domenica 4 settembre 2011

Quando l’Europa ha svoltato a destra

Bengt-Aake Lundvall*

ilmanifesto

Aprendo il dibattito su “La rotta d’Europa” aperta da il manifesto, Sbilanciamoci.info e openDemocracy.net, Rossana Rossanda ha chiesto agli economisti e ad altri una valutazione della crisi dell’euro e dell’Unione economica e monetaria (Uem). Mario Pianta e Donatella della Porta hanno dato le loro risposte e io sono d’accordo con le loro tesi di fondo. Pianta ha ragione nel sottolineare che la crescente diseguaglianza economica e il dogma neoliberale hanno contribuito alla crisi presente. E Donatella della Porta ha ragione a indicare nella mancanza di legittimazione democratica uno dei problemi più grossi della situazione attuale, in cui l’integrazione europea è spinta dalla necessità di evitare una crisi economica mondiale. Vorrei mostrare come la forma e profondità di tale crisi rivelino la debolezza di fondo dei percorsi intrapresi dall’integrazione europea. La Strategia di Lisbona lanciata nel 2000 è stata dirottata a metà strada verso una via

neoliberale, e ora la Strategia Europa 2020 continua sul binario sbagliato. Tali iniziative non hanno costruito le fondamenta necessarie per l’Uem. E l’Unione monetaria, pensata per proteggere i paesi membri dall’instabilità economica, è diventata essa stessa una fonte d’instabilità per tutto il mondo. Se la Uem è stata una costruzione sbagliata fin dall’inizio, ora è estremamente pericoloso lasciarla disintegrare. Nonostante la retorica che addossa tutte le colpe ai governi degli stati, i leader nazionali potrebbero essere costretti a portare l’Europa verso una federazione, non perché questo faccia parte della loro visione, ma perché devono evitare una depressione globale. Si tratta di scelte difficili che che si scontreranno con il populismo nazionalista di un’Europa senza una visione democratica radicata e comune che vada al di là del mercato unico.

Da Lisbona a Europa 2020

I contesti internazionali del 2000 e del 2010 erano profondamente diversi. Negli anni ‘90, quando fu lanciata la Strategia di Lisbona, l’occupazione e i tassi di crescita negli Usa erano più alti che in Europa, e l’ipotesi più diffusa era che questo fosse il risultato della ‘nuova economia’ americana, fondata su mercati meno regolati, più attività imprenditoriali e maggiori investimenti nel capitale della conoscenza. Si pensava che in Europa la crescita fosse ostacolata dalla ‘rigidità’ soprattutto del mercato del lavoro, e dallo scarso investimento in ricerca. La strategia Europa 2020 viene introdotta in un contesto tutto diverso, in cui gli Usa come l’Europa soffrono le conseguenze della crisi finanziaria, la crisi ecologica è diventata una priorità e la concorrenza più temibile viene dalla Cina e dall’India più che dagli Usa.

Queste differenze di modalità e contesto si riflettono nel contenuto della nuova strategia. Nella Strategia di Lisbona la Ue si proponeva un nuovo obiettivo strategico:diventare l’economia più competitiva e dinamica basata sulla conoscenza, capace di una crescita economica sostenibile con maggiore e migliore occupazione e una più grande coesione sociale’. Quel traguardo richiedeva di ‘preparare la transizione verso un’economia e una società basate sulla conoscenza, attraverso politiche migliori per la società dell’informazione e la ricerca e sviluppo (R&S), accelerando riforme strutturali per la competitività e l’innovazione, completando il mercato unico, modernizzando il modello sociale europeo, investendo sulle persone e combattendo l’esclusione sociale; sostenendo buone prospettive economiche e crescita, applicando un insieme appropriato di politiche macroeconomiche’.

Ora la nuova strategia Europa 2020 sottolinea tre priorità: “crescita intelligente”: sviluppo di un’economia basata su conoscenza e innovazione; “crescita sostenibile: promozione di un’economia più efficiente rispetto alle risorse, più verde e più competitiva”; “crescita inclusiva’: sostenere un’economia ad alta occupazione che produca coesione sociale e territoriale”. C’è una differenza di fondo che va sottolineata: le ambizioni si sono decisamente ridimensionate. Nella strategia Europa 2020 non si promette che l’Europa diventerà la regione più competitiva del mondo e si riconosce che la crisi economica ha avuto un forte impatto negativo su occupazione e reddito.

Quando l’Europa è andata a destra

Nell’orientamento generale delle due strategie esiste una continuità, ma si è verificato un cambiamento delle priorità a qualche anno dalla strategia di Lisbona, con un indebolimento della dimensione sociale e una maggiore attenzione a crescita e occupazione. E’ avvenuto con la valutazione di medio termine 2004-05, in cui si sosteneva che la strategia era ‘troppo complessa’, con troppi obiettivi. Motivo per cui sarebbe stato necessario concentrare tutti gli sforzi su occupazione e crescita economica. Un cambiamento che rifletteva quello del panorama politico europeo, con i governi socialdemocratici che erano stati sostituiti da governi molto più a destra.

Tale cambiamento ha ridimensionato l’obiettivo, passando da ‘maggiore e migliore occupazione’ a ‘maggiore occupazione’ e basta, ponendo l’accento sulla ‘flessisicurezza’ ma con un’attenzione esclusiva per l’elemento flessibilità. Con le nuove priorità, il concetto di coesione sociale viene inteso in modo restrittivo e tradotto in obiettivi rivolti alla riduzione della povertà. Va notato come la ‘maggiore e migliore occupazione’ sia diventata, nell’introduzione alla strategia Europa 2020, un più vago maggiore occupazione e vite migliori’.

Se la prospettiva generale della strategia di Lisbona, e in particolare l’attenzione alla coesione sociale e alla società basata sulla conoscenza, andavano nella direzione giusta, i politici che dovevano realizzarla hanno visto la ‘coesione sociale’ come un peso per l’Europa piuttosto che come il fondamento necessario per un’economia basata sulla conoscenza. Di conseguenza l’attuazione si è fatta sempre più squilibrata, dominata dall’interpretazione neoliberale delle ‘riforme strutturali’ e dalla flessibilizzazione.

La strategia di Lisbona come sostegno alla Uem

Fin dal principio (1996), la Strategia europea per l’occupazione venne presentata come un complemento necessario per l’Unione monetaria europea. La stessa cosa si può dire della strategia successiva, quella di Lisbona. Quando fu istituita la Uem, molte voci avvertirono che un’unione monetaria senza politica fiscale comune sarebbe stata vulnerabile da attacchi esterni. Il bilancio totale della Ue è solo una piccola percentuale del Pil e non può avere lo stesso ruolo di stabilizzatore automatico che ha il bilancio federale Usa. Questo era particolarmente problematico per un’unione valutaria che metteva insieme paesi a livelli molto diversi di sviluppo economico. La Strategia di Lisbona si può vedere come un tentativo di compensare questa fondamentale debolezza dell’Unione monetaria.

Sono state date due interpretazioni contrapposte del perché la Strategia di Lisbona potesse funzionare come sostegno all’Uem. L’interpretazione neoliberale era che il coordinamento delle politiche avrebbe dovuto rendere più flessibili i mercati del lavoro dell’Europa meridionale, in modo che gli eventuali choc esterni venissero assorbiti attraverso un’immediata riduzione dei salari reali. L’interpretazione neo-riformista era che le regioni meridionali meno sviluppate sarebbero state aiutate ad allinearsi al Nord grazie agli ambiziosi investimenti nella loro base di conoscenze.

Se la strategia di Lisbona fosse riuscita a ridurre le disuguaglianze regionali all’interno della Uem migliorando conoscenze e struttura industriale del Sud dell’Europa – puntando a un’occupazione di qualità, meno esposta alla concorrenza mondiale - l’attuale crisi della Uem forse non sarebbe stata così drammatica. Non è un caso che i paesi oggi esposti alla speculazione finanziaria siano quelli che hanno la struttura industriale più debole e la maggior quota di posti di lavoro direttamente esposti alla concorrenza delle economie emergenti.

Questo avrebbe richiesto maggiore, non minore, attenzione alla coesione regionale e sociale, e riforme dei mercati del lavoro e dei sistemi scolastici volte a migliorare le competenze e l’organizzazione del lavoro, così come gandi investimenti nelle infrastrutture cuturali. Ma l’agenda di Lisbona si è andata orientando sempre più verso la strada neoliberale. La situazione attuale mostra che questo spostamento a destra non solo è stato inadeguato, ma ha finito per creare una struttura istituzionale distorta, che ora minaccia di far crollare non solo le economie europee, ma anche quella mondiale.

L’ombra della crisi mondiale

La crisi dell’euro va vista nel più ampio contesto della globalizzazione dei mercati finanziari, che ha reso più esporte le economie più piccole e ha ridotto le possibilità di una politica economica autonoma da parte dei governi. Nella prospettiva globale tutti i paesi europei sono “piccoli”; quelli grandi – Usa, Giappone e Cina - sono meno vulnerabili dalla speculazione finanziaria, ma diventano anche loro sempre più “piccoli” nel senso che si vanno riducendo i margini di quello che possono fare come politica economica autonoma.

L’Unione economica e monetaria può essere vista come il tentativo di trasformare l’Europa in un paese “grande”, proteggendo i piccoli paesi europei e rendendoli più capaci di superare crisi e speculazioni esterne. Ma si tratta di un tentativo fallito che ha dato ragione a quanti sostenevano che era poco saggio creare un’unione valutaria in assenza di unione fiscale. La Grecia, il Portogallo, la Spagna, l’Italia e più di recente anche la Francia hanno visto la speculazione finanziaria aumentare i costi del debito pubblico. C’è ora il rischio reale di uno scenario che vede uno o più di questi paesi che fanno bancarotta, un conseguente crollo delle grandi banche e una crisi finanziaria generale, che porta a una depressione mondiale.

Il timore che l’economia nazionale finisca sotto il tiro della speculazione finanziaria costringe i governi nazionali a tagliare i bilanci e stimolare gli investimenti privati abbassando le tasse sui ricchi e sulle imprese. Questo è anche il tipo di risposta auspicato con forza dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma gli sforzi per rafforzare la ‘competitività internazionale’ dei singoli paesi hanno un impatto negativo sulla domanda a livello globale. Se possono essere ritenuti utili per limitare l’esposizione delle singole economie, accentuano però la possibilità di uno tsunami finanziario.

Sembra impossibile che i leader europei vogliano riformare una delle fonti principali dell’instabilità: il modo in cui operano i mercati finanziari nel breve termine. Quali sono allora le alternative? Per i governi è essenziale evitare che la crisi dell’euro produca l’insolvenza di uno dei paesi membri. Una delle proposte è quella di istituire obbligazioni europee (gli eurobond) il cui valore sia garantito insieme da un gruppo di paesi. Sarebbe un primo passo verso la trasformazione dell’Europa in senso federale. Ma se il bisogno di ‘più Europa’ è acuto quando si tratta di costruire barriere contro uno spaventoso tsunami finanziario, la sensazione della crisi ridà fiato ai sentimenti nazionalistici e rafforza gli schieramenti politici che si oppongono a politiche di solidarietà internazionale.

Le strade possibili

La maggior parte delle priorità definite dalla strategia Europa 2020 sono risposte rilevanti alle sfide che l’Europa si trova oggi ad affrontare, ma non rappresentano nel breve termine una protezione di fronte a uno tsunami finanziario. La Strategia di Lisbona può essere vista come il tentativo di creare una convergenza istituzionale e politica in Europa con lo scopo di costruire un’unione forte e coesa, fondata sul principio di solidarietà. Ma l’approccio realizzato, con l’accento sulle ‘buone pratiche’, e la valutazione dei risultati delle politiche nelle diverse aree (benchmarking) è stato del tutto tecnocratico, incapace di suscitare un’adesione popolare al progetto europeo. Perché i cittadini europei si mobilitino per il progetto-Europa ci vuole una visione capace di andare oltre il mercato unico.

In un testo importante, scritto in occasione del convegno “L’identità europea in un’economia globale” in preparazione del Summit di Lisbona sotto la presidenza portoghese, Manuel Castells avveva sostenuto la necessità di una “comune identità europea in base alla quale i cittadini in tutta Europa possano condividere i problemi e cercarne insieme la soluzione”. Dopo aver scartato cultura e religione, Castells aveva individuato “i sentimenti condivisi sulla necessità di una protezione sociale universale delle condizioni di vita, la solidarietà sociale, un lavoro stabile, i diritti dei lavoratori, i diritti umani universali, la preoccupazione per i poveri del mondo, l’estensione della democrazia a tutti i livelli” Se le istituzioni europee dovessero promuovere quei valori, diceva, forse “il progetto identità” potrebbe crescere.

Per mobilitare il sostegno popolare e ricostruire l’Uem è necessario ridefinirla in modo che

riconosca la ‘dimensione sociale’, trasformandola in una Unione economica e sociale (Ues). Questo dovrebbe andare di pari passo con riforme dei processi decisionali capaci di unire in modi nuovi partecipazione democratica ed efficienza. C’è bisogno di una svolta nel paradigma delle politiche, che trasformi il timore dell’intervento statale e la fede nei mercati in una prospettiva in cui i governi possano assumersi i compiti necessari a promuovere una solida crescita economica. Questo richiede una regolamentazione internazionale molto più severa dei mercati finanziari. Ma soprattutto richiede di ridisegnare le istituzioni e le politiche di settore, con la consapevolezza della fase nuova che stiamo attraversando in cui la conoscenza è la maggiore risorsa e l’apprendimento è il processo più importante.

Ma il tempo stringe, ed è probabile che assisteremo a piccoli e riluttanti passi dei leader europei verso una politica fiscale comune, passi che verranno fatti senza sostegno popolare e con scarso coinvolgimento delle istituzioni. L’argomentazione dei leader europei - in cui presentano ciascuna riforma come fatta in nome della Grecia, del Portogallo, della Spagna etc., e non per salvare la loro economia dalla depressione – non è di alcun aiuto. Se nella loro marcia esitante dovessero inciampare, è possibile che cadremo nella prima depressione economica dopo gli anni Trenta.





*Bengt-Åke Lundvall ha scritto il primo manuale di economia marxista in Svezia negli anni ’70 ed è stato vice-direttore dell’Ocse nel 1992-95. Ha partecipato alla preparazione della Stategia di Lisbone della Ue. E’ professore alla Aalborg University in Danimarca e a Sciences Po a Parigi. E’ noto per i suoi lavori sull’economia dell’apprendimento e sui sistemi innovativi.

Questa è una crisi morale


di Orazio Licandro
ilfattoquotidiano



Italiani terrorizzati, manovra lacrime e sangue, attacco ai diritti, alle pensioni, ai servizi… Insomma un caos inaccettabile, e grottescamente c’è chi si appassiona alla legge elettorale per un bipolarismo maturo o chi dopo un protagonismo esagerato e reiterati appelli alla concordia tace. Non si sa cosa accadrà, quali misure adotterà questo governo e quale dibattito parlamentare ne verrà fuori, e soprattutto quali conseguenze deriveranno.

Allora, poiché è insopportabile il gioco della critica senza proposte, mi permetto di indicarne qualcuna con cifre tratte dai rapporti in mano a tutte le istituzioni:

* 120 miliardi di euro di evasione fiscale;
* 24 miliardi di euro di spese militari;

* 44 miliardi di euro di sostegno alle imprese;
* 60 miliardi di euro di costo della corruzione e del malaffare;

* 135 miliardi di euro di fatturato 2010 della Mafia Spa.


Totale: 383 miliardi di euro.


Appena un quarto di questo totale è circa il doppio della cosiddetta manovra anticrisi che però devasterà l’Italia e gli italiani. Si tratta di indicazioni semplici, che non meriterebbero nessun dibattito e non dovrebbero procurare nessun distinguo tra forze politiche, eppure non si intende prendere in considerazione, se non a chiacchiere, queste voci. Perché? Perché le grandi autorità morali e politiche di ciò che resta di questo Paese cincischiano? Possibile che in ciò che residua della classe dirigente non sia maturata la consapevolezza di riporre ipocrisia, opportunismi e tatticismi?

Sul Fatto Quotidiano oggi in edicola è stata pubblicata una lettera aperta dei partecipanti al 69° Corso di studi cristiani organizzato dalla Cittadella di Assisi, che rivolgono al presidente della Repubblica (e per conoscenza ai presidenti dei due rami del Parlamento) un appello per salvare il patrimonio storico e paesaggistico dalla svendita ai privati, dagli abusi edilizi e dalla cementificazione.

Condivido e sottoscrivo quest’appello, come condivido pienamente il lucido monito lasciatoci da José Saramago quattro giorni prima della morte. Dinanzi alla moglie e agli amici più fidati quella sera affermò: “Non viviamo una crisi economica, è una crisi morale, per questo sarà tanto più difficile uscirne“.

Sì, Saramago, un grande intellettuale che ci mancherà, aveva proprio ragione: la nostra è innanzitutto una crisi morale e se non si imbocca subito la strada giusta a pagare saranno sempre i più deboli, mentre privilegi e diseguaglianze cresceranno a dismisura. Parli presidente, parli!

venerdì 2 settembre 2011

Altra vittoria per il BDS: Veolia in crisi finanziaria

Emma Mancini
alternativenews.org

“Veolia paga il prezzo del sostegno alla politica israeliana di occupazione e apartheid contro il popolo palestinese”. Le parole di Jamal Juma, coordinatore di Stop the Wall riassumono la nuova vittoria della campagna globale per il boicottaggio di Israele: la multinazionale francese Veolia ha annunciato la perdita di 67,2 milioni di dollari.

boicottaggio israele


Vignetta di Latuff per la campagna globale BDS (Fonte www.bdsmovement.net)



Il BDS, Boycott, Divestment and Sanctions, campagna mondiale per il boicottaggio economico, culturale e accademico dello Stato di Israele, ha da tempo come target la compagnia di gestione delle risorse idriche e dei rifiuti, colpevole di intrattenere stretti rapporti commerciali con Tel Aviv. La perdita milionaria che ha colpito Veolia si aggiunge alla decisione della settimana scorsa del Comune di Londra di non confermare un contratto precedentemente firmato con la multinazionale. Un contratto che avrebbe fatto entrare nelle case di Veolia circa 300 milioni di dollari nei prossimi quindici anni per la gestione dei rifiuti domestici, della pulizia delle strade e degli spazi pubblici a Ealing, quartiere Ovest di Londra.



“La perdita del contratto, che segue al fallimento di altri numerosi e importanti accordi in Gran Bretagna, Irlanda e nel resto del mondo, è il chiaro segno che Veolia paga lo scotto della sua complicità con l’occupazione israeliana e la violazione del diritto internazionale”, ha detto Sarah Colborne, direttrice della Palestine Solidarity Campaign. Tra i progetti seguiti da Veolia in Palestina, la costruzione del tram in superficie che collega Gerusalemme agli insediamenti illegali nei Territori Palestinesi Occupati poco fuori dalla città.



Un punto a favore del BDS, che recentemente aveva festeggiato un’altra importante vittoria: la compagnia agricola israeliana Agrexco, da tempo nel mirino della campagna di boicottaggio, si è ritrovata in tribunale a Tel Aviv per bancarotta. Una bancarotta che i dirigenti di Agrexco hanno imputato alla crisi economica globale, ma che il comitato nazionale palestinese del BDS attribuisce invece alle forti pressioni interne ed esterne contro la società.


treno veolia gerusalemme


Il nuovo tram costruito da Veolia a Gerusalemme per connettere la città alle colonie illegali in Cisgiordania



Cos’è il BDS. Il movimento globale Boycott, Divestment and Sanctions contro Israele è nato all’interno della società civile palestinese nel 2005 ed è coordinato dal Palestinian BDS National Committee, creato nel 2007. La campagna del BDS ha come obiettivo una presa di coscienza globale che spinga opinioni pubbliche e società civili straniere a giocare un ruolo di primo piano nella lotta palestinese per la giustizia e la liberazione. Nel BDS sono coinvolti oltre 170 gruppi palestinesi, tra partiti politici, organizzazioni, movimenti e sindacati.



Il Boycott ha come target prodotti e compagnie israeliane e internazionali che traggono profitto dalla violazione dei diritti umani dei palestinesi e allo stesso modo prende di mira istituzioni sportive, culturali e accademiche. Tutti possono boicottare i beni israeliani, semplicemente controllando al momento dell’acquisto che non siano prodotti in Israele o da compagnie israeliane (beni identificati con il numero 729 all’inizio del codice a barre). Il BDS invita i consumatori a non comprare beni israeliani e i commercianti a non venderne.



Obiettivo del boicottaggio sono anche le istituzioni culturali ed accademiche israeliane che contribuiscono a mantenere, difendere e sostenere l’oppressione contro il popolo palestinese, e allo stesso tempo che tentano di mostrare un’immagine pulita di Israele a livello internazionale attraverso collaborazioni accademiche e culturali. Grazie alla campagna BDS, sta aumentando il numero di artisti che rifiuta di esibirsi in Israele e il numero di università che non accettano collaborazioni con quelle israeliane.



Il Divestment ha come target le compagnie che si rendono complici della violazione dei diritti dei palestinesi. La campagna globale compie pressioni sulle società e sui potenziali acquirenti, pubblici e privati, perché non sostengano economicamente la politica di apartheid israeliana, ma al contrario utilizzino il loro potere economico per costringere Israele a porre fine all’occupazione.



Sanctions sarà il passo successivo, lo strumento essenziale per dimostrare disapprovazione a livello globale alle politiche israeliane. La partecipazione di Israele a numerosi forum diplomatici ed economici mondiali fornisce a Tel Aviv un’aurea immeritata di rispettabilità e di conseguenza di accondiscendenza ai suoi crimini. Chiamando a sanzioni contro Israele, il BDS vuole educare la società contro la violazione sistematica del diritto internazionale e chiedere al resto del mondo di non rendersi più complice di tali crimini.


Per ulteriori informazioni: www.bdsmovement.net

mercoledì 31 agosto 2011

Quasi la metà dei bambini che vivono nella regione di Fukushima hanno iodio radioattivo nelle loro ghiandole tiroidee

Natural News
Jonathan Benson
tradutzioni de Sa Defenza

thyroid

Un anonimo funzionario del governo giapponese è recentemente venuto a conoscenza di sorprendenti risultati di test condotti sui bambini irradiati a Fukushima poco dopo il disastroso terremoto e lo tsunami che ha colpito l'impianto nucleare di Fukushima Daiichi. Secondo www.dawn.com il funzionario ha rivelato che il 45 per cento dei bambini esaminati avevano iodio radioattivo presente nelle loro ghiandole tiroidee.

Il governo giapponese sul problema nucleare ha improntato una task force su l'incidente ed ha testato 1.149 bambini di 15 anni e più giovani, solo poche settimane dopo gli eventi del 11 marzo. 1.080 di questi test sono stati confermati per essere validi, 482 di loro, che rappresentano 44,6 per cento dei bambini, ha confermato la presenza di iodio radioattivo a danno delle loro ghiandole tiroidee.

La ghiandola tiroidea, che si trova nella parte anteriore del collo, appena sotto la laringe, è responsabile della regolazione del metabolismo del corpo, che produce gli ormoni necessari per tutti i tessuti del corpo, aumenta la sintesi delle proteine, che regolano il consumo di ossigeno da parte delle cellule, e il bilanciamento di calcio.

Questa importante ghiandola , che è stato progettato per l'assorbimento del nutriente, nella versione di iodio minerale, è in grado anche di assorbire iodio radioattivo mortale e le altre sostanze chimiche tossiche come il fluoruro. In questo caso, la tiroide non è in grado di funzionare correttamente, e la produzione di ormoni viene alterata o inibita. Il risultato finale è lo sviluppo potenziale di una vasta gamma di malattie.

Interrogato dai numerosi partecipanti, alla conferenza stampa, sul perché ci sia ​​voluto tanto tempo per rilasciare i risultati del test, l'agente "anonimo" ha risposto che presumibilmente i livelli di iodio radioattivo erano al di sotto della soglia limite posta dal governo di 0,2 microsieverts (mSv), e quindi non era considerata una minaccia per la salute.

Lo iodio radioattivo viene effettivamente utilizzata come trattamento per l'ipertiroidismo, noto anche come tiroide iperattiva, al fine di rallentare la funzionalità della ghiandola tiroidea. Ripetute o sovraesposizioni allo iodio radioattivo può portare al cancro della tiroide, che a sua volta è in grado di distruggere completamente la ghiandola, se non curata.




domenica 28 agosto 2011

La Cina governa le terre rare

Riteniamo di grande interesse guardare e diffondere tra i nostri amici quanto accade intorno ai minerali rari che sono la base delle nuove e attuali tecnologie.....
Sa Defenza




Pepe Escobar
http://www.rebelion.org/

tradutzioni de Sa Defenza



L'Asia è al centro dello sviluppo inevitabilmente portare il nostro mondo digitale: le guerre future minerales.El dal computer che si utilizza quando leggendo questo articolo come parte di una guerra mondiale.

Guerre per il petrolio? Guerre per l'acqua? Certo, continuano a definire la geopolitica dei primi anni del ventunesimo secolo. Tuttavia, in termini di alta tecnologia, niente può essere paragonato alle prossime guerre di minerali. E il nome del gioco è terre rare.

L'Asia è il territorio dei minerali delle terre rare che hanno permesso la rivoluzione digitale ha avuto luogo, e fare che la tecnologia verde è una realtà. La Cina non controlla meno del 95% della produzione mondiale di terre rare.

Il carattere fondamentale in questo gioco di alto rischio è Baotou Acciaio Rare Earth (Group) Co. Hi-tech, Mongolia Interna, il più grande produttore al mondo di elementi delle terre rare.

La Cina ha imposto quote di esportazione di elementi di terre rare per tre anni per rafforzare la loro industrie high-tech. Il piano di base è lo sviluppo di sofisticate tecniche di fusione Cina per terre rare, invece di limitarsi a vendere materie prime. Quando si raggiunge questa fase, le azioni della Terra Baotou acciaio rari sul mercato azionario di Shanghai salirà vertiginosamente e inarrestabile.


Una piccola parte del modello in scala della zona di sviluppo di Terra Baotou Rare nella Mongolia Interna, in Cina, dove 200.000 persone lavorano dice


Grande Cina, tra cui Taiwan, è il più grande produttore al mondo e assemblatore di microchip, computer e apparecchiature di rete, l'anima di Internet.

Pertanto, questo processo può essere visto come un altro capitolo della rinascita asiatica del capitalismo globale, lo sviluppo globale positivo negli ultimi tre decenni (e ci sono stati molti).

- Ossido complesso di niobio e tantalio contenente ferro e manganese.
- Campione 520 xxa (radioattivo: 1,097 cps - 0,548 microSv/h).
- Località: Piano del Lavonchio, Craveggia, Val Vigezzo, Val d'Ossola, Piemonte.
- Ritrovamento (15/07/1975), collezione e foto (Copyright): Dr. Edoardo Pone.
- Licenze CC: Attribuzione, Non opere derivate, Non commerciale.
- Sito web: http://cristalli.ponesoft.it/

Ho e userò niobio

Cina, Giappone, Corea del Sud, oltre a Germania, Stati Uniti, Russia e Francia, tutti in prima linea delle nuove tecnologie, sono profondamente coinvolti nella 'Grande Gioco' di minerali.
La maggior parte della popolazione mondiale non troverà un collegamento tra Samsung e il Salar de Uyuni, il deserto di sale spettacolare nel sud della Bolivia. Tuttavia, accade che la Bolivia ha enormi quantità di litio.

Non sorprende che la visita del presidente Evo Morales a Seoul, Corea del Sud srotolare un tappeto rosso di lusso. Dopo tutto, Samsung, Hyundai, LG e altri giganti industriali della Corea del Sud sanno che l'accesso illimitato al litio è essenziale per il controllo del mercato globale per le batterie notebook, telefoni cellulari e auto elettriche. Seoul è profondamente coinvolto in una strategia di investimento per assicurare un accesso disinibito alle terre rare.

Praticamente tutti gli Stati Uniti l'elettronica avanzata dipende dalle terre rare. Alla fine dell'anno scorso, il Dipartimento dell'Energia elencato i cinque metalli rari "chiave", la più importante per la produzione di energia pulita, disprosio, neodimio, terbio, europio e ittrio. Tutti sono essenziali per la produzione di veicoli ibridi e fibra ottica, per esempio.
http://www.bambini-news.it/wp-content/uploads/2010/11/tavola_periodica_elementi.gif

La tavola periodica delle terre rare


Entro il 2025, gli Stati Uniti dipendono essenzialmente alla Cina di accedere a questi metalli delle terre rare. In queste circostanze, quali possibilità ci sono? Ci sono tre possibilità: sviluppare sostituzioni, aumentare il riciclaggio o aumentare la produzione locale di terre rare, per esempio, investendo 500 milioni di dollari una miniera gigante in California.

Dal punto di vista del Pentagono, i metalli delle terre rare sono il più decisivo e sul quale il vasto degli Stati Uniti complesso militare-industriale per motori aerei e missili. Ancora una volta, l'unico fornitore globale è la Cina.



La miniera a cielo aperto in Mountain Pass (passo di montagna) in California, USA. UU., Molycorp proprietà della società, una volta fornito la maggior parte delle terre rare. E 'attualmente in una fase di espansione e modernizzazione.


La Commissione europea (CE) ha una propria lista di minerali della massima importanza, che comprende il cobalto (usato nelle batterie per telefoni cellulari), palladio (per la dissalazione), magnesio (utilizzato nelle raffinerie e acciaierie); la fluorite (per la chimica) e niobio (92% della produzione globale concentrata in Brasile).

Il mito di mercati aperti e non si applica alle principali risorse naturali. La Cina impone il trend imponendo quote di esportazione per le terre rare. Attualmente, gli stati stanno lottando duramente per cercare di diversificare i suoi fornitori, come ad esempio quando i sudcoreani Woo boliviani.

I giapponesi, per esempio, sapendo che il litio, tantalio, il germanio, e ciascuno dei diciassette minerali delle terre rare sono essenziali per la fascia alta di elettronica per l'uso quotidiano, auto ibride e le industrie di precisione, sono preoccupati per la idea di un monopolio cinese.

Pertanto, i giapponesi hanno intrapreso un viaggio turbolento globale, dal Vietnam al Sud Africa, Tanzania in Kazakistan per diversificare l'accesso e garantire il loro approvvigionamento, prima che la Corea del Sud o anche della Cina raggiungere proprio loro.

Digital messaggio Benvenuti nel mondo in cui la politica estera non è dettato dalla necessità di petrolio e gas, ma cobalto, litio e niobio.

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