venerdì 12 ottobre 2012

Nobel per la pace a UE, al momento giusto...


Foto: ¿¡Demoqué!?

No, esto no es una broma, la UE ha ganado el Premio Nobel de la Paz de 2012. Porque la austeridad es ideal para los banqueros criminales mientras traspasan la deuda al pueblo para que pague por aquéllos sus fraudes financieros. Los bancos consiguieron ser rescatados, el pueblo en cambio ha terminado con la peor crisis de sus vidas. Los manifestantes en las calles de la UE siendo golpeados por protestas contra este sistema asesino jamás podrá ser considerado un estado de paz.

 http://mexico.cnn.com/mundo/2012/10/12/la-ue-recibe-el-nobel-de-la-paz-como-un-incentivo-en-medio-de-la-crisis


E' scandaloso che il premio Nobel per la pace sia stato assegnato alla UE, che in questi tempi si è distinta per l'arrogante politica restrittiva di sacrifici insensati generando gravi situazioni di suicidi ed impoverimentio di popoli, sempre schierati a favore di banche e lachè pensatoi (Think Thank) di "potenti"; 
in questo si sono distinti questi "signori" (con esse minuscola) servi di Goldman Sachs e del capitale imperiale: BARROSO e VAN ROMPUY; 

personaggi non eletti dal popolo ma che fanno sacrificare i popoli Europei sull'altare dei vari BILDEBERG.., personaggi sicuramente indegni di guidare una qualsiasi  nazione UE;   

Al loro seguito,però, troviamo tutti i politicanti delle varie nazioni in Italia in Primis Mario Monti uomo della TRILATERAL poi segue Mario Draghi della BCE al servizio di Goldman Sachs assieme al vecchio capo bastone Prodi oltre ai lachè di PD PdL e UDC.... 

Alla guida della UE sono questi personaggi: BARROSO E VAN ROMPUY,  che NON che non essendo stati eletti dal popolo sono alla guida della UE illegalmente; 

QUESTI ENERGUMENI agiscono indisturbati alla faccia dei diritti dei popoli europei fregandosene dei problemi delle persone, mentre sono interessati  alla stabilità delle banche e delle multinazionali produttrici di morte come la Monsanto con i suoi OGM dichiarati leggittimi da questi porci al governo illegalmente, mentre NOI  CI ASSOGGETTIAMO A QUESTI PORCI VENDUTI AD ALTRI INTERESSI ANZICHE' DI SERVIRE I LORO POPOLI... 

ECCO PERCHE' IL PREMIO NOBEL E' DA CONSIDERARSI  INFAME E INDEGNO DI CHIAMARSI PREMIO DELLA PACE.

Come INDEGNI SONO ANCHE TUTTI I POLITICANTI DELLE VARIE NAZIONI CHE INVECE DI SERVIRE LE NECESSITA' DEI LORO CONNAZIONALI SERVONO IL SISTEMA MONDIALE CAPITALISTA AL COMANDO DI BILDEBERG , ROHTSCHILD,  ROCKFELLER, E DI TUTTA LA FECCIA ANTI-UMANITARIA CHE SI INGEGNA PER LA LORO PARTE CONTRO LA MOLTITUDINE.

AHORA YA BASTA!!!

REVOLUTZIONI PLANETARIA EST SA ARRESPUSTA A SU CAPITALI MULTINAZIONALI DDE IS POPULUS!!

APPROPRIATO A QUESTA SOCIETA' DI LECCACULI E SFRUTTATORI 
E' LA POESIA DI PEPINU MEREU DEL 1897 IN SARDINYA CONTRO LA CASTA DEI POTENTI TIRANNI DI QUEI TEMPI, SEGUE POI IL COMMENTO DEI GIORNALI EUROPEI.

VERGOGNATI OH SVEZIA, CON QUESTO PREMIO ALLA UE HAI TRASFORMATO IL PREMIO NOBEL, A PREMIO DI CASTA  AL SERVIZIO ALLA  INSULSA E RIPUGNANTE UE DEI BARROSO, DEI VAN ROMPUY, DEI MERKEL,  MONTI E  HOLLANDE !



SA DEFENZA

Come ricorda Adolfo Perez Esquivel, questo premio sembra destinato a nascondere e / o giustificare le operazioni militari che l'UE, attraverso la NATO, effettua negli angoli più remoti del pianeta, fino a quando fa la cambusa della Casa Bianca. In mezzo alla profonda crisi economica , il governo greco ha chiesto il rinvio per l'acquisto di armi nell'accordo con la Germania e la Francia. La richiesta è stata seccamente respinta da Berlino e Parigi. I tagli devono essere effettuati sui salari e la spesa pubblica in generale, ma non nel bilancio militare e, soprattutto, non sugli importi assegnati per l'acquisizione di armi nei paesi europei!, Oggi sono premiati per il loro contributo alla pace. In realtà, la Francia, la Germania e la Gran Bretagna sono parte, insieme con gli Stati Uniti e la Russia, il ristretto club dei cinque più grandi trafficanti di armi in tutto il mondo. Strano modo di promuovere l'abolizione o la riduzione di eserciti permanenti, come Alfred Nobel avrebbe voluto. I Parlamentari norvegesi hanno bisogno,  urgentemente, che qualcuno  insegni loro, la differenza tra guerra e pace. E che memorizzi la volontà dell'industriale svedese, perché in vista di questi affondi, sopra riepilogati, per premiare l'Unione europea può essere vista solo come un atto di sottomissione grottesca all'accordo militare tra gli Stati Uniti e l'Unione europea e una "carta bianca " alla NATO per continuare a commettere ogni genere di crimini e reati volti a stabilizzare il dominio imperialista mondiale."


Nulla di più appropriato a descrivere la condizione attuale di questo mondo, la situazione della nostra povera terra e dei popoli senza stato in europa e dappertutto , son felice di conoscere queste parole di pepinu mereu , gratzie di cuore marcello , e per questo pongo questa poesia anticasta del 1897 a sprone della denuncia de Nobel per la pace alla UE ......


Gratzias a: 
Marcello Fresi Roglia



Era il 1897 quando Peppinu Mereu scrisse questa poesia.Devo dire che come questa tante altre descrivono la tirannia che ancora oggi tanto ci rappresenta.Allora mi chiedo perchè in tutto questo tempo permettiamo che le cose si ripetano.
Nemo

s fierament’alzat sa testa,
e imbolat, in su gridu de dolore,
una giusta protesta
contr’a chi’est de nois oppressore!
Senza nisciun’organizzazione,
Inutilmente gridamus: marranu!
Si non b’at unione
su gridu avant’avanti est gridu vanu.

http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_87_20060717173339.pdf
Prima in Sardo e poi la traduzione in Italiano

Avanti!
Avant’avant’avanti! Ecco su gridu
ch’imbolas, pover’a sa Mala Casta,
ma nisciunu s’est bidu
avanzar’unu passu, e narrer: Basta!
Nemos fierament’alzat sa testa,
e imbolat, in su gridu de dolore,
una giusta protesta
contr’a chi’est de nois oppressore!
Senza nisciun’organizzazione,
Inutilmente gridamus: marranu!
Si non b’at unione
su gridu avant’avanti est gridu vanu.
Tottu su chi giughimus in idea
a lu connoscher in attu est macchine,
prite, senza trobea,
avanzamus a pass’ ’e tostoine.
Tue, o Cabras meu, ses tropp’ispicciu
nend’a su Socialismu: Avanti e regna!
Ite narat su dicciu?
Pinta la legna e portala in Sardegna.
Vanu est preigare sa costanzia
a zente chi su coro at mort’in sinu:
semus in fratellanzia,
sa fratellanz’ ’e Abel’e Cainu.
Semus zente macaca e pagu seria
cand’a su riccu tendimus sa manu,
mentres chi sa miseria
est florinde che ros’in beranu.
Viles! Non protestamus, ma pedimus
unu cogon’a chi est riccu e vile!
Dae cussu partimus,
cun su velen’in coro a su Brasile.
Su ider zertos nobiles riccones,
chi viven pratichende sa rapina,
isperder milliones,
e nois sudorende una sisina;
mi velenat su coro, e da inoghe
protesto forte – firm’ist’in su pattu.
S’est debile, sa oghe
Morit in domiziliu coattu.
Si gridamus: abbassu sas impostas,
o dimandamus giustissia ebbia,
nos truncant sas costas
a ispuntones in sa polizia.
Innossentes morimus in cadena
senza d’unu Simone Cireneu!
Guai si Siena
isolvet su costazu de Matteu.1
Tand’a su gridu sou e a su tou
altamente sa oghe app’a unire,
e t’app’a dare prou
chi sa promissa so bon’a cumprire.
O Cabras meu, si benit cuss’ora
a s’oppressore li naramus: crepa!
Avanti, avanti ancora,
cun sa fraccul’in pugnu e cun sa lepa.

Traduzione in Italiano
Avanti!
Avant’avant’avanti! Ecco il richiamo
che lanci, povero alla Mala Casta,
ma nessuno vediamo
avanzare d’un passo, e dire: Basta!
Nessuno fieramente alza la testa,
e lancia, con un grido di dolore,
una giusta protesta
contro chi è di noi l’oppressore!
Senza nessuna organizzazione,
è inutile gridare: state attenti!
Se qui non c’è l’unione
il grido avant’avanti è fatto ai venti.
Tutto quello che noi crediamo infatti
continuando così vedremo a stento,
perché, seppur slegati,
di tartaruga il passo è molto lento.
Tu, o Cabras mio, hai troppa fretta
dicendo al Socialismo: Avanti e regna!
Il proverbio lo detta:
Pinta la legna e portala in Sardegna.
Ma vano è predicare la costanza
a gente che ha già il cuore al lumicino:
noi siamo in fratellanza,
la fratellanza d’Abele e Caino.
Siamo gente macaca e poco seria
noi che al ricco la mano stiamo offrendo,
nel mentre la miseria
come rose in aprile sta fiorendo.
Vili! Non protestiamo, ma chiediamo
tozzi di pane a chi è ricco e più vile!
È perciò che partiamo,
con il veleno in cuor per il Brasile.
Il veder certi nobili ricconi,
che vivon praticando la rapina,
sperperare milioni,
e noi sudandoci una monetina;
il cuore m’avvelena, e da qui saldo
protesto forte – fermo sto nel patto.
Se la voce non scaldo,
si spegne nel domicilio coatto.
Se gridiamo: aboliamo le imposte,
o domandiamo che giustizia sia,
ci rompono le coste
le bastonate della polizia.
Innocenti moriamo alla catena
senz’alcun Simone Cireneo!
E guai se Siena
disciogliesse il fianco di Matteo.
Allora al grido che voi avete alzato
in alto la voce saprò unire,
e ti darò attestato
che le promesse fatte so adempire.
O Cabras mio, se mai verrà quell’ora,
all’oppressore gli diremo: schiatta!
Avanti, avanti ancora,
fiaccola in pugno e spada sfoderata



Nobel per la pace a UE, al momento giusto...




















Appena trapelata la notizia dell'assegnazione all'Unione europea del premio Nobel per la pace la stampa continentale ha reagito con un mix di entusiasmo e scetticismo. Molti sostengono che in un momento in cui l'Europa ha cominciato a dubitare di se stessa, il premio potrà incoraggiare chi ancora crede nell'integrazione.

“L'Ue premio Nobel per la pace?”, si domanda la Süddeutsche Zeitung: "Questo ammasso di stati più o meno in bancarotta e in conflitto tra loro, il cui progetto più ambizioso, l'unione monetaria, sta per crollare? È una scelta sorprendente da parte del comitato norvegese, che deve tenere conto del fatto che le sue decisioni devono essere valutate sul lungo periodo".
Il quotidiano di Monaco riconosce comunque i meriti della costruzione europea nel mantenimento della pace in Europa, e anche gli “onorevoli sforzi” di portare un messaggio di pace nel mondo, ma al contempo sottolinea che 
Logo – Süddeutsche Zeitung, Monaco
L'Ue non ha un ruolo importante nella ricerca della pace nel mondo, e le cose resteranno così ancora a lungo. Non c'era bisogno di aspettare le amare esperienze della crisi dell'euro per capire che gli europei non giocano di squadra nei momenti decisivi e che sono più attaccati alla camicia nazionale che alla gonna europea.

Secondo La Tribune si tratta di un premio “sorprendente”, in un momento in cui l'Europa è travolta dalla crisi e
Logo – La Tribune, Parigi
le difficoltà hanno dimostrato che al di là dei discorsi rassicuranti dei leader europei i popoli sono ancora attaccati al contesto nazionale, come dimostra la reticenza dei cittadini dei paesi del nord – Germania in testa – a pagare per i paesi del sud. […] Paradossalmente il premio potrebbe essere un segno della preoccupazione del comitato per il futuro e la coesione dell'Ue, e l’idea forse è quella di sottolineare l'utilità dell'Unione in un momento in cui molti la mettono in discussione.

El País parla di “ricompensa inattesa” per l'Ue, e ricorda che la Norvegia (paese che assegna il premio) “rifiuta di iscriversi al club e ha respinto l'adesione in occasione di due referendum (1972 e 1994), e ancora oggi secondo sondaggi tre norvegesi su quattro rifarebbero la stessa scelta”. Tuttavia secondo il quotidiano spagnolo
Logo – El País, Madrid
La pace è connaturata all'Ue, la cui diplomazia cerca sempre […] il modo migliore di risolvere i conflitti prima che degenerino e cerca una via d'uscita a situazioni ingarbugliate. [Anche se] è arrivata tardi e male sulla guerra dei Balcani, dove c'è voluto l'intervento degli Stati Uniti per togliere le castagne dal fuoco. […] L'Ue è tanto timida con il bastone quanto abile con la carota, ma questo non è certo un male per un'entità che si avvolge nella bandiera dei diritti umani.

Il direttore di Nrc Handelsblad Juurd Eijsvoogel scrive che
Logo – NRC Handelsblad, Rotterdam
il presidente del comitato Nobel aveva annunciato che la scelta di quest'anno avrebbe scatenato polemiche. E sicuramente sarà così, perché l'Ue è nell'occhio del ciclone. Con la sua decisione il comitato ha scelto di affrontare argomenti delicati, come aveva già fatto nel 2009 assegnando il premio a Barack Obama. D'altra parte è difficile contestare il fatto che l'Ue abbia dato un contributo decisivo alla coabitazione pacifica in Europa.

Sul sito della televisione pubblica Rtp, la giornalista di Antena 1 e PúblicoTeresa de Sousa sottolinea che l'attribuzione del Nobel all'Ue
è una pubblicità che non poteva arrivare in un momento migliore per i governi, i leader e le istituzioni europee, che li spingerà a impegnarsi ulteriormente per evitare il crollo dell'Europa. […] Ora resta da capire se i leader europei presteranno sufficiente attenzione al premio.

giovedì 11 ottobre 2012

Draghi: “La supervisione bancaria europea entri in vigore dal 2013″


Draghi: “La supervisione bancaria europea entri in vigore dal 2013″

 

La proposta di attivare il meccanismo dal primo gennaio dell'anno prossimo è in chiaro contrasto con la posizione tedesca favorevole a ritardare l'attuazione. Sulla situazione della Grecia, ha detto il presidente Bce, "aspettiamo la relazione della Troika ma ci sono evidenti progressi fatti sulle riforme programmatiche anche se bisogna fare di più"




“Il meccanismo unico di supervisione bancaria Ue è molto importante che entri in vigore come previsto il primo gennaio 2013″. Lo ha affermato il presidente della Bce Mario Draghi durante un’audizione all’Europarlamento, Una posizione, quella del presidente Bce, in contrasto con la linea tedesca, favorevole invece a ritardare l’attuazione del nuovo meccanismo. Nella sua veste di presidente del comitato europeo per il rischio sistemico (Esrb), Draghi ha parlato toccando tutti i temi e rispondendo a numerosi europarlamentari: “Rivitalizzare l’erogazione di credito è cruciale per la ripresa economica”, ha sostenuto. Nella prima metà del 2013 “l’Esrb presenterà proposte per prevenire i rischi collegati al finanziamento delle banche” ha detto Mario Draghi che ha aggiunto: “Intendiamo presentare ulteriori proposte nell’ambito della politica macro-prudenziale, in particolare sulle vulnerabilità collegate al finanziamento delle banche”.
Draghi ha sottolineato che “forse non è il migliore momento per accrescere i buffer”, cioè il capitale che le banche mettono al sicuro sottraendolo agli impieghi. Nella comprensione e nella prevenzione dei rischi sistemici da parte dell’Unione Europea Draghi ha sostenuto che “sono stati fatti progressi sostanziali”. Il presidente della Banca Centrale Europea ha confermato che la Bce “è pronta ad attivare, nelle condizioni appropriate, quelle che abbiamo definito transazioni monetarie illimitate” nel mercato dei titoli di stato.
In merito alla Grecia ha aggiunto: “Mi sembrano evidenti i progressi per quanto riguarda le riforme programmatiche. Ci sono stati sforzi significativi. E’ chiaro che bisogna fare di più”. Per una valutazione definitiva, sottolinea il presidente della Bce, “dobbiamo aspettare la relazione dellaTroika
 per valutare la portata della situazione: l’economia europea e mondiale continuano a dover fronteggiare sfide impegnative nel tempo. La politica deve continuare ad attuare le misure concordate e lo deve fare con determinazione”, ha avvertito il presidente della Bce. Sulle prospettive economiche della zona euro pesano “tre grandi rischi”, ha concluso. Il primo, sottolinea Draghi, “è quello di una mancata attuazione delle decisioni politiche prese”; il secondo deriva da possibili “rischi macroeconomici” e il terzo è quello legato alle ricadute negative sul credito bancario.Draghi: “La supervisione bancaria europea entri in vigore dal 2013″


lunedì 8 ottobre 2012

Sovranità vo cercando


Sovranità vo cercando

Giacomo Meloni*




Anche a me non piace il neologismo”sovranismo”, a cui non corrisponde il significato semantico della parola “sovranità” che nel dizionario enciclopedico De Agostini–Ed. 1981 Vol. I a pag. 1119  viene definita “diritto e potere del sovrano”; ”sovranità popolare” è “il potere del popolo nelle democrazie”; il suo significato figurativo è “superiorità” se si riferisce all’ingegno, mentre se riferita allo stile  viene intesa come “elevatezza, sublimità”.

Ho letto sul blog “Ventinovesettembre” una definizione del sovranismo che mi è piaciuta e che richiamo brevemente: “Mi si chiede, scrive C.S.Lewis , cosa è la sovranità. Incredibile dictu et auditu,non mi sono mai posto la domanda. Ho studiato malamente Schmitt e Hobbes, ancora più malamente Kelsen, e sarebbe ora che studiassi forse anche Bodin e Rousseau. Ma al momento mi sono fatto questa idea. Il sovranista è colui che crede che un problema comune richieda un decisore comune di ultima istanza. Lo stato hobbesiano che  fa finire il bellum omnium contra omnes con il suo potere assoluto e indiscutibile, e il sovrano totale schmittiano che decide nello stato di eccezione sono esempi di sovranità.

L’alternativa al sovranismo è un insieme di regole comuni, efficaci in quanto comunemente accettate. Il sovranista non può spiegare perché esistono degli stati, e perché esiste il diritto internazionale. Ma una volta accettato che esista il diritto internazionale, la necessità di avere un decisione comune si perde anche nel diritto domestico. Da cui l’inadeguatezza del giuspositivismo, una teoria del diritto che è sociologicamente rilevante solo nei casi in cui esista un sovrano hobbesiano, onnipotente e illimitato nella sua volontà. Ovunque lo stato non abbia un pieno controllo sociale o sia in concorrenza con altri stati vengono fuori delle norme giuridiche che sono estranee al sistema giuspositivista.

Mi scuso per questa digressione forse  troppo intellettuale  che trova giustificazione nei miei studi accademici di Filosofia all’Università di Cagliari, ma che aiutano ad inquadrare meglio l’argomento, anche se preferisco entrare concretamente nel merito della discussione  interessante che si è aperta in questo blog.

La sovranità del popolo sardo è solo annunciata  e quasi mai  è stata esercitata dalla classe politica del  Governo Regionale né purtroppo l’attuale Giunta e Consiglio Regionale trovano il tempo per avviare la riforma dello Statuto Sardo,approvato con Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n° 3,ed ormai palesemente inadeguato e superato.

Il perché di questo ritardo da parte delle Istituzioni Isolane e delle forze politico-sociali presenti sul territorio è in gran parte  inspiegabile, se non richiamandoci ai secoli di sudditanza al padrone di turno e alle dominazioni straniere che si sono succedute  in Sardegna.

Ma ai giorni nostri è assurdo che la Sardegna non parli di sovranità, quando ormai sono evidenti tutti i parametri in base ai quali nazioni meno estese come territorio e meno popolate come Malta sono assurte al rango di Stati Europei.
Da tempo, quando mi viene data l’occasione in qualche convegno o assemblea pubblica, mi piace citare una frase che  l’eminente dirigente sardista  Antonio Simon Mossa pronunciò il 16 ottobre 1946: ”Le finzioni sono finite. I miti non possono nascondere la verità. Uno stato sardo sovrano e indipendente è diventata l’unica strada che ai giorni nostri può portare ad una cooperazione fruttuosa non solo tra la Sardegna e l’Italia, ma tra il Popolo Sardo, l’Europa e il resto del Mondo”. Ed ancora in un discorso del 10 gennaio 1944: ”Alcuni uomini, che non sono dei politici, ritengono sia giunto il momento di assumersi questo rischio, di contare su questo fattore (indipendenza) per suscitare, da un capo all’altro della nostra Isola, una valida coscienza nazionale”.

Evidentemente dobbiamo prendere atto che a tutto oggi manca questa diffusa coscienza nazionale. Proviamo a declinare questo concetto di sovranità, che fa il paio col concetto di popolo sardo e Nazione sarda, in termini moderni  e scopriremo una piattaforma e progetto che, se attuato, darebbe la possibilità di migliaia di posti di lavorio veri e produttivi e farebbe entrare da subito la Sardegna  tra gli altri Stati Europei senza la fastidiosa e pesante intermediazione dello Stato Italiano.

Ecco una possibile piattaforma da Stato sovrano:
1.Sovranità energetica. La Sardegna oggi produce energia elettrica in quantità tre volte superiore  al suo fabbisogno reale. Eppure i sardi pagano il 40 % in più la bolletta  dell’Enel che come Ente pubblico  preferisce acquistare la corrente sul mercato internazionale piuttosto che comprarla a metà prezzo da Ottana/Energia,costringendola al fallimento.

La Sardegna ha già ora  la capacità di produrre in loco l’energia ,utilizzando e sviluppando tutte le fonti energetiche alternative:sole,acqua,vento,sabbie silicee per i pannelli fotovoltaici. Non c’è necessità di produrre energia dalle biomasse. Il progetto della Chimica Verde di Portotorres è un grande imbroglio. E’ un megainceneritore di 40 MGW,destinato a consumare 30 milioni di ettari coltivato a cardi. A fronte di 1500 licenziamenti e/o cassa integrazione degli operai applicati ai vecchi impianti della Chimica di Base,l’offerta è di 550 posti di lavoro in sei anni. Anche il Progetto Galsi – rivelatosi una grande operazione coloniale- decade per il ritiro degli Algerini, principali fornitori del GAS che hanno annunciato la loro indisponibilità.

Le nostre imprese di pannelli fotovoltaici soccombono perché le imprese del continente riescono ad avere mutui a tassi nettamente inferiori dalle Banche per cui riescono ad offrire alla loro clientela i contratti a prezzi  più convenienti. Cosa fa la Regione? Propone incentivi ad esaurimento rispetto alle domande pervenute, ma non riesce a scalfire minimamente la posizione delle Banche sarde che non abbassano i tassi.

2.Sovranità alimentare. Sostegno ed investimenti nell’Agricoltura e nell’Allevamento, settori che necessitano di ammodernamento e che vanno collegati con le industrie di trasformazione e conservazione dei prodotti alimentari. Puntare sui prodotti sardi con filiere  a Km zero. Sarà un caso, ma proprio in questi giorni, il Governo Monti sta opponendo i ricorsi alla Corte Costituzionale contro le leggi della Regione Calabria che favorivano  l’agricoltura a Km. Zero.

3.Sovranità fiscale. Cacciare Equitalia dalla Sardegna, restituendo ai Comuni l’organizzazione di questo servizio. Costringere lo Stato Italiano, anche con ricorsi all’Alta Corte Europea, alla restituzione dei 10 miliardi di euro dovuti alla Sardegna. Istituzione della Zona Franca e Nuova Portualità.

4. Sovranità di Mobilità. Con la svendita della Tirrenia i sardi sono rimasti fregati ed isolati ulteriormente. Il trasporto marittimo ed aereo  sono da terzo mondo ed umiliano ulteriormente la Sardegna,

5.Sovranità ambientale. Guerra alle fabbriche decotte,energivore ed inquinanti come l’Alcoa, l’Euroallumina, la Portovesme Srl, la stessa Carbosulcis. Quegli investimenti miliardari siano fatti nel territorio a favore di tutti i ceti produttivi. Basta ai progetti faraonici con soldi pubblici e senza controllo.
Sostenere e rilanciare il  Parco geominerario che assicura da subito 500 posti di lavoro a giovani diplomati e laureati. Rifinanziare il settore manufatturiero e tessile di Isili e Ottana. Apertura immediata dei cantieri per le bonifiche di tutto il territorio. Chiusura dei Poligoni di morte di Perdadefogu, Capo Frasca e Teulada, bonificando il territorio per restituirlo alle attività dell’allevamento e della  agricoltura.

La sovranità non e’ un sogno, ma è volontà politica concreta.

*Segretario Nazionale della Confederazione Sindacale Sarda

sabato 6 ottobre 2012

Sardinya: Movimentu Europeu Rinaschida Sarda Meris verso le Elezioni

Doddore Meloni: arrivare al 30% in Consiglio
Roberta Floris
unionesarda.it

L'obiettivo è l'indipendentismo della Sardegna. Lo strumento le Regionali del 2014. Doddore Meloni, leader di Malu Entu, ha presentato, ieri, la nuova carta di identità per la nascita della repubblica autonoma dell'Isola. Nome: Movimentu europeu rinaschida sarda (Meris, che in sardo vuol dire padroni).  AUTOGOVERNO Simbolo: l'albero sradicato di Eleonora d'Arborea (emblema dei sardi che si sono formati da soli, senza l'aiuto di nessuno) con i quattro mori senza benda. Segni particolari: lo slogan che recita «padroni in casa nostra». Finalità: raggiungere il 30 per cento dei voti alle prossime elezioni regionali nel 2014. «Dobbiamo autogovernarci. Riprendiamoci il diritto di casa nostra. Gli indipendentisti, oggi come oggi, non raggiungono il 10 per cento in Consiglio regionale, ma se aderissero al Movimento si potrebbe superare il 30», sottolinea Doddore. In piena battaglia legale per veder riconosciuto il diritto al referendum consultivo - bocciato dall'Ufficio regionale - Meloni punta a presentarsi alle urne con la sua nuova arma indipendentista: Meris. «È un contenitore trasversale pronto ad accogliere chiunque (tranne i riciclati) voglia veder nascere la repubblica autonoma nell'Isola. Rappresenta il voto effettivo sull'indipendenza». 
Meris.. Movimentu Europeu Rinaschida Sarda
INDIPENDENZA Indipendenza che, precisa, non va confusa con l'isolamento: «Indipendenza vuol dire apertura verso l'Europa, e porta all'autonomia legislativa». 
Doddore non risparmia, poi, critiche ai sardi, «mosche cocchiere»: «Non è colpa dei politici se l'Isola è attanagliata dalla crisi, ma dei cittadini che hanno scelto queste persone a rappresentarli. La Sardegna sta diventando una colonia moderna, preda di ogni avventuriero che viene». 
TURISMO E TRASPORTI Meloni punta i riflettori sui nodi da sciogliere: turismo, trasporti e disoccupazione giovanile: «Dobbiamo essere noi ad andare a prendere i turisti. Gli aeroporti e i porti dei nostri vicini di casa, Corsica e Spagna, funzionano molto meglio e con tariffe più basse». Rivendica la paternità della flotta sarda: «Avremmo potuto acquistare, tutti insieme, le quote della Tirrenia, creando 50 mila posti di lavoro in più. Invece da noi i giovani fuggono a caccia di fortuna altrove». E invita i sardi a dare un suffragio a se stessi. «Solo così da Roma incominceranno a preoccuparsi. Anzi lo hanno già fatto perché mi hanno arrestato». Il leader di Meris, arrestato in agosto per evasione fiscale (5 milioni di euro) conclude: «Pago le tasse, ma in forma indiretta».

giovedì 4 ottobre 2012

La fabbrica degli stati falliti


La fabbrica degli stati falliti

Edward S. Herman 
Tradotto da  Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Durante la guerra del Vietnam, sopra l'ingresso di una base americana si poteva leggere: "Killing is our business, and business is good" (Uccidere è il nostro mestiere e gli affari vanno bene"). E in effetti, gli affari andarono molto bene in Vietnam (così come in Cambogia, Laos e Corea), dove si contarono a milioni i civili uccisi. In realtà gli affari si mantennero buoni, anche dopo la guerra del Vietnam.


I massacri sono continuati in tutti i continenti, sia direttamente che tramite "proxies" [mercenari], ovunque la "sicurezza nazionale" degli Stati Uniti bisognasse di basi, guarnigioni, assassini, invasioni, campagne di bombardamenti o di sostenere regimi assassini e autentiche reti terroristiche transnazionali, in risposta alla "minaccia terroristica" che continua a sfidare il povero "pietoso gigante". Nel suo eccellente libro sull'ingerenza degli Stati Uniti in Brasile (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black aveva dimostrato già anni fa, come l'accezione sorprendentemente elastica del concetto di "sicurezza nazionale" può essere estesa, in funzione di quale nazione, quale classe sociale o istituzione si riferisca. Al punto che proprio "coloro la cui ricchezza e potere dovrebbe in linea di principio garantire la sicurezza, sono quelli maggiormente paranoici e che, con i loro frenetici sforzi per garantire la propria sicurezza, generano loro stessi la loro propria [parziale] distruzione". (La sua opera affrontava il pericolo di sviluppare una democrazia sociale in Brasile nel 1960, e la sua repressione attraverso il sostegno degli Stati Uniti alla controrivoluzione e all'instaurazione di una dittatura militare). Aggiungete a ciò la necessità per gli imprenditori legati al complesso militare-industriale di promuovere le missioni per giustificare un aumento dei bilanci della difesa e la piena cooperazione dei mass media a questa attività, e otterrete una realtà terrificante.

In realtà il suddetto gigante falsamente paranoico si è impegnato a capofitto nella produzione di pretesti per credibili minacce, soprattutto dopo il crollo dell'"impero del male", che il paese aveva sempre sostenuto di "contenere". Grazie a dio, dopo alcuni tentativi episodici di focalizzare l'attenzione sul narco-terrorismo e sulle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, il terrorismo islamico è caduto dal cielo per offrire alla defunta minaccia un degno successore, derivante naturalmente dall'ostilità del mondo arabo alle libertà americane e dal suo rifiuto di consentire la possibilità a Israele di negoziare la pace e risolvere pacificamente i suoi disaccordi con i palestinesi.

Oltre a rendere più efficaci i massacri e il soldo dei mercenari che ne deriva, gli Stati Uniti sono diventati de facto il più maggior produttore di Stati falliti, su scala industriale. Per Stato fallito, intendo uno Stato che, dopo esser stato schiacciato militarmente o reso ingovernabile a causa di una destabilizzazione politica o economica che lo getti nel caos, ha quasi sicuramente perso la capacità (o il diritto) di ricostruirsi e di soddisfare le legittime aspirazioni dei suoi cittadini. Naturalmente, questa abilità degli Stati Uniti non nasce ieri: come dimostra la storia di Haiti, della Repubblica Dominicana, di El Salvador, del Guatemala o degli Stati dell'Indocina, dove i massacri hanno funzionato così bene. Inoltre, abbiamo visto di recente una recrudescenza incredibile nella produzione di Stati falliti, di tanto in tanto senza ecatombe, come ad esempio nelle repubbliche ex-sovietiche e in tutta una serie di paesi dell'Europa dell'est, dove la riduzione dei salari e l'aumento vertiginoso del tasso di mortalità sono frutto diretto dalla "terapia d'urto" e del saccheggio generalizzato e semi-legale dell'economia e delle risorse, da parte di élite sostenute dall'Occidente, ma anche più o meno organizzate e sostenute a livello locale (privatizzazioni a tutto campo, corruzione a livelli esorbitanti).

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Un'altra cascata di Stati falliti origina dagli "interventi umanitari" e dai cambi di regime guidati dalla NATO e dagli Stati Uniti in modo più aggressivo che mai dopo il crollo dell'Unione Sovietica (vale a dire dopo la scomparsa di una "forza di contenimento" estremamente importante anche se molto limitata). Qui, l'intervento umanitario in Jugoslavia è servito da modello. Bosnia, Serbia e Kosovo sono diventati Stati falliti, altri sono usciti stremati, tutti assoggettati all'Occidente o alla sua pietà: una base militare statunitense monumentale è sorta da subito in Kosovo, eretta sulle rovine di quello che un tempo era uno Stato socialdemocratico indipendente. Questa bella dimostrazione di merito per l'intervento imperialista ha inaugurato la produzione di una nuova serie di stati falliti: Afghanistan, Pakistan, Somalia, Iraq, Repubblica Democratica del Congo, Libia, mentre oggi è in corso un programma simile in Siria e un altro si appresta per la gestione della cosiddetta "minaccia iraniana", nel tentativo di far rivivere i giorni felici della dittatura filo-occidentale dello Shah.

Questi fallimenti programmati hanno di solito in comune i segni caratteristici della politica imperiale e una proiezione di potenza dell'impero. Il copione prevede: la comparsa e/o legittimazione (o riconoscimento ufficiale) di una ribellione etnica armata che si atteggia a vittima, la quale conduce contro le autorità del proprio paese azioni terroristiche volte a provocare apertamente una reazione violenta da parte delle forze governative e che invoca immancabilmente le forze dell'impero a soccorrerla. Mercenari stranieri vengono generalmente assoldati per aiutare i ribelli, mercenari e ribelli indigeni vengono armati, addestrati e sostenuti logisticamente dalle potenze imperiali. Queste ultime si impegnano a incoraggiare e sostenere le iniziative dei ribelli il tanto per giustificare la destabilizzazione, i bombardamenti e, infine, il rovesciamento del regime bersaglio.

Il processo è stato eclatante durante tutto il periodo dello smantellamento della Jugoslavia e nella produzione di Stati falliti che seguirono. Le potenze della NATO, mirando alla disgregazione della Jugoslavia e al crollo della sua componente più importante e indipendente, vale a dire la Serbia, hanno incoraggiato alla ribellione gli elementi nazionalisti delle altre repubbliche della federazione, per le quali il sostegno o l'impegno militare della NATO sul terreno era un fatto acquisito. Il conflitto fu lungo e virò verso la pulizia etnica, ma per quanto concerne la distruzione della Jugoslavia e la produzione di Stati falliti, fu un successo (vedi Herman e Peterson,The Dismantling of Yugoslavia, Monthly Review, ottobre 2007). Stranamente, è con l'approvazione e la collaborazione dell'amministrazione Clinton e dell'Iran che si importarono tra gli altri mercenari, degli elementi di Al Qaeda in Bosnia e poi in Kosovo, per aiutare a combattere il paese obiettivo: la Repubblica di Serbia. Ma Al-Qaeda appariva anche tra le fila dei "combattenti per la libertà" impegnati nella campagna di Libia, ed è anche un componente riconosciuto (ora perfino dal New York Times, anche se con un po' di ritardo) del cambiamento di regime programmato in Siria (Rod Nordland, Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict»New York Times, 24 luglio 2012). Certo, Al Qaeda era precedentemente stata al centro del cambiamento di regime in Afghanistan [1996] e un elemento chiave nella svolta dell'11 settembre (Bin Laden, capo dei ribelli sauditi di primo piano, dapprima sostenuto dagli Stati Uniti, si sarebbe poi rivoltato contro di loro, da cui venne demonizzato ed eliminato).

Questi programmi comportano sempre una gestione sapiente delle atrocità, che permette di accusare il governo aggredito di aver commesso atti di violenza gravi contro i ribelli e i loro sostenitori, così da demonizzarlo efficacemente per giustificare un intervento massiccio. Questo metodo ha avuto un ruolo fondamentale durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia, e probabilmente ancora di più nella campagna di Libia e di quella in Siria. E' un metodo che deve molto anche alla mobilitazione delle organizzazioni internazionali che sono attivamente coinvolte in questa demonizzazione denunciando le atrocità attribuite ai leader riconosciuti, perseguendoli e condannandoli penalmente. Nel caso della Jugoslavia, il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY), istituito dalle Nazioni Unite, ha lavorato mano nella mano con le potenze della NATO per assicurare che la sola messa in stato d'accusa delle autorità serbe fosse sufficiente a giustificare qualsiasi azione che gli Stati Uniti e la NATO avessero deciso di intraprendere. Esempio mirabile di questa meccanica, la messa in stato di accusa di Milosevic da parte del Procuratore del ICTY, lanciata proprio quando (nel maggio 1999) la NATO decideva di bombardare deliberatamente le infrastrutture civili serbe per accelerare la resa della Serbia, bombardamenti che costituivano crimini di guerra condotti in piena violazione della Carta delle Nazioni Unite. Eppure fu proprio il processo a Milosevic che permise ai media di distogliere l'attenzione pubblica dagli abusi illegali della NATO.

Allo stesso modo, alla vigilia dell'attacco alla Libia da parte della NATO, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) si affrettò a promuovere un'azione giudiziaria contro Muammar Gheddafi senza aver mai chiesto un'indagine indipendente, rendendo di pubblico dominio che la Corte penale internazionale non aveva perseguito nessun altro che i leader africani non allineati con l'Occidente. Questo modo curioso di "gestione della legalità" è una risorsa preziosa per i poteri imperiali ed è estremamente utile in un contesto di cambiamento di regime, come nella produzione di Stati falliti.

Sono anche coinvolte delle organizzazioni umanitarie o di "promozione della democrazia" apparentemente indipendenti, come Human Rights Watch, l'International Crisis Group e l'Open Society Institute, che regolarmente si uniscono alla processione imperiale, facendo l'inventario dei soli crimini correlati al regime obiettivo e ai suoi dirigenti: cosa che contribuisce in modo significativo alla polarizzazione dei media. L'insieme consente di creare un ambiente morale favorevole a un intervento più aggressivo in nome della difesa delle vittime.
Poi si aggiunge che, nei paesi occidentali, le denunce o le accuse di atrocità - che rafforzano le immagini di vedove in lutto e rifugiati indigenti, le prove apparentemente attendibili di abusi odiosi e l'emergere di un consenso attorno alla "responsabilità di proteggere" le vittime del conflitto - commuove profondamente gran parte dei circoli di sinistra e libertari. Molti di loro vengono ad ululare con i lupi contro il regime bersaglio, ed esigono l'intervento umanitario. Gli altri in genere sprofondano nel silenzio, certo perplesso, ma pregno soprattutto della paura di essere accusati di sostenere il "dittatore". L'argomento degli interventisti è che, a costo di apparire sostenitori dell'espansionismo imperialista, talvolta occorre fare un'eccezione se le cose sono particolarmente gravi e se tutti sono indignati e chiedono un intervento. Ma bisogna, per dimostrarsi autenticamente di sinistra, tentare una micro-gestione degli interventi per contenere l'attacco imperiale, esigendo per esempio che ci si attenga all'interdizione di una no-fly zone come in Libia.

Ma gli Stati Uniti stessi non sono che un caso, dei peggio riusciti, di produzione di tali Stati falliti. Ovviamente, nessuna potenza straniera li ha mai schiacciati militarmente, ma la base della sua popolazione ha pagato un tributo pesante al sistema di guerra permanente. Qui, l'elite militare, così come i suoi alleati nel mondo dell'industria, della politica, della finanza, dei media e gli intellettuali, hanno contribuito ampiamente ad aggravare la povertà e il disagio generalizzato dovuto alla disintegrazione dei servizi pubblici e all'impoverimento del paese; la classe dirigente, paralizzata e compromessa, è incapace di rispondere adeguatamente alle esigenze e alle aspettative dei suoi cittadini, nonostante il costante aumento della produttività pro capite del PNL. Le eccedenze sono completamente dirottate verso il sistema di guerra permanente e dal consumo e l'arricchimento di una piccola minoranza, che lotta in modo aggressivo per realizzare la captazione non solo delle eccedenze, ma fino al trasferimento diretto delle entrate, delle proprietà e dei diritti pubblici della stragrande maggioranza dei suoi concittadini (in difficoltà). In quanto Stato fallito, come in molti altri campi, gli Stati Uniti sono una nazione senza dubbio d'eccezione!




Per concessione di Resistenze.org

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