Sayli Vaturu
sa defenza sotziali
FRANCO MADAU PROCURARE DE MODERARE
Autodeterminatzione da sa Natzione Sarda.
La Confederazione Sindacale Sarda CSS, ha festeggiato il suo 25° anniversario della sua fondazione, a tre mesi della scomprasa del suo primo segretario natzionale Eliseo Spiga, si accinge, per bocca del suo Segretario Genaerale Giacomo Meloni, a dare più forza alla rivendicazione di più diritti del popolo lavoratore sardo chiedendo a gran voce l'autodeterminazione della nazione sarda.
La politica italiana ha evidenziato il suo totale fallimento nel rapporto con le "Regioni", meglio sarebbe dire "Nazioni", a Statuto Speciale.
Ciò che nacque per dare la più larga autonomia alle "regioni autonome", dal centro di potere romano, si è invece rivelata una gabbia che non permette la vera sovranità delle nazioni forzosamente assorbite da una logica spartitoria est-ovest all'interno dello stato Italiano.
Oggi son maturi i tempi per ridare la libertà alle nazioni senza stato , come la Sardegna , la Corsica , l'Euskadi, la Occitania, la Catalunia , la Galizia, la Vallè d'Aoste, il Friul, la Bretagne, Galles, Alba (Scozia), Cornovaglia e tutte le realtà nazionali senza stato che esistono nel mondo pacificato, e non.
Il sindacato sardo CSS ha improntato la sua politica sindacale sulla linea culturale etnica, oltre alla difesa del diritto al lavoro ha sempre sostenuto la specificità nazionale della nostra terra sarda, come lo fecero a loro tempo uomini di cultura come G.B. TUVERI, G. ASPRONI, E. LUSSU, A. GRAMSCI e A.S. MOSSA.
La questione federale, è di dibattimento ultra secolare in terra sarda.
Il professore Gianfranco Contu scrive delle nazioni senza stato, a cui è stata riconosciuta la identità nazionale come ad esempio le nazioni di influenza "inglese"...rivolgendo l'attenzione alla nazione sarda dice: "....Nulla o quasi di tutto questo è avvenuto in Sardegna. Dai motti angioiani del "triennio rivoluzionario" (1793-1796), alla rovente polemica suscitata dalla "perfetta fusione" con il Piemonte del 1847, alla nascita del primo movimento politico organizzato per l'autonomia dell'isola nel primo dopoguerra (il Movimento dei combattenti sardi e subito dopo Partito Sardo d'Azione), la richiesta d'autonomia non venne mai fondato sul principio dell'esistenza della nazionalità sarda.... Una vera e propria richiesta di indipendenza statuale, non venne avanzata in Sardegna , forse anche per la particolarre e difficile collocazione dell'isola (al centro del Mediterraneo Occidentale) e quindi anche per i delicatio equilibri politici che avrebbe potuto comportare. (La temtica indipendentista è giunta in Sardegna molto più tardi, alla finìce degli anni sessanta del secolo XX, legata alla nascita del movimento neosardista..."
Crediamo che sia ora di riprendere il percorso iniziato nel 1793 da G.M. Angioi e rivendicare il diritto della nostra nazione all'autodeterminazione, all'identità e alla specificità della nostra etnia, la creazione in forma federale della nostra statualità, finalmente sovrana.
SA DEFENZA SOTZIALI
Il segretario della CSS Giacomo Meloni
Guido Corniolo sindacato valtostano SAVT
Il segretario nazionale del PSd'Az Giovanni Colli
Il coordinatore nazionale di SNI Bustianu Cumpostu
il presidente nazionale di iRS Gavino Sale
la poetessa indipendentista Paola Alcioni
professor Mario Pudhu
l'Onorevole Federico Palomba de IdV
Valter Erriu "Sayli Vaturu" portavoce di NO NUKE una risata sardonica vi seppellirà
Roberto Spano Rete Sarda Doposviluppo
Franco Melis Launedhas Franco Madau Ghitarra
domenica 21 febbraio 2010
domenica 14 febbraio 2010
Nucleare, attenti al referendum
Domanda ai candidati alle regionali: «Farete una centrale, sì o no?»
«Una centrale nucleare nella mia regione sì o no?». E' la domanda - da intendere non come provocatoria, ma del tutto opportuna - che Legambiente rivolge a tutti i candidati alle prossime elezioni regionali. Finora hanno risposto con un secco «no» ben 23 candidati di tutti gli schieramenti politici, dalla Lega al Pd, passando per l'Udc e per il Pdl. Sono nove, invece, i candidati che ancora non si sono espressi e solo 6 quelli che dicono apertamente sì al nucleare (vedi schema accanto, ndr). Tra questi viene giustamente conteggiata anche la posizione «furbetta» di Roberto Formigoni, attuale governatore e candidato al «tris», il quale si dice favorevole al nucleare assicurando però che una centrale non verrà mai costruita in Lombardia. «Quello che è certo finora è che il no al nucleare sembra mettere d'accordo tutti i candidati alle regionali - spiega Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente - il governo deve smetterla di ingannare gli italiani sulle possibilità del nucleare, che rimane una scelta folle da un punto di vista economico ed energetico. Nessuna nuova centrale deve essere realizzata senza il consenso degli italiani».
Mario Agostinelli e Alfiero Grandi
ilmanifesto.it
Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: questo governo vuole ad ogni costo tornare al nucleare e sottovalutarne l'iniziativa sarebbe un grave errore.
In altri campi quando il governo ha capito che rischiava di restare isolato ha cambiato strada, questa volta no. Eppure la maggioranza delle Regioni (13) ha fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la legge 99/2009 che reintroduce il nucleare in Italia. Perfino Zaia afferma che il nucleare si può fare ma non nella Regione in cui si candida Presidente, fingendo di dimenticare di avere contribuito a questa folle scelta come Ministro di questo governo. È uno dei segnali che il gradimento del nucleare nell'opinione pubblica è molto basso e che solo la pressione della lobby affaristica, guidata in Italia dall'Enel e da un corposo settore di Confindustria, per ora mantiene l'argomento all'ordine del giorno.
Il governo punta a consolidare un blocco di interessi molto in sintonia con la sua politica economica, ma si preoccupa anche di cercare consenso nell'opinione pubblica e di non avere intralci alla propria determinazione. Tanto è vero che dopo la richiesta dell'Amministratore delegato dell'Enel di togliere i poteri alle Regioni in materia di energia e nucleare il ministro Scaiola non ha trovato di meglio che affermare la stessa cosa e di denunciare le leggi di «denuclearizzazione» di Puglia, Basilicata e Campania. Intanto emergono episodi inquietanti, come la distribuzione dell'opuscolo «Energia per il futuro» come inserto di alcune pubblicazioni diocesane. Un libretto patinato prodotto da «Sviluppo nucleare Italia» con «accattivanti» citazioni papali e cardinalizie che dovrebbero testimoniare come il magistero della Chiesa sia favorevole al nucleare civile.
Il Governo intanto mente sui conti e sui costi. Come tutti sappiamo, le centrali costano enormemente di più di quanto si dice. Se venissero calcolati anche smantellamento e scorie, come si dovrebbe fare, l'energia elettrica da nucleare risulterebbe anche finanziariamente insostenibile. Il risparmio il governo lo individua nell'unico aspetto che dovrebbe avere risorse adeguate: l'Agenzia per la sicurezza, dove assicura che spenderà poco. In realtà una creatura rachitica perché non deve essere in grado di disturbare le decisioni della lobby nuclearista. Se poi la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente ne risentirà pazienza, come prova l'incredibile ruolo assegnato ai privati nella costruzione e nella gestione degli impianti, tutto orientato a trasferire gli aspetti dell'incolumità e della salute dentro la logica del mercato. Del resto fa il paio con una legislazione che taglia fuori le Regioni, gli enti locali e i cittadini, tanto è vero che non solo il governo vuole decidere da solo, ma pretende di imporre la militarizzazione dei siti nucleari prescelti.
Per di più Scaiola non vuole ammettere che il nucleare, per i lunghissimi tempi di approntamento, non permetterà di rispettare gli obiettivi di Kyoto entro il 2012, per cui i cittadini - come avvisa il Kyoto Club - pagheranno un debito accumulato dal 2008 di oltre 3 milioni di euro al giorno, con sicuri riflessi anche sulla loro bolletta della luce. Mentre puntare sulle energie da fonti rinnovabili e all'obiettivo europeo «20/20/20» permetterebbe di iniziare subito a rientrare nei parametri, creerebbe - secondo Cgil e Legambiente - almeno 100.000 posti di lavoro qualificati e non farebbe correre rischi alla salute dei cittadini e dei lavoratori.
Per questo siamo d'accordo con Cogliati Dezza (il manifesto del 4 Febbraio) sulla costituzione da subito di un coordinamento di tutte le forze che sono contro il nucleare. Aggiungiamo che in questa fase preelettorale la scelta contro il nucleare deve caratterizzare le coalizioni che si candidano a governare le Regioni. Nessun voto deve andare a chi è a favore del ritorno del nucleare, o lo appoggia dissimulandone le conseguenze come fanno Formigoni e la Lega in Lombardia.
È importante che anche questa occasione faccia crescere l'informazione e la conseguente opposizione alle centrali e ai depositi, garantendo l'elezione di governi regionali schierati contro l'atomo, ma anche sollecitati allo sviluppo dell'alternativa del sole. È il modo migliore per sostenere i ricorsi che molti consigli regionali hanno fatto alla Corte Costituzionale contro la legge 99/2009.
Resta il problema del referendum abrogativo della legge 99/2009. Certo il referendum non è strumento da prendere alla leggera. Tuttavia non si può ignorare che la decisione di promuoverlo è già in campo. Se l'iniziativa referendaria contro il nucleare si collegasse a quella ormai decisa per l'acqua - il cui esito corre rischi analoghi - in nome di una forte presa dei temi della vita, della sopravvivenza, della giustizia climatica e sociale, è fondamentale chiedere con forza che diventi veramente un'iniziativa larga, tale che possa essere condivisa da tutte le componenti dello schieramento contro il nucleare auspicato da Cogliati Dezza.
Potremmo così accompagnare al «no» sul nucleare un «sì» ad una proposta di legge di iniziativa popolare fondata sulle energie rinnovabili e cercare di unificare il fronte dei beni comuni - acqua, energia, alimentazione - in una narrazione coerente e desiderabile.
martedì 9 febbraio 2010
SARDEGNA PRESENTATO REFERENDUM CONSULTIVO SUL NUCLERE ALLA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI
Stamane mattina di fronte al tribunale di Cagliari in una giornata piovosa e freschina Sardigna Natzione convoca la stampa per presentare ai media la raccolta firme terminata positivamente con una numero superiore di oltre seimiladuecentottantasei firme al minimo di diecimila richieste per legge, e per la sua consegna in mani della Corte d'Appello di Cagliari, il numero significativo di firme significa una grande attenzione del popolo sardo molto sensibile ad un problema che si profila di importanza vitale per la sua terra ed il futuro delle sue generazioni avvenire.
Senza fare terrorismo psicologico, affermiamo con nozione di causa che se dovesse accadere un incidente come quello di Chernobyl nella nostra terra di Sardegna, questo significherebbe la totale scomparsa di un popolo dalla faccia della nostra amata terra Gaia, e Noi?
Noi non siamo disponibili ad accettare un tale scempio ed olocausto in nome del profitto e del modernismo stupido di pochi uomini a discapito di una comunità come la nostra specifica sarda.
Non possiamo permettere ad un governo coloniale, ne ITALIOTA ne di altro luogo, di attuare le stesse politiche di distuzione e di eliminazione fisica dei nostri uomini donne e bambini che in altri luoghi si commettono nostro malgrado e impotenza, ma che condanniamo con forza senza se e senza ma, come avviene per il popolo di Palestina o dei popoli di America nei confronti dei nativi americani, sono attuati e sostenuti senza che nessuna nazione del mondo levi un grido di dolore e di solidarietà a loro difesa.
Noi sapremo difenderci con determinazione ed intento univoco fino alla vittoria!!
domenica 7 febbraio 2010
Manifestatzione 05.02.010 CA per la SOVRANITA' DEL POPOLO SARDO: lavoro ambientalmente pulito per uno sviluppo sostenibile e non invasivo
Mettiamo le interviste che abbiamo girato all'area sindacale indipendentista e sardista della natzione sarda durante la manifestazione del 05 febbraio 2010 a Cagliari , dove son scese in piazza più di 50.000 persone, tra lavoratori , pensionati e persone arrabiate, ovvero tutti coloro che hanno mostrato di esprimere la propria indignazione e disagio per la situazione di sofferenza economica del popolo sardo.
Una Sardegna schiacciata dall'arroganza del governo centrale italiota, mette a dura prova la dignità sempre più vituperata dai colonialisti, che oltre tutto pongono un dictat economico di sofferenza inacettabile dalla coscienza sarda.
SA DEFENZA SOTZIALI
sabato 6 febbraio 2010
PROPOSTA DELLA FONDAZIONE SARDINIA:"AUTODETERMINAZIONE" E GOVERNO SOVRANO DELLA SARDEGNA
Cagliari, 3 febbraio 2010
All’on. Claudia Lombardo
Ordine del giorno voto al Parlamento
(art. 51 Statuto Sardo)
Il Consiglio regionale della Sardegna
premesso
che la Mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma
-“il diritto del Popolo Sardo di essere padrone del proprio futuro”,
- “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l'intero Popolo sardo, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto” ,
premesso
il diritto del Popolo Sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal Patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
constatato
che l’ attuale regime di Autonomia
– non ha realizzato il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico,
– non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione,
- mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la libertà e la prosperità,
- acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
constatato
che la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna, nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
considerato
che l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;
che mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico;
che la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo;
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina” , riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia Sabauda in cambio della ‘fusione perfetta’ con gli stati della terraferma”,
dichiara
politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948. E, pertanto,
disconosce
la petizione portata avanti dalle Deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…” (Deliberazione del Consiglio Generale di Cagliari, del 19 novembre 1847); altresì
denuncia
come non valida la concessione della ‘perfetta fusione’ deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà nelle altri stati italiani in vista dell’unità del 1861 -, in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale. Conseguentemente
chiede
al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del Popolo Sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana;
rivendica
il diritto di partecipare al processo di riforma secondo le forme che la legittima rappresentanza del Popolo Sardo vorrà seguire ,
- nel rispetto della sovranità popolare e della natura “nazionale” del suo popolo,
- nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna,
– nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza ma non ancora nella forma costituzionale,
- nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia.
Il Consiglio Regionale della Sardegna
ribadisce, infine,
nel rispetto della propria tradizione democratica,
- i valori di coesione economico – sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa
- l’amichevole collaborazione alle comunità ed agli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni";
dà avvio
alla elaborazione del nuovo Statuto - Costituzione della Sardegna tramite un’assemblea costituente il cui lavoro verrà confermato da questo Consiglio regionale con il voto e dai cittadini sardi tramite referendum.
All’on. Claudia Lombardo
e agli Onorevoli componenti il Consiglio regionale della Sardegna
Egregio Onorevole,
Le scrivo nella mia qualità di presidente della Fondazione Sardinia, l’associazione culturale che da diciannove anni collabora con le istituzioni e con la comunità sarda al fine di promuovere “la presa di coscienza e il diretto protagonismo dei Sardi verso obiettivi di autoconsapevolezza e di protagonismo economico, sociale, politico e culturale”.
In questa prospettiva, il 2009 è stato dedicato al tema dell’identità: a come l’identità culturale e linguistica si traduca in identità politica ed economica, nella convinzione che le cose si dicono facendole e si fanno dicendole. Un’identità politica che si esprime in precise riforme istituzionali, un’identità economica che vede nella valorizzazione delle risorse locali il dispositivo di crescita e di fiducia nelle proprie intraprese: quanto più un prodotto si caratterizza in senso identitario( formaggio, sughero, granito, agroalimentare, ambiente, turismo, cultura) tanto più entra nel mercato e nella comunicazione mondiale. Sul versante politico-istituzionale, una particolare attenzione è stata rivolta all’Autonomia, al Federalismo, all’Indipendentismo, facendo tesoro di contributi importanti da parte di politici, giuristi, esperti di economia e finanza ma anche di protagonisti delle riforme catalane. Pur nel ventaglio delle differenti convinzioni politiche, è emersa una sostanziale comunità di intenti sui valori di Sovranità e di Autodeterminazione e sul significato identitario di Popolo Sardo e di Nazione Sarda. E’ stato osservato che questi valori non hanno trovato nelle forze politiche e nei singoli partiti una consapevolezza di impegno e di lotta capace di tradurli nelle corrispondenti riforme istituzionali. Perciò è nata l’esigenza di presentare al massimo organismo della Comunità sarda, il Consiglio Regionale, al Presidente e a ciascun Consigliere, il documento, previsto dall’art. 51 dello Statuto Sardo, che ha quale referente storico l’ordine del giorno-voto approvato dal Consiglio regionale il 10 maggio 1966 e prosegue nel solco intrapreso dalla mozione sulla sovranità del Popolo sardo approvata dallo stesso Consiglio il 24 febbraio 1999.
Cordiali saluti
Il Presidente della Fondazione Sardinia
(Bachisio Bandinu)
P.S. Questa lettera viene inviata a ciascun Consigliere regionale perché l’impegno di lotta e la responsabilità politica ed etica non appartengono soltanto all’Istituzione in quanto tale ma a ogni singola persona chiamata a rappresentare il Popolo Sardo.
Ordine del giorno voto al Parlamento
(art. 51 Statuto Sardo)
Il Consiglio regionale della Sardegna
premesso
che la Mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma
-“il diritto del Popolo Sardo di essere padrone del proprio futuro”,
- “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l'intero Popolo sardo, ai sensi dell'articolo 24 dello Statuto” ,
premesso
il diritto del Popolo Sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal Patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
constatato
che l’ attuale regime di Autonomia
– non ha realizzato il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico,
– non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione,
- mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la libertà e la prosperità,
- acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
constatato
che la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna, nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
considerato
che l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;
che mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico;
che la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo;
riafferma
i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina” , riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia Sabauda in cambio della ‘fusione perfetta’ con gli stati della terraferma”,
dichiara
politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948. E, pertanto,
disconosce
la petizione portata avanti dalle Deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…” (Deliberazione del Consiglio Generale di Cagliari, del 19 novembre 1847); altresì
denuncia
come non valida la concessione della ‘perfetta fusione’ deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà nelle altri stati italiani in vista dell’unità del 1861 -, in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale. Conseguentemente
chiede
al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del Popolo Sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana;
rivendica
il diritto di partecipare al processo di riforma secondo le forme che la legittima rappresentanza del Popolo Sardo vorrà seguire ,
- nel rispetto della sovranità popolare e della natura “nazionale” del suo popolo,
- nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna,
– nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza ma non ancora nella forma costituzionale,
- nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia.
Il Consiglio Regionale della Sardegna
ribadisce, infine,
nel rispetto della propria tradizione democratica,
- i valori di coesione economico – sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa
- l’amichevole collaborazione alle comunità ed agli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni";
dà avvio
alla elaborazione del nuovo Statuto - Costituzione della Sardegna tramite un’assemblea costituente il cui lavoro verrà confermato da questo Consiglio regionale con il voto e dai cittadini sardi tramite referendum.
lunedì 25 gennaio 2010
La rivoluzione del mandorlo; SARDEGNA: STATUTO E SOVRANITA'
24.01.2010
Convegno a Santa Cristina di Paulilatino
Organizzazione:
FONDAZIONE SARDINIA
TEMA
SARDEGNA: STATUTO E SOVRANITA'
Movimenti presenti:
iRS (indipendentzia Repubrica de Sardigna)
SNI (Sardigna Natzione Indipendentzia)
PSdAz (Partito Sardo d'Azione)
ROSSOMORI
SD (Sardegna Democratica)
SA DEFENZA SOTZIALI
Il mattino prometteva una giornata radiosa (24.01.010) , il sole era alto, ed il cielo bello azzurro e terso, qualche piccola discussione tra amici per le scie chimiche che vedevamo a distanza tracciate sul nostro bel cielo, e si intrecciano e incrociano a modo di triangoli e quadrati a nord ovest di Santa Cristina di Paulilatino (SCP) dove noi indipendentisti insieme ad altri soggetti sardisti stavamo per convenire e dialogare su: Sardegna, Statuto e Sovranità , organizzato dalla Fondazione Sardinia.
Il nostro ospite Salvatore Cubeddu, presenta i partecipanti al convegno: Giovanni Colli, Renato Soru, Carlo Sechi, Pietrino Soddu, Bustianu Cumpostu, Gavino Sale, Uriel Bertram (parlamentare indipendentista catalano), Elizenda Paluzie (Preside della facoltà di economia Università di Barcellona), Jordi Mirò (leader dell’indipendentismo catalano).
Un nuovo soggetto aleggia nell'aria la Natzione Sarda.
Un convegno che risponde positivamente, finalmente, alle istanze di rivedimento degli accordi sbagliati del No vembre del 1847 con il Re Savoiardo usurpatore della nostra sovranità!
Inizia il dibattito Carlo Sechi dei Rossomori di Alghero che inizia con la lettura dello statuto della natzione Catalana e rimembra la sua appartenenza a tale cultura, (ad Alghero si parla catalano), in realtà fa un d
iscorso più sindacale che appropriato all’argomento del convito.
L’onorevole Pietrino Soddu , nonostante il suo passato di ex democristiano, non ha deluso le aspettative del convegno nè la capacità oratoria e storica, che ha scaldato la platea con un bel intervento imperniato sulla storia della perdita dell’indipendenza sarda del 1847/48, a motivo della povertà economica e culturale a cui sottostava la Sardegna popolare ed intelletuale di allora.
La speranza era, che, la fusione producesse una qualità di riscatto dalla fame e dalla sudditanza che però ben presto venne frustrata e consumata dagli imperialisti e aproffittatori Piemontesi, altro che fruttuoso accordo per la causa Sarda!
La rinnovata perdita dell’indipendenza si ebbe nel 1948 con la emanazione della cosidetta Autonomia della regione Sarda profusa dallo stato Repubblicano Italiano uscito dalla guerra dichiarata dallo stato fascista, ha mantenuto e palesato lo stesso comportamento con la nostra natzione, sostenuto dal nuovo Meri Americanu.
La cosa non ha prodotto alcun buon risultato per la nostra causa , anzi, ha determinato una ulteriore sudditanza a livelli coloniali, che ancor oggi a distanza di sessanta anni e più continuiamo a scontare, e l'evidenza la vediamo nello sfruttamento che attuano nel nostro territorio con la occupazione militare di enormi quantità di territorio ,( in mare più di due milioni di ettari più di mille volte lìestensione della nostra terra), con ricadute ambientali drammatiche sia per la questione sanitaria che per la questione sociale,(malattie come linfomi, leucemie e incompatibilità genetiche sono diffuse a morivo delle sperimentezioni attuate sulla nostra terra), inoltre la impari dignità, autor ità e sovranità, proprio il contrario di quanto era sottinteso nell’accordo del 1847/48, è stata ampiamente smentita dalla Storia, e se si vuole essere concreti e realisti essa ci ha creato più problemi che soluzioni pragmatiche, cosa ci induce ad essere ancora soggetti a tale accordo?
Abbiamo bisogno ancora d'altro per capire ch'è giunta l'ora della separazione consensuale?
Nulla di tutto ci ò è da considerarsi attivo e gratificante per Noi Sardi, e pensiamo sia giunta l'ora ed è questa, che sia il caso di rimettere in discussione tutto l'apparato sia legislativo che economico che militare, costruito e costituito sullo sfruttamento di una sola parte: la nostra, perciò affermiamo che è ora di riprenderci la nostra libertà!
Noi de Sa Defenza pensiamo che su tale accordo che virtuale non era, dobbiamo tagliare corto e cancellare la nostra so fferenza centenaria , abbia mo appurato che se c'è stato beneficio c'è stato solo per gli "amici" Italiaoti, di conseguenza non vogliamo essere da meno da loro, e perciò un solo eco vogliam sentire: ognuno d'ora in poi và per la sua strada!
Anche il Segretario del PSdAz Giovanni Colli , ha messo il punto sulla proposta loro che giace nel parlamento Regionale, la dichiarazione di indipendenza dall’Italia, cui il PdL loro alleati di governo ha per ora messo in un cassetto che spera diventi un dimenticatoio. Il segretario Colli ha affermato che presto s arà posta la questione che non può essere più rinviata a sine die.
Bustianu Cumpostu Coordinatore di Sardigna Natzione Indipendentzia, ha avanzato l’idea di consultare parallelamente, il popolo sardo, alle elezioni provinciali che si terranno a Maggio, per vedere e capire se è comune sentire l’argomento sovranità e autodeterminazione della patria sarda.
Gavino Sale Presidente di iRS Indipendentzia Repubrica de Sardigna, ha posto l’accento sul referendum Catalano che ha portato 60 paesi a votare sull’indipendenza Catalana dalla Spagna, vi è stat o un indubbio successo che ha visto il 60% dei votanti dei circa 700.000 elettori esprimersi sul referendum dell’autodeterminazione della Catalunia, di questi che hanno votato il 95% si è espresso a favore della indipendenza della loro nazione catalana.
Renato Soru ha rivendicato la bontà del suo governo della passata legislatura ed ha ribadito la giustezza delle leggi salva coste e delle tasse per gli Yacht, gli esempi adotti sono sicurame nte chiari ed esaustivi della giustezza delle sue dichiarazioni.
I patrioti catalani, con l’intervento del Deputato Catalano Uriel Bertram e la Preside Elizenda Paluzie, ci hanno sp ie ga to gli aspetti che li riguarda rispetto alla loro attività e la lotta attuata per la loro libertà dalla Spagna, e ci hanno invitato a far riferimento all’Europa dei popoli che anche se non ancora rappres entata dall’attuale governo Europeo bisogna farvi riferimento affinchè la propria soggettività e identità sia accettata e riconosciuta dall’istituzione sovranazionale Europea...
La giornata è stata proficua per la Sardegna ed il suo popolo , abbiamo visto finalmente l’unità d’intenti
di parte rilevante dei soggetti politici rappresentanti dei sardi e la natzione sarda.
Abbiamo visto consumarsi davanti ai nostri occhi la divisione in seno ad iRS; da una parte la Segretaria Demuru, espressione della linea Sedda-Sanna, ha attaccato frontalmente la posizione collaborativa del suo Presidente smentendo le posizioni da Lui espresse, dall'altra l’accorato discorso di Gavino Sale “agli uomini ed alle donne di iRS” a prendere una posizione a favore dell’unità del progetto esposto dall’assemblea che teneva il convegno, Gavino Sale ha reso manifesta la divisione interna.
Ha manifestato a favore di una più ampia coalizione, rappresentativa della costituzione statuale, della sovranità e dell’autodeterminazione della natzione sarda.
autori V.Erriu
martedì 19 gennaio 2010
ARRIVA IL BENGODI NUCLEARE
DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com/
Siccome le mappe eoliche del CESI [8] stimano nella aree marine del basso Adriatico, del Canale di Sicilia e del Sud della Sardegna (fondali inferiori ai 100 m) una produzione alla massima potenza per +3.000 ore l’anno, quegli aerogeneratori produrrebbero, sempre in 25 anni, circa 404 milioni di MWh (404 TWh). 124 TWh in più della centrale nucleare!
Crediamo bene che gli alfieri della “estetica ambientale” si spellino la lingua, in TV, contro l’eolico: potremmo addirittura ipotizzare che qualcuno paghi, e parecchio, per tanto fervore!
Difatti, negli altri Paesi stanno abbandonando il nucleare per investire nell’eolico: lo fa, addirittura, l’ENEL in Texas!
124 TWh in più senza considerare che la manutenzione dell’eolico è infinitamente meno onerosa rispetto ai costi del materiale fissile, del personale e della custodia delle scorie (peraltro, ben lontana dal trovare una soluzione)!
A questo punto c’è la solita obiezione: le rinnovabili non sono affidabili poiché intermittenti, poco costanti.
Ciò è vero, e sarebbe una follia affidarsi al solo eolico.
Carlo Rubbia – oramai solo “di passaggio” in Italia – non ha mancato di “tirare le orecchie” al governo per lo strampalato piano energetico di Scajola & Co: riteniamo che un Nobel italiano, il quale sta operando proprio nel campo delle rinnovabili (solare termodinamico), almeno il diritto di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (per come è stato trattato…) ce l’abbia.
In qualsiasi Paese – diciamo solo “normale” – sarebbe Rubbia a stendere il piano energetico, anche perché il solare termodinamico sta funzionando benissimo in Spagna, i tedeschi stanno cercando joint venture per installarlo in Africa, Israele ci sta pensando, così l’Algeria, il Marocco…
Insomma, tante nazioni rivierasche del Mediterraneo puntano su sole e vento…e noi – ma saremo proprio i più furbi della nidiata? – pianifichiamo un obbrobrio costoso, tutto d’importazione, meno redditizio e…ancora cantiamo?
Un serio piano energetico dovrebbe poggiare principalmente su tre direttrici: solare termodinamico, eolico e biomasse di scarto. Perché?
Poiché le energie naturali sono anche energie stagionali, ossia dipendenti dalla meteorologia, dalla stagione, dai capricci del tempo.
Se è vero che il solare termodinamico, grazie all’inerzia delle alte temperature generate, riesce a soddisfare anche la richiesta notturna (che è sensibilmente inferiore di quella diurna, circa 1/6), poco può fare quando ci sono prolungati periodi di cielo coperto. In Inverno, ad esempio.
Ma, proprio in Inverno, in Primavera ed in Autunno la circolazione dei venti è consistente, favorendo così l’eolico. Il quale, è certamente meno favorito d’Estate (ampia omeotermia nel Mediterraneo, e quindi ridotta circolazione dei venti), quando il termodinamico raggiunge le migliori rese.
Ogni anno, poi, in Italia generiamo 30 milioni di tonnellate di scarti dell’agricoltura, della silvicoltura e delle industrie di trasformazione (segherie, ecc): scarti “puliti”, non come i rifiuti, materiali che si possono utilizzare ovunque.
Calcolando in circa 4.000 Kcal/Kg l’energia che si può ricavare da quegli scarti, essi corrispondono all’incirca a 12 MTEP, ossia a 12 Milioni di Tonnellate di Petrolio, circa il 6% del fabbisogno energetico nazionale.
Di più: proprio perché quegli scarti non inquinano, potrebbero essere utilizzati in un ciclo combinato, ossia per produrre energia elettrica e riscaldare le abitazioni con il vapore esausto delle turbine.
Oggi, nelle centrali termoelettriche, il rendimento non supera il 35%: la gran parte dell’energia se ne va, sprecata, nei fiumi e nel mare, nelle acque usate per il raffreddamento nei condensatori. Nelle centrali a ciclo combinato – proprio perché il calore non viene dissipato bensì utilizzato per riscaldare le case – il rendimento raggiunge già oggi il 60% [9], ma con l’affinarsi delle tecnologie potrebbe migliorare.
Vorremmo proporre una considerazione ed un’esortazione.
Abbiamo fior fiore di tecnici e ricercatori, bravissimi, in grado di progettare e migliorare qualsiasi settore energetico: sanno fare bene il loro lavoro, al punto che alcune piccole industrie lavorano come sub-contraenti per l’industria eolica.
Abbiamo aziende in grado di produrre meccanica di precisione, elettronica di supporto, ecc: non sono questi i problemi.
Mancano filosofi.
Ci vogliono persone in grado di dialogare, di proporre, di valutare – senza pelli di salame agli occhi – le future scelte.
Avere un Rifkin sarebbe chiedere troppo?
Forse mi sono sbagliato, i “filosofi” ci sono: non mancherà, per caso, chi li dovrebbe interpellare? Ad ascoltare certe fregnacce televisive, il dubbio viene.
E veniamo all’esortazione.
Prima di gettare nel nucleare del 2020 miliardi che, per ora, manco ci sono, perché non modificare il piano energetico – a questo punto suddiviso su più esercizi finanziari e con “ritorno” quasi immediato degli investimenti, non nel 2020 – su quelle tre direttrici come esperimento pilota?
Tralasciamo, in questa sede, altre forme d’energia, il risparmio energetico e il dilemma di scegliere fra grandi impianti oppure sistemi per l’autosufficienza energetica: la questione diverrebbe troppo complessa, e ci torneremo in un prossimo articolo.
Restringendo l’indagine a questi soli tre sistemi di produzione energetica: quale scenario potremmo ipotizzare?
Alcune centrali termodinamiche nel Sud, “campi” eolici in mare e centrali a biomasse laddove c’è più produzione di scarti agricoli. Poi, fra pochi anni – da tre a cinque, non nel 2020 – potremmo già tracciare delle conclusioni, verificare i problemi, migliorare i sistemi, ecc.
Distribuendo i campi eolici al limite delle acque territoriali (12 miglia, circa 23 Km, invisibili da terra), in tre zone ben definite: le coste adriatiche pugliesi, il Canale di Sicilia e l’area a Sud di capo Teulada, l’incostanza del sistema eolico sarebbe compensata dalla distanza poiché, chiunque abbia un minimo d’esperienza di mare, sa che è praticamente impossibile avere le medesime condizioni di vento in aree così distanti.
Le centrali a biomasse potrebbero sorgere nei pressi di grandi città della pianura padana (forte produttrice di scarti agricoli), così da non incorrere in significative perdite per il trasferimento sulla rete elettrica di distribuzione e facilitando, per la stessa ragione, il teleriscaldamento delle abitazioni. Funzionando prevalentemente durante l’Inverno, compenserebbero la scarsa produzione termodinamica. Un’accorta programmazione – dato che il trasporto delle biomasse è uno dei principali fattori di costo – prevedrebbe, in parallelo, di riattare la rete fluviale italiana, dal Po ai canali limitrofi, compresa l’area veneta, ed un maggiore impulso alla navigazione di cabotaggio. Sono interventi non molto costosi, per altro finanziabili in parte con fondi europei.
Per le centrali termodinamiche servono poche parole: che fine ha fatto la modesta centrale sperimentale di Priolo Gargallo, appaltata all’ENI per la costruzione e la messa in esercizio? Di questo passo, potremmo dare in appalto l’Arma dei Carabinieri ad una holding paritetica fra Mafia, Camorra e N’drangheta.
In realtà, il termodinamico sta avanzando nel Pianeta [10], e in Spagna stanno passando dalle prime centrali da 50 MW a quelle, in fase di progettazione, da 300 MW. Se e quando funzionerà Priolo Gargallo, sarà una delle prime centrali progettate, ma avrà la minor potenza fra tutte le altre: 5 MW.
Tutto questo, nonostante Rubbia abbia dimostrato che una superficie di specchi pari a quella compresa all’interno del raccordo anulare di Roma provvederebbe, da sola, ad un terzo del fabbisogno nazionale.
Concludendo, potremo riassumere la faccenda in poche considerazioni.
I dati sui costi reali dell’energia nucleare sono soggetti ad una continua disinformazione e facciamo notare che, nella nostra analisi, non abbiamo considerato i costi dell’Uranio né quelli del personale e neppure la custodia delle scorie, assai onerosa, come avevamo già analizzato nel nostro “Vattelapesca forever” [11].
Programmare delle centrali per il 2020 è un’operazione molto azzardata, poiché il costo dell’Uranio ha goduto, dal 1990 in poi, di un importante calmiere del prezzo, dovuto allo smantellamento di moltissime testate belliche del dopoguerra (gli accordi SALT, ecc). Oggi, quella “manna” è terminata, ed il prezzo dell’Uranio – che influisce sulla produzione elettrica per un 5-10% – è in costante aumento.
Nel 2020 non sappiamo a quanto arriverà il prezzo del minerale, poiché dieci anni – in mercati così volatili – possono riservare di tutto: vento, sole ed acqua costeranno quanto costano oggi, cioè niente. Le tecnologie per captare le energie naturali, al contrario, man mano che s’affinano e migliorano abbassano il costo del KWh prodotto.
Da ultimo, ricordiamo che il costo d’impianto oggi stimato per il nucleare è di 2,2 milioni euro per MW, mentre quello dell’eolico è di un milione per le installazioni a terra e di 1,3 milioni per quelle in mare.
Perciò, la scelta insensata va oltre la querelle sulla sicurezza delle centrali: si costruiscono obsoleti macinini ad Uranio e non si guarda oltre. Siamo un paese vecchio, che teme le novità, la ricerca, la sperimentazione. Nuove verità che affossino antiche credenze mettono in dubbio false sicurezze: ma, le false certezze, sono destinate da sole a crollare.
Non siamo ingenui: conosciamo perfettamente la ragione che conduce l’Italia lontano dalle fonti rinnovabili e ad affidarsi, quando quasi tutti gli altri lo stanno abbandonando, al nucleare.
Qualsiasi produzione energetica che necessiti di un rifornimento costante di materiali produce flussi di denaro e, su quei flussi di denaro, la corruzione crea enormi ricchezze per i soliti noti.
Per quanto ci possa consolare il pensiero che corruzione e lobbismo siano radicati ovunque, non c’è terra dove la corruzione sia quasi “istituzionale”, come avviene in Italia. Condite “l’insalata nucleare” italiana con un po’ d’ignoranza e tanta voglia di soldi sicuri da distribuire ai famelici appetiti della politica e dei baroni dell’economia, ed ecco la risposta.
La questione si sposta dunque dal settore tecnico alla politica: ci rendiamo conto che, per molti, questa è la classica scoperta dell’acqua calda, ma riteniamo che ogni tanto sia necessario “rinfrescare” le idee. Soprattutto a coloro i quali, dopo le elezioni regionali, si vedranno “recapitare” una centrale nucleare sulla cocuzza: mentre ENEL ed ENI si fregheranno le mani contente – e con esse il Tesoro, che ha importanti partecipazioni azionarie in entrambe le holding – quei “fortunati” vedranno le loro abitazioni precipitare ad un terzo del loro valore. Contenti loro.
Cosa possiamo fare?
L’unica forza politica che ha lanciato una petizione contro la costruzione delle centrali nucleari è stata “Per il Bene Comune” [12], la quale ha consegnato le prime 50.000 firme alla Presidenza della Repubblica, senza che – fino ad ora – sia giunta risposta (se gli amici di PBC hanno novità in merito, saremmo felici se ci aggiornassero, nei commenti o direttamente all’autore).
PBC non ha passato sotto silenzio che il referendum del 1987 fu un pronunciamento contro l’energia nucleare nel nostro Paese: si potrà affermare che il meccanismo di qualsiasi referendum abrogativo prevede l’abolizione di una norma, come in quel caso furono abrogate le norme che prevedevano l’impianto delle centrali di Caorso e di Montalto di Castro (semplifico un po’ la questione).
In pratica, furono abrogate le norme per quelle centrali, ed oggi ci sono nuove norme (emesse dall’attuale governo) che, per essere parimenti abolite, necessiterebbero di un altro referendum. Questo è il “corso” giuridico.
Non ci si può, però, nascondere dietro ad un dito perché gli italiani – concediamo che la vicenda di Chernobyl abbia, all’epoca, modificato i consensi – si pronunciarono chiaramente contro il nucleare. Oggi, sono favorevoli?
Per niente.
Secondo una ricerca effettuata da “Il Sole 24 ore” [13] – che non è certo una fonte “comunista” – solo il 26,3% degli italiani è disposto ad accettare una centrale sul proprio territorio. E, tutto questo, nonostante il buon Mannehimer si sia tanto dato da fare per organizzare – lo scorso 12 Novembre 2009 – un bel convegno con un titolo che era tutto un programma: “Energia nucleare: la gestione del consenso” [14].
Insomma, ‘sti italiani sono contrari, lo erano già nel 1987: come facciamo a farli cambiare opinione? Va da sé che se la sono “sparata” fra di loro e basta: di voci contrarie, manco l’ombra.
Il buon Mannheimer deve aver fatto un bel flop, tanto che il governo sarà costretto a militarizzare le aree delle centrali.
E l’opposizione?
L’UDC è favorevole, mentre Di Pietro ha recentemente dichiarato di voler promuovere due referendum abrogativi [15], contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Ma, Di Pietro, è la stessa persona che si alleò con il Presidente della Regione Molise Iorio (all’epoca, Forza Italia) contro il primo “campo” eolico italiano off-shore. La vicenda è comica, e la trattammo in “Venti nucleari” [16].
Farà seguire alle parole i fatti? Ah, saperlo…
Non è il caso di chiederlo al PD – che, paradossalmente, si dichiara contrario al nucleare e favorevole all’eolico [17] – per il problema che, loro, prima dovrebbero trovare il PD.
Centrale nucleare di Borgo Sabotino (Italia) [prima parte video].
La centrale nucleare di Latina è stata la prima in Italia a entrare in funzione nel 1963.
Dal 1986 non produce più energia. Nel 2000, la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari SpA),
ha presentato il progetto di smantellamento, ma purtroppo la centrale contiene ancora materiale radioattivo.
Perciò, l’unica via da seguire è appoggiare PBC nella sua petizione e chiedere, finalmente, a Pietruzzo cosa vuol fare da grande. Ha un partito, è in Parlamento, può lanciare la raccolta di firme: il 75% degli italiani non vuole quelle centrali.
Se ci sei, Pietruzzo, batti un colpo: altrimenti, taci.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/01/arriva-il-bengodi-nucleare.html
18.01.2010
Difesa-Servizi S.p.A è la società per azioni, la cui creazione è prevista dalla finanziaria, che gestirà alcuni settori dei servizi del Ministero della Difesa. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Vincenzo Camporini spiega in un'intervista le ragioni e le esigenze a cui tale società dovrebbe rispondere.
NOI DI SA DEFENZA SOTZIALI PENSIAMO , CHE, DIFESA-SERVIZI SPA SIA IL CAVALLO DI TROIA PER LA MANIPOLAZIONE DELLE CENTRALI NUCLEARI (C.N.) NEGLI SPAZI MILITARI E PERCIO' POSSIBILI LUOGHI DI COSTRUZIONE DELLE C.N. E ALLONTANATE DALLA CONTESTAZIONE CIVILE PONENDOLE SOTTO IL CONTROLLO DELLA DIFESA ARMATA DELL'ESERCITO ITALIANO
a cura di Maurizio Torrealta Rai News 24
Ne discutono in studio l'onorevole Rosa Villecco Calipari, capogruppo del PD in Commissione Difesa, l'onorevole Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa e autore del progetto, Gianluca Di Feo, giornalista de "L'Espresso" che per primo si è occupato di questo tema e Francesco Vignarca, responsabile della Rete per il Disarmo e autore del libro "Il caro armato". In collegamento da Venezia interviente l'onorevole Filippo Ascierto, membro della Commissione Difesa per il PDL
Centrale nucleare di Borgo Sabotino (Italia) [prima parte video].
La centrale nucleare di Latina è stata la prima in Italia a entrare in funzione nel 1963.
Dal 1986 non produce più energia. Nel 2000, la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari SpA),
ha presentato il progetto di smantellamento, ma purtroppo la centrale contiene ancora materiale radioattivo.
carlobertani.blogspot.com/
Mentre i giornali ci solleticano con le abituali vicende legate alle tasse – oggi si tolgono, domani no, troppo tardi, forse dopodomani… – oppure con le molte leggi e leggine utili a riformare la giustizia (minuscolo) per il solo comprensorio di Arcore, sono state emanate le direttive per le future centrali nucleari. In sostanza, si dice che dovranno essere vicine all’acqua e lontane dalle aree sismiche: elucubrazioni che, anche chi non è Pico della Mirandola, già sapeva.
Poi si parla d’incentivi: una manna – gente! – incentivi “a pioggia”, per tutti! Chi vorrà, potrà prendere visione del decreto in nota [1].
Insomma, con il “rientro” di 95 miliardi di euro, grazie al bel regalo dello “Scudo Fiscale” – hanno pagato il 5% di tasse mentre avrebbero dovuto pagare il 40% – ci saranno tanti soldini per fare tante cose, nucleare compreso?
Ma, quanto costa una centrale nucleare?
Il costo medio attuale di una centrale nucleare è di circa 2000-2200 euro/kWe installato, ovvero il costo in conto capitale di una centrale da 1000 MWe è di circa 2 miliardi di euro. Il costo dell’EPR da 1600 MWe (il reattore europeo di III Generazione fornito dalla franco-tedesca Areva) è di 3 miliardi di euro [2].
In realtà, sul Web circolano anche altre cifre – qualcuno arriva a dichiarare 15-20 miliardi di euro per il solo reattore – ma quelle più attendibili variano in una “forbice” fra 3-7 miliardi di euro. Il nodo, non facile da districare, riguarda cosa s’intenda per “costo”: il reattore, oppure la struttura? Entrambi?
Non dimentichiamo che, proprio per il nucleare, ci sono delle procedure d’infrazione aperte dall’UE per il finanziamento “occulto”, usando fondi statali per finanziare imprese private, che lavorano in quello che dovrebbe essere un libero mercato [3]. Insomma, un ginepraio.
In effetti, la cifra di 5 miliari di euro per una centrale (struttura + reattore) da 1600 MWe è credibile, ma qui salta fuori un altro coniglio dal cappello: la “levitazione” dei costi.
Un chiaro esempio di questi problemi è la costruzione in corso a Okiluoto, in Finlandia, di un reattore europeo pressurizzato ad acqua (EPR) di nuova generazione – il primo reattore di questo tipo – che dopo soli diciotto mesi di costruzione ha già accumulato un ritardo di diciotto mesi sul programma, superando già adesso il budget previsto di 700 milioni di euro [4].
I tempi di costruzione delle centrali, dagli anni ’70 ad oggi, sono praticamente raddoppiati: per la maggior complessità tecnologica, per i sistemi di sicurezza, ecc. Se non sono riusciti a star “dentro” nei tempi (e quindi nei costi) tutti gli altri, c’è da sperare che ci riusciremo noi italiani?
Si potrà ricordare che il reattore finlandese è di nuova generazione, ma il fenomeno del procrastinarsi dei tempi di costruzione è un fenomeno planetario, che riguarda anche le centrali non sperimentali.
Poi, bisogna conteggiare i finanziamenti per “compensazione” alle popolazioni (termine assai poco chiaro) che ammonteranno a 3-4000 euro/anno per MWe installato: in pratica, una centrale da 1.600 MWe sborserà a “qualcuno” circa 6 milioni di euro l’anno.
Nel decreto recentemente approvato [5], si parla addirittura di “interventi a pioggia” per tutti: Comuni, Province, sconti sull’IRPEF, sulle forniture elettriche…ancora…roba da Babbo Natale Atomico, mica scherzi.
Saremo curiosi di verificare, dopo le elezioni regionali, quando si saprà chi si “beccherà” la centrale sulla cocuzza – prima no, ovvio, votate tranquilli… – quante di queste “piogge” di denaro rimarranno.
Bisogna stare attenti quando si parla di provvedimenti a favore della popolazione, perché quei soldi s’intendono dati agli amministratori locali, che sono cosa assai diversa dalle popolazioni.
Scusate il sospetto, ma i trucchi delle tre carte di Tremonti li conosciamo da tempo: magari “cartolarizzerà” quei benefici, “spalmandoli” in 25 esercizi finanziari…roba del genere…ma la centrale arriverà, sicuro. Cioè, sicuro: forse.
Calcolando benefici a “pioggia”, costi di costruzione e quant’altro…chiudiamo la faccenda a 7 miliardi di euro per una centrale da 1.600 MWe per 25 anni? Senza considerare, ovviamente, l’Uranio, il personale, le scorie…
I sostenitori del nucleare affermano che la “forza” di quel sistema è una produzione continua, senza interruzioni: falso. Anche le centrali nucleari, come tutti i sistemi complessi, necessitano di manutenzione: altrimenti, si spalancano veramente le porte dell’Inferno Nucleare.
E’ appena passato Natale e vogliamo essere generosi: concediamo a quelle centrali di produrre alla massima potenza per l’80% del tempo, da quando entreranno in funzione (circa 2020) al 2045.
Una centrale da 1.600 MWe produrrà, in un anno (all’80%), circa 11,2 milioni di MWh (11,2 TWh), in 25 anni 280 milioni di MWh (280 TWh).
Quanta potenza elettrica di fonte eolica sarebbe possibile installare con 7 miliardi di euro?
Calcolando il costo di 1 MW di potenza eolica installato in mare – lontano dalla costa, su piattaforma ancorata, invisibile da terra – in 1,3 milioni di euro [6] (+ 25-30% rispetto agli impianti a terra [7]), potrebbero essere installati 5.385 MW. Quanto produrrebbero in 25 anni?
Poi si parla d’incentivi: una manna – gente! – incentivi “a pioggia”, per tutti! Chi vorrà, potrà prendere visione del decreto in nota [1].
Insomma, con il “rientro” di 95 miliardi di euro, grazie al bel regalo dello “Scudo Fiscale” – hanno pagato il 5% di tasse mentre avrebbero dovuto pagare il 40% – ci saranno tanti soldini per fare tante cose, nucleare compreso?
Ma, quanto costa una centrale nucleare?
Il costo medio attuale di una centrale nucleare è di circa 2000-2200 euro/kWe installato, ovvero il costo in conto capitale di una centrale da 1000 MWe è di circa 2 miliardi di euro. Il costo dell’EPR da 1600 MWe (il reattore europeo di III Generazione fornito dalla franco-tedesca Areva) è di 3 miliardi di euro [2].
In realtà, sul Web circolano anche altre cifre – qualcuno arriva a dichiarare 15-20 miliardi di euro per il solo reattore – ma quelle più attendibili variano in una “forbice” fra 3-7 miliardi di euro. Il nodo, non facile da districare, riguarda cosa s’intenda per “costo”: il reattore, oppure la struttura? Entrambi?
Non dimentichiamo che, proprio per il nucleare, ci sono delle procedure d’infrazione aperte dall’UE per il finanziamento “occulto”, usando fondi statali per finanziare imprese private, che lavorano in quello che dovrebbe essere un libero mercato [3]. Insomma, un ginepraio.
In effetti, la cifra di 5 miliari di euro per una centrale (struttura + reattore) da 1600 MWe è credibile, ma qui salta fuori un altro coniglio dal cappello: la “levitazione” dei costi.
Un chiaro esempio di questi problemi è la costruzione in corso a Okiluoto, in Finlandia, di un reattore europeo pressurizzato ad acqua (EPR) di nuova generazione – il primo reattore di questo tipo – che dopo soli diciotto mesi di costruzione ha già accumulato un ritardo di diciotto mesi sul programma, superando già adesso il budget previsto di 700 milioni di euro [4].
I tempi di costruzione delle centrali, dagli anni ’70 ad oggi, sono praticamente raddoppiati: per la maggior complessità tecnologica, per i sistemi di sicurezza, ecc. Se non sono riusciti a star “dentro” nei tempi (e quindi nei costi) tutti gli altri, c’è da sperare che ci riusciremo noi italiani?
Si potrà ricordare che il reattore finlandese è di nuova generazione, ma il fenomeno del procrastinarsi dei tempi di costruzione è un fenomeno planetario, che riguarda anche le centrali non sperimentali.
Poi, bisogna conteggiare i finanziamenti per “compensazione” alle popolazioni (termine assai poco chiaro) che ammonteranno a 3-4000 euro/anno per MWe installato: in pratica, una centrale da 1.600 MWe sborserà a “qualcuno” circa 6 milioni di euro l’anno.
Nel decreto recentemente approvato [5], si parla addirittura di “interventi a pioggia” per tutti: Comuni, Province, sconti sull’IRPEF, sulle forniture elettriche…ancora…roba da Babbo Natale Atomico, mica scherzi.
Saremo curiosi di verificare, dopo le elezioni regionali, quando si saprà chi si “beccherà” la centrale sulla cocuzza – prima no, ovvio, votate tranquilli… – quante di queste “piogge” di denaro rimarranno.
Bisogna stare attenti quando si parla di provvedimenti a favore della popolazione, perché quei soldi s’intendono dati agli amministratori locali, che sono cosa assai diversa dalle popolazioni.
Scusate il sospetto, ma i trucchi delle tre carte di Tremonti li conosciamo da tempo: magari “cartolarizzerà” quei benefici, “spalmandoli” in 25 esercizi finanziari…roba del genere…ma la centrale arriverà, sicuro. Cioè, sicuro: forse.
Calcolando benefici a “pioggia”, costi di costruzione e quant’altro…chiudiamo la faccenda a 7 miliardi di euro per una centrale da 1.600 MWe per 25 anni? Senza considerare, ovviamente, l’Uranio, il personale, le scorie…
I sostenitori del nucleare affermano che la “forza” di quel sistema è una produzione continua, senza interruzioni: falso. Anche le centrali nucleari, come tutti i sistemi complessi, necessitano di manutenzione: altrimenti, si spalancano veramente le porte dell’Inferno Nucleare.
E’ appena passato Natale e vogliamo essere generosi: concediamo a quelle centrali di produrre alla massima potenza per l’80% del tempo, da quando entreranno in funzione (circa 2020) al 2045.
Una centrale da 1.600 MWe produrrà, in un anno (all’80%), circa 11,2 milioni di MWh (11,2 TWh), in 25 anni 280 milioni di MWh (280 TWh).
Quanta potenza elettrica di fonte eolica sarebbe possibile installare con 7 miliardi di euro?
Calcolando il costo di 1 MW di potenza eolica installato in mare – lontano dalla costa, su piattaforma ancorata, invisibile da terra – in 1,3 milioni di euro [6] (+ 25-30% rispetto agli impianti a terra [7]), potrebbero essere installati 5.385 MW. Quanto produrrebbero in 25 anni?
Siccome le mappe eoliche del CESI [8] stimano nella aree marine del basso Adriatico, del Canale di Sicilia e del Sud della Sardegna (fondali inferiori ai 100 m) una produzione alla massima potenza per +3.000 ore l’anno, quegli aerogeneratori produrrebbero, sempre in 25 anni, circa 404 milioni di MWh (404 TWh). 124 TWh in più della centrale nucleare!
Crediamo bene che gli alfieri della “estetica ambientale” si spellino la lingua, in TV, contro l’eolico: potremmo addirittura ipotizzare che qualcuno paghi, e parecchio, per tanto fervore!
Difatti, negli altri Paesi stanno abbandonando il nucleare per investire nell’eolico: lo fa, addirittura, l’ENEL in Texas!
124 TWh in più senza considerare che la manutenzione dell’eolico è infinitamente meno onerosa rispetto ai costi del materiale fissile, del personale e della custodia delle scorie (peraltro, ben lontana dal trovare una soluzione)!
A questo punto c’è la solita obiezione: le rinnovabili non sono affidabili poiché intermittenti, poco costanti.
Ciò è vero, e sarebbe una follia affidarsi al solo eolico.
Carlo Rubbia – oramai solo “di passaggio” in Italia – non ha mancato di “tirare le orecchie” al governo per lo strampalato piano energetico di Scajola & Co: riteniamo che un Nobel italiano, il quale sta operando proprio nel campo delle rinnovabili (solare termodinamico), almeno il diritto di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (per come è stato trattato…) ce l’abbia.
In qualsiasi Paese – diciamo solo “normale” – sarebbe Rubbia a stendere il piano energetico, anche perché il solare termodinamico sta funzionando benissimo in Spagna, i tedeschi stanno cercando joint venture per installarlo in Africa, Israele ci sta pensando, così l’Algeria, il Marocco…
Insomma, tante nazioni rivierasche del Mediterraneo puntano su sole e vento…e noi – ma saremo proprio i più furbi della nidiata? – pianifichiamo un obbrobrio costoso, tutto d’importazione, meno redditizio e…ancora cantiamo?
Un serio piano energetico dovrebbe poggiare principalmente su tre direttrici: solare termodinamico, eolico e biomasse di scarto. Perché?
Poiché le energie naturali sono anche energie stagionali, ossia dipendenti dalla meteorologia, dalla stagione, dai capricci del tempo.
Se è vero che il solare termodinamico, grazie all’inerzia delle alte temperature generate, riesce a soddisfare anche la richiesta notturna (che è sensibilmente inferiore di quella diurna, circa 1/6), poco può fare quando ci sono prolungati periodi di cielo coperto. In Inverno, ad esempio.
Ma, proprio in Inverno, in Primavera ed in Autunno la circolazione dei venti è consistente, favorendo così l’eolico. Il quale, è certamente meno favorito d’Estate (ampia omeotermia nel Mediterraneo, e quindi ridotta circolazione dei venti), quando il termodinamico raggiunge le migliori rese.
Ogni anno, poi, in Italia generiamo 30 milioni di tonnellate di scarti dell’agricoltura, della silvicoltura e delle industrie di trasformazione (segherie, ecc): scarti “puliti”, non come i rifiuti, materiali che si possono utilizzare ovunque.
Calcolando in circa 4.000 Kcal/Kg l’energia che si può ricavare da quegli scarti, essi corrispondono all’incirca a 12 MTEP, ossia a 12 Milioni di Tonnellate di Petrolio, circa il 6% del fabbisogno energetico nazionale.
Di più: proprio perché quegli scarti non inquinano, potrebbero essere utilizzati in un ciclo combinato, ossia per produrre energia elettrica e riscaldare le abitazioni con il vapore esausto delle turbine.
Oggi, nelle centrali termoelettriche, il rendimento non supera il 35%: la gran parte dell’energia se ne va, sprecata, nei fiumi e nel mare, nelle acque usate per il raffreddamento nei condensatori. Nelle centrali a ciclo combinato – proprio perché il calore non viene dissipato bensì utilizzato per riscaldare le case – il rendimento raggiunge già oggi il 60% [9], ma con l’affinarsi delle tecnologie potrebbe migliorare.
Vorremmo proporre una considerazione ed un’esortazione.
Abbiamo fior fiore di tecnici e ricercatori, bravissimi, in grado di progettare e migliorare qualsiasi settore energetico: sanno fare bene il loro lavoro, al punto che alcune piccole industrie lavorano come sub-contraenti per l’industria eolica.
Abbiamo aziende in grado di produrre meccanica di precisione, elettronica di supporto, ecc: non sono questi i problemi.
Mancano filosofi.
Ci vogliono persone in grado di dialogare, di proporre, di valutare – senza pelli di salame agli occhi – le future scelte.
Avere un Rifkin sarebbe chiedere troppo?
Forse mi sono sbagliato, i “filosofi” ci sono: non mancherà, per caso, chi li dovrebbe interpellare? Ad ascoltare certe fregnacce televisive, il dubbio viene.
E veniamo all’esortazione.
Prima di gettare nel nucleare del 2020 miliardi che, per ora, manco ci sono, perché non modificare il piano energetico – a questo punto suddiviso su più esercizi finanziari e con “ritorno” quasi immediato degli investimenti, non nel 2020 – su quelle tre direttrici come esperimento pilota?
Tralasciamo, in questa sede, altre forme d’energia, il risparmio energetico e il dilemma di scegliere fra grandi impianti oppure sistemi per l’autosufficienza energetica: la questione diverrebbe troppo complessa, e ci torneremo in un prossimo articolo.
Restringendo l’indagine a questi soli tre sistemi di produzione energetica: quale scenario potremmo ipotizzare?
Alcune centrali termodinamiche nel Sud, “campi” eolici in mare e centrali a biomasse laddove c’è più produzione di scarti agricoli. Poi, fra pochi anni – da tre a cinque, non nel 2020 – potremmo già tracciare delle conclusioni, verificare i problemi, migliorare i sistemi, ecc.
Distribuendo i campi eolici al limite delle acque territoriali (12 miglia, circa 23 Km, invisibili da terra), in tre zone ben definite: le coste adriatiche pugliesi, il Canale di Sicilia e l’area a Sud di capo Teulada, l’incostanza del sistema eolico sarebbe compensata dalla distanza poiché, chiunque abbia un minimo d’esperienza di mare, sa che è praticamente impossibile avere le medesime condizioni di vento in aree così distanti.
Le centrali a biomasse potrebbero sorgere nei pressi di grandi città della pianura padana (forte produttrice di scarti agricoli), così da non incorrere in significative perdite per il trasferimento sulla rete elettrica di distribuzione e facilitando, per la stessa ragione, il teleriscaldamento delle abitazioni. Funzionando prevalentemente durante l’Inverno, compenserebbero la scarsa produzione termodinamica. Un’accorta programmazione – dato che il trasporto delle biomasse è uno dei principali fattori di costo – prevedrebbe, in parallelo, di riattare la rete fluviale italiana, dal Po ai canali limitrofi, compresa l’area veneta, ed un maggiore impulso alla navigazione di cabotaggio. Sono interventi non molto costosi, per altro finanziabili in parte con fondi europei.
Per le centrali termodinamiche servono poche parole: che fine ha fatto la modesta centrale sperimentale di Priolo Gargallo, appaltata all’ENI per la costruzione e la messa in esercizio? Di questo passo, potremmo dare in appalto l’Arma dei Carabinieri ad una holding paritetica fra Mafia, Camorra e N’drangheta.
In realtà, il termodinamico sta avanzando nel Pianeta [10], e in Spagna stanno passando dalle prime centrali da 50 MW a quelle, in fase di progettazione, da 300 MW. Se e quando funzionerà Priolo Gargallo, sarà una delle prime centrali progettate, ma avrà la minor potenza fra tutte le altre: 5 MW.
Tutto questo, nonostante Rubbia abbia dimostrato che una superficie di specchi pari a quella compresa all’interno del raccordo anulare di Roma provvederebbe, da sola, ad un terzo del fabbisogno nazionale.
Concludendo, potremo riassumere la faccenda in poche considerazioni.
I dati sui costi reali dell’energia nucleare sono soggetti ad una continua disinformazione e facciamo notare che, nella nostra analisi, non abbiamo considerato i costi dell’Uranio né quelli del personale e neppure la custodia delle scorie, assai onerosa, come avevamo già analizzato nel nostro “Vattelapesca forever” [11].
Programmare delle centrali per il 2020 è un’operazione molto azzardata, poiché il costo dell’Uranio ha goduto, dal 1990 in poi, di un importante calmiere del prezzo, dovuto allo smantellamento di moltissime testate belliche del dopoguerra (gli accordi SALT, ecc). Oggi, quella “manna” è terminata, ed il prezzo dell’Uranio – che influisce sulla produzione elettrica per un 5-10% – è in costante aumento.
Nel 2020 non sappiamo a quanto arriverà il prezzo del minerale, poiché dieci anni – in mercati così volatili – possono riservare di tutto: vento, sole ed acqua costeranno quanto costano oggi, cioè niente. Le tecnologie per captare le energie naturali, al contrario, man mano che s’affinano e migliorano abbassano il costo del KWh prodotto.
Da ultimo, ricordiamo che il costo d’impianto oggi stimato per il nucleare è di 2,2 milioni euro per MW, mentre quello dell’eolico è di un milione per le installazioni a terra e di 1,3 milioni per quelle in mare.
Perciò, la scelta insensata va oltre la querelle sulla sicurezza delle centrali: si costruiscono obsoleti macinini ad Uranio e non si guarda oltre. Siamo un paese vecchio, che teme le novità, la ricerca, la sperimentazione. Nuove verità che affossino antiche credenze mettono in dubbio false sicurezze: ma, le false certezze, sono destinate da sole a crollare.
Non siamo ingenui: conosciamo perfettamente la ragione che conduce l’Italia lontano dalle fonti rinnovabili e ad affidarsi, quando quasi tutti gli altri lo stanno abbandonando, al nucleare.
Qualsiasi produzione energetica che necessiti di un rifornimento costante di materiali produce flussi di denaro e, su quei flussi di denaro, la corruzione crea enormi ricchezze per i soliti noti.
Per quanto ci possa consolare il pensiero che corruzione e lobbismo siano radicati ovunque, non c’è terra dove la corruzione sia quasi “istituzionale”, come avviene in Italia. Condite “l’insalata nucleare” italiana con un po’ d’ignoranza e tanta voglia di soldi sicuri da distribuire ai famelici appetiti della politica e dei baroni dell’economia, ed ecco la risposta.
La questione si sposta dunque dal settore tecnico alla politica: ci rendiamo conto che, per molti, questa è la classica scoperta dell’acqua calda, ma riteniamo che ogni tanto sia necessario “rinfrescare” le idee. Soprattutto a coloro i quali, dopo le elezioni regionali, si vedranno “recapitare” una centrale nucleare sulla cocuzza: mentre ENEL ed ENI si fregheranno le mani contente – e con esse il Tesoro, che ha importanti partecipazioni azionarie in entrambe le holding – quei “fortunati” vedranno le loro abitazioni precipitare ad un terzo del loro valore. Contenti loro.
Cosa possiamo fare?
L’unica forza politica che ha lanciato una petizione contro la costruzione delle centrali nucleari è stata “Per il Bene Comune” [12], la quale ha consegnato le prime 50.000 firme alla Presidenza della Repubblica, senza che – fino ad ora – sia giunta risposta (se gli amici di PBC hanno novità in merito, saremmo felici se ci aggiornassero, nei commenti o direttamente all’autore).
PBC non ha passato sotto silenzio che il referendum del 1987 fu un pronunciamento contro l’energia nucleare nel nostro Paese: si potrà affermare che il meccanismo di qualsiasi referendum abrogativo prevede l’abolizione di una norma, come in quel caso furono abrogate le norme che prevedevano l’impianto delle centrali di Caorso e di Montalto di Castro (semplifico un po’ la questione).
In pratica, furono abrogate le norme per quelle centrali, ed oggi ci sono nuove norme (emesse dall’attuale governo) che, per essere parimenti abolite, necessiterebbero di un altro referendum. Questo è il “corso” giuridico.
Non ci si può, però, nascondere dietro ad un dito perché gli italiani – concediamo che la vicenda di Chernobyl abbia, all’epoca, modificato i consensi – si pronunciarono chiaramente contro il nucleare. Oggi, sono favorevoli?
Per niente.
Secondo una ricerca effettuata da “Il Sole 24 ore” [13] – che non è certo una fonte “comunista” – solo il 26,3% degli italiani è disposto ad accettare una centrale sul proprio territorio. E, tutto questo, nonostante il buon Mannehimer si sia tanto dato da fare per organizzare – lo scorso 12 Novembre 2009 – un bel convegno con un titolo che era tutto un programma: “Energia nucleare: la gestione del consenso” [14].
Insomma, ‘sti italiani sono contrari, lo erano già nel 1987: come facciamo a farli cambiare opinione? Va da sé che se la sono “sparata” fra di loro e basta: di voci contrarie, manco l’ombra.
Il buon Mannheimer deve aver fatto un bel flop, tanto che il governo sarà costretto a militarizzare le aree delle centrali.
E l’opposizione?
L’UDC è favorevole, mentre Di Pietro ha recentemente dichiarato di voler promuovere due referendum abrogativi [15], contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Ma, Di Pietro, è la stessa persona che si alleò con il Presidente della Regione Molise Iorio (all’epoca, Forza Italia) contro il primo “campo” eolico italiano off-shore. La vicenda è comica, e la trattammo in “Venti nucleari” [16].
Farà seguire alle parole i fatti? Ah, saperlo…
Non è il caso di chiederlo al PD – che, paradossalmente, si dichiara contrario al nucleare e favorevole all’eolico [17] – per il problema che, loro, prima dovrebbero trovare il PD.
Centrale nucleare di Borgo Sabotino (Italia) [prima parte video].
La centrale nucleare di Latina è stata la prima in Italia a entrare in funzione nel 1963.
Dal 1986 non produce più energia. Nel 2000, la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari SpA),
ha presentato il progetto di smantellamento, ma purtroppo la centrale contiene ancora materiale radioattivo.
Perciò, l’unica via da seguire è appoggiare PBC nella sua petizione e chiedere, finalmente, a Pietruzzo cosa vuol fare da grande. Ha un partito, è in Parlamento, può lanciare la raccolta di firme: il 75% degli italiani non vuole quelle centrali.
Se ci sei, Pietruzzo, batti un colpo: altrimenti, taci.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/01/arriva-il-bengodi-nucleare.html
18.01.2010
Difesa-Servizi S.p.A è la società per azioni, la cui creazione è prevista dalla finanziaria, che gestirà alcuni settori dei servizi del Ministero della Difesa. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Vincenzo Camporini spiega in un'intervista le ragioni e le esigenze a cui tale società dovrebbe rispondere.
NOI DI SA DEFENZA SOTZIALI PENSIAMO , CHE, DIFESA-SERVIZI SPA SIA IL CAVALLO DI TROIA PER LA MANIPOLAZIONE DELLE CENTRALI NUCLEARI (C.N.) NEGLI SPAZI MILITARI E PERCIO' POSSIBILI LUOGHI DI COSTRUZIONE DELLE C.N. E ALLONTANATE DALLA CONTESTAZIONE CIVILE PONENDOLE SOTTO IL CONTROLLO DELLA DIFESA ARMATA DELL'ESERCITO ITALIANO
a cura di Maurizio Torrealta Rai News 24
Ne discutono in studio l'onorevole Rosa Villecco Calipari, capogruppo del PD in Commissione Difesa, l'onorevole Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa e autore del progetto, Gianluca Di Feo, giornalista de "L'Espresso" che per primo si è occupato di questo tema e Francesco Vignarca, responsabile della Rete per il Disarmo e autore del libro "Il caro armato". In collegamento da Venezia interviente l'onorevole Filippo Ascierto, membro della Commissione Difesa per il PDL
Centrale nucleare di Borgo Sabotino (Italia) [prima parte video].
La centrale nucleare di Latina è stata la prima in Italia a entrare in funzione nel 1963.
Dal 1986 non produce più energia. Nel 2000, la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari SpA),
ha presentato il progetto di smantellamento, ma purtroppo la centrale contiene ancora materiale radioattivo.
sabato 16 gennaio 2010
L'orologio dell'apocalisse
Marina Forti
ilmanifesto.it
L'umanità è un minuto più lontana dalla catastrofe atomica. Il Doomsday Clock, o «Orologio del Giudizio universale», ora segna sei minuti alla mezzanotte - fino a due giorni fa ne segnava cinque. Creato nel 1947 da un noto gruppo di scienziati nucleari, il Doomsday Clock è una sorta di barometro del rischio: quanto siamo vicini a una guerra nucleare. Che ora si è leggermente allontanato, ha dichiarato giovedì il Bullettin of Atomic Scientists annunciando la decisione di riportare indietro, seppure solo di un minuto, le lancette del virtuale orologio. «C'è qualche motivo di ottimismo nello stato degli affari mondiali», argomentano in un comunicato: «Per la prima volta da quando le prime bombe atomiche sono state sganciate nel 1945, i governanti degli stati possessori di armi nucleari stanno cooperando per ridurre i loro arsenali e controllare il materiale che serve a fabbricarle. E per la prima volta in assoluto, i paesi industrializzati e in via di sviluppo dichiarano la volontà di limitare le emissioni di gas di serra responsabili del cambiamento del clima che può rendere il nostro pianeta pressoché inabitabile. Questi passi senza precedenti sono segnali di una crescente volontà politica di affrontare le due più gravi minacce alla civiltà umana: il terrore delle armi atomiche e un cambiamento del clima galoppante».
Un raro segnale di fiducia, dunque, da parte di persone che pure guardano con iperrealismo al rischio nucleare. Il Bullettin of Atomic Scientists è stato fondato nel 1945 da un gruppo di scienziati della University of Chicago che avevano partecipato al Manhattan project - il programma di ricerca che ha creato le prime armi atomiche (che gli Stati Uniti hanno usato, appunto nel '45, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki). Proprio perché avevano contribuito a creare «il mostro» erano terribilmente consapevoli del suo potenziale distruttivo, e hanno deciso di dedicarsi a diffondere la pubblica consapevolezza che usare l'arma atomica può solo significare catastrofe. Si allarmavano anche della segretezza intrinseca nella ricerca militare, e del pericolo che i governanti possano trascinare i loro paesi in una guerra atomica senza la consapevolezza né il consenso dei loro cittadini. Così, attraverso il Bollettino (www.thebullettin.org) cercano di «colmare il gap di conoscenza tra gli esperti del settore e il pubblico più generale». E questo continuano a fare, generazioni di scienziati e esperti di sicurezza di tutto il mondo.
Si noti che in 62 anni le lancette virtuali erano state ritoccate solo 18 volte. Nel 1945 stavano a 7 minuti dalla «mezzanotte» e avevano raggiunto i 2 minuti nel 1953, quando Usa e Urss hanno condotto test nucleari paralleli. Poi sono arrivati i primi trattati sul controllo degli armamenti... Neppure la fine della guerra fredda però ha portato al disarmo nucleare. E nel 2007 le lancvette erano tornate a 5 minuti: il Bullettin segnalava che nel mondo restano 27mila testate nucleari, di cui circa 2.000 pronte a essere lanciate nel giro di pochi minuti, e che una nuova minaccia si era sommata: il rischio di distruzione degli habitat umani a causa del cambiamento globale del clima.
Ora dunque, guardando sia alla non proliferazione atomica sia al clima, il Bullettin of Atomic Scientists vede segni di ottimismo. Riconoscono «la collaborazione tra Usa, Russia, Unione europea, India, Cina, Brasile e altri sulla sicurezza nucleare e la stabilizzazione del clima», dicono. Certo, abbiamo guadagnato solo un minuto, e l'orologio continua a ticchettare.
ilmanifesto.it
L'umanità è un minuto più lontana dalla catastrofe atomica. Il Doomsday Clock, o «Orologio del Giudizio universale», ora segna sei minuti alla mezzanotte - fino a due giorni fa ne segnava cinque. Creato nel 1947 da un noto gruppo di scienziati nucleari, il Doomsday Clock è una sorta di barometro del rischio: quanto siamo vicini a una guerra nucleare. Che ora si è leggermente allontanato, ha dichiarato giovedì il Bullettin of Atomic Scientists annunciando la decisione di riportare indietro, seppure solo di un minuto, le lancette del virtuale orologio. «C'è qualche motivo di ottimismo nello stato degli affari mondiali», argomentano in un comunicato: «Per la prima volta da quando le prime bombe atomiche sono state sganciate nel 1945, i governanti degli stati possessori di armi nucleari stanno cooperando per ridurre i loro arsenali e controllare il materiale che serve a fabbricarle. E per la prima volta in assoluto, i paesi industrializzati e in via di sviluppo dichiarano la volontà di limitare le emissioni di gas di serra responsabili del cambiamento del clima che può rendere il nostro pianeta pressoché inabitabile. Questi passi senza precedenti sono segnali di una crescente volontà politica di affrontare le due più gravi minacce alla civiltà umana: il terrore delle armi atomiche e un cambiamento del clima galoppante».
Un raro segnale di fiducia, dunque, da parte di persone che pure guardano con iperrealismo al rischio nucleare. Il Bullettin of Atomic Scientists è stato fondato nel 1945 da un gruppo di scienziati della University of Chicago che avevano partecipato al Manhattan project - il programma di ricerca che ha creato le prime armi atomiche (che gli Stati Uniti hanno usato, appunto nel '45, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki). Proprio perché avevano contribuito a creare «il mostro» erano terribilmente consapevoli del suo potenziale distruttivo, e hanno deciso di dedicarsi a diffondere la pubblica consapevolezza che usare l'arma atomica può solo significare catastrofe. Si allarmavano anche della segretezza intrinseca nella ricerca militare, e del pericolo che i governanti possano trascinare i loro paesi in una guerra atomica senza la consapevolezza né il consenso dei loro cittadini. Così, attraverso il Bollettino (www.thebullettin.org) cercano di «colmare il gap di conoscenza tra gli esperti del settore e il pubblico più generale». E questo continuano a fare, generazioni di scienziati e esperti di sicurezza di tutto il mondo.
Si noti che in 62 anni le lancette virtuali erano state ritoccate solo 18 volte. Nel 1945 stavano a 7 minuti dalla «mezzanotte» e avevano raggiunto i 2 minuti nel 1953, quando Usa e Urss hanno condotto test nucleari paralleli. Poi sono arrivati i primi trattati sul controllo degli armamenti... Neppure la fine della guerra fredda però ha portato al disarmo nucleare. E nel 2007 le lancvette erano tornate a 5 minuti: il Bullettin segnalava che nel mondo restano 27mila testate nucleari, di cui circa 2.000 pronte a essere lanciate nel giro di pochi minuti, e che una nuova minaccia si era sommata: il rischio di distruzione degli habitat umani a causa del cambiamento globale del clima.
Ora dunque, guardando sia alla non proliferazione atomica sia al clima, il Bullettin of Atomic Scientists vede segni di ottimismo. Riconoscono «la collaborazione tra Usa, Russia, Unione europea, India, Cina, Brasile e altri sulla sicurezza nucleare e la stabilizzazione del clima», dicono. Certo, abbiamo guadagnato solo un minuto, e l'orologio continua a ticchettare.
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