domenica 5 settembre 2010

Si riaccendono le speranze delle vittime di Bhopal

La Corte suprema accoglie il ricorso del governo di Dheli e decide di inasprire le accuse contro i dirigenti dell'impianto che causò il più grave disastro industriale della storia

di Clara Gibellini
ilfattoquotidiano.it
Un omicidio di massa e non una tragica fatalità. Si riaccende la speranza delle vittime di Bhopal affinché sia fatta giustizia. La recente decisione della Corte Suprema indiana ha infatti deciso di accogliere il ricorso del governo per inasprire i capi di imputazione contro i responsabili del più grande disastro chimico della storia.

A tre mesi dalla sentenza choc che, il sette giugno scorso, ha dichiarato colpevoli di “criminale negligenza umana” sette ex dirigenti della Union Carbide, condannandoli a due anni di detenzione e al pagamento di un’irrisoria multa di 100mila rupie (appena 1.700 euro). Oggi i rappresentanti della multinazionale, potrebbero essere nuovamente incriminati per omicidio colposo.

La Union Carbide, oggi assorbita dalla Dow Chemical, era la proprietaria della fabbrica di pesticidi nella città di Bhopal, dove, nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, una fuoriuscita di gas venefici causò la morte per avvelenamento di oltre 3000 persone e, nel corso dei decenni, l’agonia di almeno altre 20mila vittime contaminate dai veleni fuoriusciti dalla fabbrica.

La riapertura della causa innalza fino a dieci anni di carcere la pena prevista per i responsabili di quel disastro. Una buona notizia per le associazioni di sostegno ai sopravvissuti, che dopo decenni di proteste per ottenere risarcimenti adeguati alle dimensioni della catastrofe, vedono ora la possibilità di riscrivere almeno l’epilogo giudiziario dell’evento che ha sconvolto la loro esistenza. «Questa decisione è un grande passo per riparare ai numerosi torti causati negli anni dalla Corte suprema. Siamo molto soddisfatti perché ciò rende più concreta la possibilità che i responsabili scontino la loro pena” – ha affermato Satinath Sarangi del Bhopal Group for Information and Action.

Per ottenere giustizia, la vera conquista sarebbe però quella di riuscire a riportare in India Warren Anderson, presidente della Union Carbide al momento della tragedia, e considerato il vero responsabile della mancanza di manutenzione, controlli e sicurezza che hanno provocato la fuoriuscita del gas dalla fabbrica costruita in uno dei sobborghi più popolosi della città. Arrestato pochi giorni dopo il disastro e rilasciato su cauzione, Anderson, oggi novantenne, si è poi rifugiato negli Stati Uniti, dove grazie alla complicità del governo e alle tardive richieste di estradizione da parte della giustizia indiana, vive da venticinque anni una lussuosa vita da latitante.

Dopo la sentenza “farsa” di giugno, il governo di Nuova Delhi ha dichiarato di voler acquisire nuove prove contro l’intoccabile ex presidente e a Bhopal molti sperano che la questione della sua estradizione rientri nell’agenda della prossima visita, a novembre, di Barack Obama in India.

venerdì 3 settembre 2010

ASINARA/VINYLS Via al secondo bando Verso i 200 giorni da «reclusi» sull'isola












Costantino Cossu

ilmanifesto
PORTO TORRES (SASSARI)

«Facciamo colazione consapevoli che questo è un momento importante, che deciderà del nostro destino. L'umore non è dei migliori, ci facciamo coraggio l'un l'altro e cominciamo una nuova giornata di lotta. A pranzo poi Antonio prepara delle pennette condite con pomodoro fresco, aglio e basilico. Ottime. Se non lo sposa Piera, Antonio lo sposiamo noi».

Una giornata quasi come le altre 188 ormai trascorse, dal 24 febbraio, nell'ex supercarcere dell'Asinara dai cassintegrati della Vinyls. Quasi. Ieri, infatti, è stato pubblicato, sul sito Vinyls Italia, il secondo bando i
nternazionale, dopo il primo del marzo scorso, per la cessione degli stabilimenti di Porto Marghera (205 dipendenti), di Ravenna (45) e di Porto Torres (120) dell'azienda chimica in amministrazione straordinaria. I gruppi industriali o finanziari eventualmente interessati potranno presentare un'offerta d'acquisto, da depositare presso un notaio di Venezia, entro il 22 ottobre prossimo alle 18. La richiesta dovrà contenere, tra l'altro, il prezzo e gli impegni sui livelli occupazionali e sulla ripresa della produzione per almeno un biennio.

Il bando, firmato dai commissari straordinari della Vinyls (Franco Appeddu, Mauro Pizzigati e Giorgio Simeone), recepisce l'accordo sottoscritto il 22 luglio scorso al ministero de
llo Sviluppo economico per la ripresa del ciclo cloro-Pvc nei tre stabilimenti interessati.

Saranno i commissari a procedere alla scelta finale, valutando, in particolare, la situazione patrimoniale e finanziaria di chi avanza le offerte, oltre che la capacità degli acquirenti di far fronte agli impegni, anche finanziari, derivanti dall'acquisto. Per dare ai potenziali compratori informazioni esaurienti sulla situazione degli stabilimenti in vendita sarà allestita a Marghera, nella sede della Vinyls I
talia, una «data room», che sarà aperta dal 20 settembre all' 8 ottobre. Lo scorso marzo l'unico soggetto interessato all'acquisto, il gruppo Ramco del Qatar, aveva rinunciato durante le trattative.


«Chiunque compri - dicono ora i cassintegrati della Vinyls - farà un buon affare. La nostra fabbrica produceva cloruro di vinile da etilene e dicloroteano con una capacità annua di circa 170 chilotoni. E ha anche un impianto per produrre polivinicloruro in emulsione (Pvc/E) con una capacità di circa 65 chilotoni. Impianti tecnologicamente avanzati e professionalità eccellente, oggi mandata al macero».

Prosegue intanto il sostegno spontaneo alla lotta degli operai di Porto Torres, anche in forme minime: «L'altro ieri la signora Rosa di Ittiri, un piccolo paese vicino a Sassari, ci ha inviato delle ottime angurie. Ricambiamo con baci e abbracci». E si cercano sostegni fuori dall'isola: «Due di noi, Pietro e Andrea, stanno per partire alla volta di Piacenza alla festa del Partito democratico. Chiederanno alle forze di opposizione di unirsi per combattere in Parlamento in difesa del lavoro, incalzando i banditi che sono al governo. L'economia è la vera emergenza. Serve una politica industriale vera, in tutti i settori, non solo in quello della chimica».

Dopo sei mesi trascorsi nelle celle dell'ex carcere, c'è un po' di stanchezza, ma anche molta determinazione a continuare: «La nostra situazione è disagiata, ma non cederemo. Rivolgiamo un pensiero ai minatori cileni bloccati nelle viscere della terra. Dovranno resistere più di noi per ritornare alla superficie». Sintonia anche con i pastori che rischiano di finire sul lastrico per il crollo del prezzo del latte. Durante il blitz degli allevatori nei giorni scorsi in Costa Sm
eralda
c'era una rappresentanza dei cassintegrati Vinyls.

martedì 31 agosto 2010

Il gene del profitto che va modificato

Claudio Malagoli*
www.ilmanifesto.it



Il nostro paese con il 7% circa della superficie agricola utilizzata (12,7 milioni di ettari), produce il 13% circa del fatturato agricolo dell'Ue (50.000 milioni di euro), segno inequivocabile di una produzione ad alto valore aggiunto, decisamente apprezzata dal consumatore. Da un punto di vista economico e sociale si tratta di un grande patrimonio da tutelare, in quanto la produzione agricola per il mercato rappresenta solo una parte dei reali benefici che il settore agricolo apporta alla collettività. Non dobbiamo dimenticare che nel nostro paese il ruolo dell'agricoltura è di fondamentale importanza per il presidio e la manutenzione del territorio, per la conservazione dell'assetto idrogeologico, per la conservazione e la tutela del paesaggio, per la conservazione della biodiversità, per la creazione di spazi ad uso ricreazionale, ecc. Pertanto è riduttivo vedere l'agricoltura solo dal lato produttivo per il mercato, occorre vederla e tutelarla per le esternalità positive che essa fornisce.

Ecco allora che la nostra società ha bisogno della presenza dell'agricoltura e dell'agricoltore sul territorio e dovrà adottare politiche in grado di proteggere il suo reddito, al fine di consentire la permanenza di questa attività anche in aree marginali, che non possono certo competere sul mercato globale sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita. È in questo contesto che si inseriscono le problematiche relative agli organismi geneticamente modificati. Purtroppo qualcuno crede ancora che lo sviluppo di una società dipenda dal prodotto interno lordo, per cui se gli ogm sono un modo per incrementare il Pil devono essere accettati e chi esprime pareri contrari, o quantomeno scettici, è ipocrita o falso. Se questo ragionamento fosse vero, perché essere contrari agli ormoni utilizzati nell'allevamento bovino, o agli animali transgenici, o agli animali clonati, o agli animali transgenici clonati?
Secondo queste persone qual'è l'obiettivo degli ogm? Facile: produrre cibo a basso costo per esportare e per fare profitto. È pura utopia pensare che il nostro paese possa essere competitivo sul mercato internazionale con gli stessi prodotti! L'Italia, con aziende agricole della superficie media di 5-6 ettari (contro i 220 ettari degli Usa), con i suoi costi burocratici, con la sue limitazioni nell'uso di antiparassitari e di concimi («legge nitrati» ), con il suo sistema sociale, come potrà competere con gli stessi prodotti con gli Usa, con la Cina o con l'Argentina? Sarebbe come se la Ferrari volesse competere con la Fiat nella produzione delle Panda, sarebbe come se Valentino volesse competere con l'India nella produzione delle magliette di cotone!

Occorre poi considerare che sul mercato internazionale vige ancora il baratto per cui se noi esportiamo qualcosa, poi dobbiamo importare come pagamento qualcos'altro. Ecco allora che le cose cambiano, in quanto l'invasione dei pomodori dalla Cina o delle carni dai paesi dell'Est (spesso esportati con politiche di dumping) probabilmente non è legato allo sviluppo tecnologico, ma è il risultato di accordi commerciali mediante i quali noi esportiamo prodotti industriali/tecnologici e loro ci pagano con quello che hanno, prodotti agricoli. Ecco allora che in questo modo si rischia di mettere in discussione anche la sovranità alimentare del nostro Paese. Mai come in questi ultimi anni abbiamo vissuto una così forte crisi del settore agricolo, con prezzi di mercato dei cereali e dei prodotti zootecnici che hanno raggiunto livelli da non coprire il costo di produzione. In questa situazione, purtroppo, molte aziende agricole di aree marginali (di collina e di montagna) hanno abbandonato l'attività produttiva (nel 2000 erano presenti secondo l'Istat 2,5 milioni di aziende agricole, che oggi ammontano a circa 1,7 milioni) e altre aziende agricole hanno «seminato» campi fotovoltaici e/o eolici. Non dimentichiamo poi che la concorrenza del mercato globalizzato, basata sull'importazione di alimenti di qualità discutibile a bassi prezzi, potrebbe essere la causa indiretta di comportamenti illeciti sul mercato del lavoro. Imprenditori senza scrupoli, pur di mantenere un certo livello di redditività, ricorrono a manodopera illegale, non applicano le tutele sindacali eccetera.

Gli ogm sono in grado di rafforzare la nostra agricoltura e il reddito dell'agricoltore? Purtroppo la risposta è negativa, in quanto, con ogni probabilità: se è vero che determineranno un abbassamento dei costi di produzione (cosa tutta da verificare fin tanto che ci sarà separazione di filiera, ovvero l'etichettatura per alimenti ogm e non ogm), è altrettanto vero che favoriranno un abbassamento dei prezzi di mercato dei prodotti agricoli, impedendo così un aumento dei profitti e determinando una perdita di reddito reale per l'agricoltore; brevetto e sviluppo di sementi apomittiche (che producono vegetali geneticamente identici) causeranno la perdita di imprenditorialità per l'agricoltore, che diventerà un prestatore di manodopera per conto di chi detiene il brevetto, in quanto le produzioni saranno attuate sulla base di un «contratto di coltivazione»; faciliteranno l'operazione di delocalizzazione delle coltivazioni agricole, che saranno trasferite nei paesi caratterizzati da un minor costo dei fattori produttivi; determineranno l'abbandono dei territori marginali, che non hanno le potenzialità produttive necessarie a far produrre queste piante (terreno, acqua di irrigazione, clima, ecc.) e non saranno in grado di competere sulla base dei bassi costi di produzione; attraverso strategie di appropriazionismo e di sostituzionismo attuate dall'industria sementiera determineranno una minor utilizzazione, e conseguentemente un minor reddito, dei fattori produttivi solitamente apportati direttamente dall'agricoltore (manodopera soprattutto); aumenteranno la dipendenza del nostro paese nei confronti delle forniture di sementi provenienti dall'estero; determineranno un danno di immagine per l'agro-alimentare nazionale, da tutti conosciuto e copiato per le sue produzioni di eccellenza.

In definitiva, le problematiche relative all'introduzione degli ogm sono notevoli e di portata tale da non giustificare una decisione affrettata. Come per altre innovazioni tecnologiche, se da un lato il tipo di sviluppo attuato in agricoltura in questi ultimi anni, improntato soprattutto all'esasperata ricerca del profitto, ha consentito di massimizzare la produttività dei fattori della produzione, dall'altro non è sempre stato in grado di garantire sia un'equa ripartizione delle produzioni tra le diverse aree del pianeta, sia modalità di produzione compatibili con l'esigenza di salvaguardare l'ambiente e lo sviluppo sostenibile del territorio rurale. A questo proposito si auspica che gli ogm, così come gran parte delle innovazioni tecnologiche introdotte in agricoltura in questo secolo, non siano viste come un ulteriore strumento «necessario» per incrementare la produttività del lavoro, a scapito, ancora una volta, dell'ambiente. Se si parte dal presupposto che occorra incrementare il reddito da lavoro in agricoltura, mantenendo inalterato il salario e abbassando il prezzo di vendita dei prodotti agricolo-alimentari, affinché con motivazioni di tipo ricardiano il consumatore incrementi il suo reddito reale e possa così destinare la parte eccedente ad altri consumi non primari, l'«individuo biotecnologico» diventa strumento fondamentale per attuare tale strategia.

Discorso a parte è quello relativo alla ricerca sugli ogm che, se fatta con le dovute cautele, deve andare avanti. Occorre però considerare che lo sviluppo tecnologico, che non attiene certo al campo della ricerca scientifica, non è neutro e deve sottostare a giudizi economici, politici ed etici. In particolare, prima di una loro introduzione è necessario rispondere ad alcune domande: 1) per quale motivo il nostro Paese, che vanta produzioni alimentari copiate in tutto il mondo (agropirateria), dovrebbe aprire al transgenico se il consumatore non lo vuole? 2) esiste sul mercato un'impresa che vuole iniziare a produrre un bene che il 75% degli acquirenti ha detto di non voler comprare? 3) perché la nostra agricoltura dovrebbe abbandonare una strategia sicura, basata sulla qualità, sulla tracciabilità e sulla sicurezza alimentare, per far posto ad una produzione omologante, sempre meno richiesta dal mercato? 4) potrà competere il nostro paese sul mercato globale sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita o, più realisticamente, potrà competere sulla base di produzioni di eccellenza ad alto valore aggiunto? 5) è eticamente giusto ricercare un aumento del reddito reale attraverso un abbassamento del prezzo degli alimenti, mantenendo così inalterati i salari? 6) è eticamente giusto creare un mercato degli alimenti ritenuti di serie A (biologico, Dop, Igp ecc.) ed un altro ritenuto di serie B (ogm), col pericolo di creare una sorta di proletariato alimentare?

*Università di Scienze Gastronomiche, Pollenzo/Bra (CN)

sabato 28 agosto 2010

"Nucleare pericoloso la Russia insegna"

Parla il direttore di Greenpeace: "Il fuoco non minaccia solo le centrali, ma anche gli impianti che trattano le scorie. Anche un black-out di pochi minuti porterebbe all'emergenza"

di ANTONIO CIANCIULLO
repubblica.it

Oltre alla minaccia terroristica, alla carenza di acqua dolce per il raffreddamento degli impianti e ai costi che s'impennano, per il nucleare arriva ora la grana incendi: lo scenario della Russia di questi giorni ci offre una nuova visione dei rischi legati alle centrali atomiche. Da una parte Chernobyl torna a manifestare i suoi effetti, dall'altra l'assedio delle fiamme attorno agli impianti nucleari rivela una minaccia finora poco considerata.

Come è possibile che, a distanza di 24 anni dalla catastrofe che ha distrutto il reattore ucraino, quella radioattività torni a essere un problema?

"I radionuclidi del cesio emesso nell'esplosione della centrale di Chernobyl si ridurranno a un millesimo solo fra tre secoli", risponde Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. "Oggi il 60 per cento di quella radioattività è ancora lì, nel terreno e nelle piante: il fumo degli incendi la rimette in circolazione, anche se con un effetto locale, a differenza di quanto avvenne nel 1986, quando la nube radioattiva si alzò per chilometri seminando il suo carico distruttivo in un'area enorme".

Quindi nel conto degli incendi russi dobbiamo mettere anche la contaminazione radioattiva?

" Una parte della nube di Chernobyl è stata rimessa in circolazione. E' un elemento che va ad aggravare un bilancio sanitario già critico, visto che si è parlato di un raddoppio della mortalità a Mosca a causa del fumo degli incendi. Sono aumentati in maniera consistente sia il particolato, creando problemi immediati alla respirazione, che elementi cancerogeni come il benzene".

Altri incendi minacciano le centrali nucleari.
"Non solo le centrali, anche gli altri impianti nucleari. Ad esempio quelli del centro atomico di Mayak, negli Urali, dove c'è un deposito a cielo aperto di scorie nucleari in cui sono stoccate 40 tonnellate di plutonio".

Qual è il rischio?
"Ci sono vari livelli di rischio. Supponiamo ad esempio che le fiamme colpiscano solo le linee esterne di trasmissione della corrente elettrica, i trasformatori. Ebbene la centrale si troverebbe isolata e si dovrebbe procedere a un arresto rapido del reattore, una procedura che comporta sempre una certa dose di rischio".

E' già successo?

"E' successo proprio a Mayak il 3 settembre del 2000. Per venti minuti fu interrotta la fornitura elettrica e lanciato il sistema di sicurezza basato su motori diesel. Quei motori erano in condizione di lavorare solo per 30 minuti, se il problema fosse durato più a lungo si sarebbe entrati in una situazione critica".

Un problema del genere potrebbe riguardare anche gli impianti che il governo Berlusconi vuole costruire in Italia?

"Nel nostro caso si parla di reattori epr per i quali è previsto un tetto di due minuti per circoscrivere un incendio. Quando guardiamo quello che sta succedendo in Russia e pensiamo che con i cambiamenti climatici andrà sempre peggio...."

venerdì 27 agosto 2010

La democrazia dell'acqua e l'economia dei cowboy

La scienziata indiana e la sua lotta per i diritti idrici. "La democrazia si fonda su questo bene comune. La creazione di un mercato non gestito dalla collettività ci riporta al far west. Non possiamo diventare egoisti nell'uso delle risorse della natura"

di VANDANA SHIVA

http://www.repubblica.it/




Ci troviamo di fronte a una crisi idrica globale, che minaccia di peggiorare nei prossimi decenni; e man mano che la crisi si aggrava proseguono gli sforzi per ridefinire il concetto di diritti idrici. Un passo storico è avvenuto il 28 luglio, quando le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione che recita così: "L'acqua è una risorsa limitata e un bene pubblico fondamentale per la vita e la salute. Il diritto a disporre di acqua è indispensabile per condurre una vita dignitosa. È un prerequisito per la realizzazione di altri diritti dell'uomo".

Ma l'economia globalizzata trasforma sempre di più la definizione dell'acqua da proprietà comune a bene privato, da estrarre e rintracciare senza limiti. L'ordine economico globale esige la rimozione di tutti i vincoli, la deregolamentazione dell'uso dell'acqua e la creazione di mercati dell'acqua. I fautori del libero scambio delle risorse idriche considerano i diritti di proprietà privata l'unica alternativa alla proprietà pubblica, e il libero mercato l'unico sostituto della regolamentazione burocratica delle risorse idriche.

L'acqua deve rimanere, più di qualsiasi altra risorsa, un bene pubblico e dev'essere gestita dalla collettività. Nella maggior parte delle società l'acqua era ed è un bene che non può essere posseduto da privati. Testi antichi come le Istituzioni di Giustiniano dimostrano che l'acqua e altre risorse naturali sono beni pubblici: "Per legge di natura queste cose sono comuni all'umanità: l'aria, l'acqua corrente, il mare e di conseguenza la riva del mare...".

L'arrivo delle moderne tecnologie di estrazione dell'acqua ha accresciuto il ruolo dello Stato nella gestione delle risorse idriche. Soppiantando i metodi di autogestione, queste tecnologie hanno inflitto un duro colpo alle strutture democratiche per la gestione delle risorse idriche, che giocano un ruolo sempre meno importante nella conservazione. La globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche stanno erodendo i diritti della popolazione e la proprietà collettiva si sta trasformando in proprietà delle grandi aziende. Le comunità di persone reali, con bisogni reali, vengono messe da parte nella corsa alla privatizzazione.

La spinta a privatizzare le risorse idriche comuni nasce da quella che io chiamo "l'economia del cowboy": se arrivi per primo in un posto hai il diritto assoluto di stuprare, saccheggiare, inquinare. Non hai nessun dovere verso i tuoi vicini, verso quelli che sono venuti prima di te, verso gli abitanti del luogo o quelli che sono venuti dopo di te. È interessante osservare che gli attuali tentativi di privatizzazione e queste leggi da far west sulle risorse idriche sono visti come un modello dal Cato Institute, un istituto di ricerca della destra americana: "Dalla frontiera occidentale, in particolare dai giacimenti minerari, sono nate la dottrina dell'appropriazione preventiva e le basi della commercializzazione dell'acqua. Questo sistema ha offerto gli ingredienti fondamentali per un mercato efficiente dell'acqua, dove i diritti di proprietà sono ben definiti, rispettati e trasferibili". (T. Anderson e P. Snyder).

La tendenza attuale a estendere l'economia del cowboy a livello globale è la ricetta ideale per distruggere le scarse risorse idriche mondiali e per escludere i poveri dal diritto all'acqua. Dal momento che l'acqua cade sulla terra in modo disomogeneo, dal momento che ogni essere vivente ha bisogno dell'acqua, la gestione decentralizzata e la proprietà democratica sono gli unici sistemi efficienti, sostenibili ed equi per il sostentamento di tutti.

Un elemento fondamentale della filosofia indiana, essenziale per la giustizia sociale, è l'uso accorto e morigerato delle risorse. Secondo un antico testo indiano, le Ishopanishad: "Un uomo egoista nell'usare le risorse della natura per soddisfare i propri bisogni crescenti non è nient'altro che un ladro, perché usare le risorse al di là del proprio bisogno vuol dire usare risorse a cui altri hanno diritto". E come disse con straordinaria concisione il Mahatma Gandhi: "La terra offre abbastanza per i bisogni di ciascuno, ma non per l'avidità di ciascuno".

Oltre lo Stato e oltre il mercato c'è la forza della partecipazione collettiva. Oltre le burocrazie e oltre il potere delle aziende c'è la promessa della democrazia idrica.

(Traduzione di Fabio Galimberti)




SINOSSI:
Un intenso ritratto di Vandana Shiva realizzato da Maurizio Zaccaro durante le riprese in India per il docu-film Terra Madre di Ermanno Olmi. Il documentario prodotto da Cineteca di Bologna e ITC Movie srl, racconta lesperienza del movimento Navdanya di cui Vandana Shiva è ideatrice e promotrice, la sua banca delle sementi per la salvaguardia della biodiversità della produzione agricola. Un nuovo modo di pensare, una conoscenza aperta e integrata, un approccio ai temi dell'ambiente come strettamente connessi allo sviluppo economico e alla lotta alla povertà.
Il nome del movimento Navdanya (che in Hindi significa nove semi) trae spunto dal rituale, molto diffuso nel sud dellIndia, di piantare nove semi in un vaso il primo giorno dellanno. Dopo nove giorni le donne si incontrano e confrontano i risultati, vedendo quali semi si sono comportati meglio; a questo punto si organizzano scambi cosicché tutte le famiglie possano piantare i migliori semi a disposizione. Gli scopi di Navdanya sono la difesa della biodiversità, la creazione di una banca di sementi da scambiare con i contadini che aderiscono al movimento, la riconversione dei campi a unagricoltura interamente biologica. Grazie a questa esperienza, Vandana Shiva è diventata una delle leader mondiali del movimento contro i brevetti sugli organismi viventi.

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