lunedì 20 agosto 2012

I campioni mondiali della carcerazione


UN PROBLEMA ANTICO è LA DETENZIONE UMANA, LE SOCIETA' HANNO CREATO NEL TEMPO OGNI FORMA  DI APARTAID, HANNO CONFINATO, CHIUSO DENTRO QUATTRO MURA, COME FOSSE UN SIMBOLICO SEPOLCRO, LA DEVIANZA SOCIALE, L'INCOMPRESO, LA PROTESTA DELL'EMARGINATO, IL LADRO DI CARAMELLE E L'ASSASSINO EFFERATO, UNA SORTA DI SORTILEGIO CHE COLPISCE TUTTI SENZA PIETA'.

E' LA PAURA DELL'ALTRO, DEL DIVERSO, DELL'OSCENA POVERTA' CHE CONDUCE ALL'ILLEGALITA', CHE FA NASCERE QUESTI LUOGHI DI TORMENTO CHE NON HANNO FINE ESSENDONE OVUNQUE UN  CONTINUO PROLIFERARE, E L'ODIO SI DIFFONDE  LA SCHIAVITU' E L'ORRORE  DIVENTANO UN FILO SPINATO NELLA VITA CARCERARIA.


ECCO PERCHE' SA DEFENZA SI SCHIERA CONTRO LA POLITICA DELLA CARCERAZIONE E RIPRENDE UN ARTICOLO DI DENUNCIA DELLE INUMANE CARCERI, DENUNCIA CHE ENTRA NEL PROFONDO DELLE ANIME E LE FA CONTORCERE PER LA CRUDEZZA DEI FATTI.

ORA E SEMPRE SENZA GALERE!!
AMNISTIA!!


I campioni mondiali della carcerazione

La grande incarcerazione del nuovo secolo

Graduatorie, classifiche, record e medaglie nelle recenti olimpiadi ne hanno diffuse a iosa… la graduatoria dei grandi incarceratori se la sono dimenticata:

al primo postoStati Uniti d’America con 751 su 100mila abitanti (2010)

al secondo postoRussia con 627 prigionieri per ogni 100 mila abitanti. Il numero dei prigionieri in attesa di giudizio era 282 mila del 2000 è cresciuto ai 345 mila del 2003, queste prigioni sono le peggiori camere speciali in Russia

 Negli USA ci sono quindi più di 2,3 milioni di prigionieri, più dello 0,7% della popolazione. Ci sono altri 4,8 milioni di persone che sono libere su cauzione, con la condizionale, o la sospensione della pena (on parole). L’aumento è stato eccezionale a partire dal 1975. Il trend di crescita non si è ancora arrestato, continua a salire; nel 2009 – ultimo dato – l’aumento è stato dello 0,2%.

Quindi 7,2  milioni di statunitensi sono sottoposti al controllo del sistema penale: uno su 32. A questi occorre aggiungere 5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto.

Gli Stati Uniti hanno meno del 5% della popolazione mondiale e hanno circa il 25% della popolazione carceraria mondiale.

Per reati connessi al traffico di stupefacenti nelle prigioni statali ci sono il 21%, mentre il 55% sono in quelle federali (dati 2004); 

100.000 detenuti sono in isolamento128.000 sono ergastolani;100.000 i minorenni in riformatorio e 15.000 nelle prigioni per adulti.

Lo Stato del Michigan da solo ha 300 minorenni condannati all’ergastolosenza possibilità di rilascio anticipato, come l’ “ergastolo ostativo” esistente in Italia.

Dei 700.000 che si trovano nelle prigioni locali 400.000 sono in attesa di giudizio, poiché sono senza avvocato; aspettano anni prima che qualcuno si degni di trovar loro uno straccio di difensore d’ufficio; il costo dell’avvocato della Difesa va da 160.000 dollari a 386.000.

Metà dei detenuti sono afro-americani. Il tasso d’incarcerazione per i bianchi è di 393 per 100.000, per i neri è 2.531. Se si considerano solo i maschi il tasso per i bianchi sale a 717, mentre per i neri arriva a 4.919.

Le polizie statunitensi arrestano ogni anno circa 15 milioni di persone, di questi 2,2 milioni sono minorenni, mezzo milione sono al di sotto dei 15 anni120.000 fra 10 e 12 anni e addirittura sotto i 10 annibambini- sono ben 20.000

 Amnesty International riporta un caso clamoroso di parto con catene negli Usa (è accaduto diversi anni fa, ma la situazione non è migliorata, anzi…):

…una donna, condannata nella Cook County (Chicago, Illinois) per possesso di droga, descrive così il suo parto:   

“Mi hanno sempre tenuto ammanettata mani e piedi, anche durante l’anestesia epidurale. Avevo le caviglie incatenate al lettino e non mi fu permesso di andare in bagno. Nel momento in cui il bambino stava per nascere ci siamo accorti che il poliziotto con le chiavi delle manette era andato a prendere un caffè. Non potevo allargare le gambe e nemmeno era possibile abbassare la parte finale del lettino per via delle manette. Dopo dieci minuti il poliziotto fu rintracciato, mi liberarono le caviglie e il mio bambino poté nascere. Nei tre giorni di ricovero post parto sono sempre stata incatenata, con un piede e una mano, al lettino dell’ospedale.”

 Questo succede nella “più grande democrazia del mondo”. Da noi non va meglio!

AMNISTIA!

venerdì 17 agosto 2012

IL PROGETTO DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE

SI SCONTRA CON LE REALTÀ GEOPOLITICA

IMAD FAWZI SHUEIBI
voltairenet.org


È dagli ultimi quattro secoli che i leader politici stanno cercando di creare un ordine internazionale che governi i rapporti fra le nazioni e prevenga le guerre. Se il principio della sovranità dello stato ha dato dei risultati, le organizzazioni intergovernative riflettono principalmente l'equilibrio del potere in quel dato momento. Quanto all’ambizioso progetto USA di un Nuovo Ordine Mondiale, questo si sta frantumando contro le nuove realtà geopolitiche. 

LA LENTA FORMAZIONE DI UN ORDINE INTERNAZIONALE

Anche se la frase "ordine mondiale" è stata introdotta nel discorso po-litico solo di recente, l'idea di un ordine mondiale, o internazionale, è apparsa nel XVII secolo. Ma ogni volta che se ne è presentata l'occasione si è discusso di organizzare e sostenere la pace.

Fu nel 1603 che il re Enrico IV di Francia fece sviluppare dal suo mi-nistro, il duca di Sully, un primo progetto. Questo doveva consistere in una repubblica cristiana che comprendesse tutti i popoli d'Europa e che avrebbe garantito la conservazione delle nazionalità e delle religioni con il compito di risolvere i problemi tra di loro.

Questo Grand Dessein prevedeva la ridefinizione dei confini degli stati per bilanciare il loro potere, la creazione di una confederazione europea a 15, con un Consiglio sovranazionale con il potere di arbitrato, e un esercito in grado di proteggere la confederazione contro i Turchi. 

Ma quel sogno è stato interrotto dall'assassinio di Enrico IV ed è riemerso solo al termine delle guerre iniziate da Luigi XIV quando l'abate di Saint-Pierre lanciò il suo progetto volto a rendere perpetua la pace tra i governanti cristiani. Questo progetto, che venne presentato al Congresso di Utrecht (1713), consisteva nell’adozione integrale di tutte le decisioni prese in tale occasione quale base definitiva sulla questione della definizione dei confini tra i paesi belligeranti, e la creazione di una lega europea delle nazioni (una Federazione Internazionale) la cui missione fosse quella di prevenire i conflitti.

Indipendentemente da questa utopia, a quel tempo l’accordo più importante era naturalmente costituito dal trattato di pace di Vestfalia, firmata nel 1648 alla fine della Guerra dei Trent'anni, condotta sotto l’egida della religione, con un conseguente accumulo di odi e la distruzione del 40% della popolazione.

I negoziati durarono quattro anni (1644-1648). Alla fine, i negoziati consacrarono l’uguaglianza tra tutte le parti in conflitto, sia cattolica che protestante, repubblicana o monarchica.

Il Trattato di Westfalia statuisce quattro principi fondamentali:  



1. La sovranità assoluta dello stato-nazione, e il diritto fondamentale all’autodeterminazione politica.

2. L’uguaglianza giuridica tra gli stati-nazione. Lo stato più piccolo è, quindi, pari al più grande, a prescindere dal-la sua debolezza o dalla sua forza, dalla sua ricchezza o povertà.

3. Il rispetto dei trattati e l'emergere di una legge internazionale vincolante.

4. La non interferenza negli affari interni degli altri stati.


Certamente questi sono principi generali che non determinano una sovranità assoluta, e che non sono mai prima esistiti. Tuttavia questi principi delegittimano le azioni che possono abolire la sovranità. I filosofi politici avevano tutti sostenuto questi progetti. Rousseau chiese con tutte le sue forze di costituire un unico stato contrattuale che raggruppasse tutti i paesi europei. Kant aveva pubblicato nel 1875 Verso la pace perpetua. Per lui, la pace è una figura giuridica che richiede la codifica di una legge generale applicabile a tutti gli Stati. L’utilitarista inglese Bentham aveva stigmatizzato la diplomazia segreta, in quanto che essa si sottrae al diritto. Egli aveva anche auspicato la creazione di un’opinione pubblica internazionale in grado di costringere i governi a rispettare le risoluzioni internazionali e a ricorrere all'arbitrato.

LA CREAZIONE DI ISTITUZIONI DI REGOLAMENTAZIONE INTERNAZIONALI

L'idea di un ordine internazionale è andata avanti costantemente, ma sempre in base alle regole sulla sovranità adottate dalla Pace di Westfalia. Ha dato i natali alla Santa Alleanza proposta dallo zar Alessandro I nel 1815, e al progetto di Concert européen proposto dal cancelliere austriaco Metternich nel XIX secolo al fine di evitare "la rivoluzione", che nel linguaggio politico razionale significa il caos.

E' da questo momento che gli stati cominciarono a organizzare vertici per risolvere i problemi al di fuori della guerra, favorendo l'arbitrato e la diplomazia.

E' in questa prospettiva che dopo la Prima Guerra Mondiale è stata fondata la Società delle Nazioni 

(SdN). Ma questa era nulla più che il concretarsi dei rapporti di forza del momento, al servizio dei vincitori di questa guerra. I suoi valori morali erano dunque relativi. Così, nonostante l'obiettivo dichiarato di voler risolvere le controversie tra le nazioni con un arbitrato piuttosto che con la guerra, essa ha dichiarato la propria competenza nella gestione dei popoli sottosviluppati o colonizzati – politicamente, economicamente e amministrativamente – fino al momento della loro autodeterminazione. 

È questo che, naturalmente, ha portato alla legittimazione dei mandati. Nel prendere questa posizione, la Lega delle Nazioni incarnava la realtà coloniale.

L'artificiosità di questa organizzazione si è dimostrata quando si è scoperta incapace di far fronte a gravi eventi internazionali come la conquista della Manciuria da parte del Giappone, quella dell’Abissinia (Etiopia) e l'annessione di Corfù (Grecia) da parte dell’Italia, ecc.

Sebbene l'idea della Lega, concepita da Leon Bourgeois, sia stata promossa dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, Washington non vi ha mai aderito. Chiamati a parteciparvi, Giappone e Germania si sono ritira-ti. Così che l'istituzione si è rivelata priva di valore.

Il successore della Lega, le Nazioni Unite, sono state un riflesso della Carta Atlantica firmata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito il 4 agosto 1941, e della Dichiarazione di Mosca, adottata dagli Alleati il 30 ottobre 1943, quando annunciarono la creazione di "una struttura organizzativa basata sul principio di uguaglianza sovrana di tutti gli Stati amanti della pace". Il progetto è stato sviluppato in occasione della Conferenza di Dumbarton Oaks a Washington dal 21 agosto al 7 ottobre 1944. I principi della Carta Atlantica sono stati anche oggetto di approvazione nel corso della Conferenza di Yalta (4-12 febbraio 1945), prima di essere sanciti nella Conferenza di San Francisco (il 25 e 26 giugno 1945).

L'ideologia della globalizzazione viene poi sancita dall'ONU sin dalla sua creazione, quando ha affermato di prevedere un sistema collettivo di sicurezza per tutti, compresi gli Stati che non ne sono membri. In realtà, l'ONU non è molto diverso dalla SdN, non è una associazione contrattuale tra eguali, ma un riflesso dei rapporti di potere del momento a profitto dei suoi vincitori.

Detto questo, tutto il mondo si è inchinato a quella volontà.

Questa organizzazione, che si è voluta mondiale, era in pratica l'espressione del desiderio di dominio delle potenze vincitrici a scapito della volontà popolare che non venne presa in considerazione.

Questa realtà geopolitica è stata confermata al momento della creazione del Consiglio di Sicurezza che è composto dalle cinque maggiori potenze (i vincitori) come membri permanenti, e di altri membri, non permanenti, ma eletti secondo criteri geografici, con una conseguente rappresentazione subalterna dell'Africa e dell'Asia.

Il fallimento di questo sistema si è rivelato durante la Guerra Fredda. Il conflitto tra le due superpotenze è stato imposto alle potenze minori che ne hanno sopportato tutte le conseguenze a livello locale e regionale. Questa strutturazione dei ruoli è apparsa evidente nel funzionamento delle Nazioni Unite nei confronti di qualsiasi domanda di adesione per il trattamento dei conflitti, come si è visto per quanto riguarda la Palestina, la Corea, la nazionalizzazione del petrolio iraniano, la crisi del Canale di Suez, l'occupazione israeliana, il Libano ecc.

L'ONU è stata creata proclamando "la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne così come delle nazioni grandi e piccole, al fine di creare le condizioni necessarie per il mantenimento della giustizia e per il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e da altre fonti del diritto internazionale". Tuttavia, il sistema di veto ha privato le altre nazioni del diritto di essere degli attori in modo eguale.

In definitiva, le istituzioni internazionali hanno sempre mostrato gli equilibri del potere, lontano da qualsiasi idea di giustizia in senso filosofico o morale.

Il Consiglio di Sicurezza è un direttorio mondiale (in continuità di quello instaurato da Metternich) che riserva la possibilità di imporre risoluzioni solo agli alleati vincitori della seconda guerra mondiale, e non a coloro che cercano la pace.

Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, si è rivelato cruciale per cambiare il sistema internazionale.

LA RIFORMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DA PARTE DEGLI USA

In quel momento i discepoli di Leo Strauss hanno trionfato negli Stati Uniti con l'aiuto dei giornalisti neoconservatori. A loro avviso, la società è divisa in tre caste: i saggi, i signori e il popolo. I saggi, soli detentori della verità, ne rivelano una parte ai politici (i signori), mentre il popolo deve sottomettersi alle loro decisioni. Essi non hanno cessato di promuovere le loro idee e chiedono l'abrogazione dei principi del Trattato di Westfalia, ossia il rispetto della sovranità statale e la non ingerenza negli affari interni. Per imporre l'egemonia occidentale, costoro evocano un “diritto d’ingerenza umanitaria”, una “responsabilità di proteggere” che spettano ai saggi, posti in atto dai signori e imposto ai popoli. Nella revisione del vocabolario della Seconda Guerra Mondiale, si sono anche appellati a sostituire la "Resistenza" con dei negoziati. Nel 1999, gli appelli dei neoconservatori sono stati trasmessi in diversi paesi occidentali, tra cui Regno Unito e Francia. Tony Blair ha presentato l'attacco al Kosovo da parte della NATO come la prima guerra umanitaria della storia. In un discorso a Chicago, ha sostenuto che il Regno Unito non ha cercato di difendere i propri interessi, ma di promuovere valori universali. La sua dichiarazione è stata accolta molto positivamente sia da Henry Kissinger che da Javier Solana (che era allora segretario generale della NATO e anche dell'UE). Poco dopo, Bernard Kouchner è stato nominato l'amministratore ONU del Kosovo.

Non vi è alcuna differenza significativa tra la teoria straussiana e nazista. In Mein Kampf, Hitler aveva già stigmatizzato il principio della sovranità statale affermato dal Trattato di Westfalia.

In termini economici, questa visione ha già trionfato con FMI, Banca Mondiale e WTO. Fin dalla loro nascita, queste istituzioni hanno cercato di interferire nella situazione economica, finanziaria e di bilancio, in particolare sui più poveri e vulnerabili. Alcuni Stati arabi sono stati vittime della loro consulenza in materia di liberalizzazione economica, privatizzazione del settore pubblico e svendita delle risorse naturali.

Washington ha esitato sulla condotta da tenere dopo la scomparsa dell'URSS. A poco a poco gli Stati Uniti si sono affermati come unica superpotenza, come "iper-potere" nelle parole di Hubert Vedrine. Pertanto, si ritiene che il sistema delle Nazioni Unite ereditato dalla Seconda Guerra Mondiale sia stato superato. Essi non contenti di ignorare le Nazioni Unite, hanno poi cessato di adempiere ai propri obblighi finanziari(verso di loro), non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, si sono rifiutati di aderire alla Corte Penale Internazionale, e hanno ripetutamente umiliato l’Unesco.

Le idee stabilite con la Seconda Guerra Mondiale sono state spazzate via dagli attacchi dell'11 settembre 2001.

La Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d'America, enunciata dal presidente George W. Bush, il 20 settembre 2002, ha proclamato un nuovo diritto, quello della "azione militare preventiva contro gli stati canaglia".

La strategia statunitense è stata accompagnata da uno sconvolgimento concettuale. La nozione di Resistenza, dopo quella francese all'occupazione nazista, è stato delegittimata a favore di un esigenza di risoluzione dei conflitti tramite negoziazione, indipendentemente dai diritti inalienabili delle parti. Allo stesso modo, il concetto di terrorismo, mai definito nel diritto internazionale, è stato utilizzato per delegittimare qualsiasi gruppo armato in conflitto con uno Stato, qualunque siano le cause di questo conflitto.  Abrogando le convenzioni di guerra, Washington ha rinviato all’interesse del momento gli "omicidi mirati" che aveva cessaato dopo la guerra del Vietnam e che Israele ha praticato per oltre un decennio. Secondo i loro giuristi, non sarebbero a rigore un "assassinio", ma un "omicidio per legittima difesa", anche senza alcuna necessità di proteggersi, né concomitanza di minaccia e reazione, né proporzionalità della risposta. La “ingerenza umanitaria”, o la “responsabilità di proteggere” sono state collocate al di sopra della sovranità degli Stati. Infine, ha fatto la sua apparizione la nozione di Stati canaglia .

Questi Stati canaglia sono definiti tali da quattro criteri che sono rilevanti solo per supposizioni e per processi alle intenzioni:  



• I loro leader opprimono il loro popolo e saccheggiato i loro averi.

• Non rispettano il diritto internazionale e costituiscono una minaccia permanente per i loro vicini.

• Sostengono il terrorismo.

• Odiano gli Stati Uniti e i suoi principi democratici.


Con un decennio di ritardo dalla scomparsa dell'URSS gli Stati Uniti hanno lanciato il loro rimodellamento delle relazioni internazionali. Per quanto concerne il Medio Oriente, il filosofo neoconservatore Bernard Lewis. e il suo discepolo Fouad Ajami, hanno enunciato i principali obiettivi: mettere fine al nazionalismo arabo colpendo i regimi tirannici che sono il cemento del mosaico tribale, settario e religioso. La distruzione e lo smembramento degli Stati di questa regione porterà al "Caos costruttivo", una situazione incontrollabile in cui ogni coesione sociale scompare e dove l'uomo viene restituito allo stato di natura. Queste società ritorneranno allora ad uno stadio pre-nazionale, o addirittura pre-storico, dal quale sorgeranno dei micro-Stati etnicamente omogenei e, per forza di cose, dipendenti dagli Stati Uniti. Uno dei leader straussiani, Richard Perle, ha assicurato che le guerre in Iraq e in Libano sarebbero state seguite da altre in Siria, Arabia Saudita con infine l’apoteosi in Egitto.

TRE TAPPE

In ogni caso, la costruzione del Nuovo Ordine Mondiale è passata attraverso diverse fasi.

1. Dal 1991 al 2002 una fase di incertezza. Washington ha esitato nell’affermarsi come unica superpotenza e nel decidere unilateralmente il destino del mondo. Anche se questo periodo ha attraversato più di un decennio, rappresenta solo un breve momento nella storia.

2. Negli anni 2003-2006, Washington ha cercato di applicare a tutti i costi la teoria del "caos costruttivo" al fine di ampliare la propria egemonia. Ha combattuto due guerre, uno con le proprie truppe in Iraq, l'altro per procura in Libano. La sconfitta israeliana nel 2006 ha temporaneamente interrotto questo progetto. Russia e Cina, hanno allora usato due volte il veto nel Consiglio di Sicurezza (riguardo a Myanmar e Zimbabwe) anche per manifestare timidamente il loro ritorno sulla scena internazionale.

3. Nel periodo dal 2006 ad oggi, il sistema unipolare ha ceduto il passo ad uno non-polare. La potenza si è dispersa. Cina, UE, India, Russia e Stati Uniti da soli rappresentano oltre la metà degli abitanti del mondo, il 75% del PIL mondiale ed effettuano l'80% delle spese militari. Questo dato di fatto giustifica in qualche misura un sistema multipolare a causa della persistente concorrenza tra questi due poli.

LA NEBULOSA DI UN MONDO NON-POLARE 

È importante sottolineare che tali poteri devono affrontare le sfide provenienti sia dall’alto (le organizzazioni regionali e globali) che dal basso (le milizie, ONG, aziende multinazionali). Il potere è ovunque e da nessuna parte, in mani diverse, in diversi luoghi.

Oltre alle sei maggiori potenze mondiali, ci sono decine di potenze regionali. Si può portare ad esempio nell’America Latina il Brasile, e più o meno l’Argentina, il Cile, il Messico, il Venezuela. Nell’Africa, la Nigeria, il Sud Africa e l’Egitto. Nel Medio Oriente, l’Iran, Israele, l’Arabia Saudita. Il Pakistan, nel sud-est asiatico. Australia, Indonesia e Corea del Sud nell’Asia orientale e nel Pacifico occidentale.

Numerose organizzazioni intergovernative sono su questa lista di forze: il FMI, la Banca Mondiale, l'OMS e l'ONU in quanto tale. Le organizzazioni regionali come l'Unione africana, la Lega araba, l’ASEAN, la UE, l’ALBA, ecc. Per non parlare di club come l'OPEC.

Devono essere aggiunti alcuni Stati all'interno delle Nazioni Unite come la California o l’Uttar Pradesh [lo Stato più popoloso dell'India], e anche città come New York o Shanghai.

Ci sono anche aziende multinazionali, comprendenti quelle dell'energia e della finanza. E media globali come Al-Jazeera, BBC, CNN. E milizie come Hezbollah, l'Esercito del Mahdi o i Talebani. Bisogna aggiungere i partiti politici, le istituzioni religiose e i movimenti delle organizzazioni terroristiche, dei cartelli della droga, le ONG e le fondazioni. La lista è infinita.

Gli Stati Uniti rimangono la principale concentrazione del potere. Le loro spese militari annuali sono stimate oltre i 500 miliardi di dollari. Questa cifra potrebbe raggiungere i 700 miliardi se si tiene conto del costo delle operazioni in corso, sia in Iraq che in Afghanistan. Con il loro PIL annuo, stimato in 14 miliardi di dollari, sono al primo posto nell'economia mondiale.

Tuttavia, la realtà del potere degli Stati Uniti non deve mascherare il suo declino sia in termini assoluti che relativi ad altri Stati. Come notato da Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, il progresso di paesi come Cina, Russia, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ha raggiunto i 1.000 miliardi dollari all'anno. Questo è naturalmente dovuto al mercato dell'energia. Data l'esplosione della domanda da parte di Cina e India, tale importo continuerà a crescere. Il dollaro debole contro la sterlina e l'euro non si tradurrà solo in un deprezzamento del suo valore rispetto alle valute asiatiche, ma in una possibile trasformazione del mercato petrolifero che pagherà con un paniere di valute o in euro.

E quando il dollaro non sarà più la valuta di commercio del petrolio, l'economia statunitense si troverà vulnerabile alle crisi inflazionistiche e valutarie.

Due meccanismi di base hanno sostenuto la non-polarità del mondo:  



• I flussi finanziari hanno trovato la loro strada al di fuori dei canali legali e senza che i governi ne avesse-ro conoscenza. Questo suggerisce che la globalizzazione indebolisce l'influenza delle grandi potenze.

• Questi flussi sono stati ampiamente utilizzati dagli Stati petroliferi per finanziare segretamente attori non statali.


Di conseguenza, in un sistema non polare, il fatto di essere il più forte Stato del mondo non garantisce il monopolio della forza. Qualsiasi tipologia di gruppi o di individui, può accumulare influenza.

Secondo il professor Hedley Bull, le relazioni internazionali sono sempre state un misto di ordine e caos. Se seguiamo la sua teoria, il sistema non polare crea da sé stesso la propria complessità. E questo è proprio quello che è successo. 

Nel 2011, l'aggravamento delle tensioni sulla Libia ha dimostrato che il sistema non-polare non era più praticabile. Ne sono emersi due orientamenti concorrenti.

Il primo è degli USA. Esso mira a costruire un nuovo ordine mondiale che corrisponde alla strategia di Washington. Esso prevede l'abolizione della sovranità dello Stato stabilita dalla Pace di Westfalia, e la sua sostituzione con l'ingerenza umanitaria sia come legittimazione retorica che come cavallo di Troia dell’American way of life.

La seconda, sostenuta dalla Shanghai Cooperation Organization e dal BRICS, è sino-russa. È questai che ha preteso il mantenimento dei principi del Trattato di Westfalia, senza per questo volgersi indietro. Si tratta di determinare una nuova regola del gioco. Qualcosa che si basi sui due nuclei che ruotano attorno ad un certo numero di poli.

Chiaramente, il controllo delle risorse, compresa l'energia rinnovabile, è la porta ideale per la creazione di un nuovo sistema, il cui emergere è bloccato dal 1991.

E 'anche chiaro che il controllo delle rotte del gas e dei trasporti è il centro del conflitto in Siria. Senza dubbio, la polarizzazione dei poteri su questo argomento va certamente al di là delle cause interne, e supera la questione dell'accesso alle acque calde, o gli interessi logistici della base navale di Tartous.

L'IMPERATIVO ENERGIA

La battaglia dell’energia è stata la grande battaglia di Dick Cheney. L’ha condotta nel 2000-2008 nei confronti di Cina e Russia. Dopo, questa politica è stata perseguita da Barack Obama.

Per Cheney, la domanda di energia sta crescendo più rapidamente rispetto all'offerta, il che alla fine porta a una carenza. Il mantenimento del dominio degli Stati Uniti passa dunque in primo luogo attraverso il controllo delle rimanenti riserve di petrolio e gas. Inoltre, più in generale, se le relazioni internazionali attuali sono strutturate sulla geopolitica del petrolio, è la fornitura di uno stato che determina la sua ascesa o la caduta. Da qui il suo piano in quattro punti:  



• Incoraggiare, a qualunque costo, ogni produzione locale tramite dei vassalli al fine di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti nei confronti di tutti i fornitori non-amici a, in modo da aumentare così la libertà d’Azione di Washington.

• Controllare le esportazioni di petrolio dagli stati del Golfo arabo, non per accaparrarsele, ma per usarle come arma di pressione sui clienti e sugli altri fornitori.

• Controllare le vie marittime in Asia, vale a dire gli approvvigionamenti di Cina e Giappone, non solo di petrolio, ma anche di materie prime.

• Incoraggiare la diversificazione delle fonti di energia utilizzate in Europa al fine di ridurre la dipendenza europea verso il gas russo e l'influenza politica che Mosca persegue.


Ma gli americani hanno fissato come obiettivo primario la loro indipendenza energetica. Questo era il senso della politica sviluppata da Dick Cheney dopo ampie consultazioni con i giganti energetici, nel maggio 2001. Esso passa attraverso una diversificazione delle fonti locali: olio, gas domestico, carbone, energia idroelettrica e nucleare. E con un rafforzamento degli scambi con i paesi amici dell'emisfero occidentale, tra cui Brasile, Canada e Messico.

L'obiettivo secondario è quello di controllare il flusso di petrolio nel Golfo Arabico. Questa è stata la ragione principale nell’innescare prima Desert Storm (1991), e poi l'invasione dell'Iraq (2003).

Il piano di Cheney è focalizzato sul controllo delle vie marittime: lo Stretto di Hormuz (attraverso il quale passa il 35% del commercio mondiale di petrolio), o dello Stretto di Malacca. Ad oggi, questi vie marittime sono essenziali per la sopravvivenza economica di Cina, Giappone, Corea del Nord e anche Taiwan. Questi corridoi permettono di portare energia e materie prime per le industrie in Asia, e di esportare manufatti verso i mercati mondiali. Controllandole, Washington si garantisce la lealtà dei suoi principali alleati asiatici e al contempo limita l'ascesa della Cina.

L'attuazione di questi obiettivi geopolitici tradizionali ha portato gli USA a rafforzare la loro presenza navale nella regione Asia-Pacifico, e di entrare in una rete di alleanze militari con Giappone, India e Australia. Sempre col fine di contenere la Cina.

Washington ha sempre considerato la Russia come una concorrente geopolitica. Ha colto ogni occasione per ridurre il suo potere e la sua influenza. In particolare, temeva la crescente dipendenza dell'Europa occidentale dal gas naturale russo, il che poteva influenzare la sua capacità di gestire i movimenti di opposizione russi in Europa orientale e nel Caucaso.

Per offrire un'alternativa, Washington ha spinto gli europei ad approvvigionarsi nel bacino del Mar Caspio, mediante la costruzione di nuovi gasdotti attraverso Georgia e Turchia. Si trattava di aggirare la Russia con l'aiuto di Azerbaijan, Kazakhstan e Turkmenistan ed evitando l'uso di tubazioni della Gazprom. Da qui l'idea di Nabucco.

Per migliorare l'indipendenza energetica del suo paese, Barack Obama si è improvvisamente trasformato in un nazionalista autarchico. Ha incoraggiato lo sfruttamento di petrolio e gas in tutto l'emisfero occidentale, a prescindere dai pericoli della perforazione in zone ecologicamente fragili, come la costa dell'Alaska e del Golfo del Messico, e con l’utilizzo di qualsiasi tecnica, come il fracking.

Nel suo discorso sullo stato della Nazione 2012, il presidente Obama ha detto con orgoglio: 

"Negli ultimi tre anni abbiamo aperto milioni di acri di terra alla prospezione di petrolio e gas. Stasera ho chiesto all'amministrazione di aprire oltre il 75% delle risorse di petrolio e di gas in mare aperto. Ora, in questo momento, la produzione di petrolio degli Stati Uniti è la più alta da otto anni. E' vero. Da otto anni. E non è tutto. Lo scorso anno, la nostra dipendenza dal petrolio estero è diminuita ed ha raggiunto il livello più basso da sedici anni"[ 1 ].

Parlava con particolare entusiasmo, l'estrazione di gas naturale per cracking di scisti bituminosi: "Abbiamo riserve di gas naturali che preservano l'America per cento anni"[ 2 ].

Nel marzo del 2011, Washington ha aumentato le sue importazioni dal Brasile per diminuire quelle dal petrolio del Medio Oriente.

In effetti, Washington ha continuato a garantire il controllo degli Stati Uniti su importanti vie marittime che si estendono dallo Stretto di Hormuz a sud del mare della Cina, e a costruire una rete di basi e di alleanze che circondano La Cina, l'emergente potere globale, sotto forma di un arco che va dal Giappone alla Corea del Sud, all’Australia, al Vietnam e le Filippine nel sud-est, poi in l’India, nel sud-ovest. Tutto coronato da un accordo con l'Australia per costruire una struttura militare a Darwin, sulla costa nord, vicino al Mar Cinese Meridionale.

Washington sta cercando di includere l'India in una coalizione di paesi della regione ostile alla Cina e col fine di strappare New Delhi nelle mani di BRICS, una strategia di accerchiamento della Cina che causerebbe un problema molto grave a Pechino. 

Gli studi hanno dimostrato una ripartizione inattesa delle riserve di gas mondiali. La Russia è al primo posto con 643 miliardi di metri cubi nella Siberia occidentale. In secondo luogo, l'Arabia, compreso il deposito di Ghawar, con 426 miliardi di metri cubi. Poi nel terzo, il Mediterraneo con 345 miliardi di metri cubi di gas che devono essere aggiunti ai 5,9 miliardi di barili di gas liquido, e ancora agli 1,7 miliardi di barili di petrolio. Per quanto riguarda il Mediterraneo, esso è principalmente in Siria. Il deposito scoperto a Qara può raggiungere i 400.000 metri cubi al giorno, il che rende il paese il quarto più grande produttore nella regione, dopo Iran, Iraq e Qatar.

Il trasporto del gas dalla cintura di Zagros (Iran) verso l’Europa dovrà passare attraverso l'Iraq e la Siria. Questo ha completamente invertito i progetti americani e consolidato i progetti russi (Nord Stream e South Stream). Il gas siriano è sfuggito a Washington, e non gli resta che ripiegare sul gas libanese.

La guerra continua ...

Imad Fawzi Shueibi
Fonte; www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/Le-projet-de-Nouvel-Ordre-Mondial
14.08.2012

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da OLDHUNTER 

NOTE

[ 1 ] " Negli ultimi tre anni, abbiamo aperto milioni di ettari di nuovi campi di petrolio e gas, e stasera, sto autorizzando la mia amministrazione ad aprire oltre il 75 per cento del nostro potenziale off-shore di petrolio e di gas. (Applausi) Proprio ora - proprio ora – la produzione di petrolio americano è la maggiore. Da otto anni. Proprio così - otto anni. Non solo - l'anno scorso, ci siamo affidati meno al petrolio straniero che in uno qualunque degli ultimi 16 anni ".

[ 2 ] " Abbiamo una fornitura di gas naturale, che in America può durare quasi 100 anni."

mercoledì 15 agosto 2012

Produttori di Droni contribuiscono alla campagna milionaria delle elezioni al Congresso USA


La febbre del Presidente Obama del drone è contagiosa e si sta diffondendo in tutto il mondo, e le industrie americane  costruttrici stanno schiavizzando i dipendenti a lavorare oltre le loro possibilità per soddisfare la domanda.

Christopher Ames,  direttore dello sviluppo della strategia internazionale per il Pentagon General Atomics Aeronautical, era quasi contento nella sua dichiarazione a Reuters per quanto riguarda l'apertura di un potenziale lucrativo mercato d'oltremare, il controllo remoto delle macchine assassine.

"C'è stato un notevole interesse internazionale," ha detto a Reuters. "Ci sono molti  paesi che da tempo hanno chiesto i Predator... (la variante per l'esportazione) che aprono i mercati per noi."

Ames  non rivela quali paesi sono interessati all'acquisizione di droni della sua azienda, ma  ha confermato che l'America Latina, il Medio Oriente e l'Asia sud-orientale " sono tutte aree interessate a considerevoli acquisti".

Diplomatici hanno rivelato a WikiLeaks che diversi regimi, compresi quelli degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita, hanno cercato di garantirsi contratti per l'acquisto di droni armati da fornitori americani, rivelatisi finora, infruttuosi.

In tutta onestà, General Atomics non è il solo "American Defense Contractor" ansioso di spacciare i droni Predator ad altri governi desiderosi di averli. Northrop Grumman e altre aziende continuano a spingere le lobby del Congresso e alla casa bianca per facilitare restrizioni all'esportazione di vendite di droni. 
Tali vendite libere di droni, naturalmente, potrebbero finire nelle mani di regimi che vogliono utilizzare tali dispositivi per danneggiare gli interessi americani nel mondo — un esempio fra tutti l'Iran.

"La proliferazione di questa tecnologia segnerà un grande cambiamento nel modo delle guerre combattute nel mondo ," ha detto Kimball. "Stiamo parlando di macchine da guerra molto sofisticate. Dobbiamo stare molto attenti a chi ottiene questa tecnologia. Per evitare che si rivolti contro di noi e ci facciano del male."

Chi non è avvezzo a ottenere il  modo di vendere, sappia, che i costruttori di droni  sanno che la strada per entrare nel cuore di un deputato è attraverso il suo portafoglio.

Le probabilità  che i lettori non hanno mai sentito parlare, di Caucus Unmanned Systems, sono alte.

rapporti tra i responsabili della costruzione dei droni e i legislatori è stato recentemente segnalato da una stazione radio in  Arizona:
Il drone —  e la tecnologia che la promuove — sta diventando sempre più di capitale importanza per la nazione, la visione del governo sui veicoli senza equipaggio,aiutano a risparmiare denaro nella difesa, come meglio pattugliare i confini del paese e fornendo un nuovo strumento alle agenzie  militari ed anche a quelle civili.

"È sicuramente una potente lobby nel Congresso," ha detto Alex Bronstein-Moffly, analista di primo Street Research Group, un'azienda basata a Washington D.C. che analizza dati di lobbying.

"È probabilmente lassù nell'Assemblea più potente che se né  parlato." E, dice, che membri dell'assemblea si sono ben piazzati per influenzare sia la spesa pubblica che regolamenti.

Il Congressista Howard P. "Buck" McKeon (R -California) è il co-presidente dell'assemblea. In particolare, McKeon serve anche come Presidente del House Armed Services Committee.

È interessante nota che l'assemblea comprende otto membri del Comitato sugli stanziamenti, ( House Committee on Appropriations), l'organismo che ha in  sostanza  il controllo dei cordoni finanziari del governo federale.

Molti dei membri dell'assemblea,  sono sostenuti finanziariamente dall'industria dei droni che essi avallano. Secondo i dati di Bronstein-Moffly, i membri del caucus 58  ha ricevuto un totale di $2,30 milioni in contributi nei comitati di azione politica a cui si sono affiliati i produttori drone dal 2011.

Inoltre, 21 membri del caucus drone rappresentano stati di confine. Questi membri del Congresso hanno ricevuto circa $1 milione in depositi nelle loro casse nelle campagne elettorali cicliche per le elezioni dal 2010 al 2012, secondo le informazioni segnalate da: Center for Responsive Politics and analyzed by Fronteras Desk and Investigative Newsource.

Ad esempio, la General Atomics’ PAC, è uno dei tre migliori contribuenti della campagna elettorale degli ultimi tempi in California a favore dei congressisti Brian Bilbray, Ken Calvert, Jerry Lewis e McKeon.

Nel 2010 e nel 2012, General Atomics’ PAC, ha pagato oltre $140.000 in donazioni per sostenere i membri, dei drone caucus, che rappresentano gli Stati e si trovano al confine con il Messico.

Un PAC in gran parte finanziato dalla Northrop Grumman ha contribuito per circa 150.000 $ per i 16 membri del Congresso nel caucus drone che rappresentano i distretti della California, del Texas, Arizona e Nevada.

Nessuna meraviglia che queste società mordono il freno per la rimozione degli ostacoli ai loro piani di vendite d'oltremare. In uno studio pubblicato di recente, il Teal Group stima che la spesa UAV sarà nel prossimo decennio quasi il doppio  delle attuali spese nel mondo,   UAV spende 6,6 miliardi di dollari ogni anno che diventano 11,4 miliardi di dollari, per un totale di poco più di $ 89 miliardi nei prossimi 10 anni.

lunedì 13 agosto 2012

BCE, EURO, SCENARI: appunti


BCE, EURO, SCENARI: appunti


1. Il 2 agosto, la Banca Centrale Europea (BCE), malgrado le roboanti esternazioni del suo presidente Mario Draghi sulla difesa ad oltranza dell’euro di pochi giorni prima, ha in parte “deciso di non decidere”, almeno fino a metà settembre, quando la Corte costituzionale di Karlsruhe emetterà la sentenza sulla costituzione del Meccanismo di Stabilità Europeo (EMS), che si sostituirà all’attuale Fondo Salva-Stati, quest’ultimo dotato di 100 miliardi di euro, una cifra irrisoria per poter intervenire efficacemente contro gli assalti ai debiti sovrani dei paesi cosiddetti del Sud (ce ne vorrebbero 300 solo per salvare la Spagna). 

Questo significa che nelle prossime settimane, in mancanza di una autorità veramente in grado di “fare qualunque cosa per preservare l’euro”, i mercati saranno probabilmente soggetti a forti oscillazioni determinate dal “calcolo delle probabilità” sulla fuoriuscita o meno dall’euro di Spagna e Italia. La questione di fondo è: quanta sovranità i paesi del Sud sono di nuovo pronti a concedere per “tirare avanti” con i loro debiti crescenti?



Triste figure, di Raymond Burki , 24 heuresSvizzera 


Prima della riunione del board della BCE i paesi in sofferenza avevano chiesto che l’istituto di Francoforte si mettesse ad acquistare direttamente e in modo illimitato i titoli pubblici spagnoli e italiani in modo da favorire una diminuzione dei tassi ed evitare che il loro accesso al mercato fosse precluso. Spagna e Italia non hanno solo un problema di liquidità, ma anche di solvibilità: l’intervento della BCE non dovrebbe essere solo quello di calmierare i mercati facendo scendere a livelli sostenibili i tassi di interesse, ma anche quello di sostituirsi eventualmente agli investitori che non vogliono più sottoscrivere questi stessi titoli. 

Il che comporta un radicale cambiamento della natura della politica monetaria della BCE. In sé, non si tratta di un fatto nuovo. Già nell’autunno dell’anno scorso la BCE aveva acquistato direttamente sul mercato oltre 200 miliardi di euro di titoli dei paesi in difficoltà. All’inizio di quest’anno aveva poi iniettato nel sistema bancario europeo oltre 1.000 miliardi di euro che sono stati usati soprattutto nei paesi mediterranei per acquistare obbligazioni dei loro Paesi. 

Pure, in seguito, seppure non sia stato ufficialmente proclamato, gli interventi della BCE sono proseguiti soprattutto attraverso cospicui finanziamenti delle banche spagnole e italiane. Col risultato di una esplosione del bilancio della BCE, che sta diventando il principale detentore di titoli statali dei Paesi in difficoltà o di obbligazioni in cui sono stati cartolarizzati mutui ipotecari e altri crediti delle banche.

Ma l’appello al cambiamento della natura degli interventi della BCE – da straordinari a ordinari – rappresenta una violazione dei suoi statuti, ciò che provoca, come si è visto in questi giorni, l’opposizione della Bundesbank. Come maggiore azionista della UE, per la Germania il salvataggio dell’Euro nella sua forma attuale diventa sempre più proibitivo, al punto che l’agenzia di rating Moody’s ha espresso un giudizio negativo sulle prospettive economiche della Germania. Il salvataggio dell’euro a colpi di interventi disordinati e a costi crescenti appare sempre più problematico. 

La prospettiva di una spaccatura dell’euro comincia infatti ad essere esplicitamente evocata da molte personalità tedesche. Essa appare come la soluzione più “ragionevole” ad una crisi che sta distruggendo non solo l’economia della zona euro, ma soprattutto la credibilità dell’ideale europeo. Come si dice in Germania, oggi è meglio un grande dolore con una fine certa, che un dolore senza fine.


2. É alla luce di questo scenario (la spaccatura dell’euro) che va interpretato quanto emerso il 2 agosto a Francoforte. E’ vero, come scrive il Financial Times (“Zen and the art of central banking”, 4 agosto), che sia Draghi che Bernanke sono ormai entrambi impegnati nell’arte Zen della nientitudine: “Strictly speaking, the Federal Reserve and the European Central Bank did nothing. But their respective leaders, Ben Bernanke and Mario Draghi, showed how doing nothing is far from being inactive”. 

Siamo, insomma, di fronte alle tipiche virtù della performatività del linguaggio, il “fare cose con le parole”. Fare cosa? “The real message is that the peripheral economies will not be given money for nothing. The pressure for meaningful structural reform is to remain intense, and any short-term bailout will be conditional and supervised by external agencies” (“Italy and Spain coy on rescue fund move”, FT, 3 agosto). Ecco la novità: la BCE è disposta ad agire solo se prima i paesi che chiedono un intervento di salvataggio accettano di sottostare a ulteriori condizioni, aggiuntive rispetto a quelle già concordate con la Commissione europea. Le parole della BCE, comunque, hanno disorientato i mercati, tanto che, dopo la reazione catastrofista dei mercati del giorno seguente, c’è voluta una spiegazione del Financial Times per ristabilire, in modo altrettanto esagerato, la fiducia degli stessi mercati. Insomma, da un atto linguistico all’altro. 

L’incertezza regna sovrana.


Ma procediamo con ordine: prima di tutto, con le “decisioni” della BCE di Draghi siamo ancora lontani da quel cambiamento della politica monetaria auspicato da molti prima del 2 agosto, ossia la trasformazione della BCE in una vera e propria banca centrale che, intervenendo direttamente sui mercati con l’acquisto di obbligazioni pubbliche (come fa la Fed o la banca centrale giapponese, ecc.) si preoccupa non solo di combattere l’inflazione (ancora l’unica vera priorità della BCE), ma anche di regolare in senso macro-economico le variabili fondamentali della crescita economica (investimenti e occupazione, in primo luogo). 


É vero che la BCE, oltre ad effettuare operazioni sul mercato secondario di “importo adeguato”, potrebbe non sterilizzare gli acquisti di titoli, lasciando in tal modo aperta la possibilità di un quantitative easing mirato, ossia la creazione di liquidità a mezzo di interventi sul mercato dei titoli statali. Ma qui siamo ancora nell’ordine dei possibili. É stato invece deciso che la BCE interverrà solo dopo che sia stato concordato un programma di assistenza tra il Paese che chiede aiuto e il FondoSalva-Stati/Salva-Spread. E qui, apriti cielo! “Questa subordinazione ha almeno due inconvenienti. Primo, la richiesta di aiuti all’Efsf è un’ammissione di impotenza. 

Ciò ha ovvi costi politici, ma anche economici, perché rivela che lo stesso Paese ritiene di non riuscire a farcela con le proprie forze. L’esperienza (europea e internazionale) insegna che, quando un Paese chiede prestiti a organismi sovranazionali, l’accesso ai mercati gli rimane poi precluso a lungo. Secondo, la richiesta di aiuto è formulata prima di sapere quali condizioni saranno imposte per ricevere assistenza. L’incertezza non è di poco conto, perché l’intervento dei fondi europei deve essere approvato dall’Eurogruppo. Le condizioni imposte sono quindi il frutto di un negoziato politico e non solo tecnico. 

Un negoziato intergovernativo, condotto in posizione di estrema debolezza contrattuale, potrebbe costringere il Paese a subire condizioni fortemente pregiudizievoli dell’interesse generale dei propri cittadini” (Guido Tabellini, “La BCE cerca scudi politici”, Il Sole 24 Ore, 4 agosto). Perché, allora, questa clausola della “sorveglianza speciale”, oltretutto aggiuntiva a quelle già decise (e approvate dai Parlamenti)? Se lo chiede addirittura Eugenio Scalfari: “Ho grandissima stima ed anche affettuosa amicizia per Mario Draghi ma non mi impedisce di porgli la domanda: perché l’acquisto di titoli a breve in Spagna e in Italia dev’essere autorizzato?” (La Repubblica, 5 agosto). Secondo Tabellini, “la vera ragione di questa pistola puntata alla tempia è che la BCE ha bisogno di una copertura politica. Senza l’accordo e la sorveglianza dei governi europei, non vi sarebbe una maggioranza abbastanza ampia nel Consiglio della BCE per approvare gli acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario. Prendiamone atto, nella consapevolezza che i governi delle banche centrali europee sono tutt’altro che indipendenti dal potere politico”. 

E questa sarebbe la “vittoria” di Mario Draghi contro Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank “isolato” a causa della sua testardaggine? Sembra di sognare! Di fatto, ha vinto l’ordoliberismo tedesco, ha vinto cioè la politica del rigore e della disciplina politico-statale funzionale al rafforzamento dell’economia di mercato. “Se, come probabile, saremo costretti a chiedere lo scudo ‘anti-spread’, la campagna elettorale sarà un inutile esercizio retorico: la politica economica italiana dei prossimi anni verrà comunque decisa a Francoforte”. “Le varie road map elettorali dei partiti rischiano di scomparire prima ancora di essere imboccate… Il ‘che fare’ sarà l’agenda dell’Europa per salvare l’euro e l’Italia è il test più importante. Le alleanze politiche dovrebbero seguire: pro o contro l’euro è la prima linea di demarcazione. Una comoda terza via non esiste, fermo restando che si può essere euro-ottimisti ma non euro-stupidi, ed euro-scettici ma non populisti all’ultimo stadio” (Guido Gentili, “I compiti a casa, strada obbligata”, Il Sole 24 Ore, 4 agosto). Goodbye Mr. Socialism.


3. Siamo ormai in un “nuovo feudalesimo” basato sullo “Stato di eccezione” di Karl Schmitt, come scrive Guido Rossi, “che comporta la rigida soggezione economica della moltitudine ad alcuni potenti, siano essi finanzieri, tecnici o burocrati, poco importa” (Il Sole 24 Ore, 5 agosto)? Sembrerebbe di sì, con la (ovvia) differenza che nel feudalesimo criticato da Montesquieu il comando gerarchico era basato sulla confusione tra ricchezza terriera e autorità, mentre oggi la ricchezza finanziaria rimanda al comando sul comune, al grado di autorità che i governi riescono ad esercitare sulla moltitudine attiva, produttiva di cooperazione, legame sociale, sapere diffuso. 


Privatizzazione dei beni comuni, smantellamento del Welfare State, dismissione del patrimonio pubblico, costrizione al debito (in Italia, negli ultimi mesi, il debito privato delle famiglie pare sia aumentato del 33%), sono le forme del comando neo-feudale sulla moltitudine attiva, sul comune. Da soli, i mercati finanziari non sono in grado di portare a compimento questo programma di feudalizzazione del comune. Per questo c’è bisogno delle istituzioni statali, del sistema dei partiti, delle modifiche della costituzione (vedi, ad esempio, il pareggio di bilancio o le varie spending reviews). La questione della rappresentanza si pone a questo livello, e a questo livello deve porsi la lotta di classe “oltre la rappresentanza”.

Questo significa “lottare contro l’euro”, e a nulla serve l’illusione (social-democratica) che, salvando l’euro, si salva la possibilità di aprire spazi di resistenza sovra-nazionali. Questo euro sta di fatto de-europeizzando l’Europa, la sta frammentando, balcanizzando, riproponendo concretamente un sovranismo nazional-bancario destinato a restringere sempre di più gli spazi di socializzazione-europeizzazione delle lotte sociali.


I dati sulla riduzione, a partire dal 2007, dei prestiti bancari cross-border di Germania e Francia sono a questo proposito significatvi: una riduzione dei prestiti alle banche dei paesi periferici e semi-periferici pari a oltre il 25%. Si tratta di una vera e propria “financial fragmentation and nationalization”, conseguenza della paura che una spaccatura dell’Euro porti all’introduzione dei controlli sui movimenti di capitale e all’aumento della pressione per erogare crediti a partire dai depositi interni ai paesi deboli. 

Ne consegue che al Nord le banche possono far crediti a costi ridotti, mentre al Sud si assiste alla drastica riduzione della capacità creditizia (vedi “German banks sound retreat. Net lending to weaker eurozone nations falls. French groups also cut cross-border exposure”, FT, 30 luglio).

Non c’è quindi spazio per velleità sovraniste, di ritorno alla sovranità nazionale per rompere la camicia di forza della moneta unica. Di fatto, il sovranismo bancario è già in atto e non ci sembra che stia contribuendo a migliorare la situazione. Una situazione, oltretutto, in cui la frammentazione è concretamente all’opera all’interno degli stessi Stati nazionali, come sta accadendo in Spagna, ma anche in Italia, con la crisi della Catalonia, di Valencia, ecc. (“Europe’s Brutual Game Of Dominos”, BloombergBusinessweek, 5 agosto). E, soprattutto, in una fase in cui “The stream of migrants is the most eye-catching part of a larger trend – people from recession-hit countries in the southern eurozone moving northwards to seek work” (Gerrit Wiesmann, “Greek swap sun and austerity for jobs in rainy Germany”, FT, 2 agosto). 


La questione dei migranti torna ad essere fondamentale nella definizione degli spazi di lotta.
C’è solo spazio per la costruzione di una moneta (del) comune che sappia dare espressione materiale alla lotta di classe trans-nazionale. Una lotta che parta da precise e concrete “soggettività migranti”, da forme di riappropriazione del comune, del sapere (“Maybe it is easier to be European if you’re well educated”, dice un emigrato greco), che su queste basi sappia ricomporre un “sapere monetario condiviso”, in cui la moneta sia veicolo di ricomposizione di senso, di autonomia sociale, non certo di esclusiva appropriazione di lavoro e di vita altrui.



4. La tenuta sociale, interna ai vari paesi della zona euro, è il problema centrale dei prossimi mesi. La moneta unica, con le riforme economiche che comporta, non può reggere se cresce un movimento di rivolta contro il sistema dei partiti chiamato ad implementare i Memorandum della troika. Di questo sono perfettamente consapevoli anche i tedeschi. Hans-Werner Sinn e Friedrich Sell prongono sulle colonne del Financial Times la loro soluzione a questo problema politico-sociale: “The idea is to allow countries leaving the euro to adopt their own currency temporarily with an option to return later” (“Our opt-in opt-out solution to the eurozone crisis”, FT, 1 agosto). Sinn è l’economista tedesco più influente, colui che da tempo critica (ferocemente) i paesi periferici per il loro lassismo, sostenendo l’insostenibilità economica per la Germania dell’attuale sistema monetario europeo. L’idea di permettere ai paesi del Sud di uscire “temporaneamente” dall’euro per riconquistare la loro competitività (via svalutazione della loro moneta) e, soprattutto, il loro consenso politico-sociale interno, la dice lunga su quel che i tedeschi hanno in mente, e da tempo: la spaccatura dell’eurozona, né più né meno. Esiste già un accordo (European Exchange Rate Mechanism) che permette ai paesi in attesa di entrare nell’euro, come la Danimarca, la Lettonia e la Lituania, di “esercitarsi” per un paio di anni (infatti, l’ERM II da loro proposto ai paesi deboli già nell’euro dovrebbe essere una specie di “training space”) prima di entrare a far parte dell’eurozona. Insomma, quel che Sinn e Sell propongono è una spaccatura dell’euro in due aree monetarie (se poi la Grecia, la Spagna o l’Italia ritorneranno nell’euro, dipenderà dalla loro capacità di sfruttare la leva della svalutazione entro un margine di +/- 15%). Gli esempi storici di uno scenario del genere non mancano: la separazione dal dollaro del D-Mark nel 1969, l’uscita della sterlina dallo SME all’inizio degli anni ’90, l’Argentina e la rottura della parità col dollaro nel 2002.


É, a suo modo, un’opzione sovranista (Jacques Sapir è ancora più radicale, ma la direzione sembra la stessa) ma declinata su due aree monetarie. Si noti che anche Michel Aglietta, che sostiene l’opzione federalista, non vede affatto male l’uscita della Grecia dall’euro (Zone Euro. Eclatement ou fédération, Michalon: Parigi, 2012). Chi, come noi, parte dalle lotte, dai movimenti, dalle soggettività, non può sottrarsi dall’esprimersi politicamente su questi scenari. Da una parte, è evidente che l’Eruopa monetaria sta sgretolandosi a causa delle sue contraddizioni interne (monetarie e istituzionali). Personalmente continuo a credere che la spaccatura dell’euro sia l’esito più probabile. Non lo auspico, semplicemente mi sembra che sia “nelle cose”. Vedremo. Dall’altra, il passaggio dalla moneta unica attuale alla moneta (del) comune è l’orizzonte dei movimenti sociali, che sono apolidi (per definizione storica) e che quindi devono sottrarsi a qualsiasi ripiegamento sovranista. La moneta (del) comune sarà l’esito di questa tensione. É un processo materiale, costitutivo, aperto.


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