mercoledì 31 luglio 2013

SA PROVOCATZIONI ITALIOTA APITZUS DE IS CARTELUS IN BILINGUAS: Segnali di inizio e fine centro abitato in dialetto/bilingue

Sa litera c'at arriciu su comunu de Santu Sparau in provintzia de Castedhu

Assòtziu de Istudentes - Su Majolu


Publicamus sa lìtera chi su ministeru pro sas infrastruturas at mandadu A sos 

comunos de Sardinya, A sas Provìntzias de Sardinya, A s'ANAS de Casteddu, 

E p. c. A sas Prefeturas de Casteddu, Nùgoro, Tàtari e Aristanis. Custa lìtera est

arrivada a su comunu de Santu Sparau (CA)


"Oggetto: Segnali di inizio e fine centro abitato in dialetto/bilingue:


 CHIARIMENTI. Lo scrivente ufficio durante i numerosi sopraluoghi che svolge

 all'interno del territorio regionale ha riscontrato l'utilizzo diffuso della 

segnaletica di delimitazione del centro abitato in doppia lingua. Sebbene la 1° e 

la 12° Direttiva "sulla corretta e uniforme applicazione delle norme del Codice 

della Strada" avessero già fornito chiarimenti sull'utilizzo di tale segnaletica, lo 

Scrivente, con l'obbiettivo di rappresentare le peculiarità della Regione sarda in 

tema di toponomastica, ha formulato il quesito alla competente Direzione 

Generale della Sicurezza Stradale. Nella nota Ministeriale allegata la D.G. ha 

precisato come tale utilizzo sia ammesso esclusivamente ai sensi dell'art. 125 c. 

6 del Regolamento e dove gli accordi internazionali ammettono la possibilità di 

riportare in massimo due lingue ufficialmente riconosciute per facilitare l'utenza 

stradale di altre nazioni, non ammettendo tale deroga per le forme dialettali. 

L'unica eccezione prevista dall' art. 37 comma 2 bis del Codice della Strada e 

successive modifiche da la possibilità agli enti a cui spetta l'apposizione e la 

manutenzione della segnaletica stradale , nei segnali di localizzazione 

territoriale del confine del comune di utilizzare lingue regionali o idiomi locali in 

aggiunta alla lingua italiana. Tali segnali (art. 134, comma 4, del Regolamento 

di Esecuzione del Codice della Strada) sono segnali a sfondo marrone e di 

dimensioni ridotte. Si invitano pertanto i suddetti Enti in indirizzo ad intervenire 

nel proprio ambito di competenza ai fini della corretta applicazione del 

Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada e successive modifiche. Si 

rimane a disposizione per ogni ulteriore chiarimento."

In pràtica su chi est nende su Ministeru italianu est chi sa limba sarda est una 

"forma dialettale", una "lingua regionale o idioma locale", est a nàrrere unu 

limbàgiu italianu che a su napolitanu e a su milanesu. Pro custa resone narat 

chi non si podet impreare in sos cartellos de sa segnalètica in sas intradas de 

sas biddas (su prus de sos cartellos bilìngues in Sardinya sunt de custu tipu), 

ma podent èssere postos (paris cun su cartellu in italianu) petzi in sos 

istradones pro inditare sa làcana de su territòriu comunale, e chi depent àere 

sas iscritas prus minores de sos cartellos normales e cherent colorados in colore 

de castàngia. In pràtica su chi nos diant permìtere est de iscrìere in sardu sos 

cartellos "folclorìsticos" in foras de sas biddas. Custu in conca issoro, ca sos 

cartellos in sardu devent abbarrare in ue sunt! E custu pro duas resones: 1) ca 

pro sa lege italiana 482 su sardu est riconnotu che una "minoranza linguistica 

storica riconosciuta dalla repubblica" comente est pro sos tirolesos pro a sos 

valdaostanos; 2) ca in sa terra nostra non semus una minoràntzia ma una 

majoria e devent detzìdere sos sardos.



- CARTELLI IN SARDO - UNA DELIBERA PER CANCELLARE QUELLI IN ITALIANO


CAI..BAU...SLAP, questa è come sempre la reazione del cane mansueto e fedele che riceve calci dal padrone. Ricevuto il calcio dello stato, che ha deciso di folclorizzare i cartelli in sardo, i sardi mansueti e fedeli,si lamentano per il dolore e abbaiano un po' alla luna, per farsi sentire dagli elettori, prima di tornare, come al solito alle leccate di fedeltà.  


 Per lo stato, il sardo è archeologia italiana e folclore e in tale unica funzione va usato, lo sanno benissimo coloro che oggi si strappano un bottone facendo finta di strapparsi le vesti. Se tutto il contesto culturale del nostro popolo è stato folclorizzato e sostituito da un contesto più "civile" e "moderno", vestire, ballare, parlare, comportarsi, essere società, alla civile,  ciò è potuto avvenire non solo per l'italizzazione forzata  ma anche per la mediazione di intermediatori sardi che da tale funzione hanno tratto e traggono vantaggio.


BASTA UNA DELIBERA - RESTITUIAMO I NOMI IN SARDO ALLE LOCALITA'  E RIMUOVIAMO I CARTELLI IN ITALIANO.  Se si ha il coraggio e la determinazione,invece che protestare si deve agire, abbiamo gli strumenti, comuni, province e regione possono deliberare di restituire i nomi in sardo alle località, alle città, ai paesi e alle vie e far perire di spada chi con spada vuole ferire.

Quale migliore occasione per rimuovere quegli obbrobri di, Margine Rosso, Mal di Ventre, Torre delle Stelle e altri istropios di traduzioni in italiano.


Questa è la misura della protesta, altrimenti continuate a fare cai..cai senza abbaiare.


OLBIA  31/07/2013  anno 152° Dominazione Italiana                      

IL COORDINATORE NAZIONALE di SNI

                                                                                                                    
Bustianu Cumpostu
                                                                      


lunedì 29 luglio 2013

L’INCONTRO – Indipendentisti in cerca di unità

 Il nostro augurio è che tutti i movimenti,i partiti e liberi pensatori indipendentisti sardi si mettano a "sa mesa" per ragionare sulla possibilità di affrontare tutti assieme  la prossima tornata elettorale della regione Sardinya, con nel cuore e nella mente gli interessi natzionali della nostra terra.

Sa Defenza


L’INCONTRO – Indipendentisti in cerca di 

unità

SARDEGNA QUOTIDIANO 

https://www.facebook.com/SardegnaQuotidiano

Le elezioni regionali e lo sbarramento della nuova legge elettorale agitano il fronte indipendentista. 


Domani ad Olbia sarà apparecchiata l’ultima tappa di “Laboratorio Gallura”: «percorsi politici verso l’indipendenza del nostro popolo»,si legge nella locandina dell’evento che apre le porte ai segretarinazionali dei partiti nazionalisti. Hanno già dato la loro adesione Sardigna Natzione, Progres, Fiocco Verde, Psd’Az, Sardigna Libera e Fortza Paris. 

Non sarà presente all’appuntamento Gavino Sale di Irs perché, come fa sapere il diretto interessato, «siamo impegnati nel decennale della fondazione del nostro movimento, a Tissi ma abbiamo partecipato alle altre tappe di Laboratorio Gallura». 

Una serie di incontri per «promuovere un’ipotesi di riunificazione o coalizione dei partiti sardi, indipendentisti ed identitari con la finalità di presentare liste per le prossime regionali». «Perché - spiegano i promotori dell'inziativa - la particolare situazione in cui versa la nostra isola, ci spinge a trovare convergenze che consentano di intraprendere un cammino unitario verso la conquista del governo».

Gli organizzatori tengono pure a precisare che tutto l’apparato non è organizzato da Sardigna Natzione ma da «un gruppo di lavoro i cui membri sono indipendentisti della base, simpatizzanti e alcuni militanti nei vari partiti e movimenti del vasto universo indipendentista, nonché da indipendentisti liberi». 

Però Bustianu Cumpustu, coordinatore nazionale del neonato Laboratorio e leader di Sardigna Natzione,tiene a dire la sua su tutta la questione. Il punto, d’altronde, è sempre quello, e cioè come muoversi in vista dell’appuntamento elettorale fissato per il febbraio del 2014.

«I sovranisti come in un’ardìa a piedi o in una corsa degli scalzi di Sinis cercano di superarsi a vicenda per non perdere gli autobus italianisti che portano agli scranni del consiglio regionale sardo», ragiona Cumpustu, riferendosi ai movimenti dell’ultim’ora che «ingannano se stessi ed i sardi facendo credere che saranno messi loro alla guida». 

Ma non tutto è perduto: «La cultura politica sarda è viva, può dettare una propria agenda politica», rende noto ancora. In prima fila, manco a dirlo, Sardigna Natzione che «chiama,senza pretese di primogeniture, tutte le forze politiche, movimenti, comitati, e singole persone che non hanno dirigenze italiane al dovere di tentare un’alternativa al sistema politico del disastro», è l’appello finale. 

Quindi Laboratorio Gallura come primo passo per «trovare spazi di condivisione e,se ci sarà la maturità necessaria, sintetizzare una proposta di alternativa alsistema del collaborazionismo», è il finale. 

Saluta positivamente l’iniziativa anche il segretario nazionale del Psd’Az Giovanni Colli: «L’idea è quella di promuovere un confronto costante tra partiti e movimenti», osserva per poi precisare che «l’aria non è quella di discutere di formule elettorali ma piuttosto capovolgere i termini della questione. 

Cioè prima il confronto su questioni concrete e poi si vedrà», è la tesi. 

È positivo comunque «l’inizio di un percorso molto importante, dopo le conflittualità precedenti quando ognuno pensava al proprio orticello, ma ancora non sappiamo se i frutti si vedranno alle prossime regionali o più in là», conclude con molta cautela il segretario dei Quattro Mori. 

Francesca Ortalli


Quando si utilizzano i disoccupati per rafforzare lo sfruttamento


Quando si utilizzano i disoccupati per rafforzare lo sfruttamento

Daniel Zamora 
Tradotto da  Centro di Cultura e Documentazione Popolare



Mentre la disoccupazione ha raggiunto livelli record in Europa con un tasso che supera il 12%, in una lunga intervista per Standaard, Bart De Wever [leader del Partito di Nuova Alleanza Fiamminga, N-VA] dichiara che la contraddizione tra capitale e lavoro non è più rilevante: la nuova linea di demarcazione è tra produttivi e non produttivi. Per lui, "lo Stato è un mostro che ispira ed espira denaro. Chi apporta denaro? Quelli che creano valore aggiunto. Chi consuma denaro? I non produttivi, così importanti elettoralmente che consentono di perpetuare questa politica".

In Francia, il deputato di estrema destra Jacques Bompard ha presentato un disegno di legge per trasformare il disoccupato in un lavoratore gratuito. Questa idea, tutt'altro che nuova, era già nel programma di Nicolas Sarkozy nel 2007, suggerendo che "i titolari del minimo sociale siano impegnati in attività di interesse generale, per incoraggiare tutti a trovare un posto di lavoro, piuttosto che vivere di assistenza". In Inghilterra, per giustificare una nuova riforma del sistema di previdenza sociale per ridurre la quantità dei sussidi di disoccupazione, David Cameron dichiara oggi che il sistema "è diventato una scelta di vita per alcuni" [1]. Gli interventi raccomandati da questi politici sono quindi diretti a ripristinare la "giustizia" di un sistema che penalizza chi "lavora sodo" e premiare chi indulge nella "dipendenza". Questo discorso è diventato egemonico e incarna una tendenza generale sul continente dove è diventato luogo comune esaltare "chi si alza presto", contro gli "assistiti", i "produttivi" contro gli "improduttivi" e per meglio legittimare le riforme di austerità e la crescita della disuguaglianza.

Questa idea ci reinvia oggi al "modello tedesco", con la promozione di lavori di interesse generale pagati 1 euro all'ora per ottenere l'assistenza sociale. Il vantaggio di questo modello sviluppato sotto il governo Schroeder tra il 2003-2005, risiede precisamente nel fatto che si concentra sulla ristrutturazione radicale del sistema di disoccupazione e degli ammortizzatori sociali legandoli a profonde riforme in materia di impiego, le riforme Hartz. Questa riconfigurazione dello stato sociale tedesco viene quindi posta a sostegno della riforma del mercato del lavoro, costringendo i disoccupati ad accettare un posto di lavoro anche se lo stipendio percepito è inferiore all'indennità di disoccupazione, facendo esplodere il fenomeno dei "lavoratori poveri". Lungi dal limitarsi ad una politica di moderazione salariale, il modello tedesco ha come caratteristica centrale quella d'aver incentrato i suoi sforzi sulle "riserve" (disoccupati, poveri, precari) e non sui lavoratori "stabili". Ma per questa via, ha causato una profonda destabilizzazione di tutto il mercato del lavoro senza dover affrontare direttamente i settori più sindacalizzati e combattivi del salariato. Tali riforme non sembrano limitate alla Germania, ma invece si generalizzano in tutta Europa. Si pone con insistenza una questione: come spiegare la relativa passività con cui i sindacati e i movimenti operai dei vari paesi hanno risposto a queste riforme. In Belgio la riforma per la riduzione progressiva degli ammortizzatori sociali ha mobilitato solo frange minoritarie del salariato, in Germania le riforme radicali Hartz sono state accompagnate da loro. Come spiegare una mobilitazione così debole da parte degli "attivi" quando si tratta di questioni che interessano i "non-attivi"?

Per capire questo problema, è necessario rifarsi alla polarizzazione dei salari verificatasi tra "attivi" e "non attivi" a seguito dell'esplosione della disoccupazione, fin dagli anni '70. Questo ha cambiato profondamente la visione popolare del mondo, con la separazione tra "loro" (i padroni) e "noi" (i lavoratori), così ben studiata da Richard Hoggart [intellettuale britannico, sociologo, ha dedicato particolare attenzione alla cultura popolare, ndt]. Radicata nell'esperienza quotidiana del mondo del lavoro, questa visione permetteva, anche prima di ogni pratica politica, la solidarietà culturale della classe operaia, fondando l'efficacia del discorso politico della sinistra [2]. La disgregazione degli ambienti popolari ha considerevolmente destabilizzato questa solidarietà, introducendo un "loro" al di sotto di "noi". Parti delle classi popolari hanno iniziato a nutrire la sensazione che "quelli" in alto non facevano nulla contro gli abusi di "quelli" in basso. Nel suo studio sul mondo operaio Oliver Schwartz ha scritto che: "Si produce qui una sorta di coscienza popolare che (...) si rivolta alternativamente contro quelli in alto e quelli in basso" [3]. Questa struttura corrisponde parzialmente al nuovo profilo che il Fronte Nazionale [di Le Pen] cerca di darsi per conquistare il voto delle classi lavoratrici: schierandosi contro il "sistema", le "elite" e il "dio denaro", ma attaccando contemporaneamente i disoccupati, gli immigrati, gli irregolari che ingrossano le fila degli "assistiti" [4]. Questa visione della società non dovrebbe tuttavia renderci ciechi riguardo al fatto che la logica politica della sinistra non è quella che rafforza questa dinamica, ma al contrario, quella che la supera. Sia sul piano teorico, che pratico.

Sul piano teorico significa rompere con la tendenza che ha sostituito il tema della centralità della questione operaia con quello dell'"esclusione", dal periodo post-bellico. In effetti, anche se la problematica si articola in modo differente nei diversi paesi, è tuttavia la questione delle "riserve" in tutte le sue varianti (disoccupati, poveri, precari, immigrati esclusi, ...) ad aver occupato il dibattito pubblico e scientifico per decenni. Come ha notato Xavier Vigna, c'è una nuova messa a fuoco "dal mondo del lavoro all'esclusione, alla povertà e alla disoccupazione" [5], che, paradossalmente, ha contribuito a plasmare questo dualismo nel dibattito pubblico. Separata dall'occupazione, la categoria dei "disoccupati", dei "poveri", dei "precari", non si iscrive più nella nozione di sfruttamento alla base dei rapporti economici quanto invece a forme di dominio, a situazioni di privazione relativa in termini monetari, sociali o psicologici.

A questo proposito è interessante notare come Marx poneva il problema alla sua epoca. Considerando che "Il concetto di lavoratore libero implica che egli è povero: virtualmente povero" [6], concepiva la nozione di pauperismo come latente nel lavoro salariato. Lo è virtualmente poiché è il risultato contraddittorio di uno stesso e unico sviluppo, quello che stabilisce una relazione fatale tra accumulazione di capitale e accumulazione di miseria. Fredric Jameson inoltre sottolineava che dobbiamo partire dalla struttura del modo di produzione e quindi dalla struttura dello sfruttamento e non dalle sue forme immediate e apparenti. Il dominio o l'esclusione sono per lui, non solo "il risultato di questa struttura, ma anche il modo in cui si riproducono" [7] e non il contrario. In questo modo ci incoraggia a "pensare la disoccupazione come una categoria dello sfruttamento" [8] e non solo come uno stato "precario" o una situazione separata dallo sfruttamento del lavoro salariato.

In termini pratici, è chiaro che le organizzazioni di difesa dei disoccupati e dei poveri troppo spesso trattano questi problemi indipendentemente dal mondo del lavoro. Eppure è proprio questa separazione che determina aspre riforme nei confronti delle "riserve", eludendo una forte protesta sociale. Questa mancanza di interesse - vedi la posizione talvolta conservatrice della classe operaia - verso gli "assistiti", diventa uno dei temi centrali dei movimenti sociali per gli anni a venire contro l'austerità. La capacità che avranno le organizzazioni politiche e sindacali a sensibilizzare e legare gli interessi delle "riserve" a quelli della classe operaia "stabile" determineranno il successo o il fallimento delle lotte future. Inoltre, dall'inizio dell'industrializzazione, Marx rimarcava che un passo decisivo nello sviluppo della lotta sociale coincide con il momento in cui i lavoratori scoprono che l'intensità della concorrenza che si fanno gli uni con gli altri dipende interamente dalla pressione esercitata dalle riserve e decidono di unirsi per organizzare obiettivi e azioni comuni tra gli occupati e i non occupati. [9]

Note
[1] http://www.lesoir.be/221184/article/actualite/monde/2013-04-07/david-cameron-vivre-des-aides-sociales-est-un-choix-vie 
[2] Lire à ce propos Robert Castel, La montée des incertitudes, Seuil, Paris, 2009, p. 370-371
[3] Olivier Schartz, Le monde privé des ouvriers, PUF, Paris, 2002, p. 56
[4] Marine Le Pen, Pour que vive la France, Grancher, Paris, 2012, pp.18
[5] Xavier Vigna, Histoire des ouvriers en France au XXe siècle, Perrin, Paris, 2012, p. 282
[6] Karl Marx, Œuvres. Economie II, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1968, p.255
[7] Fredric Jameson, Representing capital, Verso, London, 2011, p. 150
[8] Ibid, p. 151
[9] Karl Marx, Œuvres. Economie I, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1965, p.1157




Per concessione di Resistenze
Fonte: http://www.michelcollon.info/Quand-on-utilise-les-chomeurs-pour.html?lang=fr

domenica 28 luglio 2013

ZONA FRANCA INTEGRALE IL DIBATTITO CONTINUA...

Il dibattito sulla zona franca integrale , tra le varie polemiche,   si disquisisce in tutta la Sardinya ne parlano tutti e le speranze di una situazione che migliori le condizioni del popolo sardo attrae sempre più folle.

Ognuno dei partecipanti al dibattito ha i suoi riferimenti,  a idee o a punti di partenza diversi, chi si lega alle origini dell'istituzione  del dopoguerra, chi si riferisce alle ultime leggi lasciate inappilicate dalla RAS Sardinya e dai comportamenti poco rispettosi dei politicanti di carriera che si sono susseguiti in questa martoriata terra.

Mettiamo in circolo  questi post e video tratti dal dibattito trasferito in rete per dare una info sulla portata del dibattito quì in Sardinya.

Sa Defenza


Francesco Scifo Maria Rosaria Randaccio Maria Pia Zonca Antioco PattaAndrea Impera



Dopo mesi di lavoro speso visitando ogni paese dell'Isola, posso dire che ormai si è formata in Sardegna un'opinione pubblica in grado di capire cosa sia la zona franca e quali vantaggi l'uso questo strumento di politica economica porti con se. Ormai le leggi che sanciscono questo diritto sono chiare a tutti e tutti possono chiedere il rispetto della legalità, con cognizione dii causa. Dal 1998 Cagliari per legge avrebbe dovuto essere operativa: oggi invece continuiamo a vedere poca chiarezza sugli scopi e sull'oggetto di questi tavoli tecnici, nonchè sui rispettivi ruoli.
Oggi la mancata attuazione della zona franca di Cagliari, ove tutto il procedimento amministrativo di attuazione è stato completato con DPCM fin dal 2001, conferma che la zona franca politicamente non si vuole realizzare.
Sono contento che Andrea Impera vada a rappresentare i movimenti a Roma: dato che ormai è una questione politica e non giuridica perciò, forse, non è opportuno che io sia presente al tavolo. Ritengo ormai doveroso che la Sardegna mostri la propria autonomia e chieda con forza che, da ora in poi, qualsiasi riunione con il Governo centrale per l'attuazione del dlgs. 75/98 sia svolta a Cagliari.
Non siamo una colonia che deve sottostare alle decisioni arbitrarie della madrepatria ma una regione autonoma che fa parte di una Repubblica fondata sul diritto.
Per questi motivi parteciperò a questo tavolo tecnico solo se verrò convocato ufficialmente e messo per tempo al corrente dei contenuti da discutere.



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venerdì 26 luglio 2013

Lettera aperta del generale Aoun all’Unione Europea


Lettera aperta del generale Aoun all’Unione Europea

Mi rivolgo a voi in nome di questa cultura europea a cui mi sento così vicino e di cui divido i valori ed i princìpi.

Sono sconvolto dalla decisione dell’Unione Europea di iscrivere l’ala militare di Hezbollah nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Difatti questa decisione è in evidente contraddizione con la Carta delle Nazione Unite che riconosce il diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva, nel caso in cui un Membro delle Nazioni Unite sia oggetto di un’aggressione armata.

Quest’ala militare, oggi accusata di terrorismo, è la stessa che costrinse Israele a ritirarsi dal Libano senza condizioni nel maggio del 2000.  La stessa dunque che 22 anni  dopo assicurò l’esecuzione della risoluzione 425 adottata il 19 marzo 1978 dal Consiglio di sicurezza dopo l’occupazione di Israele del sud del Libano.

La risoluzione 425 stipula difatti che il Consiglio di sicurezza dell’ONU esiga da Israele di cessare immediatamente la sua azione militare contro l’integrità territoriale libanese e ritirare immediatamente le sue forze da tutto il territorio libanese. Per 22 lunghi anni è rimasta senza applicazione; perché è così che Israele interpretò allora il termine “ritirare immediatamente”. Il Libano non dovette la liberazione dei suoi territori che alla volontà impeccabile della sua Resistenza, testimone anche dei fatti che portarono Israele a muovere guerra contro il Libano durante l’estate del 2006.

Tuttora il Libano continua a fare fronte a tre aggressioni israeliane accertate:

1) l’occupazione delle fattorie di Chebaa,delle colline di Kfarchouba e del villaggio El-Ghajar.
2) il problema dei profughi palestinesi in Libano
3) le violazioni ripetute della sua integrità territoriale, aerea, e marittima.

A questo si devono aggiungere le illegittime mire israeliane sulle acque territoriali libanesi ed il suo ostinato rifiuto a rispettare le frontiere marittime tracciate secondo le convenzioni internazionali in vigore.

Invece che accusare di terrorismo la Resistenza libanese, sarebbe stato doveroso che le Nazioni-membro dell’Unione Europea sostenessero il diritto del Libano a preservare la sua integrità territoriale, così come il diritto del popolo palestinese a tornare sulle sue terre. Alcuni motivi invocati in passato per rafforzare queste accuse sono già stati rigettati tanto dall’Argentina – per gli attentati di Buenos Aires – che dalla Bulgaria; il ministro degli Affari Esteri bulgaro, pochi giorni orsono, ha difatti dichiarato che niente giustifica una decisione europea contro Hezbollah perché le accuse di una sua implicazione nell’attentato di Burgas sono del tutto infondate.

Quando l’Europa tutta rinnega il diritto di una nazione a difendersi – diritto sancito dalla Carta delle Nazioni Unite –, e quando volta le spalle a queste nazioni che lottano per preservare la loro libertà e la loro sovranità, questa Europa rinnega allora i suoi stessi valori ed i suoi stessi princìpi; volta le spalle alle lezioni della sua Storia; perché ciascuno dei popoli che la costituiscono, in passato, versò il suo sangue per resistere al giogo dell’occupazione.

Esorto dunque l’Unione Europea a restare fedele ai suoi princìpi, ai suoi ideali, ed alla sua Storia. Occorre che prenda coscienza della gravità delle sue responsabilità e che le assuma pienamente in merito al suo ruolo nella guerra che insanguina la Siria con gravi ripercussioni che ricadono sul Libano; una guerra che alcuni dei suoi Stati-membri continuano ad alimentare apertamente con uomini ed armamenti.

Michel Aoun (24 luglio)

Traduzione a cura di Lorenzo de Vita

Fonte > 
 Réseau Internationa
l

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