giovedì 6 settembre 2012

Banca Mondiale: nel 2010 crescita record per Venezuela, ALBA, UNASUR, CELAC e BRICS; perdono potere Europa ed USA



Banca Mondiale: nel 2010 crescita record per Venezuela, ALBA, UNASUR, CELAC e BRICS; perdono potere Europa ed USA

Attilio Folliero Аттилио Фолльеро
Cecilia Laya
Tito Pulsinelli 

selvasorg



Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca Mondiale, gli otto paesi che conformano l’ALBA (1) sono quelli che maggiormente sono cresciuti fra il 2009 ed il 2010: il PIL dei paesi dell’ALBA è cresciuto del 33,43%, seguto dai 5 Paesi che conformano l’area geografica dell’ AfricaMeridionale (2), cresciuti del 28,81%, dai 12 paesi dell’ UNASUR (3) al 27,07%, dai 33 paesi dell’America Latina che conformano la CELAC (4) al 25,41%, dai 5 paesi dell’ ASEAN (5) al24.39%, dai 5 del BRICS (6) al 22,37% e dai 6 paesi dell'OCS (7) in crescita del 19.36%.

I paesi del cosiddetto blocco occidentale, che ben rispondono alla definizione di Paesi Industrializzati Altamente Indebitati (PIAI), sono al di sotto della crescita media mondiale;infatti, mentre l’economia mondiale è cresciuta complessivamente dell’8,92%, l’ Oceania (Australia e Nuova Zelanda) è cresciuta del 7,68%; i paesi del Nord America del 5,06%; iPaesi dell’ OCSE (8) hanno fatto registrare una crescita del 4,74%; quelli del G7 (9) solamentedel 3,76%; l’Europa nel suo complesso è cresciuta dell’1,42%. I 27 paesi che conformano l’Unione Europea (10) ed i 17 dell’ Area Euro (11) sono in decrescita, rispettivamente dello0,49% e del 2,14%.
I sedici paesi che conformano geograficamente l’Europa Meridionale e che ben può definirsi Europa Latina (12), hanno sperimentato una decrescita del 3,45% ed è l’area del mondo cheha perso maggior potere fra il 2009 ed il 2010.
Per quanto riguarda i singoli paesi, la Mongolia é in assoluto il paese con la più alta crescita: fra il 2009 ed il 2010 è aumentato del 35,27%; tra i paesi importanti, a più forte crescitatroviamo l’ Indonesia (31,00%), il Brasile(30,94%), l’India (25,40%), la Russia (21,10%), il Venezuela (20,15%), l’ Argentina (20,04%), la Cina (18,74%). Dei sette Grandi, il Canada è l’unico ad avere sperimentato una forte crescita (17,90%); il Giappone è cresciuto dell’8,46%,il Regno Unito del 4,16% e gli USA del 3,83%; la Germania, che occupa il posto 150 nellalista dei paesi in base alla crescita, è in decrescita dello 0,55%, la Francia al posto 167retrocede del 2,83% e l’Italia al posto 169 decresce del 2,83%.
In attesa che la Banca Mondiale pubblichi i dati del 2011, prevedibilmente nel prossimo mese di luglio, possiamo anticipare che i paesi dell’ALBA, trainati dalla crescita del Venezuela,continueranno ad essere protagonisti anche per l’anno 2011 e seguenti.
Da quando il Venezuela è governato dal presidente Hugo Chávez, secondo i dati della Banca Mondiale, lo sviluppo è stato enorme, trascinando nella crescita anche i paesi dell’ALBA.Chávez arriva al governo nel 1999, peró nei primi 4 anni, oltre ad occuparsi delle grandiriforme istituzionali, deve fronteggiare un colpo di stato, nell’aprile del 2002 ed una serratapatronale di due mesi, dal dicembre 2002 al febbraio 2003, che letteralmente azzera laproduzione petrolifera, principale attività economica del paese. Dal 2003, quando il PIL delVenezuela ascendeva a 83 miliardi di dollari USA, lo 0,22% del PIL mondiale, è passato adoltre 391 miliardi nel 2010, con una incidenza dello 0,62% sul PIL mondiale; da quintaeconomia dell’America Latina (dietro a Messico, Brasile, Argentina e Colombia) e 44°economia del mondo, che era nel 2003, è passata ad essere la terza economía dell’AmericaLatina, dopo Brasile e Messico, superando Argentina e Colombia e 25° economia del mondonel 2010.
Tra il 2003 ed il 2010 la crescita venezuelana è stata del 368,59%; solamente 4 paesi hannoavuto una crescita superiore: Azerbaijan (611,60%), Angola (508,59%), Kazakistan (383,43%) e Guinea Equatoriale (374,41%). Nello stesso periodo, il Brasile è cresciuto del277,92%, la Cina del 261,17%, la Russia del 243,87%, l’ India del 188,11%. I paesi del G7hanno avuto crescite modeste: Canada 82,13%, Francia 42,84%, Italia 36,08%, Germania 35,35%, USA 31,54%, Giappone 29,08%, Regno Unito 21,58%. Nello stesso periodo, fra il 2003 ed il 2010, per quanto riguarda i blocchi economici, quelli chesono cresciuti di più sono: OCS (259,43%), Unasur  (246,72%), Brics (241,60%), Alba (233,23%) e Celac (159,63%); al polo opposto, i blocchi cresciuti di meno sono: Area Euro (42,45%), Unione Europea (42,24%), Paesi OCSE (41,31%) e G7 (33,69%).
In sostanza possiamo dire che il baricentro del mondo, si sta spostando sempre più verso America Latina ed Asia; in particolare i paesi del BRICS, dell’ALBA e dell’OCS avranno unruolo sempre maggiore ed il BRICS è destinato a superare a breve il G7.Confrontando l’evoluzione negli ultimi 20 anni, tra aeree e blocchi geopolitici, risulta evidenteche il polo incentrato sugli Stati Uniti e l’Europa (G7, Unione Europea e paesi dell’area Euro) – identificabili come PIAI o vassalli della NATO - sono in fase calante. In ascesa i blocchi deipaesi asiatici e dell’America Latina (BRICS, OCS, UNASUR, ALBA e CELAC).I paesi del G7, che nel 1993 producevano il67,45% del PIL mondiale, nel 2010producevano solo il 50,25% e sicuramente nelcorso del 2011 sono scesi al di sotto del 50%; ipaesi del BRICS invece, che nel 1992rappresentavano il 6,72% del PIL mondialesono triplicati, arrivando al 18,31% nel 2010;cosi pure i paesi della Cooperazione diShangai (OCS) sono passati dal 3,67% al del1993 al 12,02% nel 2010.
Vanno su quelli che hanno tralasciato o abbandonato l’ortodossia neoliberista e i diktat delFMI e delle elites finanziarie. Per il futuro a breve e medio termine, possiamo senz’altro direche i paesi dell’America Latina e dell’Asia continueranno a crescere, mentre si accentuerá ildeclino progressivo dei PIAI, che fanno capo agli USA ed all’Europa occidentale.Riguardo il Venezuela, tutto indica che non si fermerá la forte crescita, visto che laproduzione di petrolio é programmata per elevarsi dai 2,99 milioni di barili al giorno del 2011,ad oltre 5,81 per il 2018 (13), grazie a circa 100 miliardi di dollari di investimenti, versati sia dalVenezuela che da compagnie petrolifere di numerosi paesi, tra le quali vi è la partecipazionedell’ENI, con oltre 7 miliardi; il settore delle costruzioni contribuirà enormeente alla crescitadel paese, considerato che è prevista, per i prossimi 5 o 6 anni, la costruzione di circa 3milioni di appartamenti, settore che ovviamente trascinerà nella crescita anche l’indotto (cemento, ferro, ceramica, infissi, …); inoltre, contribuirà alla crescita del paese, ilpotenziamento delle infrastrutture e delle comunicazioni, con la costruzione di migliaia dichilometri della rete ferroviaria, di decine di chilometri in nuove linee metropolitane nelleprincipali città, il terzo ponte sull’Orinoco (con una lunghezza totale superiore ad 11 chilometried equivalente a quasi tre volte il fantomatico e mai realizzato Ponte di Messina, in Italia) enumerose imprese stategiche, tra cui quella dedicata alla progettazione e realizazione disatelliti per telecomunicazioni. Non è affatto azzardato prevedere che il nostro amatoVenezuela nel prossimo quinquenio entri a far parte del ristretto gruppo di paesi che hannoun PIL dell’ordine del migliaio di miliardi di dollari.
Il Venezuela, inoltre è destinato ad entrare presto nel gruppo dei paesi a reddito alto; secondo la Banca Mondiale, per l’anno 2010, si considerano a reddito alto i paesi che hanno un redditoprocapite superiore a 12.276 dollari annui; per il 2010, il reddito procapite del Venezuela eradi 11.590 dollari ed era inserito tra i paesi a reddito medio alto; grazie alla crescita in attoentrerà presto a far parte dei paesi a reddito alto e successivamente ad avvicinarsi semprepiù al reddito di quelli che fino ad oggi possiamo considerare i paesi più ricchi del mondo,sempre che continui la attuale politica portata avanti dal governo di Hugo Chávez.
Ricerca a cura di: Attilio Folliero, Cecilia Laya e Tito Pulsinelli (14)

Notas
1) Gli 8 paesi che formano l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nostra America – Trattato sulCommercio dei Popoli (ALBA-TCP) sono: Antigua e Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica,Ecuador, Nicaragua, San Vicente y las Granadinas, Venezuela;
2) I 5 paesi che formano geograficamente l’Africa meridionale son: Botswana, Lesotho, Namibia,Sudafrica e Swaziland;
3) I 12 paesi che conformano la Unione di Stati Sudamericani (UNASUR) sono: Argentina,Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Paraguay, Perú, Surinam, Uruguay eVenezuela;
4) I 33 paesi che fanno parte della Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) sono: Antigua e Barbuda, Argentina, Bahamas, Barbados, Belice, Bolivia, Brasil, Cile, Colombia,Costa Rica, Cuba, Dominica, Ecuador, El Salvador, Granada, Guatemala, Guyana, Haití,Honduras, Giamaica, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perú, Repubblica Dominicana,Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Surinam, Trinidad e Tobago,Uruguay e Venezuela;
5) La Associazione di Stati del Sud-est Asiatico (ASEAN) è formata da 10 paesi (BruneiDarussalam, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Tailandia eVietnam); in questa nostra ricerca prendiamo in considerazione solamente i 5 paesi più grandiper i quali esistono dati certi per il periodo analizzato: Indonesia, Malesia, Filippine, Tailandiae Vietnam;
6) I 5 paesi del BRICS sono: Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica;
7) I 6 paesi membri della “Organizzazione della Cooperazione di Shanghái” (OCS) sono: Cina,Russia, Kazakistan, Kirgikistan, Tagikistan e Uzbekistan; attualmente sono entrati comeosservatori altri 4 paesi (India, Iran, Pakistan e Mongolia), che in futuro potrebbero entrare apieno titolo nella OCS; inoltre, sono in corso trattative con altri due paesi (Bielorussia e SriLanka); infine, in Serbia ci sono partiti e movimenti che invece dell’ingresso nella UnioneEuropea stanno facendo pressione per avvicinarsi alla OCS, organizzazione che quindi in unfuturo non tanto lontano potrebbe assumere un ruolo rilevante a livello mondiale;
8) L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo económico (OCSE), conosciuta come“club dei paesi ricchi” fino al 2010 aveva 33 paesi membri: Canada, USA, Regno Unito,Danimarca, Islanda, Norvegia, Turchia, Spagna, Portogallo, Francia, Irlanda, Belgio,Germania, Grecia, Svezia, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Lussemburgo, Italia, Giappone,Finlandia, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Repubblica Ceca, Ungheria Polonia, Corea delSud, Slovacchia, Cile, Slovenia e Israele; alla fine del 2010 è entrata anche l’Estonia epertanto i paesi membri attualmente sono 34;
9) Il Gruppo dei sette o dei sette grandi (G7) è costituito da: USA, Giappone, Germania, Francia,Regno Unito, Italia e Canada;
10) I 27 paesi che attualmente formano l’Unione Europea sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro,Repubblica Ceca, Danimarca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Estonia, Finlandia, Francia,Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, PaesiBassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania e Svezia;
11) I 17 paesi dell’Unione Europea che hanno adottato l’Euro (Eurozona) sono: Germania, Austria, Belgio, Cipro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia,Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Portogallo; ricordiamo che l’Euro è statoadottato anche da altri 6 paesi (Monaco, San Marino, Vaticano, Andorra, Montenegro eKossovo) e dai territori britannici in Cipro (Akrotiri e Dhekelia) e per le sue emissioni filatelicheanche dal Sovrano Militare Ordine di Malta, stato senza territorio riconosciuto dall’ONU;
12) I 16 paesi che formano geograficamente l’Europa del Sud e che Félix Martin RodríguezMelo ha giustamente denominado “Europa Latina”, sono: Albania, Andorra, Bosnia edHerzegovina, Croazia, Slovenia, Spagna, Gibilterra, Grecia, Italia, Kosovo, Macedonia, Malta,Montenegro, Portogallo San Marino e Serbia;
13) Secondo l’annuale rendiconto del 2011 di PDVSA, Urlwww.pdvsa.com
14) Attilio Folliero è un italiano residente in Venezuela, laureato in Scienze Politiche all’Università“La Sapienza” di Roma; attualmente professore contrattato della Facoltà di Scienze delleComunicazioni (Escuela de Comunicación Social) dell’Università Centrale di Caracas (UCV);Cecilia Laya è una economista venezuelana, con cittadinanza italiana, laureata in Economiapresso la UCV, attualmente funzionario della Università “Simon Bolivar” di Caracas (USB);Tito Pulsinelli è un sociologo italiano dell’Università di Trento, analista ed osservatoregeopolítico; i tre furono tra i fondatori del sito web lapatriagrande.net e sono membri delFREVEMUN (Fronte dei venezuelani del mondo) e di COVENPRI (Associazione venezuelanadi professionisti delle relazioni internazionali e difensori della solidarietà mondiale)



Per concessione di Attilio Folliero
Fonte: http://selvasorg.blogspot.it/2012/05/banco-mundial-en-2010-crecimiento.html
Data dell'articolo originale: 10/05/2012
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=7301

'Primitive' ( PSA )

Il movimento per i popoli tribali. 

Survival è l'unica organizzazione che lavora in tutto il mondo per i diritti dei popoli tribali. 
Lavoriamo con centinaia di comunità tribali e  organizzazioni . 
Ci siamo finanziati quasi interamente da enti pubblici e da alcune fondazioni. 
Non prendiamo  soldi dai governi nazionali, perché i governi sono i principali violatori dei diritti dei popoli tribali, né prendiamo soldi da aziende che potrebbero essere tra quelli che abusano dei popoli tribali. 

 Circa 250.000 sostenitori provenienti da quasi 100 paesi ci hanno aiutato finanziariamente, milioni da routine cercate con le nostre pubblicazioni, pubblicato e stampato in sette lingue. 

Non abbiamo mai limitato la nostra informazione  materiale solo a chi può pagare. 

Vogliamo che tutti conoscete i popoli tribali.

 

martedì 4 settembre 2012

L'annientamento della borghesia rivoluzionaria in Sardegna e la costruzione del parassitismo: storia di una strategia politica.


..la questio trattata è di indubbia profondità, la paura dell'essere è atavica e la paura della responsabilità di autogoverno è ancor più grande; i motivi adotti da Marco nell'articolo sono chiari e avvincenti nel farci comprendere i motivi che muovono queste paure, una lucidità d'analisi della realtà sarda , spero però che quanto affermato per is "torraus a domu" non siano l'unica speranza per la nostra terra, ma, siano i giovani locali la speranza dei sardi tutti; che siano intellettuali o proletari in affanno per uno stipendio da pastore o giovani disoccupati.. uomini che si sforzano a dar vita alla riscossa di cui abbisognamo per vivere, come dice Oggianu in ultima analisi, da cittadini liberi e felici in questa terra colonizzata  e martoriata. 
Sa Defenza

Marco Oggianu


E’ una vecchia strategia coloniale quella di spingere all'emigrazione uomini e donne di una Nazione sottomessa. E' una politica che nel nostro caso ha radici nel vecchio Regno di Sardegna, esattamente dall’inizio del XIX secolo, dopo la fine di Napoleone e la repressione dei moti rivoluzionari angioyani che puntavano a creare una Repubblica Sarda Indipendente su ispirazione di quella francese. Da allora i Savoia decisero che bisognava impedire assolutamente la creazione di una borghesia rivoluzionaria sarda, sia in senso economico, che politico, che culturale. 

La Sardegna doveva diventare terra di funzionari che amministravano gli interessi piemontesi, o di agricoltori e pastori disorganizzati, poveri e ignoranti, o di forza lavoro per le aziende piemontesi. Favorire le scuole classiche e letterarie al posto di quelle tecniche e economiche, favorire il potere della chiesa e in particolare dei gesuiti, favorire la creazione di una classe dirigente fedelissima e parassitaria, che vivesse di rendita in base alla sua fedeltà al Regno e alla dominazione straniera. Impedire in tutti i modi la nascita di piccole aziende attraverso una politica fiscale protezionista e la totale mancanza di infrastrutture, che rendevano i costi dei trasporti proibitivi. 

In seguito la tattica fu anche di controllare qualunque tipo di sviluppo capitalista e industriale avvenisse in Sardegna, in modo che non fosse spontaneo e autoctono, ma che venisse imposto da fuori e avesse come protagonisti imprenditori di fuori, meglio ancora se appartenenti alla grande industria e finanza assistita e protetta dallo Stato. 

I Sardi insomma dovevano essere allevati o come futuri emigrati, o come lavoratori assistiti di aziende in perdita. Lo Stato spendeva non per creare profitto ma per creare cittadini fedeli e dipendenti, per autoconservare la propria integrità. A questo va aggiunta la politica tesa a militarizzare la Sardegna, la propaganda per gli arruolamenti di massa in qualunque corpo dell’esercito o di polizia. Funzionari per procura, militari, sgherri, lavoratori assistiti, il resto doveva (e deve) essere spinto a emigrare. 

In Sardegna venne favorita una scuola di tipo umanistico-classico, esaltatrice delle glorie di Roma, del Risorgimento e della cultura italiana, vista come superiore e redentrice nei confronti di quella Sarda, indicata come inferiore, arretrata e istintivamente delinquente. Cancellare nei Sardi ogni traccia di coscienza nazionale, storica e sostituirla con un autorazzismo e un complesso di inferiorità diffuso che sfociasse nell’abbandono, nel rifiuto di se e della propria terra. 

Creare questa sorta di mutanti, di cyborg, emigrati mentali e fisici alienati completamente dalla propria essenza. La classe intellettuale sarda ne è un esempio: disfattista, autorazzista, bravissima nel descrivere una Sardegna isolata, incapace di fare storia, violenta, selvaggia, arretrata e fiera della propria arretratezza, bravissima nell’esaltare questa arretratezza come qualcosa di chic da offrire a turisti esotici abbigliati per i Safari. 

Bravissimi nel raccontare un mare di menzogne e una terra mai esistita se non nei loro cervelli insani. Alla scuola in tempi moderni si aggiungono TV e strumenti mediatici, i quali mostrano al cyborg sardo un mondo oltre il mare fatto di ricchezza, successo, bellezza, elevazione culturale e morale, per alcuni di ballerine, magnati, scudetti, miliardi, per altri di rivoluzioni, lotte sociali, progresso, salotti culturali. 

Cose che solo oltre il mare sono possibili, qui o ci si rassegna a servire, a sopravvivere, a consumare ciò che il vero mondo ci offre, o si prende la nave. Una pulizia etnica soft, fatta in maniera raffinata e non violenta, molto più efficace di quella in stile bosniaco. I maggiori quotidiani Sardi, voce della stessa classe dirigente e intellettuale disfattista e reazionaria ancora oggi seguono alla lettera tale strategia. Servizi su emigrati che ce l’hanno fatta si affiancano a interviste a assi del pallone che invitano a imparare lingue straniere, fare le valige e andarsene.

Tale strategia però ha funzionato finché lo Stato aveva la forza e i mezzi per pagare la propria autoconservazione, finché aveva il monopolio della cultura e della formazione dei suoi sudditi. Oggi non solo questi mezzi sono sempre meno, ma molti Sardi che l’emigrazione l’hanno vissuta pian piano tornano, si rendono conto, e formano, proprio loro, quella borghesia illuminata e rivoluzionaria che si voleva evitare nascesse. 

Sono loro l’unica speranza per la Sardegna di domani, una Sardegna viva, aperta al Mondo, ricca, Indipendente. Una terra dove gli uomini e le donne non vadano più via, ma vengano e vi abitino da cittadini liberi e felici.     

domenica 2 settembre 2012

TARGET 2: MANIFESTO DI SALVEZZA ECONOMICA PER l’Italia

DI PAOLO BARNARD
paolobarnard.info


MANIFESTO CONVOCAZIONE ASSEMBLEA DEMOCRAZIAMMT



“NON ERAVAMO I PIIGS. TORNEREMO ITALIA.”
GUIDARE IL PAESE FUORI DALLA CATASTROFE DELL'EUROZONA
RECUPERARE LA SOVRANITÀ MONETARIA E PARLAMENTARE
SALVARE NELl'IMMEDIATO LE IMPRESE
MANIFESTO DI SALVEZZA ECONOMICA PER l’Italia

I relatori: 
Prof. JAMES GALBRAITH, Univ. del Texas, USA
Prof.ssa STEPHANIE KELTON, Univ. Missouri Kansas City
Dott. WARREN MOSLER, Levy Inst. New York, USA
Dott. MARSHALL AUERBACK, INET New York, USA
Prof. ALAIN PARGUEZ, Univ. di Besançon, Francia
e il giornalista PAOLO BARNARD



A Rimini e a Cagliari, nelle date del 20-21 e 27-28 Ottobre 2012 quattro fra i maggiori economisti internazionali, scuola Modern Money Theory, con a capo il consigliere di Obama James Kenneth Galbraith
·      Ci informeranno di come l’Italia può tornare sovrana, prospera, e democratica per il 99% di noi, salvando aziende e occupazione.
·      Sfateranno i fantasmi-truffa dei cosiddetti pericoli dell’uscita del nostro Paese dall’Euro.
·      Ci daranno gli strumenti concreti per entrare al Ministero del Tesoro a Roma e saper guidare l’Italia fuori da questo incubo.
 Salviamoci, ma cosa aspettiamo? 

Questa è roba difficile, ma la spiego facile, perché è drammatica.
Ne il Più Grande Crimine ho raccontato la parte scientemente costruita del piano di spoliazione delle nostre vite. Imprescindibile da sapere, mostruosa e micidiale. Ciò non esclude che i politici e anche i tecnocrati non possano fare cose talmente stupide da essere devastanti. Purtroppo molti giovani pensano in bianco e nero, cioè o tutto è un piano di “illuminati” dotati di diabolica precisione, oppure nulla di ciò che accade sarebbe possibile. Sbagliato.

Oggi purtroppo c’è una mina vagante nell’Eurozona che potrebbe spazzarci via con danni epocali e che è unicamente frutto di pura incompetenza idiota da parte soprattutto della politica tedesca, che poi oggi significa la UE in questa sciagurata trappola dell’euro.


La cosa è complessissima e normalmente ad appannaggio degli esperti, ma voi avete il diritto di sapere e di capire perché ne va della vostra vita, e io di mestiere faccio quello che ve la spiega facile. Partiamo per gradi.
Primo: voi sapete che i singoli ordinari conti correnti bancari sono garantiti dallo Stato fino a una determinata cifra. Ok. Quando fu creato l’euro, che è emesso non più dagli Stati ma dalla Banca Centrale Europea, non si pensò di obbligare la BCE a garantire tutti i nostri conti correnti. Questa funzione fu lasciata ai singoli governi nazionali. Ma questo è un problema. Cioè abbiamo governi che non possono emettere liberamente la moneta che però sono costretti a garantire conti correnti di una moneta emessa da altri. Cioè: era logico che colui che aveva il potere di emettere senza limiti la moneta (la BCE) fossa anche colui che la garantiva. Ma no. Ok. Ciò implica che in caso di grossi guai bancari, i nostri soldi sono di fatto garantiti da un garante (il governo) minorato, per così dire, che non ha la libertà di emettere tutti i soldi per farlo. Grosso problema. Immaginate un crack bancario, tutti che vanno nel panico, corrono in banca a ritirare i soldi. Il governo nazionale può garantirli solo fino a un certo punto. Poi è il caos.

Secondo: quando fu creato l’euro, si stabilì la libera a completa mobilità degli euro in giro per tutta l’Eurozona. Cioè, io che ho un conto corrente a Barcellona posso trasferire i miei soldi su un conto irlandese o tedesco o italiano esattamente come posso farlo da una banca spagnola all’altra. Questa mobilità di applica anche ai trasferimenti su larga scala fra Banche Centrali dell’Eurozona e fra Banche Centrali e banche commerciali. Essa ha un nome preciso nei Trattati europei: Target 2.

Terzo: sappiamo tutti come stanno andando le cose nell’Eurozona. Una catastrofe senza fondo, un disperato arrabattamento degli Stati cosiddetti PIIGS (fra cui noi) per sopravvivere alle Austerità che, con la scusa della crisi dell’euro, ci stanno infliggendo, e che servono solo a distruggere le nostre democrazie, a consegnare le nostre ricchezze nazionali a Francia e Germania, e a schiavizzarci per generazioni sotto il maglio degli speculatori. I cittadini se ne stanno rendendo conto, non tutti siamo ignari. E molti di loro sanno che i loro conti correnti sono solo garantiti a metà, o per nulla. Infatti i dati ufficiali sulle transazioni bancarie in Eurozona ci dicono che è in atto una corsa a trasferire conti correnti di gente dei Paesi PIIGS verso le banche tedesche, viste come porti sicuri per i risparmi dei signori Bianchi, Sanchez, o Saramakis. Ciò accade grazie al Target 2. In termini tecnici questa è già una cosiddetta “corsa sulle banche, bank run”, cioè si corre alla propria banca a prelevare per portare i soldi da un’altra parte. Quando il fenomeno accelera nel panico, è praticamente guerra civile e anche spesso default dello Stato. La Germania è dunque il ricevitore di tutti questi soldi. Ok.

Quarto: va capito che quando il sig. Sanchez trasferisce ad es. 15.000 euro dal suo conto di Barcellona a una banca di Francoforte, ci sono passaggi molto precisi che devono accadere, cioè il ‘clearing’. Cos’è? Ecco: Sanchez fa un bonifico dal Banco Santander che va a un suo conto alla Deutsche Bank. La Deutsche glielo accredita in conto, e finora sono solo numerini elettronici che scompaiono da un c/c al Banco e compaiono in un c/c alla Deutsche, non sono soldi veri. Diventano soldi veri quando la Deutsche chiede al Banco di onorare quel bonifico con euro. Il Banco cosa fa? Pesca 15.000 euro nella sue RISERVE, cioè nel suo salvadanaio che sta alla Banca Centrale Spagnola, e li trasferisce nelle RISERVE della Deutsche. Ok, ora tutto è completo. Clearing fatto (questo accade con qualsiasi pagamento bancario). Sanchez ha i suoi soldi in Germania. Ma cosa accade se la Spagna (o Grecia o Irlanda o Italia…) fa il crack e con essa le sue banche? Chi onora tutti quegli euro spagnoli (o greci o irlandesi o italiani…) che stipano le banche di casa? L’unico organo in grado di intervenire a coprire i buchi è la famosa BCE, che come emissore sovrano di euro può farlo, in teoria, illimitatamente (e in piccola parte lo sta già facendo).

Ultima cosa: considerate che una gran parte dei soldi che stanno nelle banche dell’Eurozona appartengono a gente informata di finanza, cioè non siamo tutti la signora Ida e il signor Piero del piano di sotto. Questi tizi al primo segnale di pericolo si precipitano in banca e fanno un bel Target 2 dei loro soldi in direzione Germania. La notizia non potrà essere tenuta nascosta, e a quel punto anche la signora Ida e il signor Piero faranno la stessa cosa. Panico, bank run e disastro. Ne consegue che i signori tecnocrati della UE, i Draghi, Schauble, Weidmann, ecc., dovrebbero fare di tutto affinché quel segnale di pericolo non parta mai, mai e poi mai. Chiaro? Sembra ovvio, no? Ci arriverebbe un tonno, vero? Eppure no. La Germania sta giocando in modo sconsiderato con una botte di nitroglicerina in bilico dal sesto piano di un palazzo, e sono serissimo a dire questo. Ecco cosa accade.

Sapete che questa Eurozona agonizzante si è dotata di due fondi cosiddetti ‘salva Stati’, l’EFSF e il MES, di cui ho già scritto. Sono due trappole micidiali per favorire il Colpo di Stato Finanziario, ma ora questo non ci interessa. Il fatto è che per gli investitori e per chi maneggia molto denaro, questi due fondi sono divenuti la garanzia che se le cose si mettono male per Spagna o Grecia o Portogallo, bè, forse i soldi per rimediare li tirano fuori l’EFSF e il MES, anche per rimediare ai buchi delle banche (il MES). Naturalmente ci sarebbe anche la BCE che potrebbe intervenire, come detto sopra, ma c’è chi in molte capitali del nord Europa si oppone. Mario Draghi, che ne è il governatore, ha di recente accennato al fatto che la BCE potrebbe invece fare un’eccezione, ma è stato vago finora. Quindi tutti con gli occhi puntati sui fondi EFSF e MES, e mi raccomando che bastino, se no è il panico.

Quando la povera Grecia dovette nel maggio 2010 essere ‘resuscitata’ proprio dal EFSF (in realtà una sciagura), il parlamento della Germania diede l’ok. Ma alcuni politici erano contrari e sfidarono il sì del parlamento tedesco presso la loro Corte Costituzionale. La sentenza diede ragione al Parlamento, ma in essa si legge che ogni futuro esborso del EFSF dovrà essere sottoposto ad approvazione parlamentare. Nel frattempo il EFSF diventava MES, ma il MES stesso necessita di ratifica parlamentare. Cioè: il nuovo fondo di ‘salvezza’, che è l’unica cosa che tiene calmi investitori e ricconi europei, potrebbe essere bocciato dall’influente Germania. Infatti la Corte Costituzionale tedesca si dovrà pronunciare su questo MES nei prossimi mesi, visto che qualcuno a Berlino ha presentato un ricorso contro di esso. Tutti col fiato sospeso, fibrillazione pre bank run. Ma c’è di più.

Molti in Germania sono convinti che sarà il loro Paese a pagare le bollette per la salvezza di sti “Maiali” PIIGS (Spagna, Italia, Grecia, Irlanda e Portogallo). Ma attenzione: sono convinti che se crollassero le banche PIIGS da cui sono arrivati nella banche tedesche tutti quei soldi di correntisti PIIGS per mezzo del Target 2, le banche tedesche si ritroverebbero cariche di miliardi inesigibili. Questo è falso, ma anche eminenti economisti e politici ci credono ciecamente, e hanno una fifa folle. Ogni giorno lo sbraitano sui media, e la fibrillazione prebank run rischia di divenire infarto pieno.


Quindi non è da escludersi che altri faranno ricorso presso la Corte Costituzionale anche per bloccare il Target 2. Ora, il fatto stesso che Berlino stia considerando la bocciatura del MES è di per sé un allarme altissimo per investitori e ricconi. Già sono lì con mezzo piede fuori dalla porta dell’ufficio per fare il bank run. Se poi accadesse… se poi gli si bocciasse anche Target 2…
Non scherziamo. Al primo segnale, anche solo alla prima nervosa dichiarazione di bocciatura, il bank run scatterebbe con una violenza inaudita. Questo significa che le banche spagnole, greche e portoghesi dovrebbero chiudere gli sportelli in pochi minuti. La gente andrebbe nel panico, sarebbe il caos e la violenza, impossibile prevedere la portata del disastro. Ma peggio: il bank run scatterebbe anche in Francia e Italia, in Austria e Belgio di certo. Apocalisse. E non sto affatto esagerando. A quel punto ci potrebbe essere solo una disperata salvezza dalla guerra civile: un intervento colossale di rifinanziamento di tutte le banche saltate in aria, e un intervento di garanzia delle banche a rischio in Francia e Germania (percepite come a rischio, ma non lo sono), con soprattutto un intervento di acquisto dei titoli di Stato dei PIIGS che piomberebbero al totale collasso, da parte della BCE di Mario Draghi. 
Ma…
Ma la BCE, che pure tecnicamente potrebbe farlo in due minuti, ha le mani legate dai suoi vincoli legali a non essere prestatore di ultima istanza, ma soprattutto oggi è proprio la Germania del banchiere centrale Jens Weidmann a sbraitare ai quattro venti che mai e poi mai! la Germania acconsentirebbe a una tale azione della BCE. Draghi potrebbe fregarsene, ma lo farà? Se lo chiedono in questi minuti tutti gli investitori che contano, mentre sul piatto sta in bilico la possibilità che esploda nel panico e nella catastrofe del bank run tutta l’economia di milioni di famiglie come noi, e la Germania tira calci a quel piatto ogni giorno.

La follia e l’incalcolabile ignoranza stanno nel fatto che se questi tecnocrati tedeschi, ma anche i nostri e quelli degli altri, capissero che nella realtà le perdite della BCE nello sborsare trilioni di euro sono del tutto virtuali, che essa se le può accollare senza problema perché sono solo blip elettronici che si accumulano in un computer di Francoforte, e che non è assolutamente vero che le banche tedesche subirebbero buchi enormi… se capissero ciò, tutto questo odioso gioco ai sudori ghiacciati, ma soprattutto questa reale possibilità di gettare tutti noi cittadini nella guerra civile e nella disperazione, potrebbero svanire nel nulla in 24 ore. Ma vi rendete conto? Avete un’idea di cosa si sta parlando, di cosa sia per i lavoratori, le aziende, la democrazia un bank run in mezza Europa?

E in ultimo. E sempre nel filone dell’incalcolabile ignoranza e irresponsabilità: ma perché diavolo ci siamo cacciati in questo incubo apocalittico? Perché dobbiamo vivere con le nostre famiglie sedute su una mina vagante così orrenda? Perché non c’è un politico qui che ci capisca qualcosa e che lo gridi in Parlamento? E’ L’EURO! TUTTO QUESTO ESISTE PERCHE’ CI HANNO FICCATI NELL’EUROZONA! Ma siamo pazzi? Ma svegliamoci! Io non ho mai votato Target 2, mai votato EFSF, mai votato MES, ma votato di saltare in aria perché questi signori sono ignoranti o falsari, di vedere i miei concittadini che stravolti dalla paura prendono a calci i vetri blindati delle banche sotto casa. Ma perché? PERCHE’?

Ottobre, 20-21, Rimini. Ottobre 27-28, Cagliari. Salviamoci, ma cosa aspettiamo?

http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=423

http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=429

sabato 1 settembre 2012

"I Globalizzatori": inchiesta di Paolo Barnard per Report

Sa Defenza riprende un articolo illuminante di Paolo Barnard pubblicato da Report, la trasmissione di Rai tre, quando si poteva considerare ancora  di servizio pubblico.

Lo rimettiamo in circolo perchè così a distanza di anni vediamo da dove siamo partiti e dove siamo arrivati dopo  12 anni.

Le responsabilità dei governi italioti e dei partiti anche dell'oggi PD, Fassino  è uno dei responsabili dell'approvazione dei giochi fatti dal WTO (organizzazione mondiale del commercio) anche Prodi uomo della banca Goldman Sachs ha le sue responsabilità, agiscono sulla testa dei cittadini contro gli interessi generali del popolo, sono al servizio delle multinazionali e delle lobby.....


OBERI IS OGUS E GHERRAMUS PHO SI LIBERAI DE SU COLONIALISMU
SA DEFENZA


I GLOBALIZZATORI

di Paolo Barnard
09.06.2000
Quando si pronuncia la parola Globalizzazione gli animi si scaldano subito. Oggi infatti si assiste a un dibattito sempre piu' acceso fra i contestatori dei mercati globalizzati da una parte e dall'altra i sostenitori dell'idea che il benessere economico mondiale richieda liberi scambi senza troppe regole politiche o sociali. L'apice di questa diatriba la si e' vista nel novembre del '99 con la grande contestazione di Seattle, la citta' americana che ospitava il massimo vertice di Globalizzazione, sulla quale discesero "sciami" di contestatori da ogni parte del mondo.
Ma la Globalizzazione cos'e' esattamente? E quali sono le sue ricadute sulla societa' civile? Questa inchiesta mostra solo i lati controversi dei processi globalizzanti, e lo fa intenzionalmente, poiche' le ricadute positive ci vengono illustrate ogni giorno, su ogni media, nella pubblicita', e persino dai nostri politici. Ma i pericoli e le zone d'ombra ci sono, e sono proprio quelle su cui si tenta di stendere un velo interessato di silenzio. Iniziamo proprio da alcuni degli esempi piu' noti.
L'Europa ha decretato che la carne americana trattata con ormoni artificiali, al contrario della nostra, e' pericolosa per la nostra salute e ha deciso di non importarla. Una precauzione che pero' ci costa molto cara: 340 miliardi di sanzioni americane contro il Vecchio Continente. Una ritorsione decisa all'Organizzazione Mondiale del Commercio nel nome delle regole della Globalizzazione.
In Toscana e in Piemonte, nel mezzo delle terre piu' belle e fertili d'Italia la Globalizzazione ha colpito duro. Il tartufo e' uno dei nostri prodotti piu' pregiati e lo esportavamo in grandi quantita' negli Stati Uniti d'America; cio' creava reddito per le aziende e i lavoratori italiani. Ma dall'anno scorso gli Stati Uniti hanno deciso di tassare il tartufo del 100%, sbarrandogli la strada. Chi l'ha deciso? L'Organizzazione Mondiale del Commercio nel nome della globalizzazione.
L'Unione Europea, per proteggere la salute dei nostri bambini, ha detto di no all'importazione di giocattoli che contengono un ammorbidente tossico. Ma anche questa precauzione e' oggi nel mirino dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e dei suoi accordi di globalizzazione.
L'Organizzazione Mondiale del Commercio, piu' nota come WTO, e' dunque il grande motore della globalizzazione. Ma cosa c'e' che non va nel suo lavoro? L'ho chiesto alla professoressa Susan George, direttrice del Transnational Institute di Amsterdam e considerata oggi il critico piu' autorevole del sistema globalizzato: "La Globalizzazione dei mercati" inizia la George, "nasce, nella sua forma piu' spinta, sei anni fa quando 135 nazioni sancirono la nascita del WTO, con i suoi potentissimi accordi. Il problema e' che praticamente tutto cio' che compone la nostra esistenza viene trasformato in merce di scambio: dall'istruzione, alla sanita', dalla cultura ai servizi bancari, dalle pensioni ai diritti fondamentali dei lavoratori; e poi la gestione degli asili, l'alimentazione umana, quella animale... In sintesi, siamo come in vendita, sugli scaffali del supermercato globale."
Il WTO ha sede a Ginevra, e rappresenta oggi 136 governi, incluso quello italiano. In teoria al timone del WTO ci dovrebbero essere i ministri del commercio dei vari paesi, ma nella realta' l'Italia e tutti gli stati d'Europa sono rappresentati al WTO dalla Commissione Europea di Romano Prodi, che siede per tutti noi al tavolo delle trattative. Da questo tavolo sono usciti gli accordi sul commercio planetario; ed e' precisamente contro questi accordi che e' esplosa la protesta a Seattle: l'accusa e' che si tratta di regole dotate di poteri enormi, spesso superiori a qualunque legge degli stati nazionali.
Nella sede ginevrina di questa controversa organizzazione chiedo a Keith Rockwell, uno dei direttori, come ha fatto il WTO a diventare cosi' impopolare: "E' straordinario, vero?" risponde Rockwell con un cenno di assenso, "ma si tratta di un destino che abbiamo in comune con molte altre organizzazioni internazionali: la Comissione Europea e' impopolare, il Fondo Monetario lo e' anche piu' di noi, e cosi' la Banca Mondiale. Vede, la gente si sente lontana da questi grandi palazzi di Ginevra o di Brussell, le persone comuni non capiscono ne' chi siamo ne' quali saranno gli effetti sulla loro vita degli accordi che qui nascono. Ma vi posso garantire che ogni singolo accordo e' passato al vaglio dei vostri governi."
E allora vediamo questi accordi di globalizzazione: hanno nomi difficili per noi, Accordo Sanitario e Fitosanitario, Barriere Tecniche al Commercio, Diritti di Proprieta' Intellettuale e via discorrendo. In tutto formano 27.000 pagine di regole e codici, che hanno un potere pari al loro incredibile volume. Per capire meglio facciamo un esempio.
Alla fine degli anni '80 l'Unione Europea decise di vietare l'uso degli ormoni nell'allevamento dei manzi da carne e soprattutto proibi' le importazioni di carne agli ormoni dagli Stati Uniti d'America. I nostri scienziati la ritenevano pericolosa per la salute umana. Perche'? La risposta la trovo alla periferia di Milano, dove incontro Luca Giove, un professionista di 31 anni che quando era ragazzino ebbe degli strani problemi di salute.
"Luca Giove cosa ti successe?", gli chiedo appena dopo il nostro incontro davanti a quella che fu una volta fu la sua scuola media. Giove ammicca: "A circa 12 anni mi si era gonfiata l'aureola del capezzolo mammario sinistro, e questo era dovuto probabilmente al fatto che avevo mangiato della carne estrogenata, nelle mense di questa scuola."
Luca Giove, suo malgrado, ha un posto nella storia delle guerre commerciali, poiche' la battaglia dell'Europa contro la carne agli ormoni americana inizia proprio dal suo caso, accaduto nel 1981. Il gonfiore del suo capezzolo richiese un intervento chirurgico, e i sintomi di crescita anormali di altri piccoli alunni scatenarono l'allarme negli scienziati europei, fra cui l'italiano Giuseppe Chiumello. I sospetti caddero subito sulla carne agli ormoni che allora circolava liberamente.
"Luca, hai avuto altri problemi di salute nella tua vita adulta che tu possa ricondurre a questa vicenda?"
"Ma, diciamo che ho dei problemi a livello spermatico, il numero e' sotto la media e anche la motilita'. Non so a cosa puo' essere imputato ma non so cosa si possa escludere a priori. Io ho anche avuto problemi di varicocele e problemi venosi, e non so quanto si possa ricondurre alla carne estrogenata." Giove mi lascia con una raccomandazione: "Guardi, io ne ho passate... spero solo che la mia vicenda possa contribuire a qualcosa di positivo."
Quindi, dalla fine degli anni '80 l'Unione Europea, per tutelare la salute dei suoi cittadini, decise di vietare le importazioni delle carni agli ormoni. Ma negli Stati Uniti questa decisione non fu affatto gradita. Nel 1996 il governo di Washington, brandendo uno dei potenti accordi di globalizzazione, trascino' l'Europa davanti ai giudici del WTO. Tuttavia, nel farlo, l'amministrazione Clinton aveva ceduto alle pressioni della piu' potente lobby di allevatori di bestiame statunitense: la National Cattleman Association, come dimostra un documento che ho ottenuto in via riservata, dove si legge:
"Al signor Bob Drake della National Cattleman Association: come lei ci ha espressamente richiesto, abbiamo iniziato una procedura presso il tribunale del WTO contro il divieto europeo di importare la nostra carne." Il documento di cui parlo non e' altro che una lettera autografa dell'allora ministro americano per il commercio Michael Kantor.
La procedura si concludera' con la condanna dell'Europa, una condanna inappellabile ottenuta grazie proprio a uno di quei potentissimi accordi del WTO di cui parlavo prima. L'Europa tuttavia non si e' piegata e ha continuato a tenere la carne agli ormoni fuori dai suoi mercati. Il WTO e' allora tornato alla carica e nel luglio del '99 i suoi giudici ci hanno condannati ancora, condannati a pagare un prezzo altissimo: 340 miliardi all'anno sotto forma di sanzioni commerciali americane.
Le sanzioni americane autorizzate dal WTO hanno colpito le esportazioni europee piu' pregiate, e fra le vittime italiane si contano i pomodori pelati, i succhi di frutta, il pane e soprattutto il tartufo. Nella splendida valle chianina, in Toscana, incontro il titolare di una azienda specializzata in tartufi, che aveva trovato un grande sbocco di mercato in America. Oggi il sogno e' svanito e la sua azienda ha persino vacillato per un attimo. "Mi dica sinceramente: prima di questa vicenda lei aveva mai sentito parlare di globalizzazione o di WTO?" chiedo provocatoriamente. Questo signore di mezza eta' scuote il capo: "Ammetto la mia ignoranza, io ne prendo nota soltanto adesso, e francamente non so chi siano questi signori."
Keith Rockwell, al WTO, ammette che e' quasi impossibile spiegare a un produttore italiano di tartufi o di pomodori in scatola che e' giusto che oggi il loro mercato estero, costruito in anni di fatiche, sia polverizzato da una sentenza di globalizzazione. Rockwell aggiunge: "E' difficile, ed e' un problema che non avete solo voi in Italia. Io posso offrire a costoro tutta la mia comprensione, ma le regole sono queste."
Abbiamo visto che il WTO e' in grado di esercitare un enorme potere. E allora c'e' una domanda che sorge spontanea: i nostri politici, quando nel 1994 aderirono a tutti gli accordi del WTO, erano consapevoli di quello che stavano accettando? L'On. Domenico Gallo era senatore proprio in quel periodo e grande esperto della questione, e a lui giro la domanda. "Certamente non c'e' stato un dibattito politico pubblico ne' riservato," inizia Gallo, "le questioni non sono state oggetto di confronto politico in Italia. Scarsa fu anche la sensibilita' parlamentare. Tutto e' stato vissuto non come un evento di grande importanza globale, ma come un passaggio obbligato, come una festa della modernita', dove non c'era niente da dire perche' andava tutto per il meglio."
Fra i politici italiani, quando si parla di WTO, svetta il nome di Piero Fassino, che fino a poche settimane fa era ministro per il commercio con l'estero, era cioe' il nostro maggior esperto istituzionale di globalizzazione. Gli ho sottoposto alcune domande sui punti dolenti che abbiamo appena visto, e su altri che vedremo in questa inchiesta, ma le cose non sono andate nel migliore dei modi. "No!, no! Il suo compito non e' di indagare sui punti dolenti.....In questa intervista lei enfatizza i rischi, lei fa il protezionista, io cerco di esaltare le opportunita' della globalizzazione!" Ribatto: "Vediamo pero' come siamo arrivati a dover accettare livelli doppi di diossina nelle nostre carni e sanzioni miliardarie per il nostro rifiuto di importare la carne ormonata americana." Fassino: "Ma la carne agli ormoni non entra in Europa, e poi non c'entra il WTO!..."
Lo correggo: "Ministro e' il WTO che ci ha condannati a pagare miliardi solo perche' stiamo proteggendo la salute dei cittadini europei."
"Senta facciamo cosi', io non voglio concederle questa intervista... e' del tutto folle... l'approccio e' folle!" tronca netto il ministro, "mi dia la cassetta, me la consegni".
Di consegnare la casetta non se ne parla. Lascio Fassino e proseguo nell'indagine. Come abbiamo detto, noi cittadini d'Europa abbiamo delegato la Commissione Europea a trattare per noi al tavolo della globalizzazione. Ma Susan George su questo ha qualcosa da dire: "La Commissione Europea e' un organo politico che dovrebbe fare gli interessi di tutti i cittadini quando siede al tavolo del WTO. E invece, da anni la Commissione e' al servizio delle multinazionali e delle lobby che le rappresentano. Questo e' grave, ed e' anche il motivo per cui gli accordi che vengono firmati al WTO sono cosi' di parte. Io parlo di una realta' dimostrata: a lei il compito di indagare."
E ho indagato girando l'Europa con una domanda fissa nella testa: ci possiamo fidare dei globalizzatori, di chi, come la Commissione Europea, decide per tutti noi al tavolo della globalizzazione?
Romano Prodi, che della Commissione e' oggi il Presidente, mi risponde con parole semplici: "La sua e' una domanda imbarazzante. Io penso che l'unico modo e' fidarsi di noi."
E invece in questa indagine ho trovato documenti che sembrerebbero minare la nostra fiducia, e mi sono imbattutto in poteri forti di cui, almeno io, non sospettavo neppure l'esistenza.
Siamo infatti abituati a immaginare che il potere abiti in stupefacenti palazzi e grattacieli vertiginosi, ma non sempre. In un anomino palazzetto di Brussell risiede forse la piu' potente lobby industriale del mondo: il Trans Atlantic Business Dialogue (TABD). Report ha chiesto di poter visitare la loro sede, ma come spesso ci accade, non siamo i benvenuti. In questa lobby si raggruppano aziende di calibro mondiale, con fatturati complessivi pari al prodotto interno lordo di intere nazioni. Ed e' proprio il TABD che arriva al punto di presentare periodicamente sia alla Commissione Europea che al governo americano una lista di sue priorita' per la globalizzazione, di fronte alle quali la Commissione sembra proprio spalancare le porte. Ho ottenuto attraverso contatti a Brussell una copia delle liste di priorita' del TABD, che hanno un tono perentorio. Vi si trovano elencate le richieste delle multinazionali, chi deve darsi da fare fra gli organi politici, e ci sono per iscritto tutte le migliori intenzioni della Commissione Europea nel soddisfarle. Prima di Seattle la Commissione ha addirittura incoraggiato questa grande lobby a sottoporle ulteriori richieste, definendole "priorita' assolute". Ma e' giusto tutto cio'? E giro la domanda al presidente Prodi. "Presidente," inizio, mentre lui sfoglia la documentazione che gli ho appena passato, "qui la vostra risposta sembra decisamente appiattita sugli interessi di questo grande gruppo industriale."
Prodi scuote il capo: "Fare gli interessi dei gruppi industriali non significa non fare gli interessi della povera gente o dei gruppi ambientalisti. Se lei mi accusa di proteggere gli interessi industriali io dico si', il problema e' di vedere come si armonizzano queste cose."
Nessuno contesta che la Commissione Europea debba anche pensare agli interessi del mondo degli affari, ma gli uomini di Romano Prodi sono dei politici, col mandato di tutelare gli interessi di tutti i cittadini. I documenti riservati che seguono sembrano invece contraddire in tema di globalizzazione le rassicurazioni del Presidente Prodi. Ne riporto qui alcuni passaggi preoccupanti, ricordando che si tratta di documenti ufficiali che circolavano da tempo fra i burocrati di Brussell:
1997: DISCORSO ALLE INDUSTRIE CHIMICHE DEL VICE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
"Siate tempisti, e cioe' diteci per tempo se pensate che qualcosa debba essere fatto, o, ancora meglio, se pensate che qualcosa debba essere stroncato sul nascere."
1997: COMMISSARIO EUROPEO AL COMMERCIO
"Il Trans Atlantic Business Dialogue e' diventato un meccanismo efficace per ancorare le politiche dei governi sugli interessi dei gruppi di affari."
COMMISSIONE EUROPEA, DIRETTORATO GENERALE PER IL COMMERCIO
"Vogliamo trovare un accordo con gli Stati Uniti per stabilire un sistema di pre-allarme contro le proposte politiche che potranno avere un impatto negativo sulle industrie di servizi."
Ancorare i governi sugli interessi dei gruppi d'affari? Sistemi di pre allarme contro le proposte politiche? Ma per conto di chi lavorate, presidente Prodi?
"Guardiamo alle cose piu' serie" ribatte il Presidente di fronte a quelle carte, "non guariamo a queste frasi che non dicono assolutamente nulla. Queste sono dichiarazioni che io condivido."
Eppure, tutto sarebbe piu' equlibrato se la Comissione Europea, che ci sta globalizzando, ogni tanto chiedesse anche a noi cittadini cosa ne pensiamo. Ma lo fa? Una cosa e' certa, i grandi gruppi di servizi, come le finanziarie, le grandi assicurazioni o le banche vengono consultati in tempo reale da un sistema elettronico che si chiama S.I.S., messo in opera dalla Commissione Europea, come prova un altro documento firmato Direttorato Generale1, che recita: "La Commissione Europea ha creato un sistema di consultazione con le industrie dei servizi che permette ai negoziatori della Commissione di consultare rapidamente le aziende e anche i singoli azionisti."
Chiedo spiegazioni al responsabile di questa iniziativa, Dietrich Barth, nel suo ufficio al quinto piano della Commissione. Barth candidamente conferma: "Quest'anno sono previsti i negoziati del WTO per la liberalizzazione dei servizi. La Commissione ha un assoluto bisogno di conoscere gli interessi dei grandi gruppi d'affari di questo settore." Ma perche' Barth, che lavora per i politici, non menziona anche gli interessi dei semplici cittadini? Gli chiedo provocatoriamente: "Sono sicuro che vorrete conoscere anche gli interessi delle persone comuni, o dei gruppi che li rappresentano. Dov'e' il sistema elettronico per consultare anche loro?" "L'S.I.S e' accessibile anche ai sindacati e ai gruppi di attivisti, non solo all'industria." Risponde sicuro.
Non mi rimaneva che chiedere conferma di questo sia ai sindacati che agli attivisti. Inizio da Cecilia Brighi, una esperta di globalizzazione dell'Ufficio Internazionale della Cisl, che ribatte seccamente: "Purtoppo i contatti voluti dalla Commissione con i sindacati sui temi della globalizzazione non sono cosi' spinti come quelli che avvengono con le muntinazionali; anzi, praticamente non esistono."
" Signora Brighi, lei ha mai sentito parlare del S.I.S.?", chiedo a bruciapelo. "No, mai." "Vi hanno informati dell'esistenza di questo sistema?", insisto. "Credo di poter affermare con certezza che le organizzazioni sindacali italiane non siano mai state informate di questo sistema di consultazione." L'Italia e' lontana da Brussell, e allora torno in Belgio per chiedere a Friends of the Earth, uno dei piu' grandi gruppi ambientalisti del mondo, se almeno loro, che hanno la sede a due passi dalla Commissione Europea, hanno mai sentito pronunciare il fatidico nome S.I.S. Mi risponde Alexandra Wandell, e lo fa con grande stupore: "Sfortunatamente e' la prima volta che sento parlare di questo sistema di consultazione, me lo sta dicendo lei, a noi non l'hanno mai comunicato. La Commissione Europea dovrebbe smettere di declamare di iniziative che in realta' non ha nessuna intenzione di portare avanti."
La Commissone Europea ha fatto uno sforzo ciclopico per consultare i business d'Europa prima di Seattle. Ha fatto un sondaggio sui desideri dell'Investment Network, un'altra lobby di giganti industriali che include la Fiat e la Pirelli, e un secondo sondaggio su 10.000 aziende. Tutto documentato da me, nero su bianco. Fra l'altro ho cercato a Brussell anche la sede di questo Investment Network, ma non l'ho trovata. Per forza, perche' questo gruppo di multinazionali si riunisce proprio nella sede della Commissione Europea. E anche di tutto cio' ho discusso con Romano Prodi.
"Vede Presidente, la cosa che preoccupa e' che tutto questo sembra non esistere poi con le ONG, coi consumatori, coi sindacati" e attendo la sua reazione.
"Coi sindacati io sono in colloquio quotidiano," mi rassicura Prodi, "ma se esiste questo Investment Network io francamente non glielo so dire, non lo sapevo, non sapevo neanche che esistessero sondaggi per le imprese, me lo fa vedere lei adesso. Ma se stesse qui dentro lei vedrebbe quanto dialogo c'e' con le organizzazioni non governative e con i sindacati."
Cecilia Brighi, a distanza, replica con altrettanta sicurezza: "Non c'e' ancora nulla, non lo hanno assolutamente ancora fatto, non c'e' nulla, noi non sappiamo quali sono gli impatti degli accordi gia' sottoscritti, per esempio in tema di agricultura o di occupazione, come per esempio non c'e' consultazione sui temi sociali nel mondo. Tutto questo va costruito in tempi rapidissimi."
Che ci sia dialogo e' dunque tutto da verificare; ma una cosa verificata invece c'e': anche quando la Commissione comunica con le organizzazioni dei cittadini non sempre c'e' da fidarsi. Ho ottenuto due documenti sulla globalizzazione scritti dalla Commissione Europea che dovevano essere identici, intitolati "Regole internazionali per gli investimenti in seno al WTO", stesso protocollo e stessa data: solo che uno era destinato ai burocrati, l'altro ai cittadini. A una lettura piu' attenta sono emerse differenze radicali nei testi: la versione per la gente comune era tutta un'altra cosa.
Ma a proposito di fiducia, ritorniamo alla carne agli ormoni americana. Sulla base di quali prove il WTO condanno' l'Europa? A rispondere e' di nuovo Keith Rockwell: "Quello che le posso dire e' che il WTO nel caso di dispute sulla sicurezza degli alimenti decide in base al parere degli scienziati della FAO. A loro fu chiesto di emettere il verdetto sulla carne agli ormoni."
E infatti un gruppo di scienziati cosiddetti super partes si riunirono proprio alla FAO a Roma, e piu' precisamente nella commissione chiamata Codex. Dalla FAO parti' il verdetto: secondo loro l'Europa aveva torto. Ma gli scienziati della Fao erano davvero super partes, erano davvero imparziali?
"Certamente" sentenzia con fermezza Alan Randell, uno dei massimi responsabili dei gruppi scientifici della FAO, cui ho rivolto quelle domande. Randell spiega: "Siamo una organizzazione intergovernativa e il nostro compito e' di fissare gli standard internazionali per la sicurezza degli alimenti. Abbiamo deciso che gli ormoni nella carne americana non pongono problemi alla salute, e potete fidarvi."
Pochi giorni dopo aver registrato quelle affermazioni, mi sposto a Londra per un incontro cruciale. L'uomo che mi aspetta alla stazione Victoria vuole rimanere anonimo, perche' e' un chimico farmaceutico che ha lavorato per 35 anni con la grande industria e che oggi ha deciso di raccontare tutto quello che sa sulla cosiddetta indipendenza degli scienziati della FAO. Trovarlo e' stata veramente un'impresa, attraverso una serie infinita di contatti. Gli chiedo prima di tutto: perche' vuole parlare? "Il mondo sta cambiando, le multinazionali farmaceutiche e agroalimentari hanno assorbito ormai tutto....non so...forse perche' mi sto per ritirare dalla scena...ma guardi, io ho visto troppe cose, e c'e' un limite per tutti, o forse solo per me." La nostra conversazione continua, e lo invito a venire al dunque, e cioe' alle prove di quanto mi vorrebbe rivelare. Questo scienziato dall'aria aristocratica mi invita a sedermi a un tavolo del bar della Royal Albert Hall, e poi inizia: "La documentazione che le mostro era in gran parte segreta, e infatti molti fogli portano il marchio declassificato. Ora, per dimostrale quanto siano inaffidabili gli organi scientifici della FAO e' necessario che le racconti una vicenda parallela a quella che a lei interessa."
"Guardi questi documenti. E' il novembre del '97, e la FAO si sta preparando a giudicare la sicurezza degli ormoni nel latte, che sono prodotti dalla multinazionale Monsanto. Qui si legge che uno scienziato della FAO, il dott. Nick Weber, aveva passato al dott. Kowalczyk della Monsanto i documenti riservati che solo gli scienziati della FAO avrebbero dovuto leggere prima di emettere il verdetto. Fra questi documenti c'erano persino gli studi della Commissione Europea, che era contraria agli ormoni artificiali. Capisce? La Monsanto pote' studiarsi con molto anticipo cosa avrebbero sostenuto i suoi critici durante i dibattimenti. Ma e' normale cio'?"
Non rispondo e lo invito con un cenno del capo a continuare. Lui prosegue: "La FAO esamino' gli ormoni nel latte e in un primo tempo espresse parere positivo. Un trionfo per la Monsanto, ma c'era una nota che stonava. Michael Hansen, un consulente della FAO, non era d'accordo e stava per lanciare un allarme. Ed ecco un fax che la Monsanto spedisce a un funzionario della sanita' pubblica, dove si legge: Sembra che Michael Hansen non sia dei nostri. Dei nostri!!, capite che razza di mentalita'? La Monsanto considerava gli esperti della FAO roba propria."
La mia fonte sosta per il tempo necessario a sorseggiare il bicchiere di vino bianco che gli ho offerto, poi estrae dalla borsa altri fogli, altre prove inedite. E rincara la dose: "Ma alla FAO ci sono altri scienziati gravemente compromessi: sono Margaret Miller e Leonard Ritter. In questo documento riservato del Congresso degli Stati Uniti si legge che la dottoressa Miller era sotto inchiesta perche', da dipendente pubblico, fu sorpresa a lavorare....indovini per chi? Per la Monsanto naturalmente, per conto della quale studiava gli ormoni. Veniamo al dottor Ritter: ho scoperto dagli archivi del parlamento canadese che Ritter e' stato piu' volte pagato del CAHI, una grossa lobby nordamericana di industrie veterinare favorevoli agli ormoni. Insomma, Miller e Ritter, due gioielli di indipendenza interni alla FAO, non le sembra?"
E allora ricapitoliamo: la mia fonte inglese ha dimostrato che alcuni scienziati consulenti della FAO, e specialmente Nick Weber, Margaret Miller e Leonard Ritter, erano da tempo collusi con una lobby e con una grande multinazionale interessate a vendere ormoni, e nonostante l'evidente conflitto di interessi hanno continuato a decidere della nostra salute per conto della FAO.
Lo scienziato inglese ora conclude e porta l'affondo decisivo: "E non e' proprio la FAO che ha giudicato innocui anche gli ormoni della carne, permettendo cosi' al WTO di condannare l'Europa. Come ci si puo' fidare? E poi guardi le liste degli scienziati della FAO che nel '99 e nel 2000 hanno di nuovo esaminato gli ormoni americani nella carne: chi ci troviamo? Weber, Miller, Ritter e tutti gli altri. Sono tutti qui, sono sempre qui!"
Lo fisso con un'unica domanda nella testa: la FAO sapeva, ha mai sospettato qualcosa? "Certo che sapeva," risponde con un accenno di sorriso, "infatti Micheal Hansen, il bastian contrario, scrisse tutto nero su bianco e lo spedi' persino al direttore generale della FAO. Tutto si sapeva... persino nei dettagli. Ma questo non ha impedito a noi europei di essere cosi' penalizzati dal verdetto sulla carne agli ormoni."
Torno a Roma e ricontatto il dirigente della FAO che avevo incontrato pochi giorni addietro. Gli passo le prove contro i dottori Weber, Miller e Ritter, ma lui non sembra molto interessato ai documenti. Li degna appena di un'occhiata e ribatte: "I nostri scienziati sono scelti dalla FAO e dall'Organizzazione Mondiale delle Sanita', e sono confermati nell'incarico dai governi membri. Sono esperti al di sopra di ogni sospetto e le sue affermazioni ci giungono assolutamente nuove."
Una storia pesantissima questa, nella quale erano in gioco non solo interessi multimiliardari, ma soprattutto la nostra salute. E a questo punto tutto mi potevo aspettare meno che fosse proprio il WTO a rilanciare alla grande, a far esplodere la bomba. E' ancora Rockwell che parla: "Se i vostri governi avessero invocato l'articolo 5.7 del nostro accordo Sanitario e Fitosanitario la battaglia sulla carne agli ormoni non sarebbe mai esistita: niente FAO, niente sanzioni americane, nulla di nulla. L'articolo 5.7 del WTO vi dava il diritto di evitare lo scontro, mentre l'Europa studiava la sicurezza della carne americana." "E perche' l'Europa non l'ha usato?" gli chiedo piu' che sorpreso. Rockwell mi fissa pregustando il colpo ad effetto, e con un che di trionfale aggiunge: "Lo chieda a loro. Non lo hanno mai invocato quell'articolo!"
Non mi rimane che girare la scottante questione ai massimi responsabili politici, e cioe' al ministro Fassino e al Presidente della Commissione Europea Romano Prodi. Perche' non e' stato invocato quell'articolo?
Fassino risponde che non lo sa, che ci sara' una ragione legale, e conclude sbrigativo: "Chieda a qualcun altro" dice scuotendo il capo. Romano Prodi invece tenta una battuta ("Non lo so, non sono mica un veterinario!") e poi conclude sostenendo che si tratta di aspetti tecnici "...e non potete venire a chiedere a me."
Entrambi si sono difesi aggiungendo che l'importante e' che la carne agli ormoni non entri in Europa, ma questo francamente non mi basta. Abbiamo miliardi di sanzioni che ci penalizzano ogni giorno, e si tratta della piu' pericolosa disputa commerciale degli ultimi 20 anni. Se la si poteva evitare appellandosi a un semplice articolo, i nostri massimi dirigenti politici lo avrebbero dovuto sapere. Ma tant'e'.
Io non chiedo piu' nulla, e scelgo invece di mostrarvi qualcosa di concreto. Parliamo sempre della globalizzazione, del WTO e dei suoi potentissimi accordi. La parola a Susan George: "L' arma piu' tagliente del WTO e' l'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio, che puo' annullare le leggi degli Stati, quelle delle amministrazioni locali e persino le regole delle piccole organizzazioni non governative. Esso colpisce particolarmente il diritto dei cittadini di sapere come sono fatte le merci che acquistano e da chi sono fatte."
E infatti questo accordo prende di mira proprio le etichette: le etichette che ci dovrebbero dire se nei giocattoli che diamo ai nostri piccoli ci sono sostanze tossiche, se nei cibi che mangiamo ci sono ingredienti geneticamente modificati, o se i palloni che compriamo sono fatti da bambini sfruttati nei paesi poveri. Iniziamo proprio da questo esempio. Susan George spiega: "Il calcio e' sicuramente un grande sport, anche se io sono americana! Ma l'accordo WTO sulle Barriere Tecniche al Commercio ci impedisce proprio di rifiutarci di importare palloni da calcio cuciti dai bambini sfruttati in Asia. Per i globalizzatori un pallone e' un prodotto e lo possiamo rifiutare solo se e' di cattiva qualita' e non se e' fatto da piccoli schiavi."
Damiano Tommasi, mediano della Roma, e' da tempo impegnato contro l'importazione di palloni prodotti col lavoro minorile. Un accordo del WTO rischia dunque di vanificare il suo impegno. Lo sapeva? "No, non lo sapevo" mi dice Tommasi al termine di un allenamento di fine campionato. "E' una brutta notizia. E' un altro segnale che l'economia e la globalizzazione prevalgono su qulasiasi altro codice."
Proprio al ministro Fassino ho sottoposto questo punto dolente degli accordi del WTO, "lei non sa che l'Italia ha firmato le convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che ci danno il diritto di rifiutare i palloni prodotti col lavoro minorile!"
Rispondo: "Ministro, cio' che lei afferma non sembra vero. Io cito accordi del WTO sovranazionali che gia' sono esistenti e che sono gia' ratificati dall'Italia."
Fassino adesso urla: "Ma l'Italia non ha mai ratificato nessun accordo che dice che si possono importare i palloni cuciti dai bambini sfruttati. Credo di sapere la materia di cui sono ministro!...non e' possibile!"
Racconto quanto affermato dal ministro Fassino a Susan George, e lei sorpresa ribatte: "Ma certo che e' possibile. Fu purtroppo scritto nero su bianco sia negli accordi del GATT che nell'accordo del WTO, ai punti 2.1 e 2.8, e i nostri governi lo dovrebbero sapere."
Interrogo anche Cecilia Brighi, la sindacalista della Cisl esperta di questioni internazionali. Le dico: "Signora Brighi, a battuta risposta: l'Italia ha firmato le convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che danno la possibilita' di bloccare le importazioni di palloni fatti da bambini sfruttati nel terzo mondo..." C'e' una pausa, la Brighi ribatte: "Chi ha detto questo?" E io: "Fassino." Lei scuote il capo.
Nel frattempo al WTO qualcuno sta gia' protestando contro le regole europee che vietano nei nostri giocattoli l'uso di ammorbidenti tossici. Me ne parla Fabrizio Fabbri, uno dei responsabili di Green Peace Italia: "Sta succedendo che Hong Kong e il Brasile stanno invocando l'intervento del WTO per annullare il provvedimento europeo che vieta i composti chimici pericolosi nei giocattoli per bambini. Il WTO potrebbe ritenere questa misura di tutela della salute un ostacolo alle leggi del libero commercio, in base a un accordo sottoscritto anche dall'Italia che prevede il non utilizzo di ragioni sociali o ambientali come discriminazione commerciale." Fabbri apre una borsa e fa cadere sulla scrivania una miriade di pupazzetti e bamboline colorati, quelli tossici appunto. Ma dovessero tornare questi giocattoli pericolosi, almeno che ci sia un'etichetta che ce li fa distinguere. Fabbri scuote il capo: "Teoricamente sarebbe la misura minima di tutela dei consumatori, ma e' quella maggiormente contestata proprio dal WTO."
Guerra dunque persino alle etichette che ci dovrebbero informare su quello che acquistiamo, ma non solo. Cio' che veramente stupisce e' scoprire che chi ha scritto gli accordi di globalizzazione ha voluto che il loro potente braccio si estendesse ben oltre i governi nazionali, e che raggiungesse persino le piccole organizzazioni volontarie. Persino loro. Per capire meglio cio' che ho detto seguiamo la signora Luciana Giordano nello shopping. Questa giovane linguista di Bologna fa parte della nutrita schiera di italiani che acquistano regolarmente il caff equo & solidale, e questo significa che Luciana sa che il suo caffe' e' prodotto da lavoratori del terzo mondo tutelati nella dignita' e nei diritti fondamentali. Ma come fa a saperlo? Attraverso la presenza sulla confezione dell'etichetta Transfair, oppure comprando il macinato nelle cosiddette Botteghe del mondo. Si tratta di piccole organizzazioni non a fine di lucro, ma sembra prioprio che sia loro che le loro etichette violino i contenuti del solito accordo WTO sulle Barriere tecniche al commercio.
Proprio a Bologna incontro Giorgio Dal Fiume, uno dei massimi dirigenti nazionali della rete equo & solidale e gli chiedo di spiegarmi perche' i globalizzatori dei commerci temono cosi' tanto persino le loro etichette: "Perche' quello che noi scriviamo in etichetta rende possibile la libera scelta da parte del consumatore" dice Dal Fiume mentre mi fa da guida all'interno di una delle Botteghe del Mondo. "E' paradossale, ma in questo sistema globalizzato siamo noi a difendere il vero funzionamento del mercato, dove a diversa offerta corrisponde una diversa scelta. Ma proprio questo e' il punto debole del WTO: puo' condizionare interi stati ma non puo' obbligare i cittadini a consumare quello che loro vogliono."
Forse Dal Fiume ha ragione, ma il WTO puo' costringere il governo italiano a fare tutto quanto e' in suo potere per fermare iniziative come quella per cui si e' impegnato. E' scritto infatti nero su bianco nell'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio. Lui lo sapeva? "Si', ci siamo studiati i testi, ed e' per questo che siamo andati a Seattle a contestare con ogni mezzo il WTO" conclude.
Etichettare le merci, cosi' che il cittadino possa rifiutare quelle che violano i principi etici, o di protezione dell'ambiente e della propria salute e' un diritto fondamentale che il WTO sembra volerci togliere. In tutto cio' sono chiare le pressioni esercitate dai colossi industriali, e non sono illazioni: ho trovato due documenti che non lasciano dubbi. Il primo, stilato dalla Camera di Commercio Internazionale (un'altra lobby di multinazionali che comprende anche la Pirelli e la nostra Confindustria) chiedeva al cancelliere tedesco Schroeder (poco prima della storica conferenza del WTO a Seattle) quanto segue: I programmi di etichettatura ecologica dei prodotti possono creare barriere al libero commercio, e vogliamo su questo una urgente applicazione degli accordi del WTO. Nel secondo documento ho trovato un'esplicita richiesta del Trans Atlantic Business Dialogue, che recita: Alla Commissione Europea chiediamo che un accordo internazionale sugli investimenti non sia indebolito da clausole sui diritti dei lavoratori o sulla tutela dell'ambiente.
Si comprende cosi' come anche la legge europea sull'etichettatura obbligatoria dei cibi contenenti geni modificati sia finita nel mirino del WTO, e infatti il governo di Washington ha gia' iniziato a Ginevra una procedura legale per costringere Brussell a tornare sui suoi passi. Eppure quella legge non e' poi cosi' severa: essa infatti dice che se i geni modificati sono presenti nei cibi sotto la quantita' dell'1%, non vanno dichiarati in etichetta. E io ho voluto fare una prova. Ho infatti comprato alcuni prodotti contenenti soia: dicono che la soia oggi sia quasi tutta geneticamente modificata, ma nelle etichette dei biscotti VitaSystem, dei crackers Misura, di quelli della Cereal e del pane a fette della Barilla non e' segnalato alcunche'. E allora sono andato a farli anlizzare. Ecco i risultati delle analisi. Pane alla soia della Barilla: nessuna presenza di soia transgenica; crackers della Misura, anche qui nulla di geneticamente modificato; veniamo alla Cereal: idem come prima, e cioe' niente geni manipolati; e infine abbiamo i biscotti della VitaSystem, e qui la soia transgenica c'era, ma nella percentuale dello 0,6%, e la legge europea, come dicevo, non prevede che questa quantita' si debba segnalare in etichetta. Cio' significa che noi consumatori stiamo comunque ingerendo e sperimentando cibo transgenico, anche se in piccole quantita', e questo prima che la scienza sappia con certezza quali saranno gli effetti sulla nostra salute.

venerdì 31 agosto 2012

Il lavoro e la dignità di chi lotta

La BCE, L'Europa, i politicanti servi, dichiarano la guerra a tutto campo ai lavoratori tagliando i posti di lavoro chiudendo aziende, ai cittadini tutti riducendo il servizio sanitario, riducendo le pensioni, tagliando il potere d'acquisto con la benzina alle stelle, Fornero vuole tagliare i salari ai 50° perché  meno produttivi, se campi la pensione la vedi a 70 anni con 50 anni di contributi, ai giovani vuol dare oltre alla precarietà a vita anche salari più bassi perché inesperti...  

ci manca solo la canna del gas per farci finire di soffrire?

OPPURE..

COSA VUOI DI PIU' FRATELLO, AMICO, COMPAGNO  O PATRIOTA, PER CAPIRE CH'E' GIUNTA L'ORA? 


RIVOLUTZIONI!!!!
Sa Defenza


Il lavoro e la dignità di chi lotta
Gli errori del passato presentano il conto
MINATORI  CARBOSULCIS IN PRESIDIO A MENO 400 MT IN MINIERA

Anthony Muroni
unionesarda.it
Strano questo tempo di lacrime e sangue, nel quale per farsi ascoltare dal governo “tassa e taglia” occorre auto-sequestrarsi nelle viscere della terra, poggiare il cerino accanto a una santabarbara e tagliarsi le vene in diretta tv.

Da Roma si risponde col cinismo tipico di chi governa senza dover rendere conto agli elettori. Si prosegue nel solco tracciato per decenni da una classe politica sarda insipiente, da governi nazionali disinteressati e incapaci e da un sindacato che ha mostrato inadeguatezza e scarsa visione strategica. 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un'Isola ammorbata per generazioni con produzioni inquinanti, assistenzialismo diffuso e nessuna capacità di adeguarsi ai cambiamenti dei mercati e delle tecnologie.

Lo Stato ha il merito di aver investito, in mezzo secolo, migliaia di miliardi delle vecchie lire sulla Rinascita ma anche la colpa grave di non aver saputo rendere produttive quelle elargizioni. 

Nell'anno del Signore 2012 preferisce la via della fuga, ignorando sofferenze, tensioni e drammi che rendono questa terra sempre più sterile e triste.

Si riparte da zero, anzi da -1. È il momento di capire che nessuno, da Roma, verrà ad aiutarci e rifugiarsi nel vittimismo e nella protesta vuota sarebbe inutile. 

I sardi di buona volontà hanno di fronte a loro trent'anni di lacrime e sangue: ai giovani va spiegato che le coraggiose lotte dei loro padri, protagonisti in queste ore di drammatiche prove, non possono essere dilapidate.

Occorre rimboccarsi le maniche e guardare al futuro, senza ripetere gli errori del passato. Quelli degli anni '80, ad esempio, quando la classe politica e sindacale sarda respinse il piano da 500 miliardi di lire proposto da Craxi per creare alternative al sistema-Sulcis basato solo sull'industria: si parlava di investimenti su agricoltura, turismo, ambiente, nautica e infrastrutture. 

Si scelse, invece, di puntare ancora su miniere e trasformazione di materie prime. La globalizzazione e la crisi del manifatturiero nei Paesi occidentali erano lontane e nessuno ebbe la visione strategica e il coraggio necessari a preparare un piano nuovo e spendibile negli anni Duemila.

Oggi c'è da salvare il salvabile: i posti di lavoro e la dignità di operai e minatori in lotta, la speranza dei giovani che hanno diritto al sogno di un futuro nella propria terra d'origine. Nessuno pensi di potersi chiamare fuori o di essere immune: la sfida è epocale e riguarda anche chi il lavoro ce l'ha ancora.




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