sabato 25 agosto 2012

L'attacco alla repubblica del Ecuador. Ecco il perchè di Londra...contro Assange..

L'attacco alla repubblica del Ecuador. Ecco il perchè di Londra.


BANDIERA DELL'ECUADOR

di Sergio Di Cori Modigliani 
sergiodicorimodiglianji

.... e conoscerete le verità, e la verità vi renderà liberi! .... (Jesus)

ESSERE RIVOLUZIONARI OGGI E' DIRE LA VERITA'



Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in rete.
Tutto ciò che sta accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di “politicamente”) è iniziato il 12 dicembre del 2008. Secondo altri, invece, sarebbe iniziato nel settembre di quell’anno. Ma ci volevano almeno quattro anni prima che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in Usa.
Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla fine.
Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange, wikileaks, e la Repubblica di Ecuador.

Perché il caso esplode, oggi?
Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo, mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al mondo intero?
ECUADOR

Perché l’Ecuador? Perché, adesso?

Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.
Intendiamoci: era scontato in tutto il continente americano, in Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi. In Europa e a Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa. 
Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al 100% eurocentrica, vive sotto un costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale, non ha la minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma (quel che più conta) pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il mondo intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali. Ma il mondo non funziona più così. In Italia, ad esempio, nessuno è informato sulla zuffa (che sta già diventando rissa) tra il Brasile e l’Onu, malamente gestita da Christine Lagarde, la persona che presiede il Fondo Monetario Internazionale, e che ruota intorno all’applicazione base di un concetto formale, banale, quasi sciocco, ma che potrebbe avere ripercussioni psico-simboliche immense: l’Italia è stata ufficialmente retrocessa. Non è più l’ottava potenza al mondo, bensì la nona. E’ stata superata dal Brasile. Quindi al prossimo G8 l’Italia non verrà invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la scelta di abolire il G8 trasformandolo in G10 standard. Si stanno scannando.

La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali dal mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in testa, non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano del Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne stiano a casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. 

Il messaggio in sintesi è questo.
Dal Sudamerica negli ultimi quaranta giorni sono arrivati tre potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante) in data 3 agosto, se non altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in Europa, ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se non se ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie su wikipedia, allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore della finanza oligarchica planetaria, la city di Londra.
E adesso veniamo ai fatti.

Jules Assange, il 15 giugno del 2012 capisce che per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi di specifici accordi formali sanciti tra le due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Jules Assange è “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo porteranno direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base dell’applicazione del Patriot Act Law. 

Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta. “vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”. Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi, il 13 agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano (giustamente) degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due favolosi colpi. Il primo avviene il 3 agosto, il secondo il 4.

Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale accompagnata dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri ecuadoregno, Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana America”) l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. In tale occasione, la Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al Fondo Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, la Repubblica Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. 

Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo semplicemente la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del Fondo Monetario Internazionale che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fosse l’unica strada. 

Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. 
Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi. Non solo. Siamo oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in materia economica sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora lo sono ancor di più oggi: Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale……” ecc. 

Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO (World Trade Organization) la più importante associazione planetaria di scambi commerciali coinvolgendo il Fondo Monetario Internazionale grazie ai files messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie (o per colpa) di Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone: Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes, lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come fare per impedire ai loro governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del Fondo Monetario Internazionale il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. 

Gran parte dei file già resi pubblici su internet. Gran parte dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador, il quale -siamo sempre il 3 agosto a New York- ricorda chi rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador, ovvero la prima nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Dirirtto, la violazione di norme costituzionali”. Il 12 dicembre del 2008, infatti, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (pil intorno ai 50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”. Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo Monetario.. 

Il paese è in ginocchio. 

Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia ufficialmente che darà il proprio contributo dando petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondi di banane) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare subito dei contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago. 

Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17 gennaio 2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale di New York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. Eh già. E’ accaduto in Iraq, che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus dei fedele al vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e quindi aprendo la strada a un precedente storico recente. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure se si annulla la decisione dell’Ecuador allora si annulla anche quella dell’Iraq e quindi il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.

Nasce allora il Sudamerica moderno.
E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.

Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi.
In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.

E’ un chiaro segnale che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste alternativa. Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo.

Anche in Europa.
Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del globo”.
Ma chi è Garzòn?
E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata.
E’ il nemico pubblico numero uno dell’opus dei.
E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi.
E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè Pd e PDL insieme) acquistava a 100 $ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla telecinco che li rivendeva a 1000$ a rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai (ovvero noi) ha pagato i diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi Garzòn venne fermato dall’Unione Europea. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la telecinco e finirono in galera i manager spagnoli. 
Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta ma il governo italiano di allora (Prodi & company.) aiutò Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al finanziamento e sostegno da parte del vaticano delle giunte militari di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010 Garzòn si dimise andando in pensione ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di Jules Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”.

La battaglia è dunque aperta.
E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in rete.
In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce.
Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla tutti.

In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.
Per questo Garzòn lo difende.
Per questo, questa storia relativa al Sudamerica, va raccontata.
Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta.
E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.

Wikileaks non va letto come gossip.
Non lo è.
C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.
Se poi, con questo Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose.
Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.
Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?
Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
L'ECUADOR NEL CONTINENTE SUD-AMERICANO
L

mercoledì 22 agosto 2012

Osservazioni sulle proposte Maroni, nuovo movimento sardo federativo indipendentista Zona franca Europa dei popoli, Corsica

Sappiamo d'essere ad un bivio, il movimento indipendentista sardo ha necessità di dibattere e analizzare la situazione politico-economica generale dello stato in cui versa la nostra terra per una sua soluzione; 

Analizzare la nostra storia con tutte le sue implicazioni politiche correlate, per ragionare su nuove possibilità, se vi sono, e affrontare la nostra condizione di colonia per il suo superamento , a favore della sovranità e indipendenza sarda.

L'articolo di Mario Carboni è sicuramente un buon motivo di dibattito , sia per le idee che vengono espresse che per la riflessione risultante.
Buona lettura e discussione .

Sa Defenza

by Mario Carboni

Secondo l'On.Maroni la Sardegna dovrebbe, assieme alla Corsica indirizzarsi verso la creazione di una Zona franca comune e puntare alla creazione di una Macroregione europea nel Meditterraneo occidentale con la quale realizzare federalisticamente in gran parte le idee indipendentistiche tanto diffuse in queste due isole.

Secondo l'On.Maroni che ha parlato alla III festa della Lega Nord-Sardegna, questa strategia si sposerebbe bene con quella della Lega per la creazione di una Macroregione alpina comprendente le Regioni del Nord Italia con zone appartenenti ad altri stati europei confinanti.
Parlando agli iscritti della Lega Nord-Sardegna ha anche auspicato la creazione in Sardegna di un nuovo Movimento politico con al centro la proposta della Zona franca come motore programmatico.

L'interpretazione che da militante indipendentista senza partito e da sempre promotore della Zona franca in Sardegna mi sento di rischiare è che Maroni stia cercando di mettere assieme un nuovo tassello nella sua visione politica della Lega Nord che appunto qualcuno ha definito Lega 2.0.
Non è una revisione da poco perché intanto sembra dire chiaramente a chi vuole intendere fra gli iscritti che il loro sbarco in Sardegna, pur potendo contare su adesioni importanti nelle loro piccole teste di ponte, è stato per molti versi sbagliato e che così continuando non si va da nessuna parte.

L'intervento pianificato dopo le difficoltà di raccordo con forze locali di cultura indipendentista e sardista, è stato legittimo ma costruito sopratutto sulla credibilità della Lega di qualche anno fa, sulla forza rappresentata dai grandi numeri dell'espansione leghista, dall'essere partito di governo, dalla credibilità ormai evaporata di Bossi e di quella ancora salda di Maroni.
Questo insieme di fattori di attrattività, non più presente, ha attirato senz'altro sardi che credono che lottare “per l'indipendenza della Padania” sia in un certo qual modo lottare per l'Indipendenza o maggior Autonomia della Sardegna.
Ma ha attirato anche sardi che “meridionalisticamente” hanno pensato di accasarsi in un partito sì “padano” ma purtuttavia “nazionale” in quanto governativo, così come altri sardi fanno iscrivendosi ad altri partiti continentali solo per lucrare la possibilità di fare politica non per particolari ideali ma solo per se stessi.

Sino ad ora non si è capito quale sia stata la linea dei leghisti in Sardegna sopratutto sui temi dell'indipendenza sarda né, se ci sono, chi sarebbero i leader locali e qual'è il loro pensiero.
I successi alle amministrative come si sa si costruiscono su valori legati alle persone, alle famiglie, ai clan o giocando sulle contraddizioni degli altri schieramenti paesani.
Ma non durano molto se non c'è sostanza politica solida e radicata alle spalle o non si è portatori di rinnovamento della tradizione o addirittura di innovazioni politiche tali da suscitare forti interessi e generali.

Ora la Lega in Sardegna è commissariata da tanto tempo con un proconsole continentale che, sarà bravissimo e in buona fede, ma che ha caratterizzato la discesa in campo leghista in Sardegna più come una colonizzazione costiera fenicia che come un apporto creativo e autopropulsivo alla Questione sarda.

Ai fedelissimi circondati nei loro scali costieri, da un'area indipendentista sarda molto divisa e spesso inconcludente ma attivissima nel dibattito politico e nella ricerca di una elaborazione che possa servire da collante per un secondo vento indipendentista, Maroni ha proposto la creazione di un ( nuovo ) movimento politico autonomista ( ma perché non indipendentista ? ) federato alla Lega Nord .

Per sdrammatizzare le parole, Maroni ha proposto una alleanza fra Fenici e Nuragici come quelle che ripetutamente si realizzarono in altri e lontani tempi contro il nemico comune: Roma ladrona e il suo centralismo.
Ora i sardi di allora e sopratutto quelli di oggi, gli indipendentisti e tutta l'area sardista, sanno bene che i Fenici da alleati si possono trasformare in Cartaginesi e voler dominare tutta l'Isola.

Per questo sono diffidenti e questa diffidenza non ha mai permesso alla Lega di radicarsi nella Terra dei costruttori di torri, né di realizzare alleanze nell'area sardista.

E' operante la vulgata di sinistra che principalmente ha demonizzato la Lega oltre ogni misura, tanto che persiste nell'opinione pubblica il rifiuto a riconoscere alla Lega, ciò che è invece è permesso agli altri partiti continentali: l'agibilità politica e il diritto a fare democraticamente politica in Sardegna.
Io penso che a nessuno, qualsiasi politica voglia democraticamente praticare, si possa porre un ostracismo quale quello che è stato costruito contro la Lega Nord in Sardegna.

Evidentemente qualche responsabilità è anche della Lega e della sua politica portata avanti finora e sopratutto nei riguardi delle Nazioni senza stato, delle minoranze nazionali e linguistiche europee e all'interno della Repubblica italiana e quindi sul piano della concezione stessa di un possibile “federalismo” interno alla Repubblica.
La vecchia politica della Lega oggi è un'ipoteca anche nei riguardi della nuova proposta maroniana che potrebbe “ portare all'unica via di uscita per l'Europa: quella del superamento dell'Europa degli Stati e la nascita dell'Europa delle regioni".

E' chiaro che le ultime vicende interne alla Lega che hanno fatto scandalo e precedentemente la “ fiducia” dei ladri di Pisa parlamentari PDL e PD assieme all'UDC, da questi data al Governo Monti e alle sue politiche neocentraliste, con l'andata all'opposizione della Lega e le imminenti elezioni parlamentari hanno smantellato le poche realizzazioni del “federalismo alla padana “ .

Di più di fronte al prepotente rigurgito centralista si è posto alla Lega l'obbligo di una generale riorganizzazione assieme ad una revisione profonda delle sue politiche e sopratutto della sua strategia federalista giocata , mi si consenta di affermare, in maniera autistica e autoreferenziale nei riguardi delle Autonomie speciali, delle nazionalità e minoranze linguistiche interne alla Repubblica.

Per iniziare un dialogo dobbiamo quindi partire da lontano.
Per il sardismo, e per tale considero l'eredità storica, culturale e d'elaborazione politica ed economica indipendentista sviluppatasi almeno per tutto il secolo scorso e che oggi ha come punta di lancia ( fra tutti i gruppi, gruppetti e partiti che si dichiarano indipendentisti e anche sovranisti ) la comune aspirazione allo Stato nazionale sardo, che si possa chiamare Repubblica o in altro modo ma chiaramente come stella nuova dell'Unione Europea che si desidera come Stati Uniti d'Europa.

E' un'aspirazione antica di cento anni, espressa chiaramente da Camillo Bellieni nel 2° Congresso del PsdAz di Oristano nel 1922:

...lungo è il cammino da percorrere, ma sin d'ora guardiamo con simpatia ai movimenti autonomistici della Catalogna, della Corsica, della Provenza.
Il nostro Mediterraneo occidentale è tutto percorso dai fremiti di vita nuova. Liberismo economico noi gridiamo dalla Sardegna. Le barriere politiche devono cadere assieme a quelle doganali.
Per gli Stati uniti d'Europa noi abbiamo risollevato in faccia all'impetuoso Tirreno il vessillo dei quattro mori. In attesa della nuova civiltà mediterranea vogliamo sentire ancora palpitare il vecchio cuore della nostra Sardegna....

Allora il vero faro per i sardisti era l'Irlanda, ma poi si è aggiunta la Catalogna, l'Euskadi, la Corsica, le Fiandre, con le Faroe, la Groenlandia, la Bretagna, l'Occitania, la Galizia, Malta e tutte le piccole comunità come i Sami, i Frisoni e tanti altri popoli con i quali abbiamo sempre mantenuto i contatti, scambiato idee ed esperienze, partecipato ad organismi comuni, in quanto assieme portatori di una nostra specificità da salvaguardare e da realizzare politicamente col nostro autogoverno, ma sopratutto portatori di una Idea di Europa diversa da quella giacobina, centralista, autoritaria, mercantilista e colonialista degli stati emersi dalla seconda guerra mondiale.

Forse non siamo riusciti nel meglio, ma voglio assicurare che per noi sardi è sempre stata e sarà, anche nei momenti più bui una luce di speranza constatare come le nostre nazionalità sorelle procedevano avanti nelle conquiste politiche e culturali.

A volte, come col primo vento sardista degli anni venti e poi col secondo negli anni ottanta, siamo stati noi sardi un esempio e speranza per tanti altri, come per i catalani ed i baschi ancora sotto il tallone franchista ed anche per i leghisti agli inizi della loro avventura politica.
La Lega nò, si è sempre mantenuta isolata da questo mondo, all'inizio perché emarginata ingiustamente, salvo per qualche intemperanza impresentabile agli occhi dei parlamentari europei delle nazionalità senza stato e delle minoranze da parte di qualche parlamentare europeo leghista.
In seguito forse per orgoglio di essere in grande crescita e per la superbia di rappresentare ormai una forza di Governo, sia a Roma che nelle proprie regioni di elezione.

Ricordo di aver tentato negli anni 90, quando ero Vice Presidente dell'ALE-Alleanza libera europea, di far ammettere in quella federazione di nazioni senza stato e minoranze anche la Lega Nord.
Ricordo le tante riunioni, discussioni, la presenza a Bruxelles di Bossi e Maroni nei momenti cruciali, i documenti chiesti e scritti in risposta da Bossi per certificare l'entrata, ma non fu reso possibile all'ultimo minuto non ricordo più per quale incidente di percorso.

Sta di fatto che la Lega in questo contesto è isolata ancora senza alleati e senza condividere, fatte salve le opportune e giuste differenze, una prospettiva che vede oggi, il Partito nazionalista Scozzese ( socio fondatore dell'ALE ) il più vicino all'Indipendenza ed oggi al Governo della Scozia.
Mentre la Catalogna, l'Euskhadi, le Fiandre, le Faroe, la Groenlandia, sono quasi degli Stati nazionali e s'avviano anch'essi verso una riqualificazione europea ottenuta con metodi legali e riformistici, contribuendo alla visione concreta di una nuova ipotesi di Stati Uniti d'Europa.

E' chiaro che una presenza della Padania e del suo partito più rappresentativo in questo quadro di alleanza che conta ormai molti milioni di europei e le zone più sviluppate d'Europa gli farebbe fare un grande balzo in avanti aumentando il potenziale di contrattazione politica indispensabile per raggiungere i propri obiettivi di autodecisione.

In questi giorni Wikileaks ha diffuso i documenti segreti raccolti da una grande agenzia globale di intelligence, la Statfor americana.
In particolare è stato rilevato il monitoraggio continuo e di alta qualità informativa realizzato nell'area europea nei riguardi dei cosiddetti paesi secessionisti, dei partiti separatisti e del grado di sviluppo e realizzabilità di questi obiettivi.

Ovviamente i termini secessionismo o separatismo sottendono un valore negativo mentre gli attori di lunghe lotte di liberazione nazionale e per l'autogoverno intendono ogni loro progresso come una realizzazione positiva del principio di autodeterminazione con alto valore patriottico ed europeista.

La Statfor ha utilizzato una graduatoria che va da I a IV nel valutare la fase di avvicinamento all'autodecisione nei vari popoli e nelle diverse zone.

La Lombardia ad esempio è posta nel livello II:
Simmering - Sì, il secessionismo è più che un'idea, se non l'obiettivo apertamente dichiarato

Ecco come è la descrizione degli analisti:

Lombardia: la Regione più ricca d'Italia.


Supporto per l'indipendenza: estremamente basso. Al contrario, i Lombardi vogliono più
autonomia. Nelle elezioni del 2010 il partito regionale Lega Lombarda (che vuole aumentare l'autonomia) ha guadagnato il 26,2%, ed è il suo miglior risultato di sempre. La Lega
Nord ha praticamente abbandonato la sua idea di creare uno Stato della Padania, chiedendo invece più autonomia l'obiettivo è uno Stato federale
Il Secessionismo è più che un'idea se non l'obiettivo apertamente dichiarato ma la regione non ha i mezzi nel perseguirlo.

La Corsica come la Lombardia e posta sempre nel livello II

e così si esprime l'analista della Stratfor:


Corsica:
Popolazione: 294.118
I partiti nazionalisti stanno tornando al successo. Nel marzo del 2010, si sono svolte le elezioni regionali e i partiti nazionalisti hanno vinto con il 35,74% dei voti ( tre volte
in più rispetto alla precedente elezione):

10% per il partito indipendentista (Corsica Libera) e il 26% per gli autonomisti (Femu a Corsica).
L'indipendenza della Corsica, non avverrà presto. L'isola è auto-sufficiente e il sostegno popolare per l'indipendenza non è ancora sufficientemente alto (anche se vi è un aumento). Io metterei la Corsica nella seconda categoria.
E' sorprendente come gli analisti della Stratfor mettano assieme nel livello II due realtà così distanti per dimensione e potere economico quanto per l'uso della violenza armata che è presente ormai endemicamente in Corsica e del tutto assente il Lombardia.

Ma sorprende ancora di più che dopo una lunga e puntigliosa analisi della società basca anche Euskadi venga posta assieme a Corsica e Lombardia nella fase II, cioè ancora lontani dalla secessione ovvero indipendenza.

La sorpresa è chiarita quando gli analisti della Stratfor ci fanno capire quali sono i parametri che considerano più positivi e tali da avvicinare un popolo di più all'indipendenza o come dicono loro alla secessione e separazione.

Valutano rispetto ad altri valori politici di meno e quasi nulli i potenziali della violenza applicata, per quanto eclatante sia e valutabile come deterrente forte per imporre l'indipendenza.
Almeno in terra europea la violenza opera in conflitti non convenzionali a bassissima intensità ben contenibili dalle forze armate, di polizia e speciali e tacciabili di un terrorismo non più compatibile con la sensibilità generale e di massa anche di chi è favorevole all'indipendenza..

Per questo vengono posti nella fase III molti paesi che in questi ultimi tempi sembrano vicini all'indipendenza e hanno un grande consenso popolare ma non utilizzano la violenza.

Fase III - Active but not explosive-
il Secessionismo è valutato appunto attivo, ma non è esplosivo - La secessione è dichiarata chiaramente come obiettivo, ma non c'è pericolo perché la rivolta è molto poco violenta.

I paesi o nazionalità ancora senza stato posti nella fase III sono:

La Catalogna III
La Scozia III
Il Belgio ( Vallonia e Fiandra ) III
La Groenlandia III
le isole Faroe III

E' superfluo ricordare ( e gli analisti Stratfor si dilungano molto sullo stato di questi paesi, le loro storie politiche, le vicende statutarie o di altro tipo che hanno portato i loro partiti nazionalisti a governare con la maggioranza dei consensi e ad essere vicini all'indipendenza seguendo una via legale, democratica e non violenta ) cose a noi tutte note.

Emerge da questo quadro che esiste un'internazionale di paesi, regioni, nazionalità, minoranze nazionali europee che puntano assieme, con valori comuni, alla loro indipendenza e anche a far parte di una altra Europa, appunto l'Europa dei popoli.

L'area sardista, indipendentista, nazionalista sarda, pur divisa al suo interno fa riferimento a questa realtà mentre la Lega Nord ne è esclusa o si è autoesclusa per vari motivi che andrebbero analizzati.

Resto del parere che un ingresso o meglio una inclusione della Lega in questa area rafforzerebbe moltissimo sia questa area che la Lega Nord anche perché richiederebbe da parte di tutti ed in particolare da parte della Lega non solo una verifica delle proprie politiche estere ma anche il chiarimento su stereotipi e incomprensioni non dimenticando che presto ci saranno le elezioni europee.
Un chiarimento su questi temi sarebbe senz'altro favorevole a un dialogo delle forze sardiste con la Lega e a prospettive positive per il futuro.
Una politica nuova nei riguardi delle nazionalità e Regioni senza stato europee, elaborata dalla Lega con opportuni approcci diplomatici fra partiti ed aree geografiche spesso molto diverse come culture e storie personali, potrebbe essere anche importante per aumentare la massa critica di chi in Europa vuole la sua autodecisione e l'indipendenza che sia di nazionalità che di regioni storiche o Macroregioni che rispondano alla realtà di un'Europa ricomposta nella sua via agli Stati Uniti d'Europa.

Per ultimo, cosciente che ci sarebbero tanti altri temi da porre in discussione o risposte da dare, non voglio dimenticare una questione che non è ideologica ma politica e di prassi perché dei segnali concreti faciliterebbero il dibattito.

Tra poco sarà portata al voto della Camera la ratifica della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie.
In Sardegna si è creato un vasto movimento, culminato con un ordine del giorno voto del Consiglio regionale diretto alle Camere e al Presidente del Consiglio perché venga scongiurato il declassamento della lingua sarda a lingua di serie B rispetto alle lingue dell'Arco Alpino, rafforzato nella spending review.
Verrebbe impedito l'insegnamento del sardo nelle scuole e la possibilità di usarlo nei tribunali, di avere una radio, una TV e un quotidiano in lingua sarda.

I parlamentari della Lega nulla hanno fatto per evitare questo crimine e permesso dal Presidente leghista della Commissione esteri della Camera che ha approvato il disegno di legge del Governo Monti e poi da tutti i componenti leghisti in tutte le commissioni per il parere di conformità.
La discriminazione vale anche per il Friulano e l'Occitano.
Sarebbe cosa gradita se la Lega Nord facesse una battaglia assieme a chi intenda farla in sede di voto della ratifica con emendamenti, mozioni ed ordini del giorno.

Come gradito sarebbe un appoggio della maggior forza di opposizione in Parlamento per il recupero della nostra fiscalità e la restituzione dei moltissimi miliardi di euro di nostre tasse che lo Stato non ci vuole restituire.
Sulla Zona franca poi si sfonda una porta aperta ed ogni sostegno per l'applicazione dell'Art.12 del nostro Statuto e anche per obiettivi ancora più avanzati sarebbe cosa gradita.
La Corsica la Zona Franca ce l'ha ma vuole l'indipendenza e la lingua corsa, sarebbe bello averle assieme sia la zona franca che l'indipendenza, ma le due isole come i due popoli sono molto diversi. Non basta che fossimo sulla carta il Regno di Sardegna e Corsica o che nel nuragico fossimo abitati da popoli simili e forse lo stesso. Ma su nuove basi molto si potrebbe costruire bsandoci sulla nostra insularità e per sottrarci con un progetto comune al dominio italiano e francese.
Del resto in politica tutto è possibile e in Corsica e nel Nord Sardegna-Gallura si parla la stessa lingua.

Credo che se le parole dell'On Maroni espresse alla terza festa della Lega Nord- Sardegna saranno seguite da un approfondito dialogo e dibattito, spero anche sulle questioni che ho posto, superando ogni ideologismo o pregiudiziale, ci sia spazio per molti passi in avanti e per un reciproco avvicinamento alle nostre indipendenze e agli Stati uniti d'Europa che desideriamo.


martedì 21 agosto 2012

L'indipendentista sardo Doddore: «Sono prigioniero politico»

Lo stato italiano lancia la sua guerra al popolo sardo, con una fantomatica e strumentale accusa di evasione fiscale ad un esponente di primo piano dell'indipendentismo sardo: Doddore Meloni; 

Il governo italiota che viaggia sulla cresta dell'onda del colpevolismo "EVASIONE FISCALE", leit motiv datato e sperimentato dell'ideologia persecutoria del PD, motivo con cui intende accattivarsi strumentalmente la simpatia del popolo con l'accusa di evasione fiscale.

Doddore Meloni è un imprenditore attivo da sempre nella rivendicazione dell'indipendenza della terra sarda, accusa rigettata con l'autorità di chi ha sempre lottato per la sua libertà e quella della sua terra non essendo l'Italia la sua patria, rigetta il dovergli versare le imposte.

Doddore nel carcere coloniale,  ha già perso quattro chili, ma non rinuncia alla battaglia per la LIBERTA'.

SA DEFENZA

di Giampaolo Melonilanuovasardegna.
 «Sono prigioniero politico, questo arresto fatto il giorno in cui Monti dichiara guerra all’evasione fiscale, è un atto uguale a quello delle Brigate rosse: colpirne uno per colpirne cento». Va giù duro Salvatore Meloni, al mattino del terzo giorno nel carcere di Piazza Mannu, a Oristano, (è solo in cella) dove è stato inviato dal magistrato che lo accusa di frode fiscale. Respinge tutte le accuse maturate dall’inchiesta della Guardia di finanza e assegna a questo diciassettesimo procedimento giudiziario formulato a suo carico negli ultimi quattro anni, una spiegazione tutta politica. Parole affidate all’avvocato Cristina Puddu, che lo rappresenta e che lascia il carcere alle 13.30. Fuori ci sono anche alcuni amici di Doddore e la figlia. Un messaggio per riconfermare la sua determinazione nella battaglia indipendenstista e rivolto all’esterno a conclusione dell’interrogatorio di garanzia, al quale non ha risposto, non per opporsi alle spiegazioni che gli sono state richieste ma perchè il giudice delle indagini preliminari Annie Cecile Pinello non ha accolto la richiesta per tenere il confronto in lingua sarda, rifacendosi alla sentenza della Corte costituzionale (maggio 2012) che riconosce l’idioma dialettale ma non la lingua minoritaria.
Doddore Meloni ha confermato la scelta di proseguire con lo sciopero della fame e della sete. Irremovibile, deciso, convinto di dover mettere e di avere messo in gioco la propria vita per sostenere un’idea. Nell’incontro in carcere, a mezzogiorno, Salvatore Meloni, come ha riferito il difensore, è apparso «indebolito, affaticato» e con quattro chili di peso già persi. «L’arresto dimostra la giustezza della richiesta di indipendenza della Sardegna, da sempre umiliata e colpita. Perciò da questo carcere uscirò da libero o con i piedi in avanti», ossia morto. «È compito dello Stato – conclude – salvaguardare la mia salute e la mia vita».
Una prima risposta arriverà entro sabato, con la decisione all’istanza di revoca degli arresti che è stata presentata ieri. «Se non sarà accolta faremo ricorso al tribunale del riesame», preannuncia l’avvocato Puddu, che non prende neppure in considerazione l’idea dei domiciliari in quanto, spiega, nelle accuse formulate non c’è sussistenza (in quanto non ci sono documenti) per giustificare l’arresto. Così come «non c’è traccia della presunta arrività di beneficenza che è stata attribuita a Meloni», che avrebbe raccolto vestiti usati poi venduti a una ditta del Milanese intascandone il ricavato. «Non ci è stato possibile difenderci dalle accuse perchè non ci sono documenti», ha detto l’avvocato Puddu. Nulla di illecito, insomma. Lo ha detto anche Doddore Meloni al magistrato, al quale ha potuto tuttavia rendere una dichiarazione spontanea: «Sì, sono indipendenstista. Sì, sono ribelle. Non ho pagato tasse come Doddore Meloni (su questo non gli è stato contestato nulla, ndr) ma per le società a me riferibili sono stati assolti i pagamenti. Dove ci fossero mancanze si può rimediare». Per l’occultamento e la distruzione di fatturazioni contestate dalla Finanza, «si tratta comunque di violazioni amministrative». Sul piano personale lo ha sempre proclamato: mai unu soddu a su stadu.
La preoccupazione maggiore è per le condizioni di salute. Il giudice deve anche decidere sulla richiesta di autorizzare una visita quotidiana del medico personale di Meloni, in quanto, ha sottolineato Cristina Puddu, «la sorveglianza medica non è assidua e continua». Proseguendo lo sciopero, le sue condizioni sono destinate a peggiorare e sarà quindi necessario chiedere il trattamento sanitario obbligatorio.
Il presidente autoproclamato della Repubblica di Malu Entu ha registrato con delusione il silenzio della politica sarda, mentre ha ricevuto la solidarietà dalla Lega Nord. «Questa vicenda dovrebbe invece portare la classe politica isolana a manifestare posizioni più definite, anche sull’arresto», osserva l’avvocato Puddu, che lo considera «non ordinario ma dettato da ragioni politiche». Fino a ieri mattina «nessuna dichiarazione è arrivata da chi dovrebbe essere più vicino o dice di rifarsi ai problemi della Sardegna. Salvatore Meloni non chiede cortei o fiaccolate ma che i sardi vadano avanti nelle loro battaglie per l’indipendenza».
Questa storia non pregiudica «la determinazione a partecipare alle prossime elezioni regionali per sostenere le ragioni dell’indipendentismo». Mentre restano sospese le decisioni sulla festa all’Isola di Mal di Ventre per celebrare il 25 agosto il quarto anniversario della proclamazione della Repubblica di Malu Entu.

Il diritto alla lingua sarda in tribunale è di tutti i sardi colpevoli o innocenti che siano


Mario Carboni

Comunicato stampa

Su Comitatu pro sa limba sarda protesta vivacemente contro il rifiuto del Giudice delle indagini preliminari Annie Cecile Pinello di svolgere in lingua sarda l'interrogatorio di garanzia, come richiesto da Salvatore Meloni, recentemente arrestato con l'accusa di reati fiscali.
Ancora più sconcertante è aver giustificato tale decisione con riferimento alla famigerata sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato il sardo un dialetto ma non una lingua, in contrasto palese con quanto stabilito dalla legge d'attuazione dell'art. 6 della Costituzione: la n° 482 del 1999 a tutela delle minoranze linguistiche storiche.

La decisione del Giudice contrasta anche con i principali documenti di diritto internazionale a tutela delle lingue minoritarie, nazionalità, minoranze nazionali e linguistiche e di salvaguardia dei diritti civili ed umani universali.
In particolare l'atteggiamento contro la lingua sarda del giudice, viola la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, ratificata dal Parlamento e in vigore dal 1° marzo 1998.
La Convenzione quadro nel comma 3 dell'art. 10 prevede ciò che lo Stato italiano con i suoi tribunali è obbligato a rispettare: Salvatore Meloni, in quanto appartenente alla minoranza linguistica sarda ha diritto ad essere informato, nel più breve tempo possibile e in lingua sarda, delle ragioni del suo arresto, della natura e della causa dell'accusa portata contro di lui, nonché a a difendersi in lingua sarda, se necessario con l'assistenza gratuita di un interprete.

Su Comitadu pro sa limba sarda:

-sottolinea come questo non sia un diritto esclusivo o individuale di Salvatore Meloni ma un diritto civile collettivo di tutti i sardi in quanto secondo il lessico della Convenzione quadro fa parte della Nazione sarda e secondo la lettera della Costituzione italiana è parte della Minoranza linguistica sarda.

-non entra nel merito delle accuse formulate contro Salvatore Meloni in quanto seguendo un principio garantista ritiene l'imputato innocente sino all'ultimo livello di giudizio.

- non commenta le particolari idee o prassi politiche di Salvatore Meloni in quanto ritiene il diritto alla lingua sarda in tribunale un diritto di tutti i sardi, senza distinzione di pensiero politico.

-ritiene che il diritto di tutti i sardi ad essere giudicati nella propria lingua e a scontare anche eventuali pene venissero loro definitivamente comminate sempre nella propria lingua, sia patrimonio degli innocenti quanto dei colpevoli in quanto diritto civile ed umano collettivo del popolo sardo tutelato dalla Costituzione e dai trattati internazionali..

-coglie l'occasione per evidenziare, da parte del Tribunale di Oristano, la mancata realizzazione delle norme d'attuazione della legge 482 sulle minoranze linguistiche che prevedono l'uso orale e scritto della lingua sarda ammessa a tutela, con riferimento particolare alla mancata istituzione di uno sportello linguistico per i cittadini che utilizzano la lingua ammessa a tutela e la mancanza di indicazioni bilingui rivolte al pubblico e con parità grafica.

-rinnova l'allarme già lanciato con la denuncia delle manovre governative contro la lingua sarda portate avanti con la proposta di ratifica della Carta europea delle lingue, con la spending review e da parte di spezzoni centralisti dello Stato come evidenziato dalla famigerata sentenza della Cassazione, richiamata dal giudice di Oristano a giustificazione del suo operato contro la nostra lingua, tendente a relegare la lingua sarda in serie B fra le lingue da tutelare della Repubblica e i sardi in una riserva indiana.

Su Comitadu pro sa limba sarda, mentre respinge ogni possibile strumentalizzazione di parte della questione linguistica sarda, rinnova l'invito a tutte le forze politiche, culturali, economiche della Sardegna alla mobilitazione per la difesa della nostra lingua ( comprendendo le alloglotte ), sottoposta ad un attacco senza precedenti e che ha come fine più vicino l'esclusione dell'insegnamento della lingua sarda nelle scuole e nell'Università ormai voluto dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica.


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