giovedì 6 febbraio 2014

Non è l'Argentina un pericolo per il mondo, ma l'Eurozona!

Non è l'Argentina un pericolo per il mondo, ma l'Eurozona!

vocidallestero
Tradotto da  Carmen Gallus
Editato da  Francesco Giannatiempo


Jeremy Warner sul Telegraph cerca di rimettere le cose nella giusta prospettiva: mentre si fa un gran rumore per le difficoltà dei paesi emergenti (e specialmente, negli ultimi tempi, dell'Argentina) ora che gli USA cominciano a "normalizzare" la loro politica monetaria, la vera colossale minaccia per l'economia globale continua ad essere l'Eurozona, con il suo irrazionale sistema di cambi fissi e il conseguente austero autolesionismo.




di Jeremy Warner, 31 gennaio 2014

I paesi emergenti fanno notizia perchè tirano su i tassi d'interesse cercando di difendere le loro valute, ma è ancora l'eurozona che se la passa decisamente  male.

Per l'economia globale c'è sempre qualche disgraziato guastafeste. Proprio quando i paesi sviluppati stavano iniziando a mettersi la crisi finanziaria dietro le spalle, ecco che spunta un'altra grana nei mercati emergenti, la cui causa immediata è, per ironia della sorte, il tentativo della Federal Reserve statunitense di ristabilire condizioni di politica monetaria più "normali". Il mondo non riesce a sbarazzarsi tanto facilmente della sua dipendenza dalla continua emissione di moneta.


Nel momento in cui la Fed fa retromarcia sull'espansione monetaria che serviva ad aiutare la sua economia, svariati paesi, come Sud Africa, Argentina e India, sono costretti ad alzare i tassi d'interesse per difendere le proprie valute da fughe di capitali. Per i paesi che hanno avuto una crescita gonfiata dalla sovrabbondanza di denaro a basso costo degli ultimi anni, si profila all'orizzonte una catastrofe economica, o quantomeno un forte rallentamento.

Ciononostante c'è un'area che a quanto pare trae dei perversi benefici dall'ultima piega presa dagli eventi - l'eurozona. Ai sommi sacerdoti della moneta unica le nuove tribolazioni dell'Argentina e della Turchia sembrano giustificare tutto ciò che loro hanno cercato di fare. I paesi che non s'impegnano in adeguate riforme dal lato dell'offerta e invece 
tentano continuamente di svalutare e inflazionare per tirarsi fuori dai guai, non fanno che condannarsi a ripetuti fallimenti economici. Fate il confronto con l'eurozona, dicono, dove una moneta unica costringe i paesi membri ad affrontare le vere cause che stanno alla base dei loro problemi. La facile scelta della svalutazione è impedita.

Ci può essere un fondo di verità in questa linea di pensiero. Gli apologeti dell'euro vedono la crisi come un modo per costringere una riluttante classe politica a fare le riforme. Paesi che si legano assieme con la camicia di forza di un'unione monetaria, cedono la propria sovranità economica all'economia dominante, come ha spiegato questa settimana Mark Carney, Governatore della Banca d'Inghilterra, entrando nel dibattito sull'indipendenza della Scozia. La Scozia non può avere sia la sterlina inglese che la sovranità economica; è una contraddizione in termini.

Comunque, l'idea che per portare avanti dolorose ma necessarie riforme economiche i paesi debbano per forza cedere la loro sovranità e inchiodarsi al palo di un regime valutario inflessibile, è un argomento alquanto diverso – nonché una palese sciocchezza. I problemi dell'Argentina non hanno niente a che fare con gli alti e soprattutto i bassi del peso. Sono invece il risultato di decenni di cattivi governi e corruzione, portati a nuovi estremi dall'incompetenza e dal cinico populismo dell'attuale presidente, Cristina Kirchner.

Forse la Corea del Sud ha avuto bisogno di entrare in un'unione monetaria per realizzare la sua formidabile ripresa economica subito dopo la crisi asiatica della fine degli anni '90? No, ha fatto le riforme, e aiutata dal vento favorevole di un tasso di cambio più competitivo, è tuttora in forte espansione, in un modo che i tormentati paesi dell'eurozona, da cinque lunghi anni dentro il peggior collasso economico dell'età moderna, possono solo sognare.


L'Europa non propone niente che vada nella direzione di trovare una soluzione, solo una tetra e distruttiva austerità, che sta infliggendo danni presumibilmente permanenti a nazioni un tempo fiere e orgogliose. Solo una crescente emigrazione dei lavoratori riesce a evitare la forma più grave di ciò che gli economisti chiamano isteresi – la perdita di competenze, e perciò di potenziale economico, che si associa a prolungati periodi di elevata disoccupazione.

Di fronte all'autolesionismo dell'Eurozona, la Turchia e l'Argentina sono come delle lucciole in mezzo ai lampi di un temporale. Su una scala globale, esse non contano, e di per sé difficilmente potranno influenzare il più ampio quadro di quel che sta succedendo nel mondo. La minaccia più grande è ancora l'Europa, la quale, come ha fatto notare il Tesoro degli Stati Uniti, sta esercitando una pressione deflazionistica permanente sull'economia globale. 

Le riforme strutturali che l'Europa appassionatamente immagina che  la sua disciplina riucirà ad imporre, sono solo superficiali. In ogni caso avranno un impatto limitato in economie in cui la domanda interna è stata prosciugata. Da quando si è assoggettata ai diktat della troika, l'Irlanda è caduta ancora più in basso nella classifica internazionale della "facilità di fare impresa", mentre l'Italia non riesce nemmeno a liberalizzare il servizio dei taxi senza che il paese si blocchi in un'ondata di proteste. 

Una cosa in cui la crisi ha avuto successo, tuttavia, è stato di tagliare drammaticamente i salari nei paesi in difficoltà. Se abbattere gli standard di vita delle persone si conta come successo di politica economica, allora l'Europa sta stabilendo dei nuovi standard, e non importa che la riduzione dei salari nominali possa solo aumentare il peso del debito, mettendo i paesi ulteriormente a rischio di future crisi finanziarie.

Non potendosi ormai più permettere di comprare i beni e servizi che essa stessa produce, l'Europa allora scarica il suo eccesso produttivo sul resto del mondo, e lo chiama progresso. Difficilmente potrebbe esserci un approccio di politica economica più controproducente di questo.  Non essendo in grado né di tornare indietro verso la sovranità e indipendenza del passato, né di andare avanti verso quella condivisione del debito che necessariamente sostiene qualsiasi unione monetaria funzionante, l'eurolandia si trova bloccata in una stagnazione distruttiva che essa stessa si è creata.

Tutti i grandi doni che l'Europa può dare al mondo – la sua creatività, l'industria, l'arte, la musica, le forme di governo, il suo stesso senso d'identità – derivano dalla sua diversità culturale, economica e nazionale.  Distruggere questa infinita varietà per perseguire una qualche visione corporativa della competitività internazionale basata sull'abbattimento dei costi sembra essere diventato un obiettivo in se stesso. Persino l'assurda Kirchner pare una spanna al di sopra di una tirannia di questo genere. 

Ammirate le mie opere, o Potenti, e disperate! (quest'ultima esclamazione è una citazione del sonetto Ozymandias di Shelley, che esprime la transitorietà del potere e degli imperi, ndt).

mercoledì 5 febbraio 2014

Il FMI Sponsorizza la "democrazia" in Ucraina

Il FMI Sponsorizza la "democrazia" in Ucraina

Michel Chossudovsky




C'è un  continuo e deliberato  tentativo delle potenze straniere di mettersi alla guida della destabilizzazione dell'Ucraina inclusa nella suo establhiment statale.
C'è una lunga storia di rivoluzioni colorate in Ucraina risalenti già al 1990.
Il movimento di protesta a Kiev ha una notevole somiglianza con la "rivoluzione arancione" del 2004, che è stata sostenuta segretamente da Washington. La "rivoluzione arancione" del 2004 ha portato alla cacciata del  primo ministro filorusso Viktor Yanukovich, guidando al potere il governo con delega occidentale del presidente Viktor Yushchenko e il primo ministro Julia Tymoshenko.
Ancora una volta Viktor Yanukovitch è il bersaglio di una cura messa in scena "movimento di protesta pro-Ue". Quest'ultimo è stato avviato a seguito della decisione del presidente Yanukovitch per annullare il "accordo di associazione" con l'Unione europea.
I meccanismi di interferenza sono in certi aspetti differenti a quelli del 2004. Le proteste sono supportate direttamente da Bruxelles e Berlino (con i funzionari europei coinvolti attivamente), piuttosto che da Washington:
"I partiti di destra che conducono le proteste in coordinamento con i funzionari e politici europei avevano chiesto una" Million Man March. "In definitiva, da circa 250.000 a 300.000 persone si sono radunate sul piazza Maidan (Indipendenza) . E 'stata la più grande protesta a Kiev dopo la "rivoluzione colorata" 2004 organizzata da l'imperialismo Europa e Usa, la cosiddetta rivoluzione arancione che ha spodestato il filo-russo Yanukovich e ha portato il tandem filo-occidentale del presidente Viktor Yushchenko e il primo ministro Julia Tymoshenko al potere.
Evgenia Tymoshenko, la figlia dell'ex primo ministro miliardario magnate del gas naturale Julia Tymoshenko, che Yanukovich ha imprigionato, ha letto un messaggio di sua madre che chiede l'estromissione "immediata" di Yanukovich. (Vedere Alex Lantier, 8 dicembre 2013 )
Il seguente articolo pubblicato nel novembre 2004, si concentra sulla "rivoluzione arancione" Ottobre-Novembre 2004 diretto contro l'allora primo ministro Viktor Yanukovich, fornendo anche dettagli sul ruolo insidiosa del FMI e della Banca mondiale a imporre l'agenda politica economica neoliberista a nome del "Washington Consensus". 

IMF Sponsored “Democracy” in The Ukraine

by

Michel Chossudovsky

November 2004
Opposition candidate Viktor Yushchenko in the Ukrainian presidential elections is firmly backed by the Washington Consensus.
He is not only supported by the IMF and the international financial community, he also has the endorsement of The National Endowment for Democracy (NED) ,  Freedom House and  the Open Society Institute , which played a behind the scenes role last year in helping “topple Georgia’s president Eduard Shevardnadze by putting financial muscle and organizational metal behind his opponents.” (New Statesman, 29 November 2004).
The NED has four affiliate institutes: The International Republican Institute (IRI) , the National Democratic Institute for International Affairs (NDI), the Center for International Private Enterprise (CIPE) , and the American Center for International Labor Solidarity (ACILS). These organizations are said to be “uniquely qualified to provide technical assistance to aspiring democrats worldwide.” See IRI, http://www.iri.org/history.asp )
In the Ukraine, the NED and its constituent organizations fund Yushchenko’s party Nasha Ukraina (Our Ukraine), it also finances the Kiev Press Club. In turn, Freedom House, together with The Independent Republican Institute (IRI) are involved in assessing the “fairness of elections and their results”. IRI has staff present in “poll watching” in 9 oblasts (districts), and local staff in all 25 oblasts:
“There are professional outside election monitors from bodies such as the Organisation for Security and Cooperation in Europe, but the Ukrainian poll, like its predecessors, also featured thousands of local election monitors trained and paid by western groups. … They also organised exit polls. On Sunday night those polls gave Mr Yushchenko an 11-point lead and set the agenda for much of what has followed.” (Ian Traynor 26 November 2004, the Guardian,http://globalresearch.ca/articles/TRA411A.html )
Needless to say these various foundations are committed to “Freedom of the Press”. Their activities consist not only in organizing exit polls and feeding disinformation into the Western news chain, they are also involved in the creation and funding of “pro-Western”, “pro-reform” student groups, capable of organizing mass displays of civil disobedience. (For details, see Traynor, op cit) In the Ukraine, the Pora Youth movement (“Its Time”) funded by the Soros Open Society Institute is part of that process with more than 10,000 activists. Supported by the Freedom of Choice Coalition of Ukrainian NGOs , Pora is modeled on Serbia’s Otpor and Georgia’s Kmara.
The Freedom of Choice Coalition acts as an Umbrella organization. It is directly supported by the US and British embassies in Kiev as well as by Germany, through the Friedrich Ebert Stiftung (a foundation linked to the ruling Social Democrats). Among its main “partners” (funding agencies) it lists USAID, the Canadian International Development Agency (CIDA), Freedom House, The World Bank and the Charles Stewart Mott Foundation.
In turn, Freedom of Choice Coalition directly funds and collects donations for Pora (Seehttp://pora.org.ua/en/content/view/83/95/ )
The National Endowment for Democracy
Among the numerous Western foundations, the National Endowment for Democracy (NED), although not officially part of the CIA, performs an important intelligence function in shaping party politics in the former Soviet Union, Eastern Europe and around the World.
NED was created in 1983, when the CIA was being accused of covertly bribing politicians and setting up phony civil society front organizations. According to Allen Weinstein, who was responsible for establishing the NED during the Reagan Administration: “A lot of what we do today was done covertly 25 years ago by the CIA.” (Washington Post, Sept. 21, 1991).
In the former Soviet Union including the Ukraine, the NED constitutes, so to speak, the CIA’s “civilian arm”. CIA-NED interventions  are characterized by a consistent pattern. In Venezuela, the NED was also behind the failed CIA coup against President Hugo Chavez and in Haiti it funded the opposition parties and NGOs, in the US sponsored coup d’Etat and deportation of president Aristide in February 2004. (For details, see Michel Chossudovsky, 29 Feb 2004,http://www.globalresearch.ca/articles/CHO402D.html )
In the former Yugoslavia, the CIA channeled support to the Kosovo Liberation Army (KLA) (since 1995), a paramilitary group involved in terrorist attacks on the Yugoslav police and military. Meanwhile, the NED through the  “Center for International Private Enterprise” (CIPE) was backing the DOS opposition coalition in Serbia and Montenegro. More specifically, NED was financing the G-17, an opposition group of  economists responsible for formulating (in liaison with the IMF) the DOS coalition’s  “free market” reform platform in the 2000 presidential election, which led to the downfall of Slobodan Milosevic.
Copy and Paste? The Center for International Private Enterprise (CIPE) has a very similar mandate in the Ukraine, where it directly funds research on “free market reforms” in several key “independent think tanks” and policy research institutes. The Kiev based International Center for Policy Studies (ICPS) is supported by CIPE. It has a similar function to that of the G-17 in Serbia and Montenegro:  A group of local economists hired by ICPS was put in charge of drafting, with the support of the World Bank, a comprehensive blueprint of post-election macro-economic reform.
Who is Viktor Yushchenko? IMF Sponsored Candidate
In 1993, Viktor Yushchenko was appointed head of the newly-formed National Bank of Ukraine. Hailed as a “daring reformer”, he was among the main architects of the IMF’s deadly economic medicine which served to impoverish The Ukraine and destroy its economy.
Following his appointment, the Ukraine reached a historical agreement with the IMF. Mr Yushchenko played a key role in negotiating the 1994 agreement as well as creating a new Ukrainian national currency, which resulted in a dramatic plunge in real wages.
The 1994 IMF package was finalized behind closed doors at the Madrid 50 years anniversary Summit of the Bretton Woods institutions. It required the Ukrainian authorities to abandon State controls over the exchange rate leading to an impressive collapse of the currency.
Yushchenko as Head of the Central Bank was responsible for deregulating the national currency under the October 1994 “shock treatment”:
  • The price of bread increased overnight by 300 percent,
  • electricity prices by 600 percent,
  • public transportation by 900 percent.
  • the standard of living tumbled
According to the Ukrainian State Statistics Committee, quoted by the IMF, real wages in 1998 had fallen by more than 75 percent in relation to their 1991 level.(http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2003/cr03174.pdf )
Ironically, the IMF sponsored program was intended to alleviate inflationary pressures: it consisted in imposing “dollarised” prices on an impoverished population with earnings below ten dollars a month.
Combined with the abrupt hikes in fuel and energy prices, the lifting of subsidies and the freeze on credit contributed to destroying industry (both public and private) and undermining Ukraine’s breadbasket economy.
In November 1994, World Bank negotiators were sent in to examine the overhaul of Ukraine’s agriculture. With trade liberalization (which was part of the economic package), US grain surpluses and “food aid” were dumped on the domestic market, contributing to destabilizing one of the World’s largest and most productive wheat economies, (e.g. comparable to that of the American Mid West).
By 1998, the deregulation of the grain market had resulted in a decline in the production of grain by 45 percent in relation to its 1986-90 level. The collapse in livestock production, poultry and dairy products was even more dramatic.
The cumulative decline in GDP resulting from the IMF sponsored reforms was in excess of 60 percent (from 1992 to 1995).
Propaganda in support of the “Free Market”
Under these circumstances, why would Yushchenko, who was closely associated with the process of economic destruction and impoverishment be so popular? Why has the public image and political reputation of an IMF protégé, namely Mr. Yushchenko remained unscathed?
What the neoliberal agenda does is to build a consensus in “the free market reforms”.  “Short term pain gain for long term gain” says the World Bank. “Bitter economic medicine” is the only solution, much in the same way as the Spanish inquisition was the consensus underlying the feudal social order.
In an utterly twisted logic, poverty is presented as a precondition for building a prosperous society. This consensus presents a World of landless farmers, shuttered factories, jobless workers and gutted social programs as a means to achieving economic and social progress.
To sustain the consensus and convince public opinion, requires “turning the World upside down”, creating divisions within society, distorting the truth and ensuring, through a massive propaganda campaign, that no other viable political alternative to the “free market” is allowed to emerge.
Why is Yushchenko so popular? For same reason as George W. Bush, running on his record of war crimes is popular.
And because his opponent, outgoing Prime Minister Yanukovich does not represent a genuine political alternative for The Ukraine, which forcefully challenges the international financial institutions and the interests of Western corporate capital, which are destroying and impoverishing an entire nation.
The 2004 election in the Ukraine was built on a massive propaganda and public relations campaign, supported by the US, with money payoffs by Washington for political parties and organizations committed to Western strategic and economic interests. In turn, US intelligence, working hand in glove with various foundations including the NED, has consistently supported this process of civil society manipulation. The objective is not democracy, but rather the fracturing and colonization of the former Soviet Union.
The IMF and “Good Governance”
In the Ukraine, the IMF not only intervened in the implementation of the macroeconomic agenda, it also intruded directly in the arena of domestic party politics. As in Russia in 1993, the Ukrainian parliament was seen as an obstacle to the implementation of  the “free market reforms”. In 1999, under due pressure from Washington and the IMF, Yushchenko was appointed Prime Minister:
Yushchenko’s candidacy had been proposed by 10 parliamentary groups and factions, and Kuchma agreed with their choice…
The weightiest argument may be the International Monetary Fund’s desire to see Yushchenko as Ukraine’s prime minister, because the provision of the former Soviet republic with extended finance facilities depends on that.
Several parliament members believe the IMF is ready to extend a loan worth 300m dollars to Ukraine in January in case Yushchenko becomes prime minister. (ITAR-TASS news agency, Moscow, 17 Dec 1999)
Following his appointment, Yushchenko immediately set in motion a major IMF sponsored bankruptcy program directed against Ukrainian industry, which essentially consisted in closing down part of the country’s manufacturing base.  He also attempted to undermine the bilateral trade in oil and natural gas between  Russia and the Ukraine on behalf of the IMF which had demanded that this trade be conducted in US dollars rather than in terms of commodity barter.
They have sacked “our own” Prime Minister!
Yushchenko was accused by his opponents of having put the interests of the IMF ahead of those of the country. In 2001, Yushchenko was sacked as prime minister following a non-confidence vote in the parliament:
 ”Viktor Yushchenko has fulfilled obligations to the IMF better and more accurately than his duties to citizens of his our country, Olena Markosyan, a Kharkiv-based analyst, has opined in Ukrainian centrist daily Den” (BBC Monitoring, 16 Nov 2004)
“This [Yushchenko] government openly states that it executes all IMF recommendations. Though the government declares the social direction of its policy, actually it is carrying out an anti-social, anti-national policy,” said Communist Party leader Heorhiy Kruchkov ( quoted in Financial Times, May 17, 2001)
The international financial community took immediate action. The Ukraine was back on the creditors’ blacklist.
“The West, which openly put its stake on Yushchenko recently, is not likely to sit on its hands. There is no lack of instruments to bring pressure on Kiev. Most probably the question of resuming IMF, World Bank and EBRD credits to Ukraine will be put on hold because they were expressly linked with Yushchenko’s stay in power…. Talks with the Paris Club on restructuring Ukraine’s $1.2 billion debt may run into difficulty… Not surprisingly, (Ukrainian President) Leonid Kuchma yesterday hastened to distance himself from what is happening and spoke critically about the Rada [Parliament] decision. (Vremya Novostei, 1 May 2001, original Russian)
IMF Managing Director Horst Kohler was adamant. “Yushchenko has gained a lot of credibility outside of Ukraine, and I think he also deserves support inside of Ukraine.” (quoted in the Financial Times, 27 April 2001). The IMF Head did not mince his words:
“He added that the IMF respects Ukraine’s right to choose its leaders, but maintained that the direction of reforms must be preserved. He questioned the wisdom of the VR spending time on maneuvering for a vote of no-confidence in the government while reforms need to be implemented.”
Replicating Yugoslavia. The Partition of The Ukraine?
A few months after his dismissal in 2001, Yushchenko was in Washington for talks with senior members of the Bush administration. He was back in Washington in early 2003 under the auspices of the International Republican Institute. During this visit, he met with Vice President Dick Cheney and Deputy Secretary of State Richard Armitage.
The Neocons had carefully “set the stage” for the October-November 2004 presidential elections.
Yugoslavia was a dress rehearsal for the fracturing of the remnant republics of the former Soviet Union. As recent developments suggest, the break up of the country, namely the partition of The Ukraine, modeled on the experience of former Yugoslavia is, no doubt, one among several transition “scenarios” envisaged by the Bush administration.
Creating divisions between Ukrainians, Russians, Tatars in Crimea and other ethnic groups, between Russian Orthodox. Ukrainian Orthodox and Ukrainian Catholics, etc. is part of Washington’s hidden agenda.
Military Realignments in support of the Free Market
Militarisation supports the Free Market and vice versa. The CIA oversees the NED. The donor community including the Washington based Bretton Woods institutions collaborate with the European Union, NATO and the US State Department.
War and Globalization go in hand in hand. While Yushchenko is considered a protégé of the international financial community, his colleague and political crony, former Defense Minister Yevyen Marchuk is a unbending supporter of US and NATO military presence in the region.
It was largely the initiative of Yevyen Marchuk as Defense Minister to send Ukrainian troops to Iraq, a decision which was opposed by the majority of the Ukrainian population.
In August, Marchuk met with Defense Secretary Donald Rumsfeld at The Crimean seaside resort of Yalta.
On the agenda of the August talks: Ukraine’s participation in the Iraqi war theater but also the upcoming Ukrainian elections. Defense Minister Marchuk announced following these meetings that Kiev would continue to participate in “the coalition of the willing” and would maintain its troops in Iraq.
Marchuk was sacked in September, barely a month before the first round of the presidential elections.
Attempting a Coup d’Etat?
In a televised address on November 25th, Marchuk, sent a message to the military, police and security forces to disobey the authority of the civil authorities, namely the government of Leonid Kuchma.
“Ukraine’s former defense minister and head of the National Security and Defense Council has declared that he’s convinced that opposition leader Viktor Yushchenko is entitled to be recognized as the president of Ukraine.
Former Defense Minister Yevhen Marchuk called on President Leonid Kuchma and Prime Minister Viktor Yanukovych to exercise good sense. Marchuk underscored that there should be no bloodshed in Ukraine.
Marchuk appealed to state security officers not to fulfill illegal orders and to remember their official honor and dignity.
He stressed that election fraud in the Nov. 21 presidential run-off election, which the government says was won by Prime Minister Yanukovych, was on a mass scale. He said that there is only one way out of the tense political stand-off that has engulfed Ukraine since Monday: negotiations between equals.
Marchuk also appealed to Russian Ambassador to Ukraine Viktor Chernomyrdin to pass along to Russian President Vladimir Putin only objective information. He reminded officers of the Russian Black Sea fleet in Sevastopol that they are on the territory of a foreign government, and that they should remain mindful of that, calling on the Russian Federation’s defense minister to obey the law.”  (See Kiev Post, 26 Nov 2004 and Kanal 5 transcripts, BBC Monitoringm 26 Nov 2004)
This statement by Marchuk, which calls upon the Armed forces and the Police to go against the government, essentially sets the stage for a US-NATO sponsored Coup d’Etat.
Power Struggle: Oil and Pipeline Corridors
Behind the presidential elections, there is a power struggle between pro-US-NATO and pro-Russian factions within the leading political establishment and the military.
What is at stake is not only the maintenance of the IMF sponsored macroeconomic agenda, strategic US-NATO military interests in the region are also at stake.
The objective of the Bush Administration is to install a Ukrainian government which is firmly aligned with Washington, with the ultimate objective of displacing the Russian military from the Black Sea.
In this regard, The Ukraine has already signed several military agreements with NATO and Washington under the government of Leonid Kuchma.
The Ukraine is a member of  GUUAM, a military alliance between five former Soviet republics ( Georgia, Ukraine, Uzbekistan, Azerbaijan and Moldova). This military alliance was initially designed in 1997 by the Ukrainian  National Security Services (NSBU) in close liaison with Washington. Its objective was to undermine the alliance between Russia and Belarus, signed between Moscow and Minsk in 1996.
The Ukraine also signed agreements with Poland and the Baltic states, pertaining to the control of transport corridors and pipeline routes.
GUUAM lies strategically at the hub of the Caspian oil and gas wealth, “with Moldava and the Ukraine offering [pipeline] export routes to the West.” The objective of GUUAM was to exclude Russia from the Black Sea, protect the Anglo-American pipeline routes out of Central Asia and the Caspian sea  and essentially cut Russia off not only from the Caspian sea oil basin but also from the Black sea.
Coinciding with the ceremony of NATO’s 50th anniversary at the outset of the war on Yugoslavia in 1999, the heads of State from all five GUUAM countries were present including President Leonid Kuchma of The Ukraine. They had been invited to NATO’s three day celebration in Washington to sign the GUUAM agreement under NATO and US auspices.
Georgia, Azerbaijan and Uzbekistan, immediately announced that they would be leaving the Commonwealth of Independent States (CIS) security union, which defines the framework of military cooperation between the former Soviet republics, as well their links to Moscow:
“The formation of GUUAM (under NATO’s umbrella and financed by Western military aid) was intent upon further fracturing the CIS. The Cold War, although officially over, had not yet reached its climax: the members of this new pro-NATO political grouping were not only supportive of the 1999 bombing of Yugoslavia, they had also agreed to ‘low level military cooperation with NATO while insisting that ‘the group is not a military alliance directed against any third party, namely Moscow.’ Dominated by Anglo-American oil interests, the formation of GUUAM ultimately purports on excluding Russia from the oil and gas deposits in the Caspian area as well as isolating Moscow politically.” (Michel Chossudovsky, War and Globalization, the Truth behind September 11, Global Research, Montreal, 2002, Chapter V)

martedì 4 febbraio 2014

ULTIME PATETICHE DICHIARAZIONI DI OBAMA SUL RILANCIO DEL"SOGNO AMERICANO"

ULTIME PATETICHE DICHIARAZIONI DI OBAMA 

SUL RILANCIO DEL"SOGNO AMERICANO"
A. BOASSA


Barack Obama , pur consapevole delle oramai irrealizzabili fantasie di dominio planetario dei Cheney , dei Rumsfeld , della congrega di neoconservatori che hanno scatenato la "guerra infinita" , sapendo essere "realista" e prudente come si è evidenziato durante la crisi siriana , non ha potuto fare a meno di resuscitare "il sogno americano" . Che Obama se ne facia una ragione . Il XXI° secolo sarà il secolo dell'Impero Celeste . Del resto nella storia non sarebbe una novità . Come osserva Niall Freguson " Per ben diciotto degli ultimi venti secoli la Cina è stata ,in vario grado, la maggiore economia mondiale" .



L'attacco agli Stati Uniti è avvenuto non solo sul piano produttivo e commerciale ma anche e sopratutto sul piano valutario e finanziario mentre sul fronte militare la Cina ha oramai pareggiato il deterrente atomico Usa .

Ansa:"le esportazioni sono cresciute in ottobre del 5,6% su base annua ,superando le previsioni degli economisti , mentre le importazioni sono cresciute ad un ritmo superiore , il 7,6%" . Tali dati , oltre ad attestare il sempre buon andamento della produzione rispetto allo stato agonico degli Usa e sopratutto della UE , suggeriscono che la strategia di crescita è orientata in particolare sul mercato interno e da ciò non solo migliori condizioni di vita ma anche maggiore formazione professionale precondizioni per un successivo balzo in avanti . IlSole24Ore mette in risalto le grandi opportunità di occupazione dei giovani nelle grandi città .


E rispetto agli Usa esistono ancora sostanziali differenze nel volume del PIL calcolato in dollari , differenze colmabili in pochi anni Ma se il calcolo non è conteggiato in dollari ma in potere d'acquisto assistiamo ad una sostanziale parità tra le due economie.


Per quanto riguarda la velocità di crescita , Contropiano riporta una frase tranchant di Danilo Taino " vediamo che il sorpasso che sta avvenendo riguarda una macchina di F1 alle prese con un trattore..."


Secondo un gestore americano di fondi finanziari " La Cina possiede tra 4.000 e 8.000 tonnellate di oro...oltre ad essere la più grande importatrice e il più grande produttore di oro..." ha saputo fare incetta dai forzieri occidentali . Lo stesso personaggio ci dice che "nei forzieri della Federal Reserve Usa non c'è più nulla" .

A Bretton Woods il dollaro venne sanzionato come moneta di riserva dalle potenze vincitrici ma comunque agganciato all'oro . Con Nixon il dollaro si libera da questo impiccio e se nei primi tempi si realizza un uso misurato della stampa di carta moneta , da alcuni anni si assiste ad una produzione disinvolta di carta moneta che assieme ad un debito altissimo ha assicurato agli Usa una notevole capacità di spesa pagata da tutto il pianeta .


Ma si profila la fine del Bengodi americano . Il dollaro non è più l'intermediario "obbligatorio" nelle relazioni commerciali . La Russia è stata la prima a rispondere . Scambi commerciali Yuan/Rubli e prima borsa valori a commerciare in Yuan fuori dalla Cina . Creare zone di libero scambio ove fosse possibile bypassare il dollaro è stato il passo necessario della guerra valutaria . Asean-Cina nel 2010 in risposta al Trans-Pacific Partnership Usa . Perù , Cile , Costarica... in America latina . Svizzera , Islanda in Europa . Accordi valutari ottobre 2013 con la Bce . 



A metà del 2013 iniziata nella borsa australiana la negoziazione diretta in Yuan . Allo stato attuale gli scambi in valuta nazionale riguardono due dozzine di stati . Seconda moneta scambiata nel mondo dopo il dollaro , non sono pochi i governi che reputano che la moneta di riserva debba essere oramai lo Yuan (vedi Australia) . Obiettivo strategico di Pechino che in questa fase "si acconteterebbe" di un paniere in cui sia incluso lo Yuan .

Sul piano finanziario , la RPC ha sbaragliato facilmente la concorrenza con prestiti agevolati , crediti all'esportazione...(le guerre scatenate da Usa e Francia in Mali e in Centrafrica , la destabilizzazione nelle ex colonie francesi sono state motivate perché i governi non rispondessero alle "sirene" cinesi) .
Per esemplificare l'originalità e la complessità delle strategie finanziarie del "Celeste Impero" ricordiamo l'invenzione del "bitcoin"moneta elettronica che assicura scambi finanziari efficaci e rapidi che hanno contribuito secondo molti esperti a dare un'altra mazzata al dollaro , ad"assassinarlo". Il valore del "bitcoin" cresce smisuratamente . La Cina se ne appropria in gran parte poi decide di dimezzarne il valore per potenziarne la credibilità . 




Il gatto che gioca con il topo .
Ringrazio "Frammenti di realtà" per molte delle informazioni acquisite .


domenica 2 febbraio 2014

COMPETITIVITA' EURO IMPARI ALLA BASE DELLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE DEI PAESI PIIGS: Italia il caso Electrolux lo dimostra: il vero cuneo è quello dell’euro

COMPETITIVITA' EURO IMPARI ALLA BASE DELLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE DEI PAESI PIIGS: ITALIA Il caso Electrolux lo dimostra: il vero cuneo è quello dell’euro
Andrea Ricci


Il caso Electrolux, con la richiesta della multinazionale svedese di una drastica riduzione dei salari per evitare il trasferimento della produzione in Polonia, ha di nuovo acceso i riflettori sul cuneo fiscale e sulla bassa produttività del lavoro come cause primarie della perdita di competitività dell’industria italiana[1]. Sono davvero queste le ragioni fondamentali che spingono le imprese alla delocalizzazione produttiva?

Nella tabella[2] seguente sono riportati alcuni dati comparativi tra l’Italia e la Polonia, relativi alle retribuzioni e alla produttività del lavoro:

Le prime due colonne sono quelle che maggiormente interessano alle imprese nella scelta di localizzazione degli impianti. Esse mostrano come il salario lordo espresso in euro di un lavoratore polacco è poco più di un terzo di quello italiano, a fronte di una produttività media annua pari a due terzi. Ciò vuol dire che, investendo in Polonia la stessa somma di euro spesa per impiegare un lavoratore in Italia, un’impresa occuperebbe 2,82 lavoratori polacchi e produrrebbe un valore superiore di ben l’86%.

Le successive tre colonne sono invece quelle che più interessano ai lavoratori. La colonna 3 mostra l’incidenza del prelievo fiscale sulle retribuzioni in euro[3]. Dato il minor peso della tassazione, il livello salariale netto polacco raggiunge il 44,4% di quello italiano. Nelle colonne 4 e 5 i salari sono espressi in termini di parità dei poteri d’acquisto (PPPs) in dollari. Questa unità di misura garantisce un più veritiero confronto perché consente di eliminare le distorsioni derivanti dalle diverse monete, l’euro e lo zloty, e dai differenti livelli dei prezzi esistenti nei due Paesi. In tal modo, il livello retributivo polacco recupera terreno su quello italiano arrivando al 62,4% in termini lordi e al 78% in quelli netti. Quali conclusioni si possono trarre da tale confronto?

La prima conclusione è che il cuneo fiscale, nelle componenti della tassazione sui salari e dei contributi sociali, rappresenta una causa secondaria della minore competitività italiana. Se in Italia, a parità di salario netto, si applicasse lo stesso prelievo fiscale della Polonia, il salario lordo polacco sarebbe pari al 40,8% di quello italiano, pur sempre di molto inferiore al divario di produttività. Le convenienze localizzative delle imprese non muterebbero di molto rispetto alla situazione attuale. Un’altra tesi ricorrente sostiene che il problema consista in una bassa produttività del lavoro[4]

Questa tesi è però smentita dai valori della produttività espressi in PPPs riportati nella colonna 6 della tabella. In termini di potere d’acquisto la differenza tra i salari lordi italiani e polacchi è sostanzialmente allineata alla differenza di produttività, mentre per i salari netti è ben inferiore. Il rispetto della regola aurea, tanto cara all’economia neoclassica, dell’allineamento dei salari reali alla produttività del lavoro richiederebbe un aumento delle retribuzioni nette italiane di oltre l’11% rispetto a quelle polacche! 

Rimane allora una sola possibile spiegazione dello svantaggio competitivo dell’Italia rispetto alla Polonia, cioè la sopravalutazione del tasso di cambio reale, riflessa nei dati espressi in PPPs. Poiché in entrambi i Paesi nel corso dell’ultimo quindicennio i prezzi hanno avuto un andamento analogo e abbastanza stabile[5], il disallineamento del cambio reale deriva in larga misura da una sottovalutazione dello zloty nei confronti dell’euro. Pertanto la convenienza di imprese, come l’Electrolux, alla delocalizzazione produttiva risiede nel fatto che l’Italia ha adottato l’euro, mentre la Polonia, pur facendo parte dell’Unione Europea da un decennio, ha mantenuto la propria moneta nazionale. Persino le differenti tassazioni sul lavoro possono esser fatte risalire a ciò, poiché il minor prelievo tributario polacco è compensato da un maggior deficit pubblico, che nel periodo 1999-2012 è stato pari in media annua al 4,6% del Pil contro il 3,2% di quello italiano. Non dovendo sottostare alle politiche di austerità imposte dall’appartenenza all’euro, la Polonia ha potuto così scegliere una pressione fiscale inferiore al costo di un maggiore indebitamento pubblico[6]

La seconda conclusione è che se i lavoratori italiani accettassero un taglio dei salari nominali dell’ordine del 30-40%, quale quello richiesto dall’Electrolux, avrebbero retribuzioni nette in termini di potere reale d’acquisto ben inferiori a quelle dei loro colleghi polacchi e sprofonderebbero ai limiti o addirittura sotto la soglia di povertà assoluta[7]. È del tutto evidente che una simile strada è impraticabile. Esistono allora soluzioni alternative alla desertificazione industriale dell’Italia?

Una prima soluzione consiste nell’avvio di una seria politica industriale per innalzare il livello tecnologico della struttura produttiva in modo da competere sulle fasce più alte e qualificate della domanda internazionale, poco sensibili alla concorrenza di prezzo[8]. Questa soluzione solleva però due obiezioni fondamentali. La prima riguarda la necessità, almeno nella fase iniziale, di forti investimenti statali in opere pubbliche, infrastrutture materiali e immateriali, incentivi mirati ed anche nella costituzione di nuove e dinamiche imprese pubbliche nei settori innovativi a più alto rischio. Gli attuali vincoli posti dal Fiscal Compact, non consentono tali spese. La seconda obiezione è che anche qualora si reperissero le risorse, magari attraverso un allentamento della politica europea di austerità, questa strategia avrebbe tempi lunghi e non produrrebbe effetti di rilievo sull’occupazione e sulla produzione manifatturiera prima di parecchi anni. Nel frattempo la crisi economica e industriale sta precipitando, le imprese procedono alla chiusura degli stabilimenti e, quindi, si richiedono risposte immediate, a pena d’inevitabili sommovimenti politici e sociali. 

Esiste però un’altra soluzione, non alternativa alla prima, ma a essa propedeutica: quella del recupero della sovranità monetaria nazionale attraverso la fuoriuscita unilaterale dell’Italia dall’euro. In tal modo, da un lato si amplierebbero i margini finanziari per politiche di investimento pubblico, oggi represse dai vincoli imposti dalla Troika, e dall’altro lato si ripristinerebbe un valore corretto del tasso di cambio, allineato con l’andamento dei fondamentali macroeconomici, con i Paesi a noi più direttamente concorrenti, come quelli dell’Europa orientale e di altre aree emergenti. Gli effetti di una tale decisione sulla produzione industriale sarebbero immediati e allenterebbero la morsa della crisi sociale in atto, dando quel respiro, oggi mancante, all’avvio di politiche pubbliche di riconversione produttiva e ambientale dell’intero sistema economico italiano. 

In conclusione, il caso Electrolux dimostra come la questione della sostenibilità di un’unione monetaria non riguarda soltanto i meccanismi di aggiustamento degli squilibri interni, analizzati dalla teoria delle aree valutarie ottimali[9], ma attiene anche alla problematica conduzione di un unico e comune tasso di cambio verso i Paesi esterni all’area. L’attuale ordine monetario dell’Unione Europea, fondato sull’euro e su una pluralità di altre monete nazionali, è fonte di gravi e perversi squilibri, che alla fine rischiano di innescare processi di disintegrazione economica con il ritorno a politiche protezionistiche e nazionaliste in tutta Europa[10]. Anche per chi sostiene la necessità di ripristinare la sovranità monetaria nazionale, si pone quindi il problema della ridefinizione di un nuovo sistema monetario europeo[11], a meno di ipotizzare il ritorno a condizioni di autarchia come quella sperimentata con gravi danni dall’Italia nel corso degli anni Trenta del secolo scorso.

Note
[1] Così, ad esempio, il senatore e giuslavorista Pietro Ichino ha commentato la vicenda Electrolux: “Un costo del lavoro gravato da un prelievo fiscale e contributivo eccessivo; un livello medio troppo basso di produttività; la chiusura del nostro sistema agli investimenti esteri, che per lo più portano con sé piani industriali innovativi, che a loro volta aumentano la produttività del lavoro”, cfr. Ichino: “Electrolux, emblema di un sistema in crisi. Altro che ricatto”, il Piccolo, 29 gennaio 2014. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Alberto Orioli, Quel cuneo su auto e lavatrici, Il sole 24 ore, 30 gennaio 2014.
[2] I dati ricavati dal database OECD sono calcolati sul valore totale del GDP. I dati sulla produttività si riferiscono alla produttività annua per lavoratore e tengono conto del diverso ammontare di ore lavorate per occupato (1752 in Italia e 1929 in Polonia nel 2012).
[3] Secondo i dati OECD il prelievo fiscale lordo sul lavoro, comprensivo dei contributi sociali e previdenziali, era pari nel 2011 al 47,6% in Italia e al 34,3% in Polonia.
[4] La richiesta di Electrolux è stata preceduta da un documento dell’Unione Industriali Pordenone (redatto da un team composto tra gli altri da Cipolletta, Treu, Castro e Illy) in cui, oltre al taglio dei salari, si propone un aumento della flessibilità della manodopera per incrementare la produttività, cfr. Pordenone, laboratorio per una nuova competitività industriale.
[5] Cfr. Oecd - Consumer prices.
[6] A parità di altre condizioni, se l’Italia avesse potuto avere un deficit medio di bilancio pari a quello polacco, in valori attuali avrebbe avuto a disposizione ben 22 miliardi di euro all’anno negli ultimi 14 anni per ridurre le tasse o aumentare la spesa pubblica. Probabilmente le risorse sarebbero state maggiori perché la crescita del Pil ne avrebbe tratto benefici.
[7] La soglia di povertà assoluta ammonta a 922,41 euro mensili per una persona residente in un medio comune del Nord , cfr. Istat - calcolatore soglia di povertà.
[8] Per un’analisi della debolezza della specializzazione produttiva italiana cfr. Stefano Lucarelli, Daniela Palma e Roberto Romano, Il sostegno agli investimenti in un’economia tecnologicamente in ritardo, in Economia e Politica, 20 novembre 2013.
[9] Sui limiti della teoria delle aree valutarie ottimali cfr. Guido Iodice e Daniela Palma, Una critica alla Teoria delle Aree Valutarie Ottimali come spiegazione della crisi dell’euro, in keynesblog.com.
[10] Emblematica è in questo senso la posizione espressa da Marine Le Pen: contre le chomage, encore et toujours le protectionnisme, in Le Monde, 25 ottobre 2013.
[11] Su questi aspetti cfr. Andrea Ricci, Uscita dall’euro e integrazione europea: un binomio possibile, in sinistrainrete.info, 13 gennaio 2014 e Enrico Grazzini, Gli scenari dell’euro, in Economia e Politica, 11 gennaio 2014 - See more at: http://www.economiaepolitica.it/index.php/lavoro-e-sindacato/caso-electrolux-il-vero-cuneo-e-quello-delleuro/#.Uu6FuGTuKPQ

Il decreto IMU-Bankitalia regala miliardi (delle nostre riserve auree) alle banche e i media sorvolano sulla rapina.

Il decreto IMU-Bankitalia regala miliardi (delle nostre riserve auree) alle banche e i media sorvolano sulla rapina

osservatorioglobale.




 

Media, giornali e partiti politici, questa volta sono tutti d’accordo nello stigmatizzare il comportamento in aula dei parlamentari M5S. La cosa ce la stanno ripetendo fino alla nausea. E quindi mi è sorta una domanda: se hanno tutto il sistema contro, forse hanno toccato il tasto giusto? (lungi da me il voler fiancheggiare il M5S)
Ed in effetti il tasto è molto dolente, si tratta delle banche e del regalo di diversi miliardi che stanno ricevendo dal nostro governo con il nuovo decreto legge.
Nel 1936 la Banca d’Italia aveva un capitale pari a 300milioni di lire; il nuovo decreto ha rivalutato tale capitale in 7,5miliardi di euro. Col tempo la Banca d’Italia (Bankitalia s.p.a.) è divenuto un soggetto le cui quote sono detenute per il 95% da istituti privati e dal 5% dall’INPS (istituto pubblico). Ad essere più precisi: Intesa San Paolo s.p.a. 42,4%, Unicredit s.p.a 22,1%, Generali assicurazioni s.p.a 6,6%, a seguire altri istituti privati.
Il nuovo decreto, pensato dal ministro dell’economia Saccomani (ex direttore generale della Banca d’Italia) prevede una furbata allucinante (leggasi criminale) che permette alle banche ed agli istituti assicurativi di rubare una parte delle nostre riserve auree per rimpinguare le casse delle banche. Tale decreto obbliga le banche a vendere le proprie quote fino a possederne un valore non superiore al 3%. Se le banche non dovessero trovare compratori, cosa probabilissima, sarà Bankitalia a ricomprare le quote. In che modo? Attingendo dalle riserve auree, un bene inalienabile il cui proprietario è il popolo italiano.
Per Intesa San Paolo si tratta di un incasso di 2,9miliardi al lordo delle tasse e per Unicredit 1,6miliardi (fonte La Repubblica lunedì 31/01/2014).
Tutto questo per rafforzare le banche che, con o senza crisi, trovano sempre il modo per derubare al popolo. Ma sia ben chiaro, sempre in maniera legale.
(A titolo informativo, l’Italia possiede 2452 tonnellate di lingotto di riserve auree pari ad un valore di 23miliardi di euro. Buona parte di queste non sono custodite a Roma in via Nazionale ma nella Federal Reserve a New York. Furono trasferite là durante la guerra fredda per timore di un’eventuale vincita elettorale comunista o invasione da parte dell’URSS e, quindi, per supportare un’eventuale governo italiano in esilio. Dal termine della guerra fredda non si è mai accennato ad un ipotetico ritorno in patria.)

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