venerdì 31 marzo 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Sedicesima puntata



IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Sedicesima puntata


Il giorno stesso noto che ogni volta che può vedere la sua moto, la scruta intensamente, e il suo sguardo si posa su di essa troppo spesso. Sono certo che il segreto che nasconde ha una relazione con il suo mezzo di trasporto, decidiamo di impossessarci di una motocicletta simile alla sua, la sera stessa abbiamo il doppione, che facciamo in modo che possa essere vista da lui solamente da lontano, e smontiamo pezzo per pezzo la sua moto, le mie impressioni erano esatte, difficilmente sbaglio quando metto in campo la mia capacità di valutare la gestualità delle persone, e scoviamo nel serbatoio un doppio fondo che contiene informazioni molto più riservate. Valutiamo che i documenti in nostro possesso sono di rilevanza storica, così importanti da decidere di dedicare ad essi tutto il tempo necessario. Documenti indirizzati al capo dell’esercito Jugoslavo, ai capi dei partigiani Slavi e Italiani dello stesso indirizzo politico, e persino al capo di stato Sovietico. È specificata in dettaglio tutta la futura strategia del movimento comunista internazionale, la necessità di occupare ampie zone di territori in modo di avere più carte da giocare quando si dovranno decidere i prossimi confini al termine del conflitto, creare una fasulla affermazione che storicamente potrebbe giovare all’accoglimento delle loro istanze alla fine della guerra, e cioè evidenziare il fatto che questi ampi tratti di territori, oltre che militarmente controllati da loro, siano anche abitati da popolazioni a loro favorevoli, la possibilità che la guerra possa continuare anche dopo la prossima, probabile sconfitta dei Tedeschi. Valutazioni, in questo caso divergenti, dall’atteggiamento dei capi Slavi, sulle assurde problematiche che comporta la decisione unilaterale e non certo concordata di effettuare la più odiosa delle pratiche umane, quella della pulizia etnica, indirizzata stavolta verso la nostra popolazione residente nei territori da loro occupati, e verso gli oppositori interni, una miriade di domande rivolte verso i dirigenti Sovietici, tra le più banali e insignificanti, che mettono in evidenza la totale sottomissione del partito comunista italiano allo strapotere dei Sovietici.

Ma quello che ci interessa più direttamente, sono gli indirizzi comportamentali che suggerisce ai partigiani rossi verso i loro compagni di diversa collocazione politica, Lupo che, essendo anarchico, non sopporta simili intrusioni, e che fa del libero arbitrio la sua religione, trova assurde quelle disposizioni, come se uomini che rischiano le loro vite, siano costretti dagli eventi della storia a comportamenti disumani e, mettendo sullo stesso piano le loro aspirazioni a quelle delle odiose decisioni prese dall’esercito Tedesco contro la popolazione Italiana, decisioni vendicative indirizzate verso la direzione sbagliata. Si suggerisce di rendere evidente all’opinione pubblica che la componente rossa del movimento partigiano sia la più importante, sia in termini numerici che come azioni militari eclatanti, che diano grande visibilità futura alla loro componente, ora sappiamo che ci dovremo guardare anche dai nostri stessi compagni. Ci rendiamo conto che la decisione di mandare a dirigere le operazioni in questa regione proprio Lupo, sia stata estremamente corretta, un territorio particolarissimo, abitato da diverse etnie, fatto che non fa altro che accentuarne le problematiche, indirizzate verso innumerevoli direzioni, un territorio di confine che per sua stessa natura comporta la necessità di decisioni ponderate e storicamente rilevanti in un prossimo futuro. Se la guerra dovesse continuare dopo la sconfitta dei Tedeschi, questo sarebbe il campo dove si dovranno confrontare due concezioni storiche incompatibili, anche se attualmente alleate.

Nel frattempo, durante le nostre disquisizioni, arriva uno dei partigiani delegati allo smontaggio della moto, ci mette in mano dei quaderni scovati in un altro nascondiglio, tra la doppia fodera del sedile, lo consegna a Lupo che me lo mette in mano, appena scruto la grafia generale dello scritto sono certo dell’identità di chi lo ha redatto anche senza leggerne la firma, è una grafia che conosco molto bene, in quanto analizzata più volte, quella del parlamentare e giornalista Sardo, deceduto nove anni fa in stato di detenzione, ma che ha lasciato significativi pensieri nei suoi diari, ora tengo in mano un così rilevante documento, che scopriamo destinato alla amministrazione sovietica. Evidentemente è stato trafugato a suo tempo, forse dall’attuale capo del partito comunista Italiano, ed ora che i territori che dovrà attraversare quello scritto non sono più così assiduamente controllati, si è deciso che questo è il momento buono per fargli compiere il lunghissimo viaggio. Un’altra dimostrazione della sudditanza del capo del partito comunista all’amministrazione sovietica. Non posso fare a meno di confrontare le personalità dei due uomini, quella del fondatore del partito, così deciso e costante nelle sue risoluzioni, indirizzate verso l’amore per il suo popolo, incurante della sua incolumità personale, dalla dirittura morale esemplare, e quella dell’attuale capo, che mi sembra poco più che un fantoccio nelle mani di uno stato che evidentemente non farà mai gli interessi del popolo Italiano, sono certo che una scarpa vecchia del mio conterraneo valga molto di più di questo politico asservito a interessi estranei a quelli nazionali. Chiedo a Lupo un regalo personale, tenere per me i documenti del mio conterraneo così rilevanti, precisando di impegnarmi a metterli a disposizione della collettività se e quando necessario, Lupo mi concede il grande favore, ed io sono felice di avere a disposizione quegli scritti, che custodirò come la cosa più preziosa che abbia mai posseduto. Lo stesso giorno apprendo dal corriere, all’atto della sua partenza che lo ha condotto fin qui, che appena gli è stata messa in mano la moto e i documenti, è partito immediatamente, quindi suppongo, ma non ne sono certo, che lui stesso non sia a conoscenza di almeno uno dei doppifondi del suo mezzo di trasporto, e lo vediamo partire il giorno dopo, una volta ricomposta la sua moto, con i documenti che gli abbiamo restituito, contento e ignaro del prelievo che abbiamo effettuato, e del fatto che la sua intelligenza è riuscita ad uscire dalla brutta situazione in cui era incappato, in mano a partigiani che non erano i destinatari di quei documenti.

Il giorno dopo arrivano, provenienti dal contingente partigiano operante nella zona del natisone, una quindicina di uomini, che si dicono scontenti della gestione finora adottata, decisi ad unirsi a noi, che garantiamo imparzialità di comportamenti, a differenza della operatività inconfutabilmente rossa e indirizzata verso comportamenti favorevoli all’esercito Jugoslavo, piuttosto che alle direttive degli alleati. Ci portano un dispaccio dei loro capi che evidenzia la volontà di non sottostare più alle direttive di Lupo, e che hanno già scelto di combattere a fianco degli Sloveni. Lui ne prende atto, e informa tutti i componenti del nostro piccolo esercito che chi sta con lui deve essere motivato, e che ciascuno è libero di abbandonarci, e andare dove gli pare, a seguito di queste comunicazioni un manipolo di una ventina di persone ci lascia, per andare a far parte del contingente rosso. Una decina di giorni dopo, viene convocata una riunione tra i capi e i loro collaboratori, per sancire la separazione formale tra le varie componenti la resistenza, e a malincuore da parte nostra, pur combattendo tutti contro avversari comuni, dobbiamo constatare che gli obiettivi finali non coincidono. Al ritorno dalla riunione, a cui abbiamo partecipato Lupo, io, e Romano, attraversiamo la cittadina di cormons, e con disappunto notiamo in vari palazzi la stessa scritta slovena in rosso: “krmin je nas”, cormons è nostra. Dovremo convivere nello stesso territorio con componenti partigiane Italiane e Slave a noi contrarie, ma sappiamo benissimo che quello che c'è scritto è falso, perché il territorio del collio è controllato da noi.

Un nostro soldato, arrivato da pochi giorni, e proveniente dall’istria, ci fa sapere che è in atto nella sua zona di origine, una grande pulizia etnica contro gli Italiani e gli oppositori Slavi dell’esercito Jugoslavo, ci racconta aberrazioni così disumane che si stenta a credere che non ci stia raccontando fandonie, ma io sono certo del contrario, vista la spontaneità e il forte grado di coinvolgimento che accompagna quelle parole; egli racconta di aver visto con i propri occhi, esecuzioni sommarie di prigionieri e oppositori, ma anche di semplici cittadini inermi, per lo più Italiani, tra i più rappresentativi delle nostre comunità, buttati, siano essi stati vivi o morti, dentro grandi e profondi anfratti del terreno, ci racconta che una antica leggenda croata recita che chi si macchia di omicidi così efferati, viene sollevato dalle sue colpe se nell’ultimo viaggio, assieme agli sventurati, verrà ucciso un cane nero, che così porterà tutte le colpe dei delitti, mentre ai criminali resterà la sola incombenza di dover giustificare la morte di un cane. E chi, percorrendo da prigioniero quelle strade, noterà che fa loro compagnia un cane nero, se conosce la leggenda, sa che il suo destino imminente è segnato.

Ha visto anche che nella zona della dalmazia, hanno lasciato le loro vite centinaia di Italiani, buttati in mare con una grossa pietra legata al collo da una robusta fune, spesso legato a tutti i componenti della sua famiglia; erano tutte persone di spicco che rappresentavano l’italianità, come una sorta di nemesi e dimostrazione che a quel punto non poteva considerarsi simbolica, giustificata per vendicare le angherie subite dalla popolazione Slava dal regime italiano che controllava quella zona. Come al solito chi fa le spese di scelte sbagliate dettate dall’alto, sono le persone che non hanno nessuna colpa, perché facilmente raggiungibili, al contrario dei veri autori dei misfatti. Ma qui non si tratta solo di azioni dimostrative o simboliche, il nostro interlocutore racconta di essere a conoscenza di innumerevoli omicidi, a volte compiuti per vendette personali, o per sfogare malcontenti, e si deve parlare necessariamente della cosa più aberrante che il genere umano sia mai stato in grado di esprimere, la pulizia etnica feroce, generalizzata e sistematica. Anche io, pur essendo convinto della sincerità del nostro interlocutore, stento a credere che persone che si definiscono appartenenti al genere umano, possano macchiarsi di simili aberrazioni. I bersagli preferiti sono i collaborazionisti Slavi dell’amministrazione italiana, qualche soldato appartenente al rinato esercito Italiano del nord catturato, e a cui non sono state riconosciute le convenzioni internazionali sulla prigionia, persino partigiani Italiani moderati e loro rappresentanti, formalmente loro alleati, ma dalle idee politiche divergenti dalle loro, e infine tanta, tanta gente comune rea solamente di essere di nazionalità Italiana. Medici, sacerdoti, funzionari, rappresentanti del disciolto regime, ma comunque tra i più rappresentativi dell’italianità presente sul territorio, come per non avere avversari di rilievo sulle istanze della nostra nazione una volta terminata la guerra, in vista di trattati internazionali che decideranno le nuove frontiere. Vite umane in cambio di territori, come nella precedente guerra, se queste aberrazioni non sono la negazione dell’umanesimo, anche quello più blando, non saprei definirli diversamente. Questa guerra sta conoscendo infamie mai viste prima, e tutto in funzione del potere, del prestigio, della acquisizione di territori non necessariamente propri, o non esclusivamente la ricerca della considerazione internazionale, di assurde teoricizzazioni della razza, del voler passare alla storia, ma stavolta in termini disumani, fucilazioni di massa, infoibamenti, nemesi assurde e dirette verso gente indifesa, omicidi di prigionieri, e i veri colpevoli di tante infamità non verranno forse mai puniti, tutto dipenderà unicamente se prenderanno posto al tavolo degli sconfitti o a quello dei vincitori, io personalmente sono convinto che a chi vincerà la guerra, sarà risparmiato l’onere di doversi giustificare dei sicuri crimini commessi.

Il nostro gruppo è a diretto contatto con due diverse visioni e aspettative del mondo futuro, incarnate ora da un’alleanza, volta alla sconfitta di dittatori che hanno presumibilmente molte colpe, di dittatori che non hanno certamente tutte le colpe, iniziare una guerra è disumano, in fondo una guerra è la risultanza di meschine opportunità commerciali e di dominio. I due mondi che verranno a contrastarsi nel futuro prossimo saranno il mondo occidentale e quello comunista, due diverse concezioni di società la cui coabitazione sarà problematica, seppure entrambe spinte da teorie accettabili, ma accomunate dal desiderio di dominare il mondo, che potrebbe benissimo vivere senza due blocchi contrastanti, e in definitiva senza frontiere, né fisiche, né virtuali. La capacità dell’uomo, del potente, di creare vincoli fittizi è disarmante, e il sentimento politico e sociale generalizzato accetta queste assurde concezioni. Il potente non si cura delle frontiere, ha i suoi buoni lasciapassare, ma è il povero che soffre quei vincoli. E come la strategia Slava di non avere oppositori interni che rivendichino, alla fine della guerra, la loro italianità, per legittimare le annessioni di territori italiani, anche le due frange della resistenza, quella comunista e quella moderata, si scontrano in questa terra di grandi contraddizioni, questo paese di confine che accentua le disparità, in seno a questo popolo che ha visto durante la storia il passaggio di innumerevoli eserciti venuti a sottomettere la nostra nazione. Una regione che sarà a contatto diretto tra i due modi di concepire il mondo.

La sera successiva, siamo costretti ad ascoltare l’inconcepibile racconto di Lupo e Turbine, sulla loro assurda giornata; dovevano rappresentare le nostre formazioni militari, insieme ad una trentina di nostri uomini, in un incontro amichevole che avrebbe deciso collaborazioni future, pur in presenza di concezioni divergenti che hanno diviso in due tronconi il movimento partigiano di questa zona, incontro che doveva avvenire nella zona settentrionale del nostro territorio di competenza, cioè sulle montagne che sovrastano il paese di racchiuso. L’incontro si era reso necessario per la decisione dei partigiani rossi, di aderire e ubbidire alle formazioni Slave, decisione da loro concordata con il partito comunista italiano, che auspicava una collaborazione con la potente organizzazione jugoslava, per dare una parvenza di organicità alle nostre azioni militari. Lupo e Turbine, con i nostri uomini, sono andati all’incontro, con la convinzione di riuscire a far recedere dalla decisione i partigiani del natisone, arrivati in numero preponderante in confronto al nostro, ben oltre il centinaio di elementi, mentre questi erano convinti di poter inglobare il nostro gruppo nella grande formazione slava; fatto sta che l’incontro è degenerato in ripetute accuse reciproche, i nostri decisi a preservare l’immagine di italianità che la nostra lotta avrebbe consegnato alla storia, loro in nome di una concezione rossa di internazionalità, che però avrebbe decretato che l’unica resistenza ai Tedeschi in questa zona è rappresentata dai comunisti. I due gruppi non hanno trovato nessun tipo di accordo, e allora i rossi, tra le cui fila erano presenti anche persone sconosciute, sicuramente Sloveni, sono entrati in azione, irritati dal nostro rifiuto, e facendosi forti del fatto di essere arrivati all’appuntamento in numero ben superiore al nostro, e approfittando del fattore sorpresa, fatto che ci fa pensare che in qualche modo la reazione sia stata pianificata in precedenza, hanno cominciato a sparare contro il gruppo di Lupo, che ha reagito al fuoco, ma ha lasciato sul terreno una decina di morti, tra cui un mio conterraneo di serdiana.

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