lunedì 8 ottobre 2012

Sovranità vo cercando


Sovranità vo cercando

Giacomo Meloni*




Anche a me non piace il neologismo”sovranismo”, a cui non corrisponde il significato semantico della parola “sovranità” che nel dizionario enciclopedico De Agostini–Ed. 1981 Vol. I a pag. 1119  viene definita “diritto e potere del sovrano”; ”sovranità popolare” è “il potere del popolo nelle democrazie”; il suo significato figurativo è “superiorità” se si riferisce all’ingegno, mentre se riferita allo stile  viene intesa come “elevatezza, sublimità”.

Ho letto sul blog “Ventinovesettembre” una definizione del sovranismo che mi è piaciuta e che richiamo brevemente: “Mi si chiede, scrive C.S.Lewis , cosa è la sovranità. Incredibile dictu et auditu,non mi sono mai posto la domanda. Ho studiato malamente Schmitt e Hobbes, ancora più malamente Kelsen, e sarebbe ora che studiassi forse anche Bodin e Rousseau. Ma al momento mi sono fatto questa idea. Il sovranista è colui che crede che un problema comune richieda un decisore comune di ultima istanza. Lo stato hobbesiano che  fa finire il bellum omnium contra omnes con il suo potere assoluto e indiscutibile, e il sovrano totale schmittiano che decide nello stato di eccezione sono esempi di sovranità.

L’alternativa al sovranismo è un insieme di regole comuni, efficaci in quanto comunemente accettate. Il sovranista non può spiegare perché esistono degli stati, e perché esiste il diritto internazionale. Ma una volta accettato che esista il diritto internazionale, la necessità di avere un decisione comune si perde anche nel diritto domestico. Da cui l’inadeguatezza del giuspositivismo, una teoria del diritto che è sociologicamente rilevante solo nei casi in cui esista un sovrano hobbesiano, onnipotente e illimitato nella sua volontà. Ovunque lo stato non abbia un pieno controllo sociale o sia in concorrenza con altri stati vengono fuori delle norme giuridiche che sono estranee al sistema giuspositivista.

Mi scuso per questa digressione forse  troppo intellettuale  che trova giustificazione nei miei studi accademici di Filosofia all’Università di Cagliari, ma che aiutano ad inquadrare meglio l’argomento, anche se preferisco entrare concretamente nel merito della discussione  interessante che si è aperta in questo blog.

La sovranità del popolo sardo è solo annunciata  e quasi mai  è stata esercitata dalla classe politica del  Governo Regionale né purtroppo l’attuale Giunta e Consiglio Regionale trovano il tempo per avviare la riforma dello Statuto Sardo,approvato con Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n° 3,ed ormai palesemente inadeguato e superato.

Il perché di questo ritardo da parte delle Istituzioni Isolane e delle forze politico-sociali presenti sul territorio è in gran parte  inspiegabile, se non richiamandoci ai secoli di sudditanza al padrone di turno e alle dominazioni straniere che si sono succedute  in Sardegna.

Ma ai giorni nostri è assurdo che la Sardegna non parli di sovranità, quando ormai sono evidenti tutti i parametri in base ai quali nazioni meno estese come territorio e meno popolate come Malta sono assurte al rango di Stati Europei.
Da tempo, quando mi viene data l’occasione in qualche convegno o assemblea pubblica, mi piace citare una frase che  l’eminente dirigente sardista  Antonio Simon Mossa pronunciò il 16 ottobre 1946: ”Le finzioni sono finite. I miti non possono nascondere la verità. Uno stato sardo sovrano e indipendente è diventata l’unica strada che ai giorni nostri può portare ad una cooperazione fruttuosa non solo tra la Sardegna e l’Italia, ma tra il Popolo Sardo, l’Europa e il resto del Mondo”. Ed ancora in un discorso del 10 gennaio 1944: ”Alcuni uomini, che non sono dei politici, ritengono sia giunto il momento di assumersi questo rischio, di contare su questo fattore (indipendenza) per suscitare, da un capo all’altro della nostra Isola, una valida coscienza nazionale”.

Evidentemente dobbiamo prendere atto che a tutto oggi manca questa diffusa coscienza nazionale. Proviamo a declinare questo concetto di sovranità, che fa il paio col concetto di popolo sardo e Nazione sarda, in termini moderni  e scopriremo una piattaforma e progetto che, se attuato, darebbe la possibilità di migliaia di posti di lavorio veri e produttivi e farebbe entrare da subito la Sardegna  tra gli altri Stati Europei senza la fastidiosa e pesante intermediazione dello Stato Italiano.

Ecco una possibile piattaforma da Stato sovrano:
1.Sovranità energetica. La Sardegna oggi produce energia elettrica in quantità tre volte superiore  al suo fabbisogno reale. Eppure i sardi pagano il 40 % in più la bolletta  dell’Enel che come Ente pubblico  preferisce acquistare la corrente sul mercato internazionale piuttosto che comprarla a metà prezzo da Ottana/Energia,costringendola al fallimento.

La Sardegna ha già ora  la capacità di produrre in loco l’energia ,utilizzando e sviluppando tutte le fonti energetiche alternative:sole,acqua,vento,sabbie silicee per i pannelli fotovoltaici. Non c’è necessità di produrre energia dalle biomasse. Il progetto della Chimica Verde di Portotorres è un grande imbroglio. E’ un megainceneritore di 40 MGW,destinato a consumare 30 milioni di ettari coltivato a cardi. A fronte di 1500 licenziamenti e/o cassa integrazione degli operai applicati ai vecchi impianti della Chimica di Base,l’offerta è di 550 posti di lavoro in sei anni. Anche il Progetto Galsi – rivelatosi una grande operazione coloniale- decade per il ritiro degli Algerini, principali fornitori del GAS che hanno annunciato la loro indisponibilità.

Le nostre imprese di pannelli fotovoltaici soccombono perché le imprese del continente riescono ad avere mutui a tassi nettamente inferiori dalle Banche per cui riescono ad offrire alla loro clientela i contratti a prezzi  più convenienti. Cosa fa la Regione? Propone incentivi ad esaurimento rispetto alle domande pervenute, ma non riesce a scalfire minimamente la posizione delle Banche sarde che non abbassano i tassi.

2.Sovranità alimentare. Sostegno ed investimenti nell’Agricoltura e nell’Allevamento, settori che necessitano di ammodernamento e che vanno collegati con le industrie di trasformazione e conservazione dei prodotti alimentari. Puntare sui prodotti sardi con filiere  a Km zero. Sarà un caso, ma proprio in questi giorni, il Governo Monti sta opponendo i ricorsi alla Corte Costituzionale contro le leggi della Regione Calabria che favorivano  l’agricoltura a Km. Zero.

3.Sovranità fiscale. Cacciare Equitalia dalla Sardegna, restituendo ai Comuni l’organizzazione di questo servizio. Costringere lo Stato Italiano, anche con ricorsi all’Alta Corte Europea, alla restituzione dei 10 miliardi di euro dovuti alla Sardegna. Istituzione della Zona Franca e Nuova Portualità.

4. Sovranità di Mobilità. Con la svendita della Tirrenia i sardi sono rimasti fregati ed isolati ulteriormente. Il trasporto marittimo ed aereo  sono da terzo mondo ed umiliano ulteriormente la Sardegna,

5.Sovranità ambientale. Guerra alle fabbriche decotte,energivore ed inquinanti come l’Alcoa, l’Euroallumina, la Portovesme Srl, la stessa Carbosulcis. Quegli investimenti miliardari siano fatti nel territorio a favore di tutti i ceti produttivi. Basta ai progetti faraonici con soldi pubblici e senza controllo.
Sostenere e rilanciare il  Parco geominerario che assicura da subito 500 posti di lavoro a giovani diplomati e laureati. Rifinanziare il settore manufatturiero e tessile di Isili e Ottana. Apertura immediata dei cantieri per le bonifiche di tutto il territorio. Chiusura dei Poligoni di morte di Perdadefogu, Capo Frasca e Teulada, bonificando il territorio per restituirlo alle attività dell’allevamento e della  agricoltura.

La sovranità non e’ un sogno, ma è volontà politica concreta.

*Segretario Nazionale della Confederazione Sindacale Sarda

sabato 6 ottobre 2012

Sardinya: Movimentu Europeu Rinaschida Sarda Meris verso le Elezioni

Doddore Meloni: arrivare al 30% in Consiglio
Roberta Floris
unionesarda.it

L'obiettivo è l'indipendentismo della Sardegna. Lo strumento le Regionali del 2014. Doddore Meloni, leader di Malu Entu, ha presentato, ieri, la nuova carta di identità per la nascita della repubblica autonoma dell'Isola. Nome: Movimentu europeu rinaschida sarda (Meris, che in sardo vuol dire padroni).  AUTOGOVERNO Simbolo: l'albero sradicato di Eleonora d'Arborea (emblema dei sardi che si sono formati da soli, senza l'aiuto di nessuno) con i quattro mori senza benda. Segni particolari: lo slogan che recita «padroni in casa nostra». Finalità: raggiungere il 30 per cento dei voti alle prossime elezioni regionali nel 2014. «Dobbiamo autogovernarci. Riprendiamoci il diritto di casa nostra. Gli indipendentisti, oggi come oggi, non raggiungono il 10 per cento in Consiglio regionale, ma se aderissero al Movimento si potrebbe superare il 30», sottolinea Doddore. In piena battaglia legale per veder riconosciuto il diritto al referendum consultivo - bocciato dall'Ufficio regionale - Meloni punta a presentarsi alle urne con la sua nuova arma indipendentista: Meris. «È un contenitore trasversale pronto ad accogliere chiunque (tranne i riciclati) voglia veder nascere la repubblica autonoma nell'Isola. Rappresenta il voto effettivo sull'indipendenza». 
Meris.. Movimentu Europeu Rinaschida Sarda
INDIPENDENZA Indipendenza che, precisa, non va confusa con l'isolamento: «Indipendenza vuol dire apertura verso l'Europa, e porta all'autonomia legislativa». 
Doddore non risparmia, poi, critiche ai sardi, «mosche cocchiere»: «Non è colpa dei politici se l'Isola è attanagliata dalla crisi, ma dei cittadini che hanno scelto queste persone a rappresentarli. La Sardegna sta diventando una colonia moderna, preda di ogni avventuriero che viene». 
TURISMO E TRASPORTI Meloni punta i riflettori sui nodi da sciogliere: turismo, trasporti e disoccupazione giovanile: «Dobbiamo essere noi ad andare a prendere i turisti. Gli aeroporti e i porti dei nostri vicini di casa, Corsica e Spagna, funzionano molto meglio e con tariffe più basse». Rivendica la paternità della flotta sarda: «Avremmo potuto acquistare, tutti insieme, le quote della Tirrenia, creando 50 mila posti di lavoro in più. Invece da noi i giovani fuggono a caccia di fortuna altrove». E invita i sardi a dare un suffragio a se stessi. «Solo così da Roma incominceranno a preoccuparsi. Anzi lo hanno già fatto perché mi hanno arrestato». Il leader di Meris, arrestato in agosto per evasione fiscale (5 milioni di euro) conclude: «Pago le tasse, ma in forma indiretta».

giovedì 4 ottobre 2012

La fabbrica degli stati falliti


La fabbrica degli stati falliti

Edward S. Herman 
Tradotto da  Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Durante la guerra del Vietnam, sopra l'ingresso di una base americana si poteva leggere: "Killing is our business, and business is good" (Uccidere è il nostro mestiere e gli affari vanno bene"). E in effetti, gli affari andarono molto bene in Vietnam (così come in Cambogia, Laos e Corea), dove si contarono a milioni i civili uccisi. In realtà gli affari si mantennero buoni, anche dopo la guerra del Vietnam.


I massacri sono continuati in tutti i continenti, sia direttamente che tramite "proxies" [mercenari], ovunque la "sicurezza nazionale" degli Stati Uniti bisognasse di basi, guarnigioni, assassini, invasioni, campagne di bombardamenti o di sostenere regimi assassini e autentiche reti terroristiche transnazionali, in risposta alla "minaccia terroristica" che continua a sfidare il povero "pietoso gigante". Nel suo eccellente libro sull'ingerenza degli Stati Uniti in Brasile (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black aveva dimostrato già anni fa, come l'accezione sorprendentemente elastica del concetto di "sicurezza nazionale" può essere estesa, in funzione di quale nazione, quale classe sociale o istituzione si riferisca. Al punto che proprio "coloro la cui ricchezza e potere dovrebbe in linea di principio garantire la sicurezza, sono quelli maggiormente paranoici e che, con i loro frenetici sforzi per garantire la propria sicurezza, generano loro stessi la loro propria [parziale] distruzione". (La sua opera affrontava il pericolo di sviluppare una democrazia sociale in Brasile nel 1960, e la sua repressione attraverso il sostegno degli Stati Uniti alla controrivoluzione e all'instaurazione di una dittatura militare). Aggiungete a ciò la necessità per gli imprenditori legati al complesso militare-industriale di promuovere le missioni per giustificare un aumento dei bilanci della difesa e la piena cooperazione dei mass media a questa attività, e otterrete una realtà terrificante.

In realtà il suddetto gigante falsamente paranoico si è impegnato a capofitto nella produzione di pretesti per credibili minacce, soprattutto dopo il crollo dell'"impero del male", che il paese aveva sempre sostenuto di "contenere". Grazie a dio, dopo alcuni tentativi episodici di focalizzare l'attenzione sul narco-terrorismo e sulle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, il terrorismo islamico è caduto dal cielo per offrire alla defunta minaccia un degno successore, derivante naturalmente dall'ostilità del mondo arabo alle libertà americane e dal suo rifiuto di consentire la possibilità a Israele di negoziare la pace e risolvere pacificamente i suoi disaccordi con i palestinesi.

Oltre a rendere più efficaci i massacri e il soldo dei mercenari che ne deriva, gli Stati Uniti sono diventati de facto il più maggior produttore di Stati falliti, su scala industriale. Per Stato fallito, intendo uno Stato che, dopo esser stato schiacciato militarmente o reso ingovernabile a causa di una destabilizzazione politica o economica che lo getti nel caos, ha quasi sicuramente perso la capacità (o il diritto) di ricostruirsi e di soddisfare le legittime aspirazioni dei suoi cittadini. Naturalmente, questa abilità degli Stati Uniti non nasce ieri: come dimostra la storia di Haiti, della Repubblica Dominicana, di El Salvador, del Guatemala o degli Stati dell'Indocina, dove i massacri hanno funzionato così bene. Inoltre, abbiamo visto di recente una recrudescenza incredibile nella produzione di Stati falliti, di tanto in tanto senza ecatombe, come ad esempio nelle repubbliche ex-sovietiche e in tutta una serie di paesi dell'Europa dell'est, dove la riduzione dei salari e l'aumento vertiginoso del tasso di mortalità sono frutto diretto dalla "terapia d'urto" e del saccheggio generalizzato e semi-legale dell'economia e delle risorse, da parte di élite sostenute dall'Occidente, ma anche più o meno organizzate e sostenute a livello locale (privatizzazioni a tutto campo, corruzione a livelli esorbitanti).

Per consultare l'indice 2012 (interattivo, come si deve) degli stati falliti elaborato da esperti washngtoniani, cliccare sull'immagine

Un'altra cascata di Stati falliti origina dagli "interventi umanitari" e dai cambi di regime guidati dalla NATO e dagli Stati Uniti in modo più aggressivo che mai dopo il crollo dell'Unione Sovietica (vale a dire dopo la scomparsa di una "forza di contenimento" estremamente importante anche se molto limitata). Qui, l'intervento umanitario in Jugoslavia è servito da modello. Bosnia, Serbia e Kosovo sono diventati Stati falliti, altri sono usciti stremati, tutti assoggettati all'Occidente o alla sua pietà: una base militare statunitense monumentale è sorta da subito in Kosovo, eretta sulle rovine di quello che un tempo era uno Stato socialdemocratico indipendente. Questa bella dimostrazione di merito per l'intervento imperialista ha inaugurato la produzione di una nuova serie di stati falliti: Afghanistan, Pakistan, Somalia, Iraq, Repubblica Democratica del Congo, Libia, mentre oggi è in corso un programma simile in Siria e un altro si appresta per la gestione della cosiddetta "minaccia iraniana", nel tentativo di far rivivere i giorni felici della dittatura filo-occidentale dello Shah.

Questi fallimenti programmati hanno di solito in comune i segni caratteristici della politica imperiale e una proiezione di potenza dell'impero. Il copione prevede: la comparsa e/o legittimazione (o riconoscimento ufficiale) di una ribellione etnica armata che si atteggia a vittima, la quale conduce contro le autorità del proprio paese azioni terroristiche volte a provocare apertamente una reazione violenta da parte delle forze governative e che invoca immancabilmente le forze dell'impero a soccorrerla. Mercenari stranieri vengono generalmente assoldati per aiutare i ribelli, mercenari e ribelli indigeni vengono armati, addestrati e sostenuti logisticamente dalle potenze imperiali. Queste ultime si impegnano a incoraggiare e sostenere le iniziative dei ribelli il tanto per giustificare la destabilizzazione, i bombardamenti e, infine, il rovesciamento del regime bersaglio.

Il processo è stato eclatante durante tutto il periodo dello smantellamento della Jugoslavia e nella produzione di Stati falliti che seguirono. Le potenze della NATO, mirando alla disgregazione della Jugoslavia e al crollo della sua componente più importante e indipendente, vale a dire la Serbia, hanno incoraggiato alla ribellione gli elementi nazionalisti delle altre repubbliche della federazione, per le quali il sostegno o l'impegno militare della NATO sul terreno era un fatto acquisito. Il conflitto fu lungo e virò verso la pulizia etnica, ma per quanto concerne la distruzione della Jugoslavia e la produzione di Stati falliti, fu un successo (vedi Herman e Peterson,The Dismantling of Yugoslavia, Monthly Review, ottobre 2007). Stranamente, è con l'approvazione e la collaborazione dell'amministrazione Clinton e dell'Iran che si importarono tra gli altri mercenari, degli elementi di Al Qaeda in Bosnia e poi in Kosovo, per aiutare a combattere il paese obiettivo: la Repubblica di Serbia. Ma Al-Qaeda appariva anche tra le fila dei "combattenti per la libertà" impegnati nella campagna di Libia, ed è anche un componente riconosciuto (ora perfino dal New York Times, anche se con un po' di ritardo) del cambiamento di regime programmato in Siria (Rod Nordland, Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict»New York Times, 24 luglio 2012). Certo, Al Qaeda era precedentemente stata al centro del cambiamento di regime in Afghanistan [1996] e un elemento chiave nella svolta dell'11 settembre (Bin Laden, capo dei ribelli sauditi di primo piano, dapprima sostenuto dagli Stati Uniti, si sarebbe poi rivoltato contro di loro, da cui venne demonizzato ed eliminato).

Questi programmi comportano sempre una gestione sapiente delle atrocità, che permette di accusare il governo aggredito di aver commesso atti di violenza gravi contro i ribelli e i loro sostenitori, così da demonizzarlo efficacemente per giustificare un intervento massiccio. Questo metodo ha avuto un ruolo fondamentale durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia, e probabilmente ancora di più nella campagna di Libia e di quella in Siria. E' un metodo che deve molto anche alla mobilitazione delle organizzazioni internazionali che sono attivamente coinvolte in questa demonizzazione denunciando le atrocità attribuite ai leader riconosciuti, perseguendoli e condannandoli penalmente. Nel caso della Jugoslavia, il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY), istituito dalle Nazioni Unite, ha lavorato mano nella mano con le potenze della NATO per assicurare che la sola messa in stato d'accusa delle autorità serbe fosse sufficiente a giustificare qualsiasi azione che gli Stati Uniti e la NATO avessero deciso di intraprendere. Esempio mirabile di questa meccanica, la messa in stato di accusa di Milosevic da parte del Procuratore del ICTY, lanciata proprio quando (nel maggio 1999) la NATO decideva di bombardare deliberatamente le infrastrutture civili serbe per accelerare la resa della Serbia, bombardamenti che costituivano crimini di guerra condotti in piena violazione della Carta delle Nazioni Unite. Eppure fu proprio il processo a Milosevic che permise ai media di distogliere l'attenzione pubblica dagli abusi illegali della NATO.

Allo stesso modo, alla vigilia dell'attacco alla Libia da parte della NATO, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) si affrettò a promuovere un'azione giudiziaria contro Muammar Gheddafi senza aver mai chiesto un'indagine indipendente, rendendo di pubblico dominio che la Corte penale internazionale non aveva perseguito nessun altro che i leader africani non allineati con l'Occidente. Questo modo curioso di "gestione della legalità" è una risorsa preziosa per i poteri imperiali ed è estremamente utile in un contesto di cambiamento di regime, come nella produzione di Stati falliti.

Sono anche coinvolte delle organizzazioni umanitarie o di "promozione della democrazia" apparentemente indipendenti, come Human Rights Watch, l'International Crisis Group e l'Open Society Institute, che regolarmente si uniscono alla processione imperiale, facendo l'inventario dei soli crimini correlati al regime obiettivo e ai suoi dirigenti: cosa che contribuisce in modo significativo alla polarizzazione dei media. L'insieme consente di creare un ambiente morale favorevole a un intervento più aggressivo in nome della difesa delle vittime.
Poi si aggiunge che, nei paesi occidentali, le denunce o le accuse di atrocità - che rafforzano le immagini di vedove in lutto e rifugiati indigenti, le prove apparentemente attendibili di abusi odiosi e l'emergere di un consenso attorno alla "responsabilità di proteggere" le vittime del conflitto - commuove profondamente gran parte dei circoli di sinistra e libertari. Molti di loro vengono ad ululare con i lupi contro il regime bersaglio, ed esigono l'intervento umanitario. Gli altri in genere sprofondano nel silenzio, certo perplesso, ma pregno soprattutto della paura di essere accusati di sostenere il "dittatore". L'argomento degli interventisti è che, a costo di apparire sostenitori dell'espansionismo imperialista, talvolta occorre fare un'eccezione se le cose sono particolarmente gravi e se tutti sono indignati e chiedono un intervento. Ma bisogna, per dimostrarsi autenticamente di sinistra, tentare una micro-gestione degli interventi per contenere l'attacco imperiale, esigendo per esempio che ci si attenga all'interdizione di una no-fly zone come in Libia.

Ma gli Stati Uniti stessi non sono che un caso, dei peggio riusciti, di produzione di tali Stati falliti. Ovviamente, nessuna potenza straniera li ha mai schiacciati militarmente, ma la base della sua popolazione ha pagato un tributo pesante al sistema di guerra permanente. Qui, l'elite militare, così come i suoi alleati nel mondo dell'industria, della politica, della finanza, dei media e gli intellettuali, hanno contribuito ampiamente ad aggravare la povertà e il disagio generalizzato dovuto alla disintegrazione dei servizi pubblici e all'impoverimento del paese; la classe dirigente, paralizzata e compromessa, è incapace di rispondere adeguatamente alle esigenze e alle aspettative dei suoi cittadini, nonostante il costante aumento della produttività pro capite del PNL. Le eccedenze sono completamente dirottate verso il sistema di guerra permanente e dal consumo e l'arricchimento di una piccola minoranza, che lotta in modo aggressivo per realizzare la captazione non solo delle eccedenze, ma fino al trasferimento diretto delle entrate, delle proprietà e dei diritti pubblici della stragrande maggioranza dei suoi concittadini (in difficoltà). In quanto Stato fallito, come in molti altri campi, gli Stati Uniti sono una nazione senza dubbio d'eccezione!




Per concessione di Resistenze.org

martedì 2 ottobre 2012

LA SPAGNA GETTA LA SPUGNA LUNEDI. POI MANCA SOLO L'ITALIA


 VALERIO LO MONACO
ilribelle.com


Molti analisti e commentatori, ma la cosa è facilmente intuibile, danno ormai per scontato che la Spagna chiederà ufficialmente gli aiuti al Fondo Salva Stati nel corso del prossimo fine settimana, a mercati chiusi, come è logico fare. È il motivo per il quale durante questa settimana, salvo l'uscita di altre notizie, le Borse dovrebbero veleggiare sui valori attuali in attesa della prossima, in cui invece, ad aiuti richiesti, le cose cambieranno sensibilmente.

Il motivo è molto semplice, e nasconde un aspetto ulteriore che a nostro avviso non è stato ancora messo a fuoco con la dovuta attenzione dai più.

Sui dati di Madrid è inutile insistere, così come sul fatto che è in pratica da inizio settembre, momento in cui Rajoy aveva dichiarato che non avrebbe fatto ricorso agli aiuti, che tale possibilità, si sapeva, sarebbe diventata presto una certezza.

La manovra enorme varata giorni addietro tra la rabbia della piazza è peraltro poca roba in confronto a quanto ai cittadini verrà richiesto dalla troika una volta che gli aiuti saranno stati richiesti. Accedere al Fondo, per Madrid, significherà accettare i diktat a livello economico, cosa sino a ora almeno in parte scongiurata, e il governo dichiarerà al popolo, in tutte le circostanze in cui verranno rese note le misure successive, che ciò dipende dalle "richieste dell'Europa". In modo insindacabile, a meno di una uscita della Spagna dall'Euro, i cittadini dovranno dunque piegarsi. Ma la Spagna potrà, per prima, andare anche a vedere - e fungerà da rivelatore per tutti - quale sarà l'effettivo ammontare e la vera efficacia dell'intervento della BCE sui titoli a breve e medio termine, mediante quello che è stato definito "acquisto illimitato", che Francoforte andrà a operare in seconda battuta, dopo la richiesta di aiuti al Fondo. Si vedrà insomma che portata reale avrà quella che sino a ora è stata solo una dichiarazione, da parte di Draghi. 

Il percorso di Madrid è comunque chiaro, e simile, tranne che per alcuni particolari (ad esempio quest'ultimo della BCE) a quello degli altri Paesi Piigs che sino a ora hanno richiesto aiuti e si sono visti imporre le manovre di Fmi-Ue-Bce: l'operazione non ha funzionato in nessun caso e non si vede il motivo per il quale dovrebbe funzionare per la Spagna. Certo, non dimentichiamolo, a qualcuno l'operazione è servita e sta fruttando: gli speculatori brindano a ogni richiesta di aiuti, come sappiamo. Il popolo invece finisce in ginocchio. 

Ciò non toglie che malgrado la parabola certa di un iter del genere si continui, Paese dopo Paese, a riproporre la medesima procedura.

Basta mettersi nei panni di chi opera in Borsa per capire quale sarà il suo andamento nei prossimi giorni: siccome tutti sanno che quando un Paese entra nella spirale del debito all'infinito la sua storia è ormai segnata - e gli spread salgono - per chi vuole speculare a più non posso basta aspettare il momento in cui tale operazione avrà inizio. Per intenderci, Lunedì prossimo.

Ma l'altro aspetto da mettere in luce è il fatto che a quel punto, a Spagna spacciata come è stato in precedenza per Irlanda, Portogallo e Grecia, del club dei piigs rimarremo fuori solo noi. Per poco. L'Italia è l'unico Paese, di quelli "attenzionati" dalla speculazione, a essere rimasto fuori dalla bufera più profonda nelle ultime settimane. I cannoni dei banksters si sono rivolti, durante tutto agosto e soprattutto settembre, proprio su Madrid, ma non appena la Spagna sarà saltata saremo noi a essere messi sul serio nel mirino. 

Come, esattamente, non è dato sapere. Sarebbe ipocrita e scorretto - come invece purtroppo fanno alcuni - dire già oggi esattamente cosa accadrà. Ma una cosa è certa: al centro dell'operazione fraudolenta ci saremo noi. 

Ora, la situazione, già a questo punto ma ancora di più da Lunedì prossimo e poi quando toccherà a noi subire le attenzioni dei mercati, è ovviamente profondamente cambiata rispetto a quando nell'occhio del ciclone si sono trovati Portogallo e Grecia. Ed è, per la precisione, peggiorata proprio a livello europeo. Ciò significa che se da una parte è fin troppo facile ipotizzare che per l'Italia tenteranno di riprodurre le condizioni che hanno portato gli altri Piigs a capitolare sotto la scure della troika, dall'altro lato ci sono delle incognite ulteriori (e superiori) che entrano a far parte della partita. Tra queste quella più determinante è la Germania. Cioè l'Euro. 

La Grecia ha già fatto default. E se l'Irlanda a livello economico conta poco, Spagna e Portogallo invece sono sulla strada ormai segnata. Ma a quel punto, quando cioè saremo anche noi sotto attacco veramente serio - in rapporto, quello dei tempi di Berlusconi e quello dei primi mesi del governo Monti saranno stati solo un grosso mal di testa che ci ha tolto il welfare, il lavoro e il futuro - in pratica la palla passerà nelle sole mani della Merkel (la Francia conta veramente poco, al momento, ed è peraltro sorniona in attesa di vedere come si metteranno le cose, ma i conti non sono affatto a posto neanche da quelle parti).

Insomma il vero attacco all'Euro e all'Europa nel suo complesso, a livello finanziario, inizierà proprio con noi al centro del radar. Delle due l'una: o faremo la fine degli altri piigs, come è nell'ordine delle cose (e dei libri contabili) oppure veramente saremo al redde rationem a livello europeo (e dell'euro). Momento nel quale si potrebbero verificare delle situazioni che sino a ora sono state solo ventilate (uscita della Germania? Due Euro per l'Europa, uno forte e uno debole?). Del resto, anche il Wall Street Journal, che si può tacciare di tutto ma non di incompetenza, scrive che Italia e Germania hanno due visioni opposte su come risolvere la situazione. Ovviamente. Vedremo. Di certo, per l'Italia è ormai questione di giorni.

Valerio Lo Monaco
www.ilribelle.com
2.10.2012

Per gentile concessione de “La Voce del Ribelle”

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domenica 30 settembre 2012

PUNTI PROGRAMMATICI DELLA CONSULTA RIVOLUZIONARIA DE SARDINYA

PUNTI PROGRAMMATICI DELLA CONSULTA RIVOLUZIONARIA


PUNTOS PROGRAMMATIGOS DE SA CONSULTA REVOLUTZIONARIA - APROVADOS IN S'ABOJU DE OTZIERI SU 29 DE CAPIDANNI 2012

imprenta de Sardigna-Natzione-Indipendentzia-UfitzialeOfficial

              Venerdì 21 settembre a Tramatza  dopo ampia discussione di tutti i presenti è emersa la necessità di definire 3-4-5 punti unificatori atti a rappresentare tutti i gruppi aderenti e funzionali all’utilizzo rivoluzionario della nostra nascente piattaforma.
                Tutti gli interventi  hanno evidenziato le questioni riguardanti l’Energia, la defiscalizzazione, Zone Franche, la Sovranità alimentare, Trasporti ecc.

                             Tutti i convenuti hanno anche concordato sul fatto :

  • Che la situazione attuale della Sardegna è di disastro economico, sociale ed occupazionale.

  • Che la responsabilità di tale disastro ricade unicamente sulla classe politica e sindacale che ha governato la Sardegna dagli anni cinquanta ad oggi.

  • ØChe il sistema politico basato sulla sovranità mediata sia stato per la Sardegna fallimentare ed impeditivo oltre che disorganico.

  • ØChe la Sardegna è in una situazione di emergenza e che tale emergenza non può essere affrontata e superata dagli stessi blocchi di potere che l’hanno causata.

  • Che occorre un cambiamento radicale di sistema ed anche di persone, che porti al governo della Sardegna un blocco sociale e politico alternativo in grado di interpretare i bisogni e le aspirazioni più profonde ed urgenti del popolo sardo e di essere organico ad esso senza vincoli verso sistemi politici estranei alla Sardegna.

  • Che la Consulta Rivoluzionaria,  è figlia di questa emergenza, raccoglie i sardi liberi, rappresenta tutte le categorie di lavoro e tutte le comunità  della Sardegna, è in grado di esprimere un “altro governo”, per superare l’emergenza e uscire dal disastro.

  • Che la Consulta, per sua natura e per dovere coerente verso la Sardegna, in nessun caso potrà farsi coinvolgere in progetti di sovranità mediata con chi ha governato la Sardegna del disastro.

  • Che la Consulta chiamerà i sardi alla mobilitazione per esigere le dimissioni del governo regionale e di tutti i consiglieri chiedendo loro di non ricandidarsi.
In sintesi possiamo riassumere con questo slogan e con questa  Piattaforma iniziale così articolata:

DISASTRU – EMERGENTZIA – ATERU GUVERNU

  Sovranità Energetica.

                 La Sardegna oggi produce energia elettrica in quantità tre volte superiore al suo fabbisogno reale. Eppure i sardi pagano l’energia il 40% in più delle altre zone dello stato italiano ed ha una potenza installata,tre volte superiore a quella necessaria, basata su un sistema energetico vecchio, costoso e inquinante.

  • Togliere la gestione del sistema energetico sardo a Terna-Enel.

  • Avocare alla Regione il potere di assegnazione della qualifica di “Impianto Energetico Essenziale” togliendolo alla connivenza tra,   Terna-Enel,     Governo ed    E-ON.

  •  Combustibili per autotrazione e riscaldamento. 

                Abbiamo la raffineria più grande d’Europa e paghiamo il gasolio e la Benzina come il resto dello stato, pur subendone i gravi danni all’ambiente ed alla salute e compromettendo immensi territori altrimenti utilizzabili.
          -  Chiediamo il dimezzamento del costo degli idrocarburi  riconoscendo ai sardi le   accise  sulla produzione e non solo quelle al  consumo.

  Sovranità Alimentare.

        -  La Sardegna produce appena il 20% del suo fabbisogno alimentare il restante 80% viene importato da più parti.
       -  Proponiamo un modello di sviluppo basato sull’agroalimentare e agroindustria (conservazione    e trasformazione dei prodotti).  e una legge di tutela di      tutti i prodotti sardi, un sistema di controllo portuale che verifichi la qualità ed il rispetto di tutte le regole d’importazione sia per i prodotti animali che vegetali.
       -  Il blocco di tutte le licenze degli iper e mega mercati e il martellante controllo sanitario di quelli esistenti.

        L’obbligo da parte della G.D.O. di acquistare almeno il 50%dell’agroalimentare direttamente dalle aziende sarde

 Sovranità Fiscale.

                   Cacciare Equitalia dalla Sardegna istituendo un nuovo soggetto organico.

- Da subito togliendo l’incarico di riscossione tributaria ad Equitalia, da parte degli enti che      attualmente se ne servono.
 - Da subito, istituire un’Agenzia Sarda delle Entrate
 - Togliere, in base all’art.9 dello statuto, l’affidamento allo stato della riscossione dei “propri tributi” ed affidarli all’Agenzia Sarda delle Entrate, e conferendo allo stato le quote in decimi previste dalla riforma dell’art.8 dello stesso statuto, aprendo, se necessario, un contenzioso con lo stato.

  Istituzione delle Zone Franche e Nuova Portualità.
-  Da subito, istituzione delle zone franche  da subito come previsto dal decreto Legislativo 10 marzo 1998 n°75
  -  Istituzione di una zona franca articolata che interessi anche le zone interne per una fiscalità di vantaggio, anche per non rincorrere nelle censure europee, per le piccole e medie imprese che si localizzano nelle zone svantaggiate e lavorano le nostre risorse primarie e supportano gli altri settori economici della Sardegna(Agroalimentare, Turismo ect)

        Sovranità di Mobilità.

     Con la svendita della Tirrenia e con la nascita del monopolio CIN (Gruppo Onorato) i sardi hanno definitivamente perso ogni loro diritto alla mobilità.
Esigiamo:
- L’istituzione di una flotta sarda con un servizio di mare acquisito nel mercato internazionale.
- Istituzione dell’Antitrust Regionale ASCO, come quello della Catalogna che il 12 febbraio ha ottenuto con la legge con la legge 1/09, in attuazione dello Statuto Catalano l’istituzione dall’ACCO: L’Autorità Catalana della Competenza. Si tratta dell’Authority che, in conformità col diritto UE, ha dato vita ad un’Antitrust indipendente da quello Spagnolo. Potremmo evitare i monopoli marittimi e portuali nonché aeroportuali ed energetici.

 Sovranità Ambientale.

-          Apertura immediata dei cantieri per le bonifiche di tutto il territorio.
-           
-     Chiusura dei Poligoni di morte di Perdasdefogu, Capo Frasca e Teulada, bonificando il territorio per restituirlo alle attività dell’allevamento e dell’agricoltura.
-           
-     Rilancio del Parco geo-minerario che assicurerebbe da subito oltre 500 posti di lavoro per giovani diplomati e laureati.
-           
-      Rifiuto della termovalorizzazione quale sistema per smaltimento rifiuti o generazione di energia.

Questi sono i punti che più o meno sono stati discussi, si tratta ora di condividerli e analizzarli supportandoli di analisi scientifica

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