giovedì 17 giugno 2010

19 GIUGNO IL COMITATO PROMOTORE REFERENDUM NUCLEARE INCONTRA IL BASSO CAMPIDANO A ELMAS

SABATO 19 GIUGNO ELMAS ORE 17.00
NELLA SALA DELL'EX COMUNE

NON POSSIAMO PERMETTERE CHE ROVININO LA TERRA DEI BIMBI CHE DEVONO ANCORA NASCERE

I SARDI PER UN SI AL REFERENDUM PER IL RIFIUTO DELLE SCORIE E DELLE CENTRALI NUCLEARI A CIRRAS ED OVUNQUE IN SARDEGNA E NEL MONDO!!

NO NUCLEARE IN SARDINIA!
SOVRANITA' SULLA NOSTRA TERRA!
MOVIMENTARCI PER NON SUBIRE
AGIRE PER NON PERIRE






COMITATO PROMOTORE REFERENDUM SUL NUCLEARE

Il COMITATO PROMOTORE DEL REFERENDUM SUL NUCLEARE
- CHI SIAMO-
nasce da una forte coscienza della responsabilità generazionale che impegna i sardi a tutelare il territorio della Sardegna per trasmetterlo salubre e senza ulteriori contaminazioni alle generazioni future, nell'esercizio delle facoltà primigenie di sovranità che loro derivano dall'appartenenza a questo popolo e a questa terra. Questo sentire si è concretizzato nella volontà di interpellare il Popolo Sardo in merito alla indisponibilità del territorio dell’isola alla installazione di centrali nucleari e/o allo smaltimento di scorie radioattive.
Il Popolo Sardo si esprimerà attraverso un referendum consultivo promosso ai sensi dell’art. 1, lett. f) della Legge Regionale n. 20 del 17 maggio 1957, successive modificazioni, che riporta il seguente quesito:

“Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”

DEL COMITATO PROMOTORE fanno parte

• il Movimento “Sardigna Natzione Indipendentzia”
• il Comitato “NoNuke! Una risata sardonica vi seppellirà!” .

Martedì 9 Febbraio alle ore 11.30 presso la Corte d’Appello di Cagliari il Comitato Promotore ha consegnato 16286 firme regolarmente autenticate e certificate con controllo sulle liste elettorali, chiedendo il referendum, che è stato concesso con decreto dell’aprile successivo.

Queste alcune delle iniziative già svolte nell’ambito della Campagna per la raccolta delle firme e nella Campagna referendaria:

• CAGLIARI, piazza del Carmine, 8 dicembre 2009
MANIFESTAZIONE ANTINUCLEARE

• CIRRAS, 7 marzo 2010
DIE DE SA VARDIANIA
Manifestazione antinucleare con posa di un bronzetto, simbolo di guardiania.

• CAGLIARI, piazza del Carmine, 26 Aprile 2010
CHERNOBYL DAY

Il Comitato Promotore si propone inoltre di continuare l’iniziativa nella quale è già impegnato: “Paese per Paese”, nell’ambito della quale si organizzano incontri-dibattito con la proiezione di materiale informativo e la presenza di esperti che spiegano le ragioni del votare SI al quesito del referendum consultivo.
SI ALLA VITA NO ALLA MORTE NUCLEARE.

http://comitatopromotore.forumfree.it/

martedì 18 maggio 2010

BENI COMUNI «Un risultato straordinario, ora bisogna vincere il referendum» L'acqua marcia e fa 500 mila

IL MINISTRO RONCHI:
«Il referendum può far saltare tutto»
A settembre saranno pronti i regolamenti attuativi della riforma dei servizi pubblici. Lo ha spiegato ieri in un'intervista al Sole24ore il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, che se l'è presa con la «grande mistificazione ideologica sulla gestione dell'acqua, che rischia di far saltare il banco». Secondo il ministro, infatti, la raccolta delle firme per il referendum non è altro che «un pretesto», poichè il decreto «non privatizza l'acqua» e «la battaglia ideologica serve per bloccare le liberalizzazioni vere che sono previste da quel provvedimento». Ma come si fa a rilanciare la liberalizzazione? «Prima di tutto puntando con più decisione sulla creazione di una Authority indipendente che vigili sull'intero processo e possa anche sanzionare le distorsioni. Non deve essere un carrozzone - ha aggiunto Ronchi - non mi interessano i nomi, mi interessa che il mercato ne ha bisogno e la liberalizzazione anche». Quanto ai decreti attuativi, il titolare delle Politiche comunitarie ha assicurato: «Ci stiamo lavorando», anche se «provvedimenti come questi, che devono armonizzare le discipline dei diversi settori, limitare il regime di esclusiva e precisare le regole degli affidamenti, toccano temi delicati e hanno bisogno di una concertazione ampia, perché una volta approvati devono funzionare al meglio», ha concluso.

Raggiunto il quorum in appena un mese. Il pienone alla Perugia-Assisi
Andrea Palladino
ilmanifesto.it
ROMA
La firma numero cinquecentomila ha un nome importante. È un nome collettivo, fatto da migliaia di persone che nell'ultimo - e decisamente burrascoso - fine settimana si sono messi in fila davanti ai banchetti del referendum per l'acqua pubblica. Forse la mano che ha materialmente fatto raggiungere - in un terzo del tempo - il numero minimo per la presentazione dei tre quesiti referendari era di una coppia di Assisi. Con il loro figlio piccolo erano alla marcia della pace e quando hanno visto i manifesti "L'acqua non si vende" del Forum per l'acqua non hanno esitato. Solo qualche giorno fa la Umbria Acqua Spa gli aveva staccato l'acqua, raccontano da Assisi. Una dimenticanza, una bolletta lasciata troppo tempo tra le carte di casa e l'acqua non scorre più dai rubinetti. Ai privati - Acea possiede il 40% di Umbria Acqua - non importa il perché, poco interessa se hai un figlio piccolo che ha bisogno di essere lavato anche più volte al giorno. Alle corporation interessa quella formula magica del liberismo, «l'equilibrio economico finanziario». Ovvero i bilanci, le quotazioni in borsa e i flussi finanziari.
Quella della coppia di Assisi è solo una delle tante piccole storie che i militanti dell'acqua pubblica si raccontano il giorno dopo il fine settimana che ha permesso di attraversare il guado delle cinquecentomila firme. È un successo clamoroso, forse mai raggiunto da altri referendum. Solo quattro anni fa furono necessari diversi mesi per raccogliere poco più di quattrocentomila firme per la proposta d'iniziativa popolare sulla ripubblicizzazione dell'acqua, che ancora oggi è ferma in Parlamento. È dunque profondamente cresciuta la mobilitazione, ma soprattutto si è diffusa la consapevolezza sul peso che ha la gestione dei beni comuni nella democrazia italiana. In quattro anni gli italiani hanno capito che non c'è bisogno di privatizzare l'acqua, perché - in realtà - già viviamo da diverso tempo la gestione delle corporation. In italiano si chiamano società per azioni e, a prescindere dalla composizione del capitale sociale, hanno per legge e per statuto la missione di fare profitto, a qualsiasi costo. Per la coppia di Assisi poco importa se la Umbria Acqua Spa è oggi posseduta al 60% dai comuni, perché poi, alla fine, chi stacca l'acqua è lo stesso soggetto che intasca gli utili. E i cinquecentomila che fino ad oggi hanno firmato per i tre quesiti referendari hanno in mente il vero peso detenuto dai soci privati. È lo stesso meccanismo - ampiamente raccontato - di Acqualatina (51% in mano ai comuni, 49% controllato da Veolia), di Acea (51% controllato dal Comune di Roma, 49% diviso tra Caltagirone, Suez e azioni scambiate in borsa) e di tante altre società miste, dal nord lombardo fino alla Calabria e alla Sicilia. E sta in questa consapevolezza la differenza vincente dei tre referendum dei movimenti per l'acqua con quello presentato da Di Pietro e con la proposta di legge degli ecodem del Pd: la privatizzazione è già arrivata alla fine degli anni '90, quando i privati iniziarono a gestire all'interno delle Spa miste. Quando i cittadini umbri, laziali, toscani, calabresi, lombardi e di tante altre regioni dove i privati sono entrati nelle gestioni idriche firmano hanno davanti agli occhi gli aumenti delle bollette e la volatilizzazione degli investimenti. È il caso, ad esempio, di Trieste, dove l'efficienza della rete è diminuita dopo il passaggio da azienda pubblica a società per azioni. O della provincia di Pescara, dove proprio ieri l'Ato ha comunicato l'aumento record del 30% in un solo anno delle tariffe. Anche in questo caso il gestore - l'Aca - è divenuto società di diritto privato ed oggi solo il 3,6% delle voci di costo va in investimenti sulla rete.
Il peso di questo primo risultato raggiunto era ieri visibile nella sede del Forum italiano dei movimenti per l'acqua. «Il risultato è straordinario, mezzo milione di firme in appena un mese - commenta Corrado Oddi, del coordinamento del Forum - Questa è la dimostrazione non solo che sul tema dell'acqua c'è una grande sensibilità, ma che si intercetta una domanda più profonda e più radicale, che va in contrasto con la mercificazione dei beni comuni e di tutti gli aspetti della vita in generale». E non è solo una questione di contenuto, ma di una mobilitazione in grado di coinvolgere al di là della crisi della sinistra: «D'altro canto l'impostazione data dal Forum - prosegue Oddi - fa emergere una domanda di nuova politica».
La strada ora da percorrere non è finita. Nei prossimi due mesi sarà necessario blindare i tre quesiti con un numero molto alto di firme. Gli ostacoli intermedi sono l'eventuale concorrenza con il quesito di Di Pietro - anche se in pochi hanno visto i banchetti dell'Idv in giro nelle piazze italiane - e il vaglio della Corte Costituzionale. L'ostacolo principale è però il quorum. Su questo punto batte da tempo il gruppo degli ecodem e il circolo più legato a Bersani all'interno del Pd. Ma, numeri alla mano, le previsioni dei democratici sembrano essere decisamente perdenti.



RICCI SCIO'
Un video dedicato al nostro presidente di Nuove Acque SpA, colui che ritiene il Referendum nazionale sull'acqua pubblica una pagliacciata all'italiana.
Report, Le Iene, Presa Diretta, TV7, Buongiorno regione TG3 sono solo alcune delle trasmissioni che hanno visto interventi di Paolo Ricci. Noi aretini lo conosciamo bene l'ex-sindaco di Arezzo che ha contribuito in maniera determinante alla stipula dei patti parasociali. Arezzo, la prima società misto pubblica-privata nella gestione del servizio idrico, studiata da numerose università come il modello da non imitare. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia. La cosa più preoccupante viene detta da chi detiene pieni poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione: NOI ATTINGIAMO DALLE BANCHE SENZA RIMBORSARE E RIMBORSEREMO IL GIORNO IN CUI SAREMO IN GRADO DI FARLO.... andate a vedere chi c'era e cosa è successo a Buenos Aires per esempio.

lunedì 17 maggio 2010

“TANGENTI SUL VENTO”


Business dell’eolico.

I pm: 5 milioni versati al piduista Carboni E quegli 800mila euro finiti a una società di Verdini

di Marco Lillo
ilfatto.com

Cinque milioni di euro. A tanto, secondo quello che risulta al Fatto Quotidiano, ammonta il flusso impressionante che parte da alcune società emiliane impegnata nel business dell’energia eolica in Sardegna e che finisce su conti riferibili, secondo l’accusa, al piduista Flavio Carboni. Nello stesso periodo, un collaboratore dell’imprenditore sardo 78enne coinvolto nel caso Calvi, versa alla società editoriale del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, circa 800 mila euro in buona parte in assegni circolari. Per questa ragione sono stati perquisiti sia il Credito Cooperativo di Firenze che il Giornale di Toscana, le ali del sistema Verdini nell’editoria e nella finanza. Il collaboratore di Carboni versa una serie di assegni circolari nel 2009, con un’accelerazione nell’autunno. I soldi finiscono alla Società Toscana di Edizioni Srl, che ha come azionista importante Denis Verdini. Nello stesso periodo le società emiliane che hanno generosamente finanziato Carboni cercano in tutti i modi di convincere la Regione Sardegna a dare il via libera al primo parco eolico off-shore d’Italia. Proprio in quel periodo, annotano gli investigatori, Verdini chiede al presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, di nominare alla presidenza dell’Arpas, l’agenzia ambientale regionale che si occupa di energia, un amico di Carboni: Ignazio Farris. Nelle conversazioni telefoniche intercettate Carboni dice esplicitamente che la sua nomina è una condizione fondamentale per l’attività del gruppo. Tra l’estate del 2009 e i primi mesi del 2010 i carabinieri del Nucleo operativo di Roma, su delega della Procura di Roma, ascoltano in diretta le conversazioni tra i protagonisti dell’inchiesta. E scoprono così che Marcello Dell’Utri si interessa insieme a Verdini alla lobby eolica di Flavio Carboni. Secondo l’ipotesi investigativa del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, e dei pm Ilaria Calò e Rodolfo Sabelli, quei flussi milionari tra le società del nord e Carboni devono essere letti insieme agli assegni circolari che arrivano al giornale di Verdini dall’amico di Carboni. Le due operazioni vanno inquadrate in una tela che include gli incontri tra Verdini e Carboni, le raccomandazioni del coordinatore del Pdl a Ignazio Farris e soprattutto la predisposizione da parte degli uffici della Regione Sardegna di un piano che, va detto, poi non è stato portato avanti da Cappellacci. Anche se gli investigatori non si spiegano il perché di quei progetti che poi non si concretizzeranno ma che avevano illuso la lobby eolica prima dello stop. I protagonisti della trama sono indagati. Oltre a Flavio Carboni e Denis Verdini, ci sono l’ex giudice tributario Pasquale Lombardi e il costruttore ed ex politico Arcangelo Martino. È finito sul registro degli indagati anche il presidente Cappellacci che ha ammesso di avere parlato con Carboni di energia eolica ma ha sempre sostenuto di avere risposto picche alle sue richieste. Intanto gli indagati attraverso i giornali fanno giungere agli inquirenti segnali sulle rispettive posizioni difensive. Il presidente Cappellacci, consapevole dell’esistenza di intercettazioni telefoniche che lo riguardano, ha ammesso di avere nominato Ignazio Farris su precisa indicazione di Denis Verdini. Il coordinatore del Pdl, rischia di restare così con il cerino in mano e tramite il suo avvocato Marco Rocchi spiega i flussi che lo riguarderebbero: “I soldi versati al Giornale di Toscana sono circa 800 mila euro e sono stati versati da due persone che i giornalisti denominano ‘collaboratore di Carboni’”, spiega Rocchi, “ma che per noi è un soggetto autonomo. Gli assegni provengono da questo signore, del quale non ricordo il nome, e dalla signora Pau”. Per l’avvocato Rocchi, “si trattava di un versamento per entrare nella società e non certo di un pagamento a Verdini. I due nuovi soci del giornale”, continua il legale di Verdini, “avevano siglato un preliminare. Le dirò di più: entro la fine del 2010 dovranno versare ancora fino a una cifra di circa 2 milioni”. Altro che prestanome, insomma, siamo davanti a due imprenditori che, in un momento nero per l’editoria, investono su un giornale in crisi. La società editrice vanta debiti per 11 milioni di euro nel 2008, dei quali 2,3 milioni verso i fornitori. Su 3,2 milioni di fatturato presenta un margine operativo lordo negativo per 1,7 milioni e una perdita di 217 mila euro. Eppure gli amici di Carboni hanno scelto di versare 2 milioni proprio per entrare in società con Verdini. Nelle visure camerali ovviamente non risulta nulla ma l’avvocato Rocchi spiega: “il preliminare non è stato registrato e non c’è nulla di male. Se gli investigatori sono convinti che si tratti di un’operazione fatta apposta per coprire il versamento di una tangente si sbagliano”.

sopra, il coordinatore Pdl Denis Verdini e sotto il presidente sardo Ugo Cappellacci (FOTO ANSA)


Denis Verdini è indagato per corruzione in un'inchiesta riguardante l'attività di un presunto comitato d'affari che coinvolge anche l'imprenditore Flavio Carboni nonché altre quattro persone. A condurre l'inchiesta, i pubblici ministeri romani Rodolfo Sabelli e Ilaria Calò.

L'inchiesta coinvolge oltre a Verdini e Carboni il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu, il magistrato tributario Pasquale Lombardo e il consigliere dell'agenzia ambiente (Arpa) Ignazio Farris. L'indagine riguarderebbe tra l'altro la creazione di un polo eolico in Sardegna, ma sulla natura degli appalti, viene mantenuto il massimo riserbo.

Intanto, nellambito della stessa inchiesta, ieri, a Firenze, è stato perquisito il Credito Cooperativo Fiorentino, istituto bancario presieduto da Verdini. Gli investigatori inviati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai Pm romani erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali gli inquirenti intendono accertare la provenienza e la destinazione. Ma anche su questo filone d'indagine, in procura, c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso.

Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia.



giovedì 6 maggio 2010

"1 Anno di Sperantzia de Libertadi - Giovunus de SNI"

"1 Anno di Sperantzia de Libertadi - Giovunus de SNI"

L'organizzazione Giovanile del Movimento Sardigna Natzione Indipendentzia, "Sperantzia de Libertadi ", è lieta di invitarvi a partecipare alla festa che celebrerà il suo primo anno di attività.

-- PROGRAMMA DELLA SERATA --

H 18:00
BENVENUTO A TUTTI I PARTECIPANTI
INTERVENTI DA PARTE DELL'ORGANIZZAZIONE
APERTURA STAND
INIZIO DIFFUSIONE DELLA MUSICA

H 21:00
1° TORNEO DI MURRA A CAGLIARI
"SPERANTZIA de LIBERTADI"

All'interno della serata si svolgerà il primo torneo di Murra organizzato nella città di Cagliari. Chiunque potrà partecipare e cercare di aggiudicarsi i premi in palio!

- LE ISCRIZIONI SCADRANNO L'8 MAGGIO ALLE h 20:00
- LA QUOTA D'ISCRIZIONE È PARI A 10 € A SQUADRA

● PRIMI CLASSIFICATI

CESTO COMPOSTO DA
2 BOTTIGLIE DA 5 LITRI DI VINO ROSSO
2 SALSICCE
1 FORMA DI FORMAGGIO
PANE CARASAU
(TUTTI PRODOTTI TIPICI SARDI)

● SECONDI CLASSIFICATI

2 CASSE DI BIRRA ICHNUSA

H 23:30
PREMIAZIONE TORNEO DI MURRA

Le iscrizioni sono ufficialmente aperte.
Per iscriversi contattare:

E-Mail : sperantziadelibertadi@gmail.com
Cell : 3492742626 - 3403990871

VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

martedì 27 aprile 2010

CHERNOBYL DAY CAGLIARI


UN POMERIGGIO SOLATIO quello di Cagliari, una piazza con molti bimbi che giocano e madri prese dal guardare i loro bei bimbi.

Iniziamo ad appendere striscioni e bandiere, arrivano le forze dell'ordine, ci guardano e ci chiedono di cosa parleremo, abbiamo un buon dialogo con loro, nel mentre scarichiamo dal furgoncino di Mario le casse degli altoparlanti e tutta l'attrezzatura necessaria , tavoli compresi .. ed il cibo gentilmente donato da Mario e Margherita..

Si avvia la musica , arrivano gli ospiti, gli oratori che sono nella scaletta si avvicendano ad esporre i motivi per dire No al Nucleare e SI alla Vita!!







CHERNOBYL DAY A CAGLIARI 26 Aprile 2010

SI ALLA VITA NO ALLA MORTE NUCLEARE!!!

NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!

Manifestazione sit-in lunedì 26 APRILE 2010 a Cagliari Piazza del Carmine dalle ore 17,00,

Relatore Sayli Vaturu (Valter Erriu)
portavoce NO NUKE,

intervengono
Prof Luciano Burderi Fisico.

Michelangelo Saba Fisico

Paola Alcioni Poeta

partecipa il cantautore
FRANCO MADAU

hanno dato il loro contributo
Giacomo Meloni, Paolo Pisu , Savatore Cubeddu, Andrea Olla, Mariella Cao, Paola Alcioni, Aurora Pigliapochi, Marco Loi, Luciano Serra, Bustianu Cumpostu, Mario Flore, Valter Erriu.


hanno aderito:
CSS Confederazione Sindacale Sarda, Tavola Sarda della Pace, Sardigna Natzione Indipendentzia, Cagliari Socialforum, Gettiamo le Basi, Carovana della pace CA, Emergeny CA, Ass. Volontari di Sardegna, Sa Defenza Sotziali, Si ses de acordu ... movidi. NO al nucleare, Sperantzia de Libertadi, ARKA (H.C.E.) Associazione Culturale Intermediale

Per dire no alle centrali nucleari ed allo stocaggio delle scorie prodotte dall'idiozia di certa umanità, tutti/e coloro che vogliono costruire e rivendicare la sovranità territoriale la libertà da situazioni a rischio, e sostenere le situazioni di produzione non invasiva di energie pulite..

GRAZIE A TUTTI/E I/LE PARTECIPANTI ED ATTORI DI AZIONI PER LA VITA , MANIFESTE DALLA CONSAPEVOLEZZA DELLA MANIFESTAZIONE

giovedì 22 aprile 2010

SI ALLA VITA .... NO ALLA MORTE NUCLEARE..!!!


CHERNOBYL DAY A CAGLIARI

NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!

Vi invitiamo a partecipare alla manifestazione sit-in lunedì 26 APRILE 2010 a Cagliari Piazza del Carmine dalle ore 17,00

Relatore Sayli Vaturu (Valter Erriu)
portavoce NO NUKE,

intervengono:

Prof Luciano Burderi Fisico.

Michelangelo Saba Fisico

Paola Alcioni Poeta

partecipa il cantautore
FRANCO MADAU

hanno aderito finora:
CSS Confederazione Sindacale Sarda,Sardigna Natzione, Cagliari Socialforum, Tavola per la Pace, Gettiamo le Basi, Carovana della pace CA, Emergeny CA, Ass. Volontari di Sardegna, Sa Defenza Sotziali,Sperantzia de Libertadi, ARKA (H.C.E.) Associazione Culturale Intermediale

Per dire no alle centrali nucleari ed allo stocaggio delle scorie prodotte dall'idiozia di certa umanità, tutti/e coloro che vogliono costruire e rivendicare la sovranità territoriale la libertà da situazioni a rischio, e sostenere le situazioni di produzione non invasiva di energie pulite..



per proteggere le produzioni locali che non vogliamo vegano contaminate da radiazioni e per dire

SI alla Vita e NO alla Morte Nucleare .. ..

info: sayli@tiscali.it

comitato sardo No Nuke una risata sardonica vi seppellirà


CHERNOBYL: DAL DISASTRO AD OGGI

Il 26 aprile 1986 un grave incidente ha interessato il quarto reattore della centrale nucleare di
Chernobyl, in Ucraina – allora parte dell’Unione Sovietica. I tecnici della centrale avevano
intenzione di testare se le turbine sarebbero state in grado di fornire l’energia necessaria a
mantenere operative le pompe dell’impianto di raffreddamento del reattore, nel caso di una perdita
di energia e senza ricorrere al generatore diesel di emergenza. Qualcosa andò storto. Appena
incominciò il test il reattore andò fuori controllo. I sistemi di sicurezza erano stati disattivati. Si
verificò una violenta esplosione che fece saltare la struttura di 1000 tonnellate che sigillava
l’edificio del reattore. Le barre di uranio si fusero quando la temperatura incominciò a superare i
2000 °C. Anche la copertura in grafite del reattore prese fuoco. Il rogo andò avanti per nove giorni,
rilasciando in atmosfera cento volte tanto la radioattività sprigionata dalle bombe atomiche
sganciate su Hiroshima e Nagasaki.


Le conseguenze dell’incidente di Chernobyl

La maggior parte della radiazione venne rilasciata nei primi 10 giorni, contaminando milioni di
persone e una vasta area. Nei giorni successivi all’incidente, a causa di perturbazioni meteo, la
contaminazione arrivò fino in Europa centrale, Germania, Francia, Italia, Grecia, Scandinavia, e
Regno Unito. In Bielorussia, Russia e Ucraina furono contaminati tra i 125mila e 146mila chilometri
quadrati di territori a livelli tali da richiedere l’evacuazione della popolazione.
Gli impatti più seri nel lungo periodo si devono al Cesio-137, i cui livelli di contaminazione si
riducono significativamente solo dopo 100 anni. Livelli di radioattività significativi da Cesio-137
possono ancora essere riscontrati in Scozia e in Grecia. Oltre a questo, anche gli impatti sulla
popolazione locale continuano a persistere per decenni ed oggi, a 24 anni di distanza, si
continuano ad avere nuove vittime. Uno studio di scienziati dell’Accademia delle Scienze ucraina e
bielorussa, pubblicato da Greenpeace nel 2006 (in coincidenza del 20° anniversario del disastro),
stima che nel lungo periodo si potranno raggiungere 100 mila vittime1.


La situazione attuale a oltre 20 anni dall’incidente

I segnali di miglioramento sono pochi. La popolazione sta incominciando a tornare ad abitare nei
villaggi abbandonati, nonostante si tratti di aree ancora a rischio. Nel 2006 Greenpeace ha raccolto
campioni nel villaggio di Bober, fuori dalla zona di esclusione. Le analisi hanno rivelato che i livelli
di contaminazione erano 20 volte superiori ai limiti fissati dall’Unione Europea per i rifiuti radioattivi
pericolosi. Un altro problema consiste nel fatto che, mano a mano che il tempo passa, molte delle
persone che rischiarono la vita per spegnere l’incendio e molte delle vittime colpite ricevono
sempre meno cure e assistenza sociale.
Le stime sulla mortalità derivante dall’incidente di Cernobyl variano a seconda dei parametri presi
in esame. La più recente ricerca epidemiologica, pubblicata in collaborazione con l’Accademia
Russa delle Scienze, mostra che gli studi precedenti erano stati troppo cauti. Per esempio, l’AIEA
nel 2005 parla di soli quattromila morti, ma le statistiche più recenti stimano invece in duecentomila
le morti dovute all’incidente di Cernobyl, tra il ’90 e il 2004 prendendo in esame solo Ucraina,
Bielorussia e Russia.
La seguente tabella indica i risultati di diversi studi effettuati, e mostra quanto sia ampio il margine
di incertezza sull’impatto reale del disastro e come le statistiche ufficiali dell’industria nucleare
abbiano sottostimato sia l’impatto locale che quello internazionale dell’incidente.
Quattro gruppi di popolazione sono stati maggiormente colpiti dalle maggiori ripercussioni
sanitarie: i lavoratori impiegati nella bonifica, i cosiddetti ‘liquidatori’, inclusi i militari che hanno
costruito il guscio protettivo del reattore; gli evacuati dalle aree fortemente contaminate nel raggio
di 30 chilometri dalla centrale, i residenti delle aree meno contaminate e I bambini nati da famiglie
appartenenti a questi tre gruppi.

Cosa sta succedendo ora presso il sito dell’incidente?

Esistono piani per trasformare Chernobyl in un sito temporaneo per lo stoccaggio di scorie
nucleari. L’industria nucleare si riferisce a questo sito come “zona di sacrificio” e intende scaricare
rifiuti nucleari altamente pericolosi dove la gente continua a vivere e a subire gli effetti della
contaminazione. Otto mesi dopo l’incidente, nel novembre 1986, un “sarcofago” di cemento armato
di oltre 400mila metri cubi venne costruito attorno al reattore collassato. La sua vita era stimata tra
20-30 anni, ma il rapido deterioramento potrebbe farlo precipitare sul reattore, producendo una
seconda fuga di radioattività nell’ambiente. Attualmente si prevede quindi la realizzazione di un
nuovo sarcofago per un costo di circa 1,2 miliardi di dollari.


Ci sono stati altri incidenti nucleari dopo Chernobyl?

Incidenti nucleari gravi continuano a capitare ancora ai giorni nostri, sebbene per fortuna non ne
sono successi della stessa entità di Chernobyl. Per esempio nel 1999 una reazione nucleare
incontrollata ebbe luogo nell’impianto di produzione del combustibile nucleare di Tokai-Mura, in
Giappone. Morirono due lavoratori e la radiazione si sprigionò nell’area circostante. Nel 2006 si
sfiorò l’incidente nucleare presso un reattore a Forsmark, in Svezia, quando i generatori di back-up
si incepparono, lasciando la centrale senza elettricità. Nel 2007 un terremoto in Giappone ha
costretto a bloccare sette reattori nella centrale di Kashiwazaki-Kariwa per un anno, con forti
problemi per la città di Tokio. Anche in Svezia, in seguito a problemi di sicurezza, furono fermati
quattro reattori nel 2006, e venne perso il 20% della produzione elettrica del Paese.


I reattori di ultima generazione sono più sicuri?

I principali reattori di ultima generazione sono l’AP1000 della Westinghouse e l’EPR della francese
AREVA. Il primo è ancora in fase autorizzativa, mentre per l’EPR ci sono due cantieri in Europa,
uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamaville. Reattori di questo tipo sono dotati di
nuovi sistemi di sicurezza “passivi”, tuttavia diversi problemi sono stati riscontrati in fase di
costruzione sia a Flamaville che a Olkiluoto. Dopo due anno dall’inizio dei lavori a Olkiluoto,
l’Autorità finlandese per la Sicurezza Nucleare (STUK) ha segnalato circa 1.500 non conformità,
molte delle quali non risultano essere state corrette, che possono aumentare seriamente il rischio
di un incidente grave. Più recentemente, l’Agenzia Francese per la Sicurezza Nucleare ha
scoperto che a Flamaville le fondamenta di cemento armato del reattore erano state gettate in
modo scorretto, che il basamento del reattore aveva delle crepe e che un quarto circa di tutte e
saldature erano difettose. In entrambi i casi, per cercare di ridurre i costi, erano stati dati subappalti
dei lavori a società senza le competenze necessarie.
Il nucleare è una soluzione al problema dei cambiamenti climatici?

Visto che il nucleare ha basse emissioni di gas serra (prodotti prevalentemente in fase di
estrazione dell’Uranio), i fan dell’atomo cercano di presentare l’opzione nucleare come l’unica
alternativa credibile e realistica ai combustibili fossili. In realtà il nucleare è una falsa soluzione al
contenimento delle emissioni di gas serra. Nel mondo sono presenti 440 reattori che forniscono
circa il 6,5% dell'energia primaria globale. Per raddoppiare il numero dei reattori occorrerebbe
inaugurare una centrale nucleare ogni due settimane da qui al 2030. Un'ipotesi irrealizzabile, che
permetterebbe di ridurre le emissioni globali di gas serra di appena il 5%. Troppo poco, troppo in
ritardo e con costi esorbitanti oltre i 2.000 miliardi di euro. Inoltre, l’Uranio estraibile a costi
valutabili è meno di 3,5 milioni di tonnellate e, agli attuali livelli di consumo, basterà per altri 50
anni appena.
Greenpeace ha presentato nel 2008 il Rapporto “Energy [R]evolution” in cui si mostra come il
crescente fabbisogno mondiale di energia può essere soddisfatto da fonti rinnovabili e misure di
efficienza energetica, facendo a meno del nucleare al 2030. Grazie a misure di efficienza
energetica, sarebbe possibile stabilizzare i consumi mondiali di energia ai livelli attuali. In questo
modo le rinnovabili potranno coprire circa la metà del fabbisogno energetico mondiale al 2050.
(www.greenpeace.it/energyrevolution).
1
The Chernobyl Catastrophe: Consequences on Human Health, Greenpeace, Aprile 2006 (http://www.greenpeace.it/cernobyl)
2
Minatom (Russian Ministry of Nuclear Energy ), Branch report on safety for 2001, Moscow, 2002
3
IAEA (2005) Chernobyl: The True Scale of the Accident. http://www.iaea.org/NewsCenter/PressReleases/2005/prn200512.html
4
Chernobyl Forum Expert Group “Health” (EGH) Report “Health Effects of the Chernobyl Accident and Special Health Care Programs”,
Working Draft, August 31, 2005
5
Mousseau T, Nelson N, Shestopalov V (2005). Don’t underestimate the death rate from Chernobyl. Nature 437, 1089
6
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venerdì 16 aprile 2010

POCOS LOCOS Y MALUNIDOS

Ovvero, come trasformare le traversie in opportunità

Paola Alcioni


gentilmente concesso
a sa defenza


La concezione antropologica moderna presenta la cultura come quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, gli atteggiamenti, i valori, gli ideali e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società.
Concerne sia l’individuo, che la collettività di cui fa parte.
Viene supposta l’esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o raggruppamento sociale significativo, e l’appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente connessa alla condivisione di un’identità culturale.
In antropologia l'insieme di queste norme sociali vengono definite modelli culturali ideali.
La cultura è dunque un complesso di modelli (idee, simboli, azioni, disposizioni) PER e modelli DI.
In tutte le culture esiste un modello di (es. di sviluppo, comportamento, pulizia, decoro, legge), un modello attraverso cui si pensa qualcosa.
I modelli di generano modelli per, modelli guida al modo di agire, perché la cultura non è solo generatrice di modelli teorici, ma è OPERATIVA, permette cioè di passare dall’ideale del modello all’operatività, attraverso una serie di strumenti intellettuali e pratici, selezionando, tra i tanti che trova al suo interno, quei modelli che sono funzionali al presente.
La cultura è dinamica: interagisce con altre culture, accettando e provocando cambiamenti, perché è basata sulla comunicazione: la cultura nasce infatti da uno scambio costante. Questo provoca continui sconfinamenti tra le culture ed è difficile definire un vero limite, un vero confine tra esse.
C’è un rapporto strettissimo tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti attraverso i quali le persone concretamente si relazionano tra loro e con il mondo.
In altre parole il modo in cui pensiamo dipende dalla cultura che abbiamo (non dalla quantità, intendiamoci, in senso umanistico, ma dal tipo di cultura): due appartenenti a diversi gruppi etnici è probabile che, dinanzi ad uno stesso problema, elaborino soluzioni differenti.

Simon Mossa aveva individuato le ragioni per le quali il popolo sardo poteva considerarsi una Comunità etnica.
Queste ragioni le trovava nella storia, nella posizione geografica, nella struttura sociale, nell’economia. Ma ancor più nelle caratteristiche della cultura, della lingua e delle tradizioni.
In questi ultimi elementi individuava il patrimonio ancestrale della Comunità sarda.
Storicamente assistiamo, però, ad un’opera di spersonalizzazione e snazionalizzazione, a vantaggio di un nazionalismo colonialistico tendente ad imporre un modello culturale distruggendo l’altro.
Si è tentato un genocidio. Questo termine non significa l’eliminazione fisica di tutti i componenti di un popolo, ma significa uccidere l’anima di un popolo. E l’anima della nazione sarda risiede in questi tre elementi: cultura, lingua e tradizione.

Con tutto ciò che ha subito, la Comunità etnica sarda è ancora viva.

La cultura altra che le è stata imposta, le ha gravato addosso – come un giogo – MODELLI DI che hanno generato MODELLI PER sostanzialmente estranei alla cultura ancestrale.
Sradicare questa cultura, per imporre un’altra cultura diversa, senza lasciare spazi riconosciuti alla stratificazione ed alla sovrapposizione, significa involuzione culturale, crollo di un mondo, senza un sostitutivo, o con un sostitutivo meno valido.
Una persona che subisce questa violenza, entrando in un modello culturale che gli è estraneo, perde la fiducia in se stesso, non ha spirito di iniziativa autonoma, sgretolati i legami comunitari che costituivano la sua forza di individuo in quella società, preferisce essere comandato, servire, perché è l’unica maniera di azzerare i conflitti. Se il suo tozzo di pane è assicurato, non chiede più nulla, svende i suoi sogni, ascoltando solo le ragioni della propria pigrizia e della propria paura.
Se perde il pane ed il lavoro, di dispera, si sorprende senza risorse, senza soluzioni.
La Cultura, infatti, non è un apparato esterno ad ognuno di noi. E’qualcosa di legato all’esperienza individuale, perciò i modelli che vengono solo dall’esterno, proprio perché si pongono come modelli, sono passivizzanti: se ci danno l’illusione di aver trovato il significato e il fine da perseguire, ci tolgono la ricerca dinamica di miglioramento. Ci seducono, ma lo stimolo trova scarso o nullo spazio. Ci disabituano ad elaborare soluzioni.
Accettando dunque passivamente e perdendo il suo spirito critico, l’uomo perde il suo più affilato strumento per incidere nella realtà, che gli consentiva di essere regista della sua sorte, trovando strade anche dove apparentemente non ce n’erano.

Così, non potendo essere parte della soluzione il popolo sardo è diventando parte del problema.

Quando parlo di svendere i sogni, parlo di abdicare alla capacità immaginativa e dunque creativa anche di prospettive nuove.
La creatività è quella facoltà che consente di conciliare gli opposti, in un terzo termine che li supera, operando la sintesi dei contrari non come mera somma degli elementi, ma nella creazione di un novum.
E’ la creatività che consente quel processo trasformativo all’interno della nostra piccola storia di individui così come all’interno della grande storia dei popoli.
La creatività potenzia le risorse individuali, induce a scoprirsi abitati dalla dimensione del possibile.
La immaginazione (fantasia) produce immagini anticipatrici, incontri con il NON ANCORA, presentificando il futuro e dandogli, per il fatto solo d’essere pensato, un principio di realtà. (esempio della casa)
Queste anticipazioni sono i progetti, segno di qualcosa di non ancora realizzato ma progettato.
All’etimo greco poiein, che esprime l’attività prerogativa dell’homo sapiens et faber di fare, plasmare creare e progettare, si lega sia l’arte del poeta, che quella attraverso la quale progettiamo e plasmiamo la nostra vita.
I meccanismi poetici attraverso i quali si fa letteratura, hanno molto in comune con la nostra attività poetica quotidiana attraverso la quale tutti noi costruiamo i nostri sistemi di significato, la nostra stessa identità.
Noi, vivendo, ci narriamo a noi stessi e agli altri.

Narrare è una modalità di percepire e organizzare la realtà rendendola realtà interpretata, cioè filtrata dai nostri sistemi rappresentazionali (uditivo, visivo, cenestesico - tatto, olfatto gusto).
I racconti dunque sono una versione della realtà vissuta dal punto di vista esperienziale.
Dunque la mia realtà è quella che le mie parole descrivono.
Non esiste una realtà oggettiva, ma solo pratiche discorsive intorno ad una esperienza che ognuno di noi fa della realtà.
Il linguaggio polisemico della narrazione permette inoltre di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. Ha il meraviglioso potenziale di ri-figurare la realtà e di trasformare la nostra visione del mondo.

Ma cosa ha a che fare, tutto questo con il problema Sardegna?
Per esempio i sardi, che spesso hanno cercato la propria identità nei racconti dei viaggiatori del 700/800 invece che in se stessi, ora si descrivono spesso come li definì un dominatore: Pocos, locos y malunidos.
Dal narrarlo ad assumerlo come copione, il passo è breve.
Questa è quella che in psicologia si chiama “una narrazione patogena o disfunzionale”.
Cosa fa il terapeuta, quando ha davanti un paziente che si racconta in modo patogeno?
Non fa altro che “perturbare” la fissità del racconto, innescando la riorganizzazione dei significati legati all’esperienza del paziente. Aiuta il paziente a cercare altri “possibili” sviluppi di una storia patogena, che crea dolore e cristallizza in una fissità senza uscita. Il terapeuta propizia il cambiamento.
Perché un cambiamento?
Perché non è il passato a produrre disagi nella persona, ma il presente, i modelli di interazione e di comunicazione che usiamo con noi, con gli altri, con il mondo. Essi sono spesso disfunzionali, quando c’è un disagio. È il momento in cui noi comunichiamo con noi stessi attraverso una sorta di autoipnosi che produce una narrazione patogena (io sono sfortunato, non me ne va mai bene una...)
Il passato, nella sua dimensione problematica e patologica, impedisce la nascita di nuove idee ed ostacola l’originarsi di nuove possibilità. Sopprime la flessibilità del sistema, rendendolo rigido, lineare, irreversibile.
Il linguaggio della narrazione situa invece gli eventi in un orizzonte più vasto di possibilità, facendo uso del linguaggio polisemico che consente di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. A quel punto si ha la sensazione di avere presa sul proprio destino, si comincia ad avere l’impressione di poter essere non più attori della nostra vita dal copione fisso e grigio, ma registi, con una gamma di possibilità diverse.

Ritornando alla Sardegna e ai suoi problemi, è il cambiamento che dobbiamo propiziare. Lo possiamo fare cambiando forma e contenuto dell’autonarrazione, per aprirci ad un orizzonte più ampio di possibilità, aumentando la nostra capacità di vedere il problema da più punti di vista contemporaneamente.

Io credo che la cultura sarda abbia in sé i germi di una evoluzione rapida nel mondo moderno.
In presenza di stimoli, il substrato culturale di ogni individuo, riaffiora ed elabora soluzioni sincretiche in una situazione di incontro di culture.
Quelle che finora si sono accumulate su di noi e sulla storia come traversie, possono essere rielaborate come opportunità.
La lingua che ho scelto per questa relazione, per esempio, ha gravato e grava sul mio popolo come un giogo, con tutto il suo peso di codice scelto e gestito dal dominatore.
Ma io la rendo ora strumento, veicolo di comunicazione di concetti pensati in quella lingua e, dunque, in quella lingua più immediatamente comunicabili. E la uso, per portare acqua al mulino della mia lingua e della mia cultura.
Traformo una traversia in opportunità. Faccio il lavoro che fa il Judoka quando, sfruttando la forza che l’avversario impiega nell’eseguire una tecnica di combattimento, lo sbilancia e lo atterra sfruttando l’impeto della sua stessa forza.

I sardi potranno essere collettivamente padroni del loro destino - sottrarsi dal giogo di una colonizzazione politica e culturale ed attuare una reale crescita economica - soltanto quando avranno acquisito i poteri di uno stato.
Ma intanto possono, ognuno per sé, provare a riprendere in mano le redini del proprio destino individuale, studiando e rivalutando ai propri occhi i modelli culturali che gli appartengono come membri di questa comunità etnica, e utilizzando le categorie mentali proprie – fino ad ora gravate del tabù del dominatore – come stimolo contrastivo con le culture altre e gli altri modelli per la creazione di un novum che possa realmente attribuire senso nuovo al nostro stesso essere al mondo qui, in questa terra, secondo le modalità del poter essere, e non più dell’essere dati dal dominatore o dallo sfruttatore di turno.
La razza, a differenza dell’etnia, si riferisce ad una classificazione dell’uomo in base a tratti fisici e genetici, tipici dell’etnia cui appartiene, mentre il gruppo etnico è tale per avere in comune cultura, lingua, religione e caratteristiche fisico-genetiche
Che significa più cose contemporaneamente.

sabato 10 aprile 2010

AUTONOMIA, FEDERALISMO, SOVRANITA', INDIPENDENZA. QUALE STATUTO PER LA SARDEGNA?

Sayli Vaturu
SA DEFENZA SOTIZIALI

Un pomeriggio un po uggioso ma proficuo, al Hotel Mediterraneo a Cagliari, oggi sabato 09 Aprile 2010 si svolge il convegno di Sardegna Democratica, il tema di tutto rispetto evoca nuovi
orizzonti nella sinistra sarda: AUTONOMIA, FEDERALISMO, SOVRANITA', INDIPENDENZA. QUALE STATUTO PER LA SARDEGNA?

Partecipano Antonello Cabras, Massimo Dadea, Pietrino Soddu, Renato Soru.

Coordina Giacomo Mameli

L'intervento del primo relatore Pietrino Soddu è di grande lucidità analitica della situazione attuale in Sardegna e dell'oltremare.
L'Onorevole Soddu ha esposto una cronistoria dei fatti dalla "Fusione Perfetta" del 1847 all'autonomia del 1948, ed ha evidenziato i vizi e difetti di tale autonomia , considerandola obsoleta e superata addirittura dalla "noia".



Dice l'Onorevole Soddu che è necessario un nuovo Patto Costituzionale, basato su una repubblica federale ove è si deve contrattare senza complessi di inferiorità , rivendicando la propria storia e autorità nazionale.


L'On. Massimo Dadea ha posto l'accento sulle parole come sovranità popolo nazione, significanti il valore della Sardegna, esponendo la sincronicità della sinistra sarda e l'uso degli aggettivi della istituzione nazionale sarda , un conosciuto ove non vi è alcuna contraddizione nei termini.




L'On. Antonello Cabras ha esposto il suo progetto di legge su autonomia e federalismo, trattando l'argomento nella sua premessa con il giusto valore per la patria sarda , avendo a cuore esporre la richiesta di sovranità del popolo sardo, cosa che allude alla futura natzione sarda indipendente, speriamo noi.

Renato Soru ha preso atto delle relazione ed ha chiesto che si sentisse prima le idee degli indipendentisti presenti invitati al dibattito.



La segretaria di iRS Ornella Demuru ha raccontato dell'importanza della sardità come centro delle ipotesi statuali sarde, ed ha posto l'accento sulla necessità di raggiungere la
nostra aspirata indipendenza.




Il Rossomoro Gesuino Muledda ha fatto la storia del sardismo rivendicando la loro piena adesione agli ideali sardisti e la piena sintonia con il padre fondatore Emilio Lussu


Il Coordinatore nazionale di Sardigna Natzione Bustianu Cumpostu ha rievocato i fatti della fusione perfetta e ha posto l'accento sulla denuncia di quei fatti che assoggettarono la Sardegna ai Savoia, ha anche ribadito il valore delle idee indipendentiste




Il Presidente di iRS Gavino Sale, ha incentrato al pericolo della divisione nel movimento per la sovranità ed ha accentuato la necessità dell'unità tra le forze presenti in campo rinforzando l'idea del percorso atto alla costituente sardo indipendentista con annessa festa popolare di acclamazione alla nostra libertà



Il portavoce di NO NUKE Sayli Vaturu (Valter Erriu) ha incentrato la sua diretta azione e attenzione al fattore migranti, un popolo che ha per il mondo un quarto dei suoi figli/e che aspira a tornare nella sua patria sarda, ecco la necessità di creare lavoro e felicità, ha anche posto l'accento sulle curatorie situazioni di governo locale , che sono già in "su connotu" del popolo sardo che hanno un diretto filo con la popolazione e può ascoltare e attuare i piani locali cosa molto difficile da fare dalle province, che dovrebbero essere abolite.

Sayli ha anche fatto appello alle coscienze dei presenti a partecipare al sit-in del 26 aprile a Cagliari sul nucleare per dire no ad un futuro di morte , il Chernobyl Day.

Quale soluzione sia più appropriata, la si capirà dalle prese di posizione future degli intervenuti al simposio di oggi, siamo fiduciosi che ciò , partendo dal simposio di Santa Cristina , porti all'autodeterminazione del popolo sardo libero in una Europa libera e rispettosa della dignità dei popoli europei tutti quelli con stato e quelli semplicemente nazioni!



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