputa della Regione

Lo scorso 24 luglio il Governo, con un colpo di mano inatteso, firma il contratto con la Cin per la vendita di Tirrenia. La giunta regionale viene completamente esclusa dall’accordo e grida allo scippo.

mercoledì 27 luglio 2011

La crisi ideologica del capitalismo occidentale

Joseph E. Stiglitz
Emigrazione Notizie
http://www.project-syndicate.org/commentary/stiglitz140/English

tradutzini de Simona Polverino

Solo qualche anno fa, un’influente ideologia – che sosteneva il libero mercato senza vincoli – portò il mondo alla rovina. Anche nel suo periodo di massimo splendore, cioè dall’inizio degli anni 80 fino al 2007, il capitalismo deregolamentato in stile americano portò enorme benessere materiale solamente alle persone più facoltose dei paesi ricchi del mondo. In realtà, durante la supremazia trentennale di questa ideologia, la maggior parte degli americani ha visto i propri redditi ridursi o stagnarsi anno dopo anno.

La crescita della produzione negli Stati Uniti non è andata di pari passo con la sostenibilità economica. Con un’enorme fetta del reddito nazionale americano riservato a pochi eletti, la crescita poteva persistere solamente puntando su consumi sostenuti da una montagna di debiti.

Ero, io stesso, tra i convinti assertori che la crisi finanziaria avrebbe insegnato agli americani (e non solo) l’esigenza di una maggiore uguaglianza, una regolamentazione più forte e un migliore equilibrio tra mercato e governo. Ma ahimè, le cose non sono andate così. La rinascita di un’economia influenzata dalla destra, spinta come sempre dall’ideologia e da interessi egoistici, minaccia nuovamente l’economia globale – o almeno le economie di Europa e America, dove queste idee continuano a proliferare.

Negli Usa, questa rinascita della destra, i cui sostenitori cercano evidentemente di abrogare le leggi alla base della matematica e dell’economia, ora minaccia di imporre un default sul debito nazionale. Se il Congresso autorizzerà spese che eccedono le entrate, si registrerà un deficit, e questo deficit dovrà essere finanziato. Invece di bilanciare attentamente i benefici di ogni programma di spesa pubblica con un aumento della pressione fiscale volta a finanziare quei benefici, la destra si ostina ad utilizzare metodi eccessivi; non consentire al debito nazionale di crescere impone che le spese siano allineate alle tasse.

Resta però aperta la questione su quali spese abbiano la priorità; se non diamo priorità alle spese destinate a pagare gli interessi sul debito nazionale, il default sarà inevitabile. Inoltre, ridurre le spese in questo momento, nel mezzo di una crisi provocata dall’ideologia del libero mercato, non farebbe che prolungare la fase di contrazione.

Dieci anni fa, in pieno boom economico, gli Usa hanno registrato un surplus talmente ampio che minacciava di eliminare il debito nazionale. I tagli fiscali e le guerre proibitive, una forte recessione e i costi del sistema sanitario alle stelle – alimentati in parte dalla scelta dell’amministrazione Bush di lasciare carta bianca alle case farmaceutiche sulla determinazione dei prezzi, pur trattandosi di denaro pubblico – hanno rapidamente trasformato l’elevato surplus in un deficit record in tempi di pace.

I rimedi per il deficit americano si desumono immediatamente da queste considerazioni: rimettere in sesto l’America stimolando l’economia; porre fine alle irragionevoli guerre; ridurre i costi delle operazioni militari e dei farmaci; e aumentare le tasse, almeno per i ricchi. Ma la destra non farà nulla di tutto ciò, anzi sta già facendo pressioni per ottenere ulteriori sgravi fiscali per le aziende e gli abbienti, oltre ai tagli previsti sugli investimenti e sulla previdenza sociale che mettono in pericolo il futuro dell’economia americana e mandano in frantumi ciò che resta del contratto sociale. Nel frattempo, il settore finanziario americano esercita forti pressioni per svincolarsi dalle regole, così da poter riprendere la precedente e disastrosamente spensierata condotta.

Le cose vanno leggermente meglio in Europa. Mentre la Grecia e altri paesi affrontano la crisi, la medicina quotidiana è semplicemente rappresentata da un mix di vecchia austerity e privatizzazione, che sortirà solo l’effetto di impoverire e rendere vulnerabili i paesi coinvolti. Questa soluzione non ha funzionato in Asia orientale, in America Latina e in altre regioni, e non funzionerà nemmeno questa volta in Europa. In realtà ha già dato esiti fallimentari in Irlanda, Lituania e Grecia.

Esiste un’alternativa: una strategia di crescita economica appoggiata dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. La crescita infonderebbe fiducia circa la possibilità che la Grecia ripaghi i propri debiti, facendo crollare i tassi di interesse e dando maggiore spazio al fisco per dar vita ad ulteriori investimenti volti a rilanciare la crescita. La crescita stessa aumenta il gettito fiscale e riduce la necessità di ricorrere alle spese sociali, come i sussidi per la disoccupazione. E la fiducia generata da questa situazione porta ulteriore crescita.

Malauguratamente, i mercati finanziari e le economie di destra hanno sostenuto l’esatto contrario: credono che l’austerità produca fiducia, e che questa fiducia produca crescita. Ma l’austerità mina la crescita, peggiorando la posizione fiscale del governo, o comunque ottenendo minori miglioramenti di quanto promettano i fautori dell’austerity. In entrambi i casi, la fiducia ne risente, e si mette in moto una spirale al ribasso.

Abbiamo davvero bisogno di un altro esperimento così costoso che abbraccia idee già fallite ripetutamente? No, ma sembra che nonostante tutto dovremo sopportarne un altro. L’eventualità che l’Europa oppure gli Usa non riescano a ritornare a un livello di crescita robusta potrebbe avere ripercussioni negative sull’economia globale. L’eventuale fallimento di entrambi i sistemi sarebbe disastroso – anche se i principali paesi emergenti hanno raggiunto un livello di crescita sostenibile. Sfortunatamente, a meno che a prevalere non sia la saggezza, il mondo punta dritto verso questo baratro.

tlaxcala

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