mercoledì 19 giugno 2013

Assalto ai nostri risparmi: Se le Poste acquisissero MPS, comprerebbero un buco nero che rischierebbe di compromettere l’integrità dei depositi dei risparmiatori?

Assalto ai nostri risparmi: Se le Poste 

acquisissero MPS, comprerebbero un buco nero 

che rischierebbe di compromettere l’integrità 

dei depositi dei risparmiatori?


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Molti, anziché contestare e denunciare le malefatte dello stato italiano ai danni dei cittadini, esortano il suo governo truffa, quello “dalle larghe intese” insediatosi da qualche mese a questa parte, a trovare i soldi per mantenere in ordine i conti pubblici e contemporaneamente far risollevare l'economia italiana. E' il solito atteggiamento italiota secondo il quale, l'incapace si rivolge sempre allo stato quando si tratta di mettere le mani sui soldi degli altri, così da poter risolvere i problemi derivanti dalla sua incompetenza.

Ho la vaga impressione che quelli del governo i soldi a loro necessari li abbiano già trovati. Devono solo capire come, quando e a chi distribuirli.

Dove li avrebbero trovati questi soldi? Ebbene, a questo proposito, è da più di un anno che ce la menano, a noi italiani; noi siamo quelli che in Europa abbiamo il più alto risparmioprivato, noi siamo quelli che, considerato il numero di persone proprietarie di immobili, saremmo molto più ricchi dei virtuosi cittadini tedeschi, la ricchezza privata delle famiglie italiane dovrebbe essere ricompresa nel calcolo del rapporto debito/PIL, ecc..

Insomma, se non l'avete ancora capito, i soldi necessari, che lo stato avrebbe già trovato per attuare la sua politica, secondo il sottoscritto sarebbero quelli che noi italiani abbiamo sistemato nell'acquisto delle nostre case e quelli che, parsimoniosamente, abbiamomesso da parte nei libretti di deposito e attraverso la sottoscrizione dei buoni ordinari postali.

Infatti due sono le notizie che recentemente si sono susseguite e che mi hanno indotto a credere fermamente quanto testé esposto. La prima riguarda quella secondo la quale, un'idea avanzata a Poste Italiane (PI) vorrebbe che essa rilevasse il malandato Monte dei Paschi di Siena (MPS). Leggi qui.

Per PI l'affare potrebbe risultare interessante visto e considerato che sono anni ormai che essa tenta di ottenere la licenza bancaria senza alcune esito positivo, e che invece, una probabile fusione con MPS, permetterebbe a PI di raggiungere l'obiettivo tanto ambito.

Infatti, in mancanza di una licenza bancaria, a PI non è concesso prestare ai privati i depositi da essa raccolti. I prestiti ai privati attualmente proposti da PI, in realtà sarebbero frutto di convenzioni poste in essere fra PI e banche commerciali, per i quali essa risulterebbe essere solo un intermediario commerciale. Di conseguenza, i soldi prestati ai clienti di PI non sarebbero quelli da essa raccolti con il servizio di deposito dei risparmi e di conto corrente, bensì quelli raccolti dalle banche sue partner. L'unico soggetto privato a cui PI concederebbe prestiti è Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. (CDP), di proprietà del Ministero dell'Economia e Finanza, che usa il denaro raccolto per investirlo, principalmente, in titoli di stato italiani.

Un ulteriore dimostrazione del fatto che PI non sarebbe una vera e propria banca è quella secondo la quale PI non pagherebbe gli assegni emessi dai suoi correntisti anticipando la relativa somma, così come  fa normalmente una banca (la quale, in questo modo, crea di fatto nuova moneta dal nulla). Infatti, se non esiste la provvista necessaria per coprire l'assegno emesso, PI normalmente non concede la possibilità di andare in rosso, non paga l'assegno e protesta immediatamente il correntista.

Dunque, PI, non essendo una vera e propria banca, non potrebbe disporre dei depositi dei propri clienti per esporli ad alti rischi così come possono fare le banche normali, ai danni degli ignari risparmiatori (vedi il caso MPS). Certo, alla fin dei conti, in base a quanto testé detto, i depositi dei correntisti di PI sarebbero utilizzati per essere investiti in titoli di stato, che di sicurezze ne danno anch'essi ben poche da qualche anno a questa parte, ma perlomeno gli investimenti di PI non sono principalmente costituiti dagli ancora più pericolosi titoli derivati e la sua attività non è ampiamente dedita ad azzardi morali sui mercati finanziari.

Teoricamente, potremmo dire che i soldi depositati in PI sono esposti a rischi minoririspetto a quelli depositati nelle normali banche. (E' un'affermazione questa, da prendere con le pinze, ovviamente!)
Delle condizioni in cui versa MPS ho ripetutamente scritto su questo blog; esse sarebberodisastrose, proprio perché pare che essa sia stata gestita con scarso riguardo dei principi di prudenza ed economicità, rivelandosi più una banca dedita agli affari, usando i soldi degli altri (ossia quelli dei suoi correntisti), che un intermediario finanziario.

In definitiva, se PI acquisisse veramente MPS, comprerebbe un buco nero che rischierebbe di compromettere l’integrità dei depositi dei risparmiatori di PI, i quali non sarebbero più al sicuro tanto quanto lo sarebbero attualmente.
Questa voce circa la fusione fra PI e MPS, avrei potuto considerarla come una semplicevoce di corridoio, alla quale inizialmente non volevo darci peso più di tanto, per non preoccupare ulteriormente i risparmiatori circa i possibili rischi a cui potrebbero essere esposti i risparmi di una vita.

Poi ho dovuto leggermente ricredermi quando ho appreso la seconda notizia, ossia quella riguardante l'idea di far giungere lo stato italiano in soccorso di un'altra azienda italiana, anch'essa acciaccata: Telecom Italia s.p.a..

Infatti, a fine maggio, il cda di Telecom Italia ha deliberato l'intenzione di scorporare dalla compagnia telefonica italiana la sua rete telefonica, i cui costi di gestione sembrerebbero pesare troppo sul suo bilancio, il quale evidenzierebbe un debito di circa 28 miliardi di euro. Leggi qui.

Nel dettaglio, l'idea di Telecom Italia sarebbe quella di costituire una nuova società e di vendere le infrastrutture della rete telefonica a quest'ultima, le cui quote di proprietà verrebbero cedute a terzi, purché il pacchetto di controllo di essa resti sempre in mano agli attuali proprietari di Telecom Italia.

In tempi non sospetti, gli azionisti della società hanno palesemente fatto capire che non sono disposti ad alcuna ricapitalizzazione dell’azienda telefonica, rimettendoci di tasca propria. Stando così le cose, l’azienda ha pensato bene di non cercare altri soci privati, interessati ad entrare nella trattativa e aventi lo stimolo imprenditoriale giusto per rinnovare la qualità tecnologica della compagnia (una soluzione più auspicabile rispetto a qualunque altra). Telecom Italia avrebbe pensato invece di bussare alle porte del governo italiano per trovare un accordo che riguardasse la sopravvivenza dell’azienda.

In merito, se un accordo con il governo italiano dovesse essere raggiunto, conseguentemente alla delibera del cda di Telecom Italia, lo stato potrebbe intervenire nell’operazione acquisendo quote di minoranza della società di nuova costituzione la quale, come già detto, gestirebbe la più che onerosa rete telefonica scorporata da Telecom (la bad company). In questo modo, Telecom otterrebbe dallo stato i soldi necessari per ridurre la perdita di 28 miliardi, senza però perdere il controllo della rete ceduta alla nuova società (visto che, come deliberato dal cda, la quota di maggioranza di essa dove essere di Telecom).

Ciò che resterebbe della compagnia telefonica italiana, dopo lo scorporo, sarebbe l’attività di Telecom che genera più utili (la good company), nella quale lo stato non c’entrerebbe nulla e che resterebbe di esclusiva proprietà degli attuali soci privati (furbetti), i quali hanno sostenuto la non molto virtuosa dirigenza di Telecom Italia fino ad ora e che riuscirebbero a salvaguardare i propri interessi di guadagno, non grazie ai risultati della compagnia telefonica ottenuti sul mercato, ma grazie all’ottenimento di soldi pubblici. Bello fare gli imprenditori con i soldi degli altri, non è vero?

Ricapitolando, lo stato (tramite CDP) entrerebbe in affari beccandosi l’attività di Telecom che sarebbe meno profittevole, salvando così l’azienda da un probabile default, mentre gli attuali proprietari della compagnia telefonica italiana si terrebbero l’attività più redditizia. Queste sono le tipiche operazioni degli italiani, che prima permettono il salvataggio economico degli inefficienti e poi si chiedono come mai l’Italia non cresca!

In effetti, chi sarebbe il fesso che entrerebbe in una trattativa del genere, accollandosi gli oneri di gestione di una rete obsoleta, percependo la fetta minore dei redditi derivanti da tale infrastruttura, tutta da rimodernare (non scordiamocelo)? Lo stato italiano, no?

E con quali soldi lo stato italiano acquisterebbe le quote della nuova società? Con quelli raccolti dai cittadini da Cassa Depositi e Prestiti s.p.a.. Ecco spuntare di nuovo la gallina dalle uova d'oro, da 213 miliardi di risparmi raccolti nell’anno 2012 (leggi qui la notizia).

Pochi giorni dopo in cui CDP è stata tirata in ballo per il salvataggio del MPS in pericolo di default, oggi lo è nuovamente, per il salvataggio di Telecom Italia da una grave perdita in bilancio.

Dopotutto, secondo la L. 56/2012, il governo ha potere di veto avverso su qualunque delibera, atto o operazione adottata da una società (anche se privata) e riguardante i settori strategici dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni! Qualsiasi decisione in merito dunque, per legge, deve passare dal benvolere dello stato. Qualcuno si chiederebbe: ma che libertà economica sarebbe mai questa? Infatti, non è mica uno paese libero quello italiano! Non lo sapevate?

Quindi, lo stato può permettersi (ed è questo il bello; nessuna legge vieta ad esso di farlo) di usare i soldi degli ignari risparmiatori italiani, per favorire i già ricchi proprietari della compagnia telefonica in difficoltà. In questo modo questi ultimi continuerebbero a controllare la rete telefonica e l’intera compagnia, senza un soldo uscito dalle loro tasche, e a spolparsi quel che resta di buono dell'azienda. I costi di gestione dell’attività scorporata, verrebbero condivisi con CDP, la quale parteciperebbe agli utili solo in minima parte, mentre la storica compagnia tornerebbe ad assumere i tratti velati di un’azienda pubblica la cui gestione economica, come bene sappiamo, sarebbe paragonabile a ciò che ci si aspetterebbe da uno scimpanzé messo davanti al timone di una nave da crociera (quindi, addio progresso italiano nel campo delle telecomunicazioni!).

Come è possibile che nessuno ritenga che sarebbe cosa corretta quella di dover chiedere, a coloro che ci mettono realmente i soldi (cioè i singoli risparmiatori privati), se essi siano o meno disposti a rischiare i denari risparmiati, in un’operazione dai dubbi vantaggi per la collettività?

L'Italia è una colonia tedesca


L'Italia è una colonia tedesca

Letta fa poco perché anche lui è telecomandato da Berlino 
 di Costanza Rizzacasa d'Orsogna   

Lo dice Nigel Farage, europarlamentare inglese ed euroscettico. Il suo partito è secondo in Gb

Enrico Letta? Non ho alcuna opinione su di lui. È un personaggio irrilevante. Un altro burattino. Nessuna offesa personale, per carità. Ma, oggi, chi è al potere in Italia non conta niente. Non comanda su nulla. L'Italia non è più uno Stato sovrano, ma una colonia della Germania».

In un'intervista a ItaliaOggi, Nigel Farage, leader e militante storico dello Ukip, il partito indipendentista britannico che vuole l'addio del Regno Unito a Bruxelles, nonché co-presidente, con il leghista Francesco Speroni, del gruppo Efd (Europa della Libertà e della Democrazia), che raccoglie i principali partiti euroscettici al Parlamento europeo, denuncia «il declino della politica italiana».
Dopo il trionfo alle Europee del 2009, quando era riuscito addirittura a superare i laburisti, imponendosi come seconda formazione politica del Regno, alle ultime elezioni amministrative, un mese fa, il suo partito ha registrato un nuovo, clamoroso boom, trasformando il voto in un avvertimento per la politica nazionale e per l'Europa. Un vero tsunami, che ora rischia di travolgere anche le prossime elezioni politiche.

In rete, gli anatemi contro l'euro, di Farage, carismatico quanto furbo, oltre che bravissimo a gestire i tempi del video, sono seguitissimi. E tra i suoi estimatori (oltre a milioni di donne inglesi, che secondo il Telegraph considerano Farage più affascinante di Cameron – perché la popolarità oggi è più sexy del potere, signora mia) non poteva mancare Beppe Grillo, che l'ha definito un «oratore straordinario». Una stima ricambiata, quella del leader del M5S per il politico britannico, e del resto Farage è definito da molti “il Grillo inglese”. Anche se, al di là dei toni infiammati e della comune avversione al progetto europeo, le posizioni dei due non sempre convergono.

Domanda. Proprio ieri il Financial Times si è scagliato contro Letta, definendolo “in letargo” e spronandolo a svegliarsi. Concorda con il giudizio del quotidiano?
Risposta. Purtroppo sì. Letta sta un po' dormendo, è vero. D'altronde, se sei un Paese membro dell'euro cosa puoi fare davvero? Assolutamente nulla. L'abbiamo già visto accadere con altri Paesi. Non importa chi è al governo, perché, tanto, non è quella persona a governare. L'incarico politico, come si conferiva ed era inteso una volta, non esiste più. Non sono gli italiani a decidere, né tantomeno il Presidente della Repubblica: è l'Europa. E se all'Europa un leader non piace, lo rimpiazzano.

D. Si riferisce alle dimissioni forzate di Berlusconi nel 2011?
R. Guardi, io credo che in politica, come nel calcio e nello spettacolo, arrivi il momento di ammettere a se stessi che è tempo di andare in pensione. Per il bene dell'Italia, per l'immagine del vostro Paese in Europa e nel mondo, spero che Berlusconi abbia giocato la sua ultima partita. Detto questo, la nomina di Monti a Presidente del Consiglio è stata l'azione più esecrabile che abbia mai visto dalla nascita dell'Unione Europea. Sconvolgente e vergognoso che un gruppetto di persone in Europa decida, secondo le loro convenienze per di più, chi deve guidare l'Italia. Un governo fantoccio. È stato un bruttissimo segnale. Ero disgustato. Come si sono permessi? Come lo avete permesso?

D. Ce lo chiede l'Europa, o meglio, la Merkel.
R. Proprio così. Viviamo in un'Europa dominata dalla Germania. L'Unione europea, che sotto un altro nome, dopo la Seconda Guerra Mondiale, era stata concepita per contenere il potere tedesco, oggi è controllata e tiranneggiata economicamente dalla Germania. Una situazione pericolosissima. E nessun Paese sembra avere la forza di ribellarsi. Anche se il sentimento antitedesco e antieuropeo sui temi economici cresce, come ad esempio in Francia. Ma c'è di più: l'Ue era stata disegnata per avvicinare i suoi popoli, un tempo divisi tra Est e Ovest. Invece ha creato nazionalismi. Oggi l'Europa è divisa tra Nord e Sud, e il razzismo e la xenofobia dilagano. A questo proposito vorrei ricordare che è stato su mia iniziativa che Mario Borghezio è stato espulso dal gruppo degli euroscettici al Parlamento europeo, dopo le dichiarazioni sul ministro Kyenge.

D. Ma lei pensa che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro e dall'Ue?
R. Penso che Grecia, Spagna e Portogallo debbano uscire il più presto possibile dall'euro, se vogliono sopravvivere. Sull'Italia non ho certezze altrettanto forti. I vostri indicatori economici sono drammatici, è vero. Ma l'Italia versava in gravi difficoltà ben prima di entrare nell'euro, e, lasciandolo, non risolverebbe tutti i suoi problemi. Allo stesso tempo, uscire dall'euro permetterebbe al governo italiano di governare davvero, di non essere un governo fantoccio. E questo è fondamentale. Grillo ha ragione quando chiama al referendum sull'euro e sull'Ue, uno dei suoi cavalli di battaglia. È un dibattito necessario, se non altro per spingere gli italiani a prendere coscienza di cos'è davvero l'euro e cosa vi sta facendo. Per quanto mi riguarda, considero l'intera esperienza europea un totale fallimento.

D. Tra lei e Grillo c'è stima reciproca. Come giudica la débâcle del Movimento 5 Stelle alle ultime amministrative?
R. Credo sia naturale che un movimento partito dal nulla e arrivato al top in pochissimo tempo vada incontro ad alti e bassi. Quel 25% che Grillo ha preso alle politiche di febbraio, e che neanche lui si aspettava, denuncia la grande sete di cambiamento degli italiani. Una sete che non è stata soddisfatta. Ed è per questo che Grillo è stato punito dagli elettori alle amministrative: perché non ha tenuto fede alle aspettative di cambiamento che aveva creato e alimentato. Ma il partito è appena nato. Bisogna dargli tempo. Questa sconfitta, come pure le divisioni interne e l'incapacità di alcuni parlamentari, sono i classici problemi della crescita.

D. Molti però dicono che Grillo si sia stancato e cerchi una via d'uscita. Lei che ne pensa?
R. Voglio credere che non sia così. Grillo sta ricoprendo un ruolo molto importante nella politica italiana. L'Italia ha bisogno di un dibattito aperto e franco sul proprio futuro economico e politico. E il M5S oggi è l'unico che possa portare a questo dibattito.

martedì 18 giugno 2013

Uscire dall'euro


Uscire dall'euro

Ida Magli 
www.italianiliberi.it


 Maurizio Belpietro, Direttore del quotidiano Libero, ha preso una bella iniziativa. Il giorno 2 giugno, una data significativa, ha finalmente rotto il tabù del silenzio intorno all’euro e ha titolato così il suo editoriale: “Apriamo la discussione – Dieci buoni motivi per uscire dall’euro”. Perché soltanto in Italia– si domanda Belpietro – non si parla dei problemi dell’euro, mentre in tutti i paesi d’Europa si discute animatamente e a tutti i livelli se convenga abbandonare questa disgraziatissima moneta? I cittadini, dunque, sono invitati a dibatterne su Libero esprimendo la propria opinione sull’uscita dell’Italia dall’euro, e a indicare anche in quale modo farlo, tenendo conto naturalmente delle eventuali ricadute negative di una tale decisione. 



Dire che è stato rotto un tabù, purtroppo, è dire poco. I tabù non nascono da soli: sono i detentori del Potere che li instaurano. Il termine “tabù” nasconde la realtà, una realtà vergognosa per il tanto osannato mondo libero e democratico: sull’unificazione europea, ivi inclusa l’adozione della nuova moneta, e su tutto quanto ha comportato per i cittadini togliendo loro indipendenza,  sovranità, ricchezza, libertà in ogni campo, i governanti hanno imposto una censura di nuovo tipo per cui anche il termine censura è inadeguato e bisognerebbe crearne un altro. Il sistema è stato ed è pressappoco questo: non far sapere nulla ai cittadini; far sapere quello che non si può tenere nascosto esclusivamente elogiandolo e dimenticandolo il giorno dopo; non attribuire mai nulla di quanto accade all’unificazione europea, tanto meno  quello che accade di negativo (c’è sempre la Germania come bersaglio); non collegare mai gli uni agli altri i fatti che riguardano l’Europa. Bisogna poi aggiungere al sistema della segretezza le modalità con le quali si è proceduto all’unificazione: decine di provvedimenti quotidiani o quasi quotidiani, pensati, scritti, calibrati nelle forme appropriate per apparire come strumenti tecnici, politicamente soft, o meglio come costruzione di un’Europa “governata senza governo”.






 Per rendersi conto dell’enorme segretezza che circonda  l’Ue bisogna pensare che sono in attività ogni giorno, riccamente retribuiti da noi, oltre 900 parlamentari, migliaia di funzionari, migliaia di traduttori nelle 27 lingue ufficiali d’Europa, tutte le strutture di uno Stato con una Corte dei Conti, una Corte di Giustizia, una Commissione e un Consiglio con i suoi Ministri, ambasciate in ogni paese del mondo e un Ministro degli esteri che  non conta nulla perché è l’Europa che non conta nulla (né a Obama né a nessun altro capo di Stato viene in mente di rivolgersi a Lady Ashton invece che alla Merkel o a Hollande quando c’è da risolvere qualche problema in comune.) Che cosa fa tutta questa gente? Come mai i giornalisti ci informano di ogni parola, di ogni sospiro che esce dalla bocca di uno qualsiasi dei nostri politici e non ci dicono nulla, assolutamente nulla, delle migliaia di decisioni, di decreti, di norme che da Bruxelles piovono sulla nostra testa? Volete chiamarla censura? No, non esiste un termine per descrivere e per definire il modo con il quale è stata realizzata l’unificazione europea.

  È in questo contesto di menzogne e di totale finzione  che bisogna guardare alla moneta euro: tutto è stato deciso esclusivamente secondo la volontà dei governanti, i quali non torneranno mai indietro, non ammetteranno mai di aver sbagliato perché non hanno sbagliato. E come si può pensare che non sapessero quello che facevano i migliori professori di economia e i migliori banchieri d’Europa? L’euro è una moneta in balia di ogni più piccolo colpo di vento perché non ha uno Stato dietro di sé, ma i proprietari della Banca centrale europea e sono stati gli economisti e i banchieri a volerla così. E’ sufficiente guardare ai fatti per sapere quale sia la realtà. L’unione europea è stata pensata e realizzata per distruggere gli Stati nazionali e la potenza della civiltà europea, consegnandone le ricchezze e i governi alla grande finanza e ai partecipanti delle banche centrali. L’euro ha aiutato a raggiungere questo scopo, accelerando la distruzione delle singole economie. Il progetto era questo ed è riuscito ottimamente.

  Forse si sarebbe ancora in tempo a salvare l’Italia, uscendo però subito dall’Ue e non soltanto dall’euro, ma quale dei nostri governanti lo farebbe? Hanno venduto la propria anima, la patria, la libertà dei propri confratelli per conquistarsi una poltrona di carta in un impero di carta e anche se un movimento politico (che non c’è) riuscisse a provocare  qualche piccola ribellione, si comporterebbero esattamente come si sta comportando Erdogan. La democrazia è obbedienza. I popoli parlino, discutano quanto vogliono dato che le loro opinioni non cambiano nulla alle decisioni dei governanti, ma obbediscano.

domenica 16 giugno 2013

Il governo dei nemici


Il governo dei nemici


Ida Magli 
www.italianiliberi.it/


Come sappiamo già da molto tempo, il concetto di “rappresentanza” non esiste più; si è esaurito, insieme alla sacralità del Potere, con gli avvenimenti politici di questi ultimi giorni dell’aprile 2013. Adesso, però, con la formazione del governo Letta, lo possiamo confermare con assoluta certezza; ma soprattutto - è questa la cosa più importante – abbiamo finalmente la grande gioia di poterlo gridare a gran voce: “non ci rappresentano!” Sono i nuovi governanti del popolo italiano, i suoi despoti, i suoi sfruttatori, i suoi traditori, i suoi nemici, i delegati di quel Potere che si nasconde dietro il Bilderberg, la Trilaterale, l’Aspen Institut, e che indichiamo col nome di “Laboratorio per la distruzione” visto che ne sappiamo una sola cosa: che la sua meta è appunto la nostra distruzione, l’annientamento della civiltà europea e degli Stati europei.


Non ci rappresentano, però! Dobbiamo essere felici quindi, di poterli guardare in faccia, uno per uno, con la certezza di non condividerne nulla. Stanno dall’altra parte, sono altro da noi, non sono “italiani”, ma nemici degli Italiani, i peggiori dei nemici, quelli che spargono il sale sul terreno prima ancora di aver vinto.

  L’itinerario che ha portato alla fine della rappresentanza è cominciato con il rinnovo del mandato presidenziale a Giorgio Napolitano, e non poteva in fondo non essere così dato che era stato lui a “saltare” le regole della democrazia quando aveva consegnato l’Italia al potere del Laboratorio mondialista chiamando al governo Mario Monti. 

Nel momento in cui ha accettato il secondo mandato, Napolitano ha inferto l’ultimo colpo alla sacralità del “settennato” e di conseguenza alla “rappresentanza”, che è appunto sostanziata dalla fenomenologia del Sacro. Il “sette” è un numero sacro, un numero magico e potente, sotto la cui protezione si sono rifugiati fin dalla più remota antichità quasi tutti i popoli che fanno parte della nostra storia, dagli Egizi agli Ebrei, ai Greci, ai Romani… i sette anni assegnati dalla Costituzione alla Presidenza della Repubblica non sono quindi un caso o una decisione razionale, ma sottintendono la potenza trascendente di questa carica, più forte di quella dei parlamentari, e ne indicano la perfetta completezza nel cerchio chiuso in se stesso del numero sette. 

Come è stato notato da molti politici di fronte alla richiesta di rinnovare il mandato a Napolitano, non era mai stato detto che non si poteva “ripetere”; ma non era mai stato detto proprio perché era ovvio, era sottinteso… La replica del settennato di Napolitano ci ha liberato del tutto perciò della sacralità della rappresentanza e, insieme a questa sacralità, ci ha liberato di un “rappresentante” tanto ligio ai comandi dell’Europa da guidarci ostinatamente fino all’angolo senza via d’uscita dal quale doveva scaturire la giusta conclusione: il governo Letta.

  Enrico Letta ha pubblicato nel 2010, insieme all’amico Lucio Caracciolo, un libro intitolato significativamente “L’Europa è finita?” (Add editore, Torino). La domanda si poneva in modo così esplicito due anni fa perché il fallimento della costruzione europea e della sua moneta appariva evidente a tutti. È sufficiente leggere qualche pagina di questo libro per sapere fino a che punto dobbiamo aver paura di Enrico Letta e delle persone che ha scelto per portare rapidamente a termine la missione devastatrice che gli è stata affidata. “L’euro è stato un successo, forse la più grande realizzazione dell’Europa” - afferma Letta- guardando con soddisfazione alle rovine che ha provocato. E continua: “Arrivo a dire che la moneta comune ha in un certo senso sostituito l’esercito: invece dell’esercito europeo, oggi abbiamo l’euro, simbolo della capacità di rappresentanza e di identificazione; un totem, appunto, attorno al quale gli europei possano sentirsi tali.” (p. 39) Come sogna bene, Enrico Letta, non è vero? Non vede nulla, non sente nulla. I popoli maledicono l’euro, tutti vorrebbero abbandonarlo, perfino i Tedeschi; la gente soffre orrendamente, gli imprenditori si uccidono, milioni di disoccupati non sanno come fare a sopravvivere, ma a Letta tutto questo non interessa perché, come per tutti i dittatori e i generali, i popoli di per sé non esistono, sono solo strumento. Letta è stato scelto, come ognuno di quelli che lavorano alla distruzione dell’Europa, proprio perché la scarsa intelligenza critica comporta l’insensibilità affettiva e la plasmabilità all’obbedienza fascinatrice del Potere assoluto. Si somigliano tutti, infatti: Trichet, Duisenberg, Barroso, Draghi, Rehn, Rompuy, Amato, Prodi, D’Alema, Monti… E adesso, con il programmato spogliarello del Partito Democratico, teso al rinnovamento delle generazioni, Enrico Letta.

  L’incarico a Emma Bonino di andare in giro per il mondo in nome dell’Italia è infine il chiaro, orrido sigillo di questo governo; ne garantisce agli occhi di tutti l’assoluta volontà e capacità di distruggere non solo il popolo ma perfino l’idea dell’Italia; la dolcezza, la bellezza che ha accompagnato nei secoli il nome, l’immagine dell’Italia. Nessuno al mondo, probabilmente, avrebbe potuto dare questa certezza quanto la donna che ha propagandato l’aborto estraendo di persona, come testimoniano le riprese fotografiche, i feti con una pompa di bicicletta.


venerdì 14 giugno 2013

Bilderberg 2013: Benvenuti nel 1984


Bilderberg 2013: Benvenuti nel 1984




Charlie Skelton 
Tradotto da  Skoncertata63

Tranquilli: grazie a Goldman Sachs e ad altri “donatori”, la conferenza di quest’anno sarà a “costo zero” per l’Hertfordshire – nonostante la costruzione della Grande Muraglia di Watford

L’auditorio si è fatto silenzioso quando ha preso la parola un anziano consigliere di Watford. Il team di polizia e sicurezza era visibilmente nervoso. Era stato precedentemente presentato ed illustrato il piano della sicurezza per questo “evento unico”: zone anti-terrorismo, blocchi di sicurezza, restrizioni alla circolazione delle autovetture in prossimità di questa “importante conferenza internazionale”. Ma ecco che ora prendeva la parola la “gente” di Watford.


Nella foto: Christine Lagarde, capo del FMI, attesa al Bilderberg 2013. Foto di: Michel Euler/AP

Che significherà per loro questa tre giorni di vertice politico internazionale, con la sua corposa lista di partecipanti tra finanzieri e miliardari, capi di partito e di gruppi d’informazione, ben protetti dalla più grande operazione di sicurezza a cui Watford abbia mai assistito finora?

"A me importa soprattutto una cosa:”ha tuonato il vecchio consigliere. “si sta o non si sta stabilendo un precedente per il parcheggio delle macchine vicino a Old Hempstead Road?"

Ed è poi iniziata una discussione di quasi un’ora/un’ora e mezza sull’argomento se le macchine e i mezzi stampa avessero o meno il permesso di parcheggiare sulla striscia di prato che corre lungo la A41, di fronte al Grove Hotel. E’ stato come un bizzarro e distopico episodio di “Manteniamo le apparenze”. Non importa se i nostri ministri si stanno incontrando di nuovo in segreto con i vertici della Shell, della BP, di Google e di Amazon – parliamo invece della striscia di prato!

C’e’ stato un sussulto quando l’Ispettore Capo Rhodes, dopo incalzanti domande, è stato costretto ad ammettere, citando un’ordinanza, che i divieti di parcheggio sulla striscia non erano legali: non c’era alcuna legge in proposito…Una donna ha inziato a sbracciarsi dalla platea “Ehi, ci sono i mezzi d’informazione qui! Questa storia verrà fuori, sapete?”. La striscia di prato non sarà mai più la stessa, grazie a Bilderberg.

La platea era piuttosto mista. Metà erano residenti preoccupati dei danni che le ruote delle macchine avrebbero inflitto alla striscia verde; l’altra metà erano giornalisti da tutto il mondo preoccupati per le implicazioni geopolitiche di una conferenza dove BAE, Stratfor e General Petraeus avrebbero discusso delle “Sfide dell’Africa”.

Tutte e due le metà erano anche preoccupate per il finanziamento della gigantesca operazione di sicurezza. La polizia ha assicurato ai residenti (scettici) che la conferenza sarebbe stata “a costo zero” per l’Hertfordshire, in parte grazie ad una “donazione” da parte degli organizzatori della conferenza stessa. Questa donazione sarebbe venuta, almeno in parte, dall’Associazione Bilderberg, un ente di beneficienza inglese che riceve donazioni dalla BP e da Goldman Sachs.

Possiamo quindi dire che, in un certo senso, la polizia dell’ Hertfordshire sta facendo beneficienza per conto della Goldman Sachs. Il che deve essere un bel sollievo per quelli della Goldman Sachs presenti all’evento: il vice-presidente, un direttore ed il presidente della Goldman Sachs International. Hanno la loro squadra di beneficienza personale che pattuglia e mantiene gli obbiettivi a debita distanza. Ad un certo punto dell’incontro, durante un vivace scambio di idee sui piani contingenti per quelli che portano a spasso i cani, Rhodes si lascia sfuggire che l’“Operazione Discussione” ( il nome in codice per l’operazione della sicurezza di Bildeberg) andava avanti da diciotto mesi ormai. Residenti e giornalisti sgranano gli occhi. “Diciotto mesi?” Il motivo di tutta questa segretezza: “Terrorismo”.


Il grande muro di Watford

Dopo 59 anni di ospiti di Bilderberg che si muovono furtivi nell’ombra, usando specchietti per le allodole ed evitando accuratamente i mezzi d’informazione, è tutto qui il motivo? Lo stesso motivo si cela presumibilmente dietro la Grande Muraglia di Watford, una recinzione di ferro e cemento che circonda l’Hotel. Brutta tanto quanto inutile. Ha l’aspetto di una di quelle cose alte dove un recluso di un campo di concentramento si getta contro e tenta inutilmente di scavalcare poco prima di venire sparato dalla vedetta sulla torre di guardia. Si potrebbe dire di sapore “fascista” , se si considera il fascismo la fusione tra il potere delle aziende e quello governativo, come la definì Mussolini.

La stessa minaccia di terrorismo è stata utilizzata per giustificare le aree precluse al passaggio e alla sosta dei pedoni nei pressi dell’evento. La polizia ha spiegato la logica delle misure: “Non abbiamo specifiche informazioni di intelligence riguardo a una minaccia terroristica”. Come nei recenti incidenti avvenuti quali Boston e Woolwich: prima degli incidenti non c’erano state alcune allerte di intelligence. Quindi, l’assenza di minacce di azioni terroristiche di solito preclude proprio ad una azione terroristica. E’ la mancanza di una minaccia ad essere una minaccia.

Benvenuti nel 1984. Rhodes ha ammesso che le zone anti-terrorismo erano flessibili e che ai residenti era permesso passare liberamente nelle strade delle loro abitazioni. L’importanza delle misure adottate, ha detto, era che se si fossero raggruppate delle persone non residenti “potevano essere fatte sgomberare facilmente” - e non perche’ fossero dei terroristi, ma semplicemente perché si stanno raggruppando in un certo posto. Ecco la grande forza della minaccia di terrorismo: è applicabile praticamente ovunque.

Detto questo, la squadra di collegamento polizia/sicurezza è stata davvero incredibile e quest’anno ha segnato davvero un punto di svolta nella storia di Bilderberg. Sotto la pressione dei giornalisti, e grazie soprattutto alla squadra di collegamento della polizia locale dell’Hertfordshire, vicino all’Hotel è stata istituita un’area “stampa”. La pressione è stata contenuta grazie all’emissione anticipata della lista dei delegati all’evento, lista fatta uscire in gran fretta dagli organizzatori della conferenza, talmente in fretta che hanno dimenticato di cambiare la data in alto alla pagina web dal 2009 al 2013. Ma la cosa più clamorosa è stata la scritta in calce alla pagina. Due parole: “Media contact”. Benvenuto nel mondo, Bilderberg! Improvvisamente, miracolosamente, siamo entrati nel nuovo e ardito mondo della normalità: un vertice di politica internazionale a cui partecipa il capo del FMI, il presidente (e vice presidente) della Commissione Europea, il Primo Ministro Holland, una dozzina di altri ministri, un numero infinito di CEO di aziende da tutto il mondo e banchieri, i presidenti della Swiss e della Dutch National Bank e il nostro stesso Cancelliere, finalmente entra in un rapporto di lavoro normale con i mezzi di stampa. Incredibile, un fatto storico!

E poi, solo qualche ora dopo, l’indirizzo email del “media contact” è misteriosamente scomparso dal sito internet. Come un fauno nervoso, Bilderberg è spuntato fuori da un angolo, ha annusato l’aria, ha avvertito il pericolo e si è ricacciato nella sua tana. Eppure, c’è stato un primo passo coraggioso, e sicuramente non sarà l’ultimo. Girano voci che alcuni delegati sono stufi (stranamente) di tutta questa segretezza, e vorrebbero che tutto avvenisse in modo più trasparente. A questi delegati noi diciamo: continuate a insistere; continuate. Detto tra noi, un giorno ci arriveremo.

Prima che il “media contact” svanisse nel nulla, sono riuscito a stabilire un’amichevole corrispondenza via mail e dal portavoce della conferenza ho ricevuto subito delle risposte alle mie domande. Il tono delle risposte era più o meno così: nessuno dei partecipanti paga per partecipare; nessun delegato si collega via telefono o via satellite; il programma della conferenza non prevede mai “momenti di intrattenimento o spettacolo”; e per quanto riguarda il cibo “è solo a buffet, per tutti i giorni e per tutti i pasti”.

Sono un pò deluso per il buffet. Speravo nel cigno arrosto avvolto in foglia d’oro e farcito di uccelli canori. Come lo era sicuramente Ken Clarke.

martedì 11 giugno 2013

DDE SA SCRITURA NURAGICA IN SARDINYA ....A SA LIBERTADE DE SA NATZIONI SARDA!

Gigi Sanna






Ci sono degli stupidi politici e dei sociologi della domenica che dicono che queste poesie , come tutto quello che viene esaltato della Sardegna, sono 'mitopoiesi cioè fabbriche fasulle di miti. 

No, sono il canto 'realistico' della speranza storica di un popolo che non si rassegna a morire. 

Perché vuole ancora far parte della Storia, della grande Storia dell'Umanità. 

Non a rimorchio ma con tutta la sua individualità e specificità. In nessuna regione d'Italia escono fuori questi canti del passato che vuole essere anche il presente. 

Ci sarà un motivo. 

Neppure in Etruria che pure fu annientata da Roma esiste il canto epico e il continuo incitamento ad essere se stessi e a mantenere il sentimento 'nazionale' e cioè di popolo specifico. 

Gli attestati di condivisione (qui e altrove: nei blog e in facebook) per questa poesia, al di là della efficacia di essa in quanto tale, sono una testimonianza che la mitopoiesi è un'invenzione per umiliare l'orgoglio e far perdere definitivamente ogni speranza. 

La speranza di umiliare i 'tiranni minori' ed innalzare i Giganti.


SCRITTURA NURAGICA 

L'ALFABETO NURAGICO AGGIORNAMENTO (al 2011) POCHE LE SORPRESE

http://www.gianfrancopintore.net
di Gigi Sanna

Caro Gianfranco,  ti mando, dietro richiesta di alcuni amici e di alcune persone che mi hanno sollecitato a presentarlo  (soprattutto in seguito all'annuncio della 'definizione' del codice simbolico sardo, presentato con la 'griglia di Sassari),
l'aggiornamento, con alcune brevi considerazioni, dell'alfabeto nuragico. Con la presente tabella (v. fig. 1), alcuni segni si aggiungono a quelli del 2008 (1). Sono i simboli fonetici (i significanti, pittografici e non) che sono emersi in seguito alle scoperte recenti che hanno riguardato non pochi documenti.
Te lo mando anche perché è stato definito e reso noto sia il programma sia il calendario del Terzo Corso di Epigrafia nuragica che avrà inizio in Oristano, presso la Facoltà di Scienze Religiose, il giorno 8 di Marzo. Con le tabelle di questo post i corsisti avranno modo di avere aggiornati in anticipo, con minore spreco di tempo durante le lezioni, propedeutiche e non, quei dati che sono già in loro possesso (tramite gli appunti e le dispense dei due corsi precedenti) ma che risultano, per così dire, un po' invecchiati (come del resto denuncia la stessa attività informativa di questo Blog).


tabella 1
tabella 2
Tabella 2
1. Il requisito dei segni pittografici e dei segni lineari in mix. - Come si potrà vedere la documentazione scritta sarda dell'Età del Bronzo e del I Ferro, anche con gli ultimi grafemi (v. tab. 2), non mostra sorprese rilevanti. L'alfabeto quanto a tipologia non cambia e si rafforza ulteriormente la presenza dei segni consonantici, soprattutto di quelli pittografici, già noti. E si rafforza, soprattutto, una regola o requisito del sistema generale: che a segni schematici linearidevono seguire o precedere, in misura maggiore o minore (non sembrano esserci regole per questo) dei segni pittografici. Sono tutti questi dei simboli grafici che sono già stati abbondantemente registrati nel mix cosiddettoprotocananaico anche se - ripetiamo ancora per l'ennesima volta - i documenti sardi si dimostrano oggi di gran lunga più numerosi. Tanto da essere questi ultimi ormai ad illuminare un certo tipo di scrittura che per ora, a quanto sembra, non ha riscontri, per rinvenimento, se non nella Siria Palestina, nell'Egitto (2) e in Sardegna .
2. Il sistema in mix protocananaico - ugaritico - Un notevole contributo circa l'accrescimento della conoscenza sulla scrittura nuragica hanno fornito i dati del coccio di Sa Serra 'e sa Fruca di Mogoro (fig. 2), frammento di ceramica di un recipiente cultuale già esaminato ed identificato (sia pur parzialmente)  più di trenta anni fa, quanto a tipologia di scrittura, dal prof. Giovanni Pettinato (3). Coccio questo che, tra l'altro, ha confermato i dati di tutte e quattro le tavolette bronzee di Tzricotu di Cabras (4) . Cioè quello del mix non solo di segni protocananaici misti a segni più arcaici di tipologia protosinaitica, ma anche di chiari segni di tipologia ugaritica misti agli altri due (v. ancora fig. 2). I segni ugaritici di Sa Serra 'e sa fruca sono solo tre (un gimel, un lamed e verosimilmente un yod) ma si aggiungono ai non pochi dei documenti di Tzricotu di Cabras  e  Pirosu Su Benatzu (5) che sono, come si sa, complessivamente  in numero di 46 (6), per un totale di 11 segni dell' intero alfabeto (v. tab. 3)

tab 3
Tab. 3                                                                          Fig. 1
fif 4
3. Le lettere più ricorrenti nel codice - Tutte i segni del codice semitico siro - palestinese a 22 lettere, come si vede (tabb. 1 e 2), sono presenti anche nel codice  sardo di ispirazione semitica. Ma quelli  più ricorrenti in esso, come si può facilmente notare, sono il 'aleph, il beth, ilhē il yod, il lamed, il nun, il resh e lo šin. Dato questo che non deve per nulla sorprendere in quanto le suddette consonanti entrano a far parte delle sequenze del lessico formulare più frequente della 'letteratura' religiosa' dei Sardi dell'età del Bronzo finale e del I Ferro: quello studiato e messo in essere dagli scribi sacerdoti  nuragici (7) in omaggio alla divinità 'El Yh.
Essendo pertanto le voci  più ricorrenti del 'nuragico' quelle di NR /NL (luce), 'AB (padre), S'AN (santo), YH/YHH/ YHW/YHWH (il nome del Dio), 'EL/IL/ILI (altro nome del Dio), 'AK (il nome del toro), il sistema registrerà ovviamente i segni (rigorosamente di tipologia semitica) corrispondenti ai suoni consonantici di quelle parole.  E non crediamo che da qui in avanti  il  rapporto di quantità possa cambiare di molto, per quanto si sia notato, nella lettura degli ultimi ed ultimissimi documenti (8), un lessico più vario e in grado di fornire più notizie sulla particolare lingua religiosa usata dagli scribi isolani. D'altro canto già i primi 17 documenti si erano mostrati  assai indicativi circa la maggiore o minore presenza di certi segni rispetto agli altri (9).

4.  Sulla tipologia e sull'orientamento delle lettere del codice protocananaico sardo - Gli ultimi documenti tendono a confermare, definitivamente, che le lettere alfabetiche del codice  nuragico, come si può vedere dalle tabelle 1 - 2 - 3 - 4 e 5, variano per tipologia e per orientamento. Si osservi ad esempio come la lettera 'nun', il pittogramma a 'serpentello', si modifichi a seconda del gusto dello scriba, comparendo ora semplice, con due spire, ora complesso,  con tre  e anche con  quattro spire.
tab 4tab 5
Tabella 4Tabella 5
Il gusto della 'variatio', ovvero della facoltà  di disegnare, mutando a proprio piacimento il significante pittografico che esprime per acrofonia la nasale, risulta chiaro laddove (come ad es. nel caso di Tzricotu di Cabras, di Pallosu di San Vero Milis, di Pitzinnu di Abbasanta e di  Alvu di Pozzomaggiore)  il serpentello, ricorrendo più volte la consonante nella sequenza lessicale, viene tracciato in modi differenti.  Ma ciò è dovuto anche e soprattutto  al fatto che lo scriba deve ottemperare ad uno dei requisiti della scrittura nuragica(10) che è quello di inserire nel testo sia segni pittografici sia lineari schematici.Cioè  simboli in mix. Solo quando il segno si schematizza, come nel caso della Stele di Nora, dove la lettera è ormai di tipologia fissa o standard (cosiddetta 'fenicia'), viene a cessare non solo la libertà della doppia o tripla o quadrupla spira ma anche la libertà dell'orientamento della lettera, con l'ipotetica testa dell'animale posta sulla sinistra e non sulla destra, come talvolta è nel segno pittografico.
Stessa cosa si può dire dell' 'aleph che registra ugualmente una notevolissima libertà di orientamento e di disegno che però vengono a cessare entrambi con i documenti più recenti (X-IX secolo a.C.).  Documenti questi, come il ciondolo di Allai, il coccio di Orani e di nuovo la Stele di Nora, che tendono ad espungere, talvolta sistematicamente, il pittografico; persino quando le lettere mostrano non (solo) un valore consonantico ma chiaramente logografico e cioè quello stesso dell'animale da cui parte l' acrofonia.  Aspetto questo che, se non si tiene ben presente la 'potenzialità' e 'virtualità' dei segni  della scrittura nuragica a rebus (che prosegue, teste la documentazione, anche nei secoli successivi al Mille), rende difficilissima l'interpretazione e la traduzione del documento.

Per esempio nel ciondolo di Allai (fig. 2) il nome 'abd (servo) non deve essere letto, come sembrerebbe a prima vista, comprendendo anche l''aleph finale: perché quest'ultimo ha valore logografico, come suggeriscono gli altri due 'tori' disegnati cripticamente nel ciondolo (11). Quindi non 'abd'a ma 'abd + 'aleph (o 'ak): servo del toro. 'Toro' che nella lettura complessiva va ripetuto tre volte in quanto il 'tre' è il surrogato  numerico del nome della divinità taurina (yh).
fig 3fig 3 bfig 4fig 4 b
Piombetto di Sant'AntiocoNuraghetto di Uras
Si deve aggiungere però che la lettera 'aleph,anche quando diviene del tutto schematica, tende a preservare nel tempo una sua maggiore possibilità di orientamento. Si veda ad es. il piombetto sigillo di S. Antioco (12), documento del VIII -VII secolo a.C., nella faccia B, con la protome taurina schematica capovolta di 180 gradi (v. fig . 3)





5. Le lettere del codice cosiddetto 'pseudogeroglifico di Biblo'. - Non mancano neanche nuove acquisizioni circa il codice  di Biblo (13) che, come sappiamo, ha in Sardegna i suoi più significativi documenti nei sigilli cerimoniali di Tzricotu (14) e nel cosiddetto 'nuraghetto' sigillo di Uras (fig. 4) rinvenuto nel lontano 1957 all'interno di una tomba di Giganti (15). Il documento recente che sembra più registrarlo è la pietra del Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta  (v. fig. 5 e la tabella 6). Ma recentissimamente è stato scoperta una scritta, in agro di Domusnovas (fig. 6), di cui in seguito si parlerà, che presenta quattro segni dei quali uno sicuramente dell'alfabeto sillabico (?) gublitico (16).
fig 5afig 5 b
Figura 5
Fig 6
Fig.6.  Il segno 'gublitico 'a palizzata' della pietra di Domusnovas





Note e riferimenti bibliografici

  1. G. Sanna 2009, La Stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo. The God, the Gift, the Saint (trad. di Aba Losi), 2.p. 70, tab. 3. idem 2010, All'inizio l'alfabeto nuragico era solo pittografico. Poi.. ; inhttp://gianfrancopintore. blogspot. com (4 marzo 2009); idem, Ecco l'alfabeto nuragico nell'albero della scrittura; in http:// gianfrancopintore. blog. spot. com  (24 Aprile).
  2. B. Sass 1988, The Genesis of the Alphabet and its Development in the Second Millennium B.C. Wiesbaden, pp. 144 -156;  M.G. Amadasi 1998, Sulla formazione e la diffusione dell' alfabeto; in Scritture Mediterranee tra il IX ed il VII secolo a.C. Atti del Seminario (a cura di G. Bagnasco Gianni e Federica Cordano) 23.24 febbraio, pp. 38 -39; E. Attardo 2007, Utilità della paleografia per lo studio,la classificazione e la trascrizione semitiche in scrittura lineare. Parte IScritture del II Millennio a.C.; in Litterae Caelestes. Center for Medieval and Reinassance Studies UC Los Angeles; eScholarship, University of California,  pp. 169 - 180.
  3. G. Sanna 2010, Mettiamo che non sia una simulazione. E non lo è; in http://gianfrancopintore.blog spot. com (15 marzo);  idem 2011, Yhwh e la scrittura nuragica: il 'log' e il recipiente biblico del rito dei Leviti per la purificazione; in http://gianfrancopintore.blogspot. com (25 novembre).
  4. G. Sanna 2004, Sardōa grammata'ag 'ab sa'an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico. S'Alvure ed.Oristano, passim. In part. 4. pp. 85 - 179, tabb. 3 - 4 -5 - 6 -7 - 8 - 9 - 10 -11 - 12 -13 - 14 -15 - 16 -17 - 18 - 19 - 20 -21 - 22 -23 - 25 -26.
  5. G. Sanna 2004, cit. 11. 1 pp. 416 - 417 e 6.7 pp. 272 - 275.
  6. Naturalmente in questo computo vanno i 36 cunei complessivi (9x4) notanti la lettera 'gimel' di tutte e quattro le tavolette di Tzricotu.
  7. Per la presenza di essi e per l'ipotesi riguardante il centro di irradiazione della scrittura nell'Isola, v. recentemente G. Sanna 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; inhttp://gianfrancopintore.blogspot.com  (9 Novembre).
  8. G. Sanna 2011, cit.
  9. G. Sanna 2004, cit. 11. pp. 480 -81 tab. 23.
  10. G. Sanna 2011, cit.
  11. G. Sanna, 2009, cit. 2.2 pp. 61 – 65.
  12. L'oggetto epigrafico si trova attualmente esposto ( Museo Nazionale di Cagliari) nella saletta della mostra 'Parole di Segni' organizzato dalla Sovrintendenza di Cagliari. Esposto male dai curatori della mostra (del reperto, con sconcerto dei visitatori, viene riportata una faccia sola e non tutte e due, essendo l'oggetto opistografo o a doppia faccia scritta), viene letto ancora peggio. Essi infatti riprendono e ripetono pedissequamente una vecchia ipotesi di interpretazione ('interpretazione' si badi e non traduzione!) del Barreca  e cioè ' quanto è vero Ba'al Addir!;  interpretazione, come si sa,  senza fondamento alcuno, per altro respinta subito dall' Amadasi Guzzo (cf. M. G. Amadasi Guzzo 1967, Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Occidente, Istituto di Studi del Vicino Oriente, Università di Roma 1967 pp. 123 -124, tav. XLVIII, 41 A e 41 B). Affidandosi esclusivamente all'autorità dello studioso, gli archeologi  responsabili  della mostra non hanno studiato personalmente l'oggetto e  badato neanche essi alla chiara natura funzionale dell'oggetto, che è un sigillo. Come tale esso va letto con le lettere riportate al contrario. Queste  offrono, in entrambe le facce, la stessa  voce 'BR'ASON', il nome cioè di uno scriba o di un capo nuragico del IX -VIII secolo a.C. Quindi nella mostra 'fenicia' curata dalla Sovrintendenza quel sigillo (così come  la Stele di Nora ed altro ancora) non ci sta a fare proprio niente. Non fosse per altro perché il cosiddetto 'fenicio' non usa mai, com'è universalmente noto, le lettere 'agglutinate'. E' il sardo - protocananaico tardo che invece le usa, anche quando quest'ultimo viene, quasi  dappertutto,  sostituito dai caratteri 'fenici' standard (G. Sanna 2004, cit. 6.16. pp. 322 - 328).
  13. M. Dunand, Byblia grammata. Documents et recherches sur le developpement de l'ecritur en Phenicie, Beyrouth 1945;  G. M. Mendenhall, The syllabic Inscriptions from Byblos, American University of Beirut 1985; Sznycer M., Les inscriptions 'pseudo-hieroglyfiques' de Byblos; in E. Acquaro -F. Mazza- S. Ribichini - G. Scandone - P. Xella (a cura di). Biblo. Una città e la sua cultura, CNR Roma 1994, pp. 167 - 178.
  14. G. Sanna 2004, cit. 4. pp. 85 - 179.
  15. G. Sanna 2004, cit,.4, pp. 250 - 255.
  16. 'Segno 'a palizzata' o 'a recinto' (Dunand 1945, cit. fig. 36, Batiments: 6) ritenuto un 'ha -yi -tu (het) dal Mendenhall (1985, cit. 4. p. 19).
Avvertiamo che in questo breve articolo sull'alfabeto e sui segni  non si tratterà ancora di una vera e propria novità nel campo dell'epigrafia (nuragica e non) riguardante alcuni documenti in geroglifico egiziano (soprattutto scarabei) rinvenuti in Sardegna e i loro rapporti con la scrittura nuragica in cosiddetto 'protocananaico' e in cosiddetto 'fenicio' (v. di recente sull'argomento gli interrogativi in A. Losi:Un'oca, il re adorante, la barca, la penna: nel nome del dio nascostohttp://gianfrancopintore.blogspot.com (30 01 2012)

venerdì 7 giugno 2013

Sardinya: A Portoscuso non si può fare il vino, frutta e verdura vietate ai neonati

A Portoscuso non si può fare il vino, frutta e verdura vietate ai neonati.
L'allarme, finora rimasto inascoltato, del Gruppo di intervento giuridico

www.unionesarda.it

I periodici allarmi sui danni causati all'ambiente e alla salute dall'inquinamento industriale e minerario, ancor più da quello sedimentato e ormai dimenticato da decenni, non hanno fin qui sortito adeguate reazioni da parte delle istituzioni pubbliche. Non solo per quel che riguarda gli interventi diretti ma anche e soprattutto per l'assenza di un richiamo stringente agli “inquinatori”, affinché ripristinassero lo stato dei luoghi e rimuovessero l'origine dell'allarme.

L'ALLARME 
Eppure le prese di posizione e gli studi non mancano. Nel gennaio 2012, come ha ricordato nei giorni scorsi Stefano Deliperi del Gruppo di intervento giuridico, la Asl di Carbonia mise nero su bianco un allarme che si fondava su dati forniti dall'Istituto superiore di sanità e dal ministero dell'Ambiente: «Si ritiene necessario informare la popolazione di Portoscuso di fare in modo di differenziare la provenienza dei prodotti ortofrutticoli da consumare per la fascia di età dei bambini compresa dalla nascita ai tre anni. Occorre perciò fare in modo che in questa fascia d'età non siano consumati esclusivamente prodotti ortofrutticoli provenienti dai terreni ubicati nel comune di Portoscuso». Tutto nacque da uno studio condotto tra il 2010 e il 2011, quando i tecnici dell'Istituto superiore di sanità raccolsero campioni di tutto quel che si coltiva tra Portoscuso e Paringianu, nell'ambito di un'indagine sul rischio sanitario dei terreni.

FRUTTA E VERDURA 
Perché è necessario differenziare il consumo di frutta e prodotti dell'orto locali nei bambini più piccoli? Il rischio è sempre quello legato alla presenza di metalli pesanti nel suolo e alla conseguente piombemia (accumulo anomalo di piombo nel sangue). Nei primissimi mesi di vita, secondo quanto riferito allora dai medici, l'organismo assorbe più facilmente eventuali sostanze ed è certamente più sensibile. Nei bambini l'avvelenamento cronico da piombo può causare ritardo mentale, con disordini convulsivi, disturbi comportamentali con aggressività e regressione dello sviluppo. La sintomatologia può regredire spontaneamente se s'interrompe l'esposizione al metallo, ma se il danno avviene negli anni in cui i bambini sono maggiormente ricettivi nessuna interruzione all'esposizione dall'avvelenamento potrà mai far recuperare loro un deficit che si porteranno appresso tutta la vita.
Come ha ricordato sempre Deliperi, in precedenza (nel 2008) già l'università di Cagliari (il dipartimento di sanità pubblica, nella sezione medicina del lavoro) nel corso di una ricerca affermò l'esistenza di deficit cognitivi in un campione di bambini di Portoscuso, dovuto a valori di piombo nel sangue superiori a dieci milligrammi per decilitro.

NIENTE VINO
 Sempre nel 2008 un'indagine realizzata dall'agenzia Arpas rivelò che l'uva coltivata a Portoscuso e Paringianu conteneva tracce di metalli pesanti ben oltre i limiti previsti per i cibi commestibili. I risultati, che arrivarono dopo circa tre mesi di indagine, fecero piombare nello sconforto i viticoltori di quei centri, cha da diverse stagioni agrarie si vedono privati della possibilità di raccogliere i frutti del loro lavoro. Già da anni i sindaci di Portoscuso sono obbligati a emettere ordinanze che vietano la vinificazione dell'uva e ne dispongono il conferimento alla cantina sociale di Sant'Antioco, unico ente abilitato nel territorio a ricevere il prodotto non commerciabile. (a. mur.)

martedì 4 giugno 2013

"LE ZONE FRANCHE NELL'UE - UNO STRUMENTO CONTRO LA RECESSIONE"

"LE ZONE FRANCHE NELL'UE - UNO STRUMENTO CONTRO LA RECESSIONE"" 

DELEGAZIONE DI SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA


Bruxelles 05-06-2013

Un modello di sviluppo imposto alla Sardegna con obiettivi solo politici e non economici ha portato l’economia sarda al disastro e ha consumato una parte rilevante del suo territorio rendendolo quasi improduttivo perchè compromesso da forme di inquinamento permanente.
Al disastro causato dal crollo dell’industria, vere cattedrali di carta velina volute da una concomitanza di interessi economici, politici, sindacali  . 

  • 3200 aziende chiuse negli ultimi 5 anni , 928 nel 2012 nel settore commercio e turismo
  • muoiono 27 ditte al giorno. 
  • 4948 aziende sono all’asta per un valore di 31 mln di euro in seguito a sequestro giudiziario 
  • Pressione fiscale insostenibile che influisce per il 68% sul ricavato contro il 12% dell’Irlanda ed il 34% dell’Inghilterra.
  • Burocrazia ossessiva ed impeditiva  che costringe le aziende a 120 adempimenti all’anno, uno ogni 3 giorni, ha avuto una evoluzione funzionale in grado di condizionare la politica dalla quale dovrebbe invece dipendere.
  • 8 giorni al mese vengono del titolare o di un preposto sono destinati agli adempimenti burocratici
  • 60 giorni per pagare altrimenti equitalia contro i 148 giorni per essere pagati dalle P.A. dove nella sanità si arriva a 308 giorni.
  • Amministrazione pubblica che costa più di 2,7 mld al netto della sanità con un patto di stabilità di 2,8 mld euro con limite di spesa di 2,2 mld, non rimane niente per il sostegno alle imprese.
  • 63% incidenza della spesa pubblica sul Pil contro il 48% in Italia, ogni sardo produce mediamente 19.700 euro di Pil, il 63% pari a 12.400 euro serve a coprire le spese della pubblica amministrazione, con 146 occupati, uno ogni 4 occupati contro uno ogni 6 occupati in Italia..
  • Calo de -13,3% della spesa delle famiglie in 4 anni.
  • Contrazione -5,5% del credito al settore produttivo nel 2012, le banche hanno più interesse ad investire in certificati dello stato che non nel credito alle imprese.
  • 8,2% è il tasso medio pagato su di un prestito a breve termine.
  • -1 ounto di Pil dal 2007 ad oggi
  • 2000 imprese in crisi
  • 32 indice di isolamento della Sardegna secondo solo al 35 di  Menorca contro il 23 di Corsica e pari a 1/5 dell’indice 149 dell’isola di Pasqua: 

E’ evidente che la Sardegna in questo contesto politico, economico, istituzionale non si può salvare e può pagare un prezzo ancora più caro del resto dello stato italiano proprio perchè non ha la possibilità di adottare correttivi propri al di fuori di un sistema politico-economico deciso da altri. 




LA SOVRANITA’ VA OLTRE IL DIRITTO E DIVENTA UNA NECESSITA’

La Sardegna non ha molto tempo per salvarsi dalla miseria, deve adottare delle politiche economiche e sociali nettamente diverse da quelle imposte dallo stato, in grado di salvare le proprie singole aziende e tutta l’azienda Sardegna mettendole nelle condizioni di salvarsi, stare nel mercato, fare sistema e essere produttive utilizzando al meglio, potenzialità, risorse primarie della Sardegna e coprendo i settori dove oggi l’isola importa o è carente nell’offerta.
LA SARDEGNA HA ASSOLUTO BISOGNO DI UNA FISCALITA’ DI VANTAGGIO CHE GLI PERMETTA DI SUPERARE DA SUBITO IL GAP DELLE DISECONOMIE, 20%, E GLI PERMETTA IN SEGUITO DI STARE SUL MERCATO

COSA FARE?
  • L’INDIPENDENZA
Se la Sardegna fosse indipendente, avesse una propria soggettività politica sovrana sulle proprie dinamiche interne e in quota di quelle esterne in compartecipazione, potrebbe creare le condizioni per uscire dal sentiero del disastro.
Il provvedimento che riduce sull’Irap 
alle aziende sarde, adottato dal consiglio regionale della Sardegna è una evidente dimostrazione che solo se si ha sovranità si può decidere. Quel provvedimento, che crea un minimo di fiscalità di vantaggio temporanea, si è potuto adottare perche su quella materia la RAS ha sovranità.
Con l’indipendenza non dovendo fare i conti con gli impedimenti e le usure dello stato italiano, la fiscalità di vantaggio sarebbe fattibile anche rispettando direttive e parametri imposti dalla CEE. 

Se l’Europa fosse quella dei popoli e non quella degli stati-nazione avrebbe il coraggio di liberare le nazioni senza stato, come la Sardegna, dalla gabbia impeditiva degli stati nazione e avrebbe permesso loro la soggettività politica di cui necessitano per poter decidere i propri modelli di sviluppo e le proprie politiche economiche ed energetiche in base alle loro esigenze, alle loro risorse primarie, alle loro congenialità e alla loro cultura. 
L’Europa deve avere il coraggio di portare il problema delle nazioni senza stato fuori dai confini dello stato-nazione impedente ed assimilare il problema ad una vertenza tra stati membri per dare soluzioni politiche a problemi politici. 
Come non ci sono più campi di battaglia per le vertenze tra stati non ce ne devono essere tra stati-nazione e nazioni senza stato. 
Dello strumento Europa ne devono beneficiare anche i popoli e non solo gli stati e le banche.

  • LA ZONA FRANCA 
Non è un’alternativa all’indipendenza ma uno strumento che crea maggiori spazi di sovranità ed opportunità.

E’ UNA RIVENDICAZIONE STORICA
 1896- Zona Franca in srd, da Giuseppe Todde  venne indirizzata  la proposta alla commissione d’inchiesta Pais-Serra .
1918 – Proposta simile da parte di Attilio Deffenu e Umberto Cao
1921 – Egidio Pilia  pubblica l’opuscolo “ L’Autonomia doganale”, sistematizzando e dando gambe concrete alla tradizionale richiesta di Istituti franchi per la Sardegna.
1928 – Paolo Pili – Porto franco di Cagliari
1983 – Indagine conoscitiva sulle Zone franche condotta dalla III Commissione del Consiglio regionale 
1984 – Proposta sardista, con Mario Melis, Presidente della Giunta, 
fece elaborare una Proposta di Zona Franca e modifica dell’art. 12 dello statuto. 
Seguono almeno altre 10 proposte di legge regionali o statali di diversa estrazione politica fino all’ultima presentata dal PSDAZ il 14 maggio 2013 e alle delibere di giunta n. 8/2 DEL 7.2.2013n. 9-7 del 12-02-2013

IL DIRITTO DEI SARDI ALLA ZONA FRANCA
Tenuto conto che è doverosa una distinzione tra Zona Franca Fiscale e Zona Doganale 
  1. ZONE FRANCHE FISCALI . Il Codice doganale europeo distingue nettamente i territori che “non fanno parte del territorio doganale” dalle zone franche doganali. I territori collocati “fuori dal confine doganale”(articolo 3 del Reg. n. 450/2008)trovano il loro riconoscimento, per ragioni storiche o geografiche, all’interno della normativa nazionale ed europea, in tali territori non trova applicazione la normativa in materia doganale e tutte le merci e i servizi sono esenti da IVA
  2. ZONE FRANCHE DOGANALI . Le “zone franche doganali” (articolo 155 del Reg. n. 450/2008), invece, fanno parte a tutti gli effetti del territorio doganale e sono soggette al codice doganale comunitario; a esse vengono riconosciute delle particolari agevolazioni. Infatti, le merci non comunitarie introdotte sono considerate per fictio iuris, ai fini dell’applicazione dei dazi all’importazione e delle altre misure di politica commerciale, come merci non situate nel territorio doganale della Comunità.

Secondo il movimento , che si è sviluppato sulla rivendicazione di Zona Franca Integrale , nella lettera aperta inviata al Presidente Cappellacci, tale diritto è basato sull’ art. 12 della legge costituzionale n. 3\1948, ( che non attribuisce nessuna caratteristica extradonale al territorio ma da la possibilità di istituire punti franche, zone franche doganali),  e sul  dlgs 75\98 ( che è in applicazione dell’art. 12 dello statuto e quindi si riferisce a zone franche solo doganali), senza dubbio quanto previsto dall’art. 12 dello statuto  e normato dal dlgs 75/98 fa riferimento a Zone Franche Doganali e non Fiscali. 
A sostegno della tesi del comitato si cita l'art. 2 e 36 del dpr 43\1973 ( T.U. doganale tutt'ora in vigore)Sono assimilati ai territori  extra-doganali i depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti, di cui agli articoli 132, 164, 166 e 254 ( valido parchè assimila i punti franchi ai territori extradoganali) ( art. che si è tentato di modificare nel 2002 aggiungendo....” ed il territorio della regione Sardegna compreso nei comuni dotati di porti ed aeroporti, costituito in zona franca». su proposta al senato di P.Mulas e altri)  perche’ si ritiene che il termine zona franca o extra-doganali sia usato come finzione e la finzione di extraterritorialità non comporta l’esclusione del territorio franco dall’ordinamento doganale dello Stato, ma determina che quest’ultimo, sebbene di fatto situato entro il territorio doganale, agli effetti dell’imposizione tributaria è considerato fuori della linea doganale ed è così sottratto al regime doganale ordinario, per essere assoggettato a un regime speciale, il quale sostanzialmente consente di introdurre, depositare e manipolare, trasformare e consumare le merci estere nella zona franca in esenzione da tributi e da formalità doganali”. Cio’ sembra confermato dall’art 3 del Codice doganale comunitario aggiornato (Reg. CE 23/4/2008 n. 450 esplicita il valore della fictio del disposto dell’art. 2 del Dpr 43/73.
Non riguarda la Sardegna invece la cosiddetta clausola di salvaguardia contenuta nel trattato istitutivo della comunità europea (l’articolo 351 del TFUE in vigore) ( che sancisce il rispetto degli obblighi tra stati aderenti, antecedenti al 1° gennaio 1958 ma solo per gli stati mebri)dall' art. 87 ex 92, e dall'art 307 ex 234 del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957 (Definisce gli aiuti di stato e gli aiuti compatibili per la discrimine positiva di cui sopra) . 
La disposizione  garantisce agli Stati la salvaguardia degli impegni pattizi (diritti e obblighi) sorti precedentemente all’entrata in vigore dello stesso Trattato nel caso di “convenzioni concluse .. tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra”.  Tale clausola di salvaguardia è stata applicata al “regime speciale” (ossia un autonomo regime giuridico che deroga la normativa nazionale ed europea in materia doganale) di cui gode storicamente il Porto di Trieste (e non per il Comune di Livigno) che trova il proprio fondamento giuridico nell’allegato VIII del Trattato di pace del 1947 che salvaguarda il regime del porto franco di Trieste. 
Non ricorre la salvaguardia nel caso della Sardegna la cui specialità trova il proprio fondamento giuridico nello Statuto speciale (legge costituzionale n. 3 del 1948) che, seppure norma di rango costituzionale, è interna allo Stato italiano e quindi non ha alcun rilievo nell’ordinamento internazionale. Va anche aggiunto che nello Statuto sardo non vengono istituiti i punti franchi, ma l’articolo 12 dispone che “saranno istituiti punti franchi” e che quindi al momento dell’entrata in vigore del Trattato di Roma in Sardegna non erano presenti zone franche.
In quanto alle deliberazioni della giunta regionale n. 9/7 del 12 febbraio 2013 e n. 8/2 del 7 febbraio 2013 risultano anche a mio parere, come dice il consigliere regionale Paolo Maninchedda viziate sotto diversi profili: 
  1. violano la competenza esclusiva dello Stato nella materia doganale( Statuto speciale, art. 12   e quella esclusiva nella materia “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (Costituzione, articolo 117, comma secondo, lettera q) ); violano inoltre l’articolo 155 del citato Regolamento (CE) 450/2008 nella parte in cui riserva solo agli Stati membri – non all’UE – la potestà di destinare talune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca.
  2. Confondono i “territori non inclusi nel territorio doganale” e le “zone franche doganali”.
c) L’iniziativa per l’”attivazione” delle zone franche sarde, istituite dalla norma di attuazione del 1998 Dlgs 10 marzo 1998, n. 75, nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili, e della loro delimitazione è di esclusiva competenza della Regione che la propone al Governo che poi adotta il relativo decreto. La Commissione europea non ha alcuna competenza in merito.
Probabilmente la Giunta della Regione Sardegna dovrebbe valorizzare quanto disposto dall’art.1 della L.R. 10/2008 alla lettera d) che recita: “d) promuovere l’attuazione delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75 (Norma di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna concernente l’istituzione delle zone franche) e avviare la procedura per l’istituzione delle zone franche in ciascuno degli ambiti previsti seguendo l’iter secondo le competenze di Regione, Stato e CEE. Si avrebbe comunque delle zone franche parziali e non integrali.
Se l’inerzia politica del sistema del disastro sardo continua a svolgere la sua “funzione” di intermediazione dell’apparato politico-affaristico italiano invece che valorizzare almeno ciò che sicuramente è possibile, portando a termine subito l’istituzione e l’operatività delle zone franche doganali possibili non si potrà neanche godere della norma sopra citata , l'art. 2 e 36 del dpr 43\1973 ( T.U. doganale tutt'ora in vigore)Sono assimilati ai territori  extra-doganali i depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti, di cui agli articoli 132, 164, 166 e 254.  che sembra consentirebbe di assimilare i punti franchi doganali a zone franche fiscali e quindi riconoscerli come territori extradoganali. 

FISCALITA’ DI VANTAGGIO  (Zona Franca fiscale)
Ribadito che a mio parere il vero obiettivo deve essere l’indipendenza e zona franca non può essere un suo surrogato, più che aprire una vertenza che rischia di assumere caratteri di assistenzialismo preteso, per diritti non riconosciuti e difficili da farsi riconoscere, da uno stato, quello italiano, prossimo alla bancarotta, sia più opportuno ed efficace puntare sulla possibilità di istituire un sistema economico rilevante in grado di progettare una fiscalità di vantaggio adeguata alla situazione sarda in concorrenza con il sistema economico fallimentare italiano, all’interno della normativa europea e aperta anche a tutto il mediterraneo.

La questione fiscalità di vantaggio va esaminata in ambito europeo e in ambito statale.

Nella situazione attuale della Sardegna, qualunque fiscalità di vantaggio che preveda interventi sostitutivi da parte dello stato è CONSIDERATA AIUTO DI STATO dall' art. 87 ex 92, e dall'art 307 ex 234 del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957 (Definisce gli aiuti di stato e gli aiuti compatibili per la discrimine positiva di cui sopra) . 
Qualsiasi fiscalità di vantaggio va prima negoziata con lo stato e messa nelle condizioni affinché la Comunità Europea autorizzi tale regime fiscale “speciale”.
Gi argomenti a sostegno di un regime fiscale “speciale” per la Sardegna possono basarsi sostanzialmente sull’applicazione di quanto previsto dall’articolo 174 del Trattato di Lisbona e dall' art. 87 ex 92, e dall'art 307 ex 234 del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957, punto 3 comma a),  nei quali vengono previsti interventi concretti volti a compensare gli elementi di debolezza socio economica di tipo strutturale legati all’insularità.

Un altro fattore che va nella direzione auspicata dalla nostra regione sul quale fare leva nella contrattazione con lo Stato e con l’Unione europea per l’ottenimento una fiscalità di vantaggio è la sentenza della Corte di giustizia del 6 settembre 2006 (cosiddetta Sentenza Azzorre).
CONTESTO GIURIDICO RILEVANTE
Tale sentenza dispone AL COMMA 58,  che un ente regionale o territoriale, nell’esercizio dei poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, può stabilire un’aliquota fiscale inferiore a quella nazionale applicabile unicamente all’interno del territorio di sua competenza” e che “il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale potrebbe limitarsi all’area geografica interessata dal provvedimento qualora l’ente territoriale, segnatamente in virtù del suo statuto e dei suoi poteri, ricopra un ruolo determinante nella definizione del contesto politico ed economico in cui operano le imprese”;
La Corte di giustizia, nella in questa sentenza, ha ritenuto che i poteri sufficientemente autonomi debbano fare riferimento a un’autorità regionale o territoriale dotata sul piano costituzionale di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale e che per l’ammissibilità della misura agevolativa l’Ente deve assumersi le conseguenze politiche ed economiche della misura.

Sul piano STATALE poi a nostro favore depongono le sentenze della Corte costituzionale 
n. 102/2008 e n. 357/2010 che hanno “riconosciuto” alle Regioni a statuto speciale il potere di istituire tributi propri ma anche di incidere sui tributi erariali interamente devoluti o partecipati consentendo la modifica sia della base imponibile che delle aliquote con il solo limite di non incrementare le aliquote massime.
Paradossalmente le regioni a statuto ordinario sono su questo tema “più avanti” della nostra regione. Infatti, la legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, all’articolo 7, e successivamente il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, attribuisce alle Regioni ordinarie la potestà di aumentare o diminuire l’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF nonché di ridurre le aliquote IRAP fino ad azzerarle concedendo la possibilità di disporre deduzioni dalla base imponibile
Per la Sardegna, invece, l’introduzione di una fiscalità agevolata è percorribile attraverso la modifica del titolo III dello Statuto (attraverso una legge ordinaria statale) ovvero con l’inserimento di tale prerogativa nella norma di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto ancora in fase di discussione.

PRESUPPOSTI E PRIMI PASSI INDISPENSABILI PER UNA ZONA FRANCA IN SARDEGNA

PER SUPERARE GLI SBARRAMENTI EUROPEI SUGLI AIUTI DI STATO
  • Nel giusto tempo, dare alla Sardegna una soggettività politica indipendente dallo stato italiano.

  • Nell’immediato, far diventare rilevante il contesto politico ed economico in cui operano le imprese sarde,  in modo da poter esercitare dei poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale dello stato e non incorrere nella sentenza della Corte Europea sulle Azzorre . 
Per conseguire tale rilevanza occorre, assolutamente ed immediatamente;
  • Istituire l’Agenzia Sarda delle Entrate
  • Istituire un ente di riscossione sardo indipendente da Equitalia.
  • Rendere il sistema economico sardo meno dipendente dalle importazioni, aumentarne la chiusura;
Presupposto  fondamentale  è dunque l’istituzione dell’Agenzia Sarda delle Entrate ;

  • in via breve, pronti ad aprire una vertenza con lo stato, si potrebbe conseguire servendosi della potestà data alla Regione Sardegna da quel “può” contenuto nell’art. 9 dello Statuto Regionale  , “La Regione può affidare agli organi dello Stato l'accertamento e la riscossione dei propri tributi.”  per togliere la funzione allo stato e istituire un propria AGENZIA SARDA DELLE ENTRATE ed un ente di riscossione sardo indipendente da equitalia.

  • in alternativa, ma la strada sarebbe più lunga, si potrebbe approvare la proposta di legge di iniziativa popolare, promossa da Fiocco Verde, che si pone gli stessi obiettivi, istituzione dell’agenzia sarda delle entrate e ente di riscossione sardo.

COSTI DELLA ZONA FRANCA 
Partendo dal fatto che la Sardegna, all’interno dello stato italiano è una regione davvero speciale parchè il regime di compartecipazione entrate-spese  che ne deriva dall’accordo Stato-Regione del 2006 e specialmente dalla modica dell’art. 8 , si assegna come entrate della RAS  i 5/10 imposte successioni e donazioni, i 7/10 irpef, i 9/10 iva, 9/10 accise e altre compartecipazioni minori, di contro si caricano alla RAS  le spese per la SANITA’ (3,2 mld di euro) + CONTINUITA’ TERRITORIALE E TRASPORTO PUBBLICO LOCALE (240 mln di euro) per un totale in percentuale di circa il 70% delle spese totali della RAS.
In questa situazione la Sardegna è quasi uno stato o comunque è ad un passo dalle’essere CONTESTO GIURIDICO ECONOMICO RILEVANTE, così come richiesto dalla UE per poter essere zona franca o di fiscalità di vantaggio.

L’ISTITUZIONE DELLA ZONA FRANCA DI CONSUMO SAREBBE QUASI A TOTALE CARICO DEI SARDI in quanto farebbe mancare, se applicata senza gradualità e anche sul consumo e non solo sulla produzione, causerebbe, un ammontare di mancate entrate, facendo riferimento alle cifre del 2010 di;
IVA  1.8 miliardi
ACCISE 700 milioni
Per un totale di 2,5 mld di euro
e lascerebbe alla regione 
IRPEF 2 miliardi
IRES 600 milioni
IRAP 800 milioni
che per effetto della zona franca dovrebbero crescere di 2,5 mld di euro per pareggiare la defiscalizzazione iva ed accise.
Se il sistema Sardegna fosse chiuso, secondo la teoria economica Keynesiana, supposto una propensione marginale al consumo c = 0,6, supponendo che il consumatore  rimetta in consumi il 60% dei risparmi iva e accise e l’altro 40% venga rimesso in risparmio, si avrebbe un moltiplicatore pari a 2,50 che genererebbe un maggiore PIL di 6.250 mln , e decine di migliaia di nuovi posti di lavoro.
IL SISTEMA SARDEGNA NON E’ CHIUSO e gran parte di quel 60% dei consumi andrebbero ad incrementare il PIL italiano o di altri stati piuttosto che quello sardo.
La Sardegna oggi importa quasi tutto, basti pensale all’agroalimentare dove le importazioni arrivano all’80%. 

Condizione per cogliere i benefici di una zona franca è dunque, Rendere il sistema economico sardo meno dipendente dalle importazioni, aumentarne la chiusura, renderlo autopropulsivo;

Superamento della fase di avvio, che si stima di 5 anni
Non essendo il sistema Sardegna nelle condizioni di chiusura per beneficiare in maniera rilevante dei consumi permessi dalla defiscalizzazione, verrebbero a mancare dalle entrate almeno 1,5 o anche 2 mld di € che metterebbero in crisi i servizi essenziali come la sanità ed i trasporti.
Almeno nella fase di avvio si avrebbe la necessità di attingere ad altri fondi che non sia configurabili come  aiuti di stato.
La Sardegna è nelle condizioni e ne ha diritto, di recuperare 2,7 mld di € all’anno di accise sui prodotti petroliferi che gli vengono sottratte dallo stato con delle leggi statali contrarie agli interessi dei sardi. Essendo una restituzione che spetta per diritto non potranno essere, in alcun modo, qualificati come aiuti di stato.
Il recupero dei 2,7 mld di € si potrebbe da subito ottenere mediante;
  • L’abolizione della legge 22 dicembre 1980, n. 891,  che consente il pagamento differito dell'imposta di fabbricazione e la riscossione delle accise, degli idrocarburi prodotti in Sardegna, fuori dall’isola, Livorno, Latina, Arcola (La Spezia), Ravenna, Cartagena, Barcellona
  • O in maniera più immediata, applicazione per dette accise dell’art 8 dello Statuto che in seguito alla modifica del 2006 recita in maniera chiara e indiscutibile : "nelle entrate spettanti alla Regione sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell'ambito regionale, affluiscono, in attuazione di disposizioni legislative o per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione".

OBIETTIVI DELLA ZONA FRANCA

  • Salvare tutte le imprese della Sardegna operanti, favorire l’insediamento di nuove aziende e avviare il superamento del modello industriale del disastro.
  • Fermare lo spopolamento delle zone interne, il cosiddetto “effetto ciambella”.

ZONA FRANCA INTEGRALE MA ARTICOLATA, con forme di fiscalità di vantaggio dosate e finalizzate ai suddetti obiettivi da conseguire.
Una proposta potrebbe essere questa:


FISCALITA’ DI VANTAGGIO FORTE
Per le aziende dell’interno che producono agroalimentare o turismo.
Per tutte le aziende che lavorano sui trasporti interni ed esterni per il trasporto persone e per le merci in uscita .
Per gli operai vittime del fallimento industriale che si costituiscono in azienda.
IRAP  riduzione al 10% per quelle esistenti esenzione 5 anni per le nuove
IRPEF  riduzione al 30% per quelle esistenti esenzione 5 anni per le nuove 
IVA  riduzione con le detrazioni sull’imponibile, o per riduzione di aliquota per ameno 5 punti.
ACCISE riduzioni contingentate e misurate sul tipo di azienda solo su trasporti e energia.

FISCALITA’ DI VANTAGGIO DEBOLE
Per tutte aziende della Sardegna.
IRAP  riduzione al 50% per quelle esistenti e riduzione al 10% per 5 anni per le nuove
IRPEF  riduzione al 50% per quelle esistenti e al 10% per quelle nuove e per 5 anni
 IVA  riduzione con le detrazioni sull’imponibile, o per riduzione di aliquota per ameno 5 punti.
ACCISE riduzioni contingentate e misurate sul tipo di azienda solo su trasporti e energia.

COSTO DELL’INTERVENTO
Si stima, riservandosi un calcolo più approfondito, un costo di  1-1,5  mld di €

VANTAGGI

MAGGIORI ENTRATE
Si stima, dopo il 5° anno in circa 1.5-2 mld €. ANDARE A PAREGGIO CON LE MINORI ENTRATE PER DEFISCALIZZAZIONE

VANTAGGI ECONOMICI
Salverebbe le aziende sarde dalla chiusura e dalla miseria rendendole produttive e concorrenziali, in grado di portare la loro incidenza sull’agroalimentare dal 20% almeno al 60-70% e l’industria turisti in grado di attrarre almeno 20-30 milioni di turisti.

VANTAGGI OCCUPAZIONALI
Da 80 mila a 100 mila nuovi occupati.
Darebbe occupazione stabile a parte degli operai precarizzati o perdenti posto a causa del disastro industriale.

VANTAGGI SOCIALI 
Fermerebbe lo spopolamento delle zone interne e permetterebbe un recupero organico e produttivo del territorio.
Rientro di emigrati e ripopolamento dell’isola.

FONTI DI FINANZIAMENTO PER L’AVVIO che si stima in 5 anni
Recupero dei 2.7 mld € di accise su carburanti, mediante.


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