La Saras sostiene che nel sottosuolo della Sardegna centro-occidentale ci siano idrocarburi che possano tornare utili nel mercato energetico. E per questo ha chiesto (e ottenuto) alla Regione il permesso di effettuare delle esplorazioni sotterranee ad Arborea. A opporsi, già da un anno e mezzo, è un comitato di cittadini che ha promosso diverse iniziative pubbliche, contestando il progetto e presentando alcuni rilievi agli uffici regionali. Da allora, presso l'assessorato all'Ambiente, è partita la procedura di Valutazione d'impatto ambientale.
Cos'è il progetto Eleonora e perché sta incontrando tante resistenze nella popolazione? E le istituzioni pubbliche cosa ne pensano?
Dario Scafardi: «Il nostro è un progetto datato 2006, che è entrato nella sua fase operativa lo scorso anno. Abbiamo ottenuto l'autorizzazione per realizzare un pozzo esplorativo, alla ricerca di idrocarburi. Le licenze ce le ha date la Regione, in considerazione della nostra convinzione di trovare materie prime che possono rivelarsi preziose dal punto di vista energetico. La prima concessione, per un permesso di ricerca, è arrivata nel 2006 (presidente Renato Soru, assessore Concetta Rau), quella per il permesso di esplorazione è stata prorogata nel 2011 (presidente Ugo Cappellacci, assessore Alessandra Zedda). È sbagliato dire che abbiamo fatto tutto di nascosto: i nostri camion giravano per i campi di Arborea e nessuno si è mai lamentato. Anzi, abbiamo sempre incontrato la massima collaborazione».
Paolo Piras: «L'azione fondamentale del Comitato è stata quella di divulgare e informare la popolazione su che cosa in realtà prevede questo progetto. La domanda da cui bisogna partire è questa: quale modello di sviluppo si vuole creare in Sardegna? Vogliamo ancora insistere sull'industria estrattiva petrolchimica? A questo è necessario rispondere prima ancora di parlare di pozzo. La Saras dice che quando i tecnici giravano per i campi e le aziende di Arborea per sondare la presenza di idrocarburi nel sottosuolo, nessuno si è lamentato. A me invece risulta che in quell'occasione i mezzi pesanti crearono un forte impatto nel territorio, furono distrutte strade e spesso molte famiglie si ritrovavano nei campi alcuni tecnici con macchinari senza che nessuno li avesse autorizzati. E non è neppure corretto parlare di una contrarietà al Progetto Eleonora da parte di un gruppetto di persone. Tutto il territorio si oppone».
Giampaolo Diana: «Finora non c'è stato un confronto adeguato. Col Galsi forse seppellito per sempre, la mancata metanizzazione lascia il sistema economico sardo in condizioni di insufficiente competitività. Il metano serve per produrre non energia elettrica ma termica, utile anche per i processi dell'industria agroalimentare e della trasformazione del latte. Non dico che il progetto Eleonora vada sicuramente bene: anch'io ritengo che dall'inizio non ci sia stato il necessario coinvolgimento del territorio, e questo rischia di produrre posizioni radicalizzate. Un progetto simile non può non essere condiviso con il territorio. Da un lato non dobbiamo guardare con ostilità alla possibilità di verificare se nel sottosuolo ci siano giacimenti importanti: sfruttarli sarebbe un interesse collettivo. Dall'altro lato non si possono imporre scelte economiche con arroganza e tracotanza. Ci sono sentimenti popolari da interpretare e rispettare: non credo alle guerre sante, bisogna convincere. Mi chiedo se ci si possa magari spostare appena per saggiare l'esistenza del giacimento. Certo, se si scopre che estrarre quel metano equivale a compromettere la vocazione economica dell'Oristanese, dico fin da ora un netto no».
Stefano Tunis: «Dobbiamo partire da una premessa fondamentale: il metano serve alla Sardegna o non serve? Evidentemente serve. È una risorsa utile perché è un'energia più economica e più pulita. Ha una utilità immediata sia nell'attività aziendale che nella micro economia delle famiglie. L'accesso al metano ha contribuito al benessere dell'Italia e può contribuire senz'altro alla crescita dell'Isola. Su questa base la Regione investì decine di milioni, in vista anche del progetto Galsi, per creare nell'Isola un consumo di metano e quindi avere ricadute positive. E così venne realizzata tutta la rete di canalizzazione per il consumo del metano. La Saras è intervenuta in questa fase. Una società che è nell'Isola da decenni e che, a differenza di altre realtà imprenditoriali, ha sempre dialogato con il territorio. Ora però non possono restare solo questi due soggetti, portatori di interessi di parte, il privato e il territorio. La responsabilità politica della Regione è evidente. Occorre cerare un terreno di dialogo tra le parti. Non possono esserci solo le ragioni ingegneristiche come, di contro, non può ridursi tutto a una rigida posizione emotiva».
Giulio Casula: «La potenzialità nella zona dell'Oristanese è di circa 3 miliardi di metri cubi e il metano può costituire un elemento di sviluppo perché il resto dell'energia in Sardegna rischia di avere costi insostenibili per le imprese. L'impianto che abbiamo pensato per Arborea è stato progettato con tutte le migliori tecnologie possibili. Non ci saranno danni per l'ambiente e per le realtà produttive del territorio. Lo studio d'impatto ambientale che abbiamo realizzato è trasparente e riteniamo che l'attuale contrapposizione possa essere superata col dialogo e con una più approfondita conoscenza tecnica del progetto. Abbiamo effettuato i primi “assaggi” sul terreno senza utilizzare micro-cariche e ogni danno ai privati, anche piccolo, è stato risarcito».
Giorgio Locci: «La politica regionale non si è ancora fatta carico del problema. Quella locale ha invece espresso pareri, rispettabilissimi, che devono essere di stimolo a una valutazione che guardi comunque agli interessi regionali. Ho gli stessi timori dei comitati di cittadini, ma credo ci siano i metodi per verificare se possono esserci impatti negativi sull'ambiente e sulle attività economiche del territorio. Del resto anche l'attività zootecnica, come sappiamo, pone problemi di impatto ambientale. E anche quel settore, come ogni altro, condivide la sofferenza per i costi elevati dell'energia. Ma se guardiamo all'Emilia-Romagna, vediamo che a margine della Food Valley, comparto dell'agroalimentare che possiamo paragonare alla zona di Arborea, sussistono più di 200 pozzi di gas».
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l'ambiente dove la SARAS vuol fare le trivellazioni gas ad arborea vivono gli aironi rosa "SU POPULU ARRUBIU" |
Michela Murgia: «Mandare i camion in giro per Arborea e annotare che nessuno ha nulla da ridire non equivale a sostituire il processo partecipativo. Il progetto andava spiegato per stimolare domande e partecipazione. La popolazione che oggi si lamenta non può dunque essere rimproverata di fare un'obiezione tardiva. Bisogna invece ammettere che non c'è stato nessun processo partecipativo. Ho sentito parlare di Food valley e paragonare il distretto di Arborea a quello di Reggio Emilia ma ci si dimentica che i prodotti della pianura padana vanno soprattutto sul mercato internazionale e col marchio Made in Italy. Arborea ha invece un mercato locale e il suo nome equivale alla sua immagine come paese, dove da sempre c'è un sistema integrato».
Antonello Liori: «Le reazioni della popolazione vanno tenute nella giusta considerazione. Però il problema dell'energia è strategico, in una regione che è l'unica rimasta senza metano: e non sappiamo se si farà mai il Galsi. Penso che non si possa dire di no a tutto, e che non ci si possa muovere in base all'emotività: ora è in corso la Valutazione d'impatto ambientale, che è l'unico strumento tecnico che ha la classe politica per certe valutazioni. Se da quella verifica emergerà che non ci sono pericoli sarà sicuramente un punto a favore della Saras. Però aspettiamo di vedere anche quanto gas c'è, se valga la pena estrarlo».
Emanuele Cera: «La Provincia, in piena sintonia con quello che è il sentimento del territorio, si è espressa all'unanimità contro il progetto di estrazione di idrocarburi nella piana di Arborea. Ma non solo di Arborea. L'intervento coinvolge quasi l'intero territorio provinciale per oltre 44 mila ettari. Ci preoccupano gli aspetti ambientali e l'impatto di tipo socio-economico. Progetto Eleonora andrebbe a compromettere il comparto agroalimentare e tutta l'attività primaria fondamentale per l'economia del territorio, che è un'eccellenza in campo regionale: il sistema Arborea con i suoi 35 mila capi bovini altamente selezionati, e una produzione giornaliera di oltre 500 mila quintali di latte. Ma c'è anche l'ortofrutta, il comparto viticolo e il sistema avicolo. Tutte eccellenze di produzioni che saranno compromesse dalla realizzazione di un pozzo per l'estrazione di metano». Se il progetto andasse a buon fine la Sardegna cosa ci guadagnerà?
Dario Scafardi: «I prezzi non li facciamo noi ma il mercato. Oggi con l’olio combustibile e domani, se tutto andrà per il meglio, con il metano. Una cosa è certa: l’olio combustibile non è conveniente, costa mediamente circa il 30% in più del gas. E in futuro il suo prezzo è destinato a crescere, mentre quello del metano calerà. Ora viene formato, per convenzione, prendendo a riferimento il punto di consegna virtuale, un po’ come accade nel mercato dell’energia. A beneficiare del minor costo della produzione di energia sarebbero le grosse aziende come Eurallumina e Alcoa, ma non solo.Voglio precisare che Saras si limiterebbe ad estrarre il metano, ma a commercializzarlo sarebbero altri soggetti. Sulle royalties il discorso è aperto: c’è una previsione di legge (10%) ma ci sono anche esempi di altre realtà in cui, a seguito della contrattazione con le istituzioni, si è raggiunto un accordo per percentuali più alte».
Michela Murgia: «La politica sarda è di fronte a una scelta strategica per i prossimi 20 anni. Deve scegliere se continuare con l’industria pesante, che si è rivelata fallimentare, o se puntare su tecnologia e altre forme innovative. Le scelte energetiche andranno di pari passo. Ma il piano di sviluppo dell’Isola non può essere dettato da Saras o altri privati che, legittimamente, sono portatori di interessi diversi da quelli generali. Loro cercano di fare utili, com’è giusto che sia per un imprenditore. Noi, ad esempio, vorremmo sentire parlare di prezzi. Già oggi, con i prodotti della sua raffineria, la Saras non fa sconti ai sardi, anzi. Perché dovrebbe farli col metano? Se ci aggiungiamo che i giacimenti di cui stiamo parlando sono piccoli e rischiano di estinguersi entro pochi anni, non è nemmeno certa l’economicità dell’operazione».
Giampaolo Diana: «Non voglio pensare che, nel 2013, non si possa estrarre gas in modo compatibile con altre attività economiche. Se ci fosse l’occasione di avere energia termica a costi bassi, non dovremmo sciuparla. Due esempi: per i costi energetici, le ceramiche di Sassuolo con materia prima prelevata nell’Isola costava no il 27% in meno delle stesse pianelle prodotte qui, malgrado il trasporto. E nell’Isola non si produce più una sola bottiglia di vetro,per il costo di sfruttamento delle sabbie silicee. Pure la serricoltura, la viticoltura e il settore lattiero-caseario soffrono il fatto di pagare l’energia il 30% in più che nel resto d’Italia. Perciò auspico un confronto al livello più alto possibile».
Antonello Liori: «Io sono un po’ critico con la Saras, e pure con la Regione. Si parla di un risarcimento del 10% per le casse comunali, che a me sembra insussistente. In Africa hanno tolto da tempo l’anello al naso e per progetti simili impongono ricadute del 25-30%. In Danimarca creano società col 20% di azionariato locale. Qui, se il giacimento fosse di un miliardo di metri cubi, applicando il 10% a un prezzo di 35 centesimi di euro per metro cubo la Regione incasserebbe 350 milioni. Non può essere questa la compensazione». Il progetto è suscettibile di modifiche dopo il confronto con Regione e territorio, o è “blindato”?
Dario Scafardi: «Il gas che c’è nel sottosuolo è di proprietà della Regione, che deciderà cosa farne. Bisogna anzitutto capire se ce n’è, in quale quantità e di quale qualità. Poi occorrerà negoziare una concessione e capire quali siano le possibili condizioni del rapporto tra pubblico e privato. Partiamo da Arborea, ma abbiamo un progetto simile per il Campidano, perché secondo le prime evidenze quella è la zona in cui potremmo trovare più metano. Se lo dovessimo trovare credo che questo rappresenterebbe un vantaggio anche per le aziende zootecniche di quel territorio. Non mi pare che nemmeno a loro convenga pagare l’energia il 30% in più di quel che sarebbe possibile grazie al metano».
Paolo Piras: «Lo studio diimpatto ambientale prodotto dalla Saras è carente in molte parti. Liquida in poche pagine la parte che riguarda l’impatto sulla salute dei cittadini, non è corretto neppure per quanto riguarda la produzione di Idrogeno solforato che è un gas altamente tossico presente nell’attività estrattiva. Ma soprattutto non fa riferimento a nessuna bibliografia scientifica. Lo abbiamo fatto noi. Abbiamo due studi che parlano delle conseguenze sulla salute non solo dai pozzi estrattivi ma anche dall’attività esplorativa. Si fa riferimento anche alle alterazioni genetiche nei bambini».
Giorgio Locci: «Vorrei che Saras approfondisse meglio alcune criticità evidenziate dai comitati. Bisogna capire bene qual è l’impatto dell’impianto, quando fosse operativo e a regime. Se riusciamo a essere sicuri che non ci saranno impatti negativi, e se la Regione avrà la possibilità di controllare questi aspetti, allora la politica dovrà valutare la questione in termini di interesse regionale: in caso di rischio ambientale pari a zero, credo che l’indotto per la Sardegna sarebbe positivo».
Giulio Casula: «L’autorizzazione di cui disponiamo è quella per un pozzo esplorativo. Se il progetto andasse a buon fine noi vorremmo occuparci dell’estrazione, mentre la distribuzione e la commercializzazione del metano sarebbe affidata a un altro soggetto. Non ci sarà alcun danno né per le attività produttive presenti sul territorio né per il settore della pesca. Utilizziamo tecnologie che hanno un impatto minimo e il nostro studio ambientale lo dimostra».
Stefano Tunis: «Serve un dialogo che superi il terreno tecnico e quello dell’emotività. Dopo l’esito della Via, se sarà positivo, a quel punto non sarà più possibile tenere la discussione solamente su un livello tecnico, ma neppure su un piano condizionato dall’emotività. Se questo non avviene, il rischio è quello di avere un conflitto come è avvenuto per la Tav. La Regione deve moderare e fare da intermediaria in questo confronto». Come si può favorire il confronto? Sareste favorevoli a un referendum?
Antonello Liori: «Non sono assolutamente contrario a un referendum. È anche vero, come dice Giampaolo Diana, che potrebbe apparire un fallimento della politica: ma se una Provincia intera dice che lo vuole, io essendo un democratico ne prendo atto. Nel caso però dovrebbe esprimersi tutta la Sardegna, perché riguarda lo sviluppo di tutta l’Isola».
Giampaolo Diana: «È un problema di democrazia. Bisogna guardare all’interesse collettivo: non può certo rappresentarlo Saras, che è un privato e giustamente fa i suoi conti. L’interesse collettivo è avere il metano: dal Galsi, da Saras o da altri, non importa. Come costruire un processo partecipativo per decidere? Il referendum può essere una scorciatoia per una politica che non riesce ad assumersi la responsabilità delle decisioni. Non vorrei arrivarci: è un momento di rottura, sarebbe il fallimento della politica. Se fossi il presidente della Regione, proverei a provocare un confronto proficuo tra le parti».
Michela Murgia: «Sento parlare di referendum, che non è certamente il massimo del processo di partecipazione. Ma se fosse l’unico strumento in campo non ci spaventerebbe di certo. Continuo a battere sul punto della convenienza per i sardi: non abbiamo certezze che i prezzi del metano per i consumatori sarebbero competitivi, non registriamo impegni sulla questione delle compensazioni ai cittadini che subirebbero un oggettivo danno dalla localizzazione di una centrale estrattiva e non abbiamo nemmeno mai avuto risposte da Saras a proposito della recente ricerca che certifica come i bambini vissuti vicino alla raffineria di Sarroch presentino una mutazione del Dna. Oggi i privati sono portatori di interessi soggettivi e non possono regalarsi da soli la comprensione delle popolazioni dell’Oristanese. Per ora abbiamo solo capito che, estraendo il metano, la Saras abbatterebbe di circa 20/30 milioni la sua bolletta energetica. Sento addirittura di progetti che puntano a trasformare in piana estrattiva il Campidano, dove c’è la maggiore concentrazione di terre fertili dell’Isola. Saras è legittimata a pensarlo, la Regione cosa risponde?».
Emanuele Cera: «Noi siamo portatori degli interessi della comunità e abbiamo delega per esprimere la nostra contrarietà al progetto. Chiediamo alla Regione che si faccia garante di tutto questo».
Dario Scafardi: «I dettagli economici del nostro progetto devono ancora essere esplicitati e valutati. La Sardegna ha una indubbia ricchezza nel suo sottosuolo, occorre capire se la vuole utilizzare o se voglia continuare a comprare l’energia da fuori, mettendosi di fatto in condizioni di non competere. Noi per primi abbiamo interesse a rispettare l’ambiente e siamo certi di poter dimostrare che il progetto di esplorazione da noi proposto non comporta nessun impatto permanente.Anzi, il camping che è presente nell’area interessata potrà continuare a lavorare, visto che la nostra trivella non rimarrà sul territorio per più di sei mesi. Siamo disposti a mettere a disposizione di chiunque voglia analizzarla tutta la documentazione tecnica in nostro possesso. Un nuovo caso Furtei? Non conosco nel dettaglio quanto accadde in quella zona mineraria, ma posso assicurare che i luoghi verranno ripristinati immediatamente dopo la fine dell’esplorazione. Ripeto: vogliamo dare a tutti l’opportunità di dissipare i dubbi. Il dialogo dev’essere vero e costruttivo: noi siamo certi di poter dimostrare le nostre ottime intenzioni. E vogliamo porre con forza un tema: la questione del metano da estrarre va posta, Saras o non Saras».
Michela Murgia: «Il no al progetto è giustificato da pochi ma chiari dati di fatto: il prezzo del metano non sarebbe più conveniente per i sardi perché tutto sarebbe rimesso al mercato, non ci sarebbero ricadute occupazionali ma tutto verrebbe rimandato all’indotto, non ci sono sostanziose royalties da versare alla Regione, che potrebbe poi metterle a disposizione di tutti i sardi, ma c’è solo la certezza di un forte impatto ambientale. Non può essere un’azienda privata e tantomeno i tecnici della Regione a stabilire il futuro di quest’Isola».