Luciano Caveri è un caro e antico amico valdostano, è stato parlamentare, parlamentare europeo, consigliere regionale e presidente della Giunta regionale della Val d'Aosta.
La biografia sul suo blog può fornire altri dati in abbondanza sulla qualità politica di questo uomo che fra l'altro è un gran amico della Sardegna.
Assieme ( alleanza delle minoranze linguistiche) abbiamo inviato al Parlamento europeo due parlamentari sardi Michele Columbu e Mario Melis.
Conosce profondamente la questione zona franca e partendo come sottolinea dallo Statuto valdostano che prevede la zona franca extra doganale per tutta la regione e che ancora non è stata completata da una legge dello Stato mai emanata dal 1948, nel suo stile scarno da giornalista ha fotografato la situazione in Sardegna sulla Zona franca, con cognizione di causa profonda e distaccata.
Purtroppo e cortesemente, con parole adatte per non offendere, fotografa quella che per molti neofiti è una loro grande scoperta, la battaglia storica per la zona Franca sarda, evidenziando la farsa che si sta perpetrando , da parte di capipopolo demagogici e populisti ai quali è stata offerta una sponda fasulla da politici nella stessa misura demagogici e populisti.
Leggere documenti e proclami senza capo né coda, rispetto ai quali viene il dubbio che siano stati scritti come in una trance onirica, veder diffondere bufale a piene mani, fa venire tanta tristezza ma anche accapponare la pelle a fronte dell'entusiasmo popolare e la grande mobilitazione entusiastica che stanno evocando fra i sardi.
Specchio del degrado politico dell'autonomia sarda e di settori importanti della nostra società quali la stampa e l'informazione radiotelevisiva e bisogna dire anche del web, sono la disinformazione e la complessiva ignoranza della questione e delle legislazioni interessate, dato che riportano pedissequamente affermazioni campate in aria, sbagliate, a volte al limite del grottesco, che vari apprendisti stregoni diffondono ormai da troppo tempo e malauguratamente con un certo successo di pubblico e di claque.
È drammaticamente straordinario come a volte e in periodi di grande crisi la psicologia delle masse possa indirizzare verso binari morti se non proprio verso un sicuro deragliamento un treno quale quello della Zona franca, partito tanti anni fa e avanzato fra tante difficoltà sino ai giorni nostri.
Solo da poco si avverte una reazione di idee e di etica politica da parte di singoli e piccoli gruppi di liberi pensatori che però vengono additati da fanatici settari di un carro di Tespi che gira la Sardegna diffondendo sogni ed errori, quali rematori contrari, sabotatori della zona Franca e altre simili amenità .
È un fenomeno già studiato da Elias Canetti ( ed altri analisti e politologi) nel suo insuperato libro "psicologia delle masse" e che invito a leggere, quando analizza come la massa, un movimento nascente, nasce, vive e muore, in situazioni di crisi storica , sociale ed economica e senz'altro culturale.
Ciò dipende a mio avviso dalla crisi dello Stato unitario e dell'Autonomia sarda che prima che economica è politica.
Non bisogna sottrarsi alla discussione, malgrado si avvertano segni di intolleranza e di violenza per ora solo verbale, perché la questione della sovranità fiscale, così come quella della lingua sarda, è fondamentale per elaborare una teoria dello Stato sardo.
Perché solo avendo un idea, un progetto del futuro Stato sardo, chiamatelo Repubblica o come volete, si può pensare di uscire dalla crisi attuale che è solo agli inizi, provando anche a risolvere i problemi minuti, giornalieri, contingenti delle famiglie, dei giovani, delle categorie emergenti e produttive e dei più deboli sardi.
Una soluzione, parziale, riformista, a piccoli passi verso la sovranità fiscale e quindi verso la Zona franca generalizzata a tutta la Sardegna è puntare le forze verso un primo obiettivo ( che i demagoghi stanno ancora colpevolmente eludendo con i loro salti della quaglia ), cioè l'attuazione del decreto 75/98 che ha istituito le zone franche sarde dotandole di perimetrazioni realistiche e regole che le vedano operare in regime di annullata fiscalità doganale e sopratutto di ridotta fiscalità sulle imposte dirette ed indirette di reale vantaggio per dare produzioni di beni e servizi e libertà di commercio, di trasporti ed occupazione. Cagliari, Porto Torres, Olbia, Arbatax, PortoVesme ed Oristano stanno attendendo dal 1998.
Si sta ripetendo il fenomeno psicologico e drammaticamente politico che avvenne quando Lussu propose l'adozione per la Sardegna dello Statuto siciliano.
Venne rifiutato in nome di un obiettivo più alto che poi non venne raggiunto anzi ci fruttò un aborto di Autonomia.
Oggi si rifiutano le zone franche già istituite nel '98 in nome di una Zona franca di fantasia e tutta ideologica che però non arriverà mai se prima non si realizzassero le zone franche che ho ricordato e non si facessero altri decreti attuativi dell'Art.12 dello Statuto o vere e proprie riforme di alcuni suoi articoli che ne ampliassero le competenze alla fiscalità.
A molti santoni della Zona franca sfugge che appunto non è eliminando la fiscalità, che creerebbe problemi insopportabili al bilancio regionale ma abbassandola in maniera mirata e con misure diverse per prodotti e servizi diversi che si ottiene quella che modernamente si chiama fiscalità di vantaggio.
Il vantaggio è ciò che si deve ottenere. Ma vantaggio rispetto a chi? Chi e che cosa devono essere i punti di riferimento per ridurre la pressione fiscale?
Evidentemente il primo elemento di vantaggio deve servire ad eliminare lo svantaggio e deve essere l'abbattimento dei costi superiori rispetto a quelli medi italiani ed europei dei fattori di produzione di beni e servizi che penalizzano l'isola per l'insularità e per altri fattori storici economici, culturali e infrastrutturali.
Un ulteriore abbassamento di fiscalità diretta ed indiretta andrebbe fatto per ottenere l'attrattività per capitali, tecnologie, imprese ed imprenditori che sarebbero per questo attratti ad investire in Sardegna. La fiscalità di vantaggio sarebbe quindi anche una boccata d'ossigeno, una vera respirazione bocca a bocca per l'intero sistema economico sardo e per le imprese produttrici di beni e servizi che già vi operano anche nel turismo e commercio e nell'agroindustria e allevamento e deroghe alla PAC.
Con la contemporanea ascesa dell'occupazione si può ben prevedere che in cinque anni solo la messa in attività delle zone franche già decise col decreto 75/98 darebbero almeno 50.000 nuovi posti di lavoro senza tener conto dell'indotto. E scusate se è poco.
Il buon senso, la coscienza ed anche la scienza questo ci consiglierebbe e in seguito, ottenuto ciò che ci spetta si potrà seguitare in avanti per strappare la libertà fiscale in tutta la Sardegna, progettata come serve a noi sardi e non come un paese della Cuccagna che è propagandato dal carro di Tespi che gira per le piazze sarde.
Rivitalizzata l'economia, cambiato il modello di sviluppo imposto dal colonialismo, dato lavoro e reddito a padri di famiglia e a ragazzi e ragazze saremo meno poveri e miserabili di come siamo ridotti adesso a chiedere l'elemosina allo Stato e alle sue corporazioni magari per procrastinare produzioni superate, mangia miliardi, velenose o vendere la nostra terra, il nostro ambiente come farebbe un padre di famiglia alla fame nera avviando alla prostituzione i propri figli, avremo quindi la forza per ambire ad altri e più alti obiettivi di libertà.
Devo dire che però non sono ottimista nel breve e medio periodo perché vedo prevalere per adesso il populismo e l'avventurismo che trovano terreno fertile nella disperazione della gente e purtroppo anche nell'ignoranza che contamina la speranza genuina nel diritto e l'aspirazione ad una vita migliore e più giusta alimentando fanatismo ed intolleranza.
Vittima di tutto questo può essere l'idea stessa di zona franca e di tutto ciò che essa sottende, a fronte della grande disillusione e disincanto che può seguire al crollo di sogni e speranze quando si riveleranno o irrealizzabili o concretizzabili in misura ben minore
Tutto questo perché la Sardegna ed i sardi sono oggi come un gregge senza pastore, con una classe dirigente e politica screditata e ignorante delle minime competenze culturali atte ad elaborare qualsiasi progetto sulla fiscalità di vantaggio che hanno osteggiato per oltre mezzo secolo.
La Sardegna si trova anche senza un partito politico ( nel vero senso della parola non cloni dei partiti che tifano per il colonialismo purchè li faccia sopravvivere come intermediari che possa rappresentare la nazione sarda, la sua complessità ed identità e i suoi obiettivi di libertà e autodecisione ( anche quelli parziali di zona franca ) come invece i tempi drammatici che stiamo attraversando e che vedono il crollo dello Stato italiano centralista, richiederebbero.
Apprendo adesso che sarebbe arrivata la risposta dela Commissione europea alla lettera inviatagli per comunicargli l'unilaterale e fasulla attivazione della zona franca sarda, la sua lettura se si avrà il coraggio e la trasparenza di renderla integralmente pubblica ci darà elementi di ulteriore analisi e riflessioni.
E' la risposta di Carboni all'articolo qui sotto
LUCIANO CAVERI
Leggi una cosa così e ti stupisci:"E' passata sotto tono la notizia che dal 24 giugno prossimo la regione Sardegna, comprese le isole minori, diverrà "zona franca". Non si capisce bene perché i vari telegiornali e le maggiori testate giornalistiche abbiano sottaciuto una notizia così importante. In ogni caso c'è da dire che questo evento per la seconda isola più grande d'Italia riveste un'importanza fondamentale sia per i residenti che per il resto degli italiani".
Poi ne leggi un'altra così e passi dal dubbio allo sghignazzo: "Dal prossimo 24 giugno andare a vivere in Sardegna oppure andare semplicemente a trascorrerci le vacanze potrebbe risultare davvero conveniente. Si apprende infatti da una delibera del Consiglio regionale risalente allo scorso 12 febbraio che la Regione Autonoma della Sardegna ha stabilito l'attivazione di un regime doganale di "zona franca" esteso a tutto il territorio regionale. L'isola andrebbe dunque ad affiancare le città di Livigno, Campione d'Italia, Messina e Livorno, i porti franchi di Trieste, Venezia ed Ancona e la Regione Val d'Aosta, che godono di questo particolare trattamento".
Ovvio che chi scrive quest'ultimo articolo non sa che è vero che lo Statuto valdostano prevedeva la "zona franca", ma mai è stata applicata e dunque il fatto non è vero. La deliberazione per il "caso sardo" è, invece, verissima e pure le iniziative di spinta politica annunciate dal presidente dell'Isola, Ugo Cappellacci, ma siamo di fronte ad una castronata. Mai Roma e men che meno Bruxelles potrebbero accettare nulla di simile in questa fase storica. Sembra di sentire chi in Valle d'Aosta propone buoni benzina a gogò, tablet per tutti, dice che il Casinò va bene e che "Cva" non assume gente "amica" e che le turbine cinesi per le centrali funzionano come degli orologi svizzeri.
Per altro - scusate la digressione e torno al punto - mentre lo Statuto valdostano è chiarissimo sin dal 1948 - articolo 14: "Il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca. Le modalità d'attuazione della zona franca saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato" - quello sardo è debolissimo con una frasettina smilza all'articolo 12: "Saranno istituiti nella Regione punti franchi".
Pochino per una zona franca integrale, oltretutto auto-statuita, non si sa sulla base di quali poteri e competenze. Insomma non se ne parla della questione - e lo dico con dispiacere per gli amici sardi, cui ci legano l'autonomia speciale e il fatto che il grande Emilio Lussu sia stato relatore del nostro Statuto - per la semplice ragione che è un'iniziativa destinata a giacere su di un binario morto.
Le strade sono più complesse che un atto come quello su cui si dovrebbe basare la rivoluzione e sfugge come si possa conciliare con un ordinamento fiscale basato su una compartecipazione ad una fiscalità che crollerebbe.
Mentre spero che le nostre elezioni regionali consentano di ragionare sulla "nostra" zona franca e le sue eventuali e realistiche possibilità di farne ancora qualcosa. Ma non con una delibera puramente dimostrativa.