Io penso che ai sindaci di tutti i comuni (sardi e non), nessuno escluso, si possano perdonare tante cose e tanti errori date le obiettive difficoltà in termini economici in cui ci troviamo. Infatti, nessuno può ergersi a giudice di coloro che oggi sono in prima linea per cercare di salvare il salvabile di quella che una volta era, in fondo, l'amministrazione normale di una città normale o a misura d'uomo. Ma non si può perdonare ad essi la mancanza di senso 'politico' della comunità che governano soprattutto quando questa gode del privilegio di avere una storia illustre. Addirittura tanto illustre da essere conosciuta e inserita nella stessa storia dell'Europa del periodo Basso Medioevale. Perché Aristanis - lo si sa - era considerata città 'metropolitana', capitale cioè di un vero e proprio stato sovrano, quello di Arborea, alla pari con gli altri stati sovrani del tempo.
Pertanto allorché un sindaco di Oristano si reca in qualsiasi luogo d'Italia, d'Europa e del mondo, per quanto i tempi siano cambiati ed il ruolo della città divenuto (purtroppo) marginale, ha il dovere morale di mostrare fierezza del passato e possibilmente di ricordare, dove possibile e quando possibile, i momenti gloriosi di quel passato. Non deve mai umiliarlo, per improvvisazione e per superficialità nella conoscenza della storia, attribuendo all'antica capitale macchie comportamentali per nulla sue. Macchie per giunta, va precisato, di singoli individui e mai di 'comunità'.
Lasciano quindi di stucco certe parole usate dal primo cittadino di Oristano, in un momento del tutto particolare (di nuovo storico) quale è stato quello dell'audizione dei rappresentanti sardi da parte della Commissione europea incaricata di valutare la problematica legislativa circa l'istituzione della Z.F.I nel territorio della Sardegna.
Eccole (per la parte che particolarmente interessa):
“Io mi onoro di essere sindaco di una comunità che a metà dell’Ottocento si inventò le carte di Arborea per giustificare le proprie origini blasonate, in un periodo in cui tutte le nazioni europee cercavano quali erano le proprie origini perché c’era bisogno di creare le grandi nazionalità europee, a Oristano si erano inventate queste carte! Peccato che i tedeschi dopo 50 anni scoprirono che erano proprio false che tutto quello che era scritto nelle carte di Arborea erano falsificazioni, belle, per sentirci importanti! Ma la maggior parte delle cose non erano vere quindi i miti, però quelle falsità servirono a creare il mito della nazione sarda che esiste e che si sta ri- perpetuando. Domenica scorsa mille persone hanno ascoltato il presidente Cappellacci che diventava il capo-popolo di un’isola che si sente nazione e che però si trova grazie anche a questo capo-popolo nelle condizioni in cui si trova oggi e che pensa di risolvere i problemi inventandosi la zona franca”.
Come si fa , da un punto di vista concettuale, ad essere 'onorati di guidare una città di falsari per giustificare 'blasoni', Dio solo lo sa! E non so cosa abbiano pensato in quel momento i parlamentari di Bruxelles. Crediamo che mai un sindaco nella storia abbia esordito così. Mi dispiace doverlo dire ma va detto. Perché parlare a braccio rende autorevoli ma spesso gioca brutti scherzi tanto che per prudenza qualche volta bisogna scriverli con umiltà certi discorsi. Nessuna 'diminutio'. Lo fanno spessissimo i papi e non lo fanno invece quelle vere pipe che siamo noi, sindaco Tendas compreso.
Comunque, la cosa che veramente importa non è formale ma il fatto che Guido Tendas non è sindaco di nessuna 'comunità che si invento le carte di Arborea', per il semplice motivo che quelle carte, come tutti sanno, se le inventò e le compilò su pergamene autentiche antiche (ricavate da antichi testi medioevali) Ignazio Pillitto archivista cagliaritano del Comune di Cagliari. Il falsario fu lui e mai venne coinvolto, che si sappia, nessun oristanese né degli Scolopi né di altri istituti religiosi; a meno che Guido Tendas non si riferisca a Salvatorangelo De Castro. Ma allora la cosa sarebbe ben più grave perché avrebbe svolto il ruolo di Preside (e per non poco tempo) in una scuola intitolata ad uno ...spregevole oristanese falsario. E senza mai dire niente e muovere un dito per rimuovere la lapide in latino, quella che il preside prof. Bruno Manai aveva di suo pugno scritta (e fatta collocare nell'androne che porta alla sala della Presidenza) per il canonico parlamentare e studioso che onorava, ormai da tempo, con il suo nome illustre il liceo classico. Si sa che diversi studi, compreso il saggio monografico del prof. Paolo Gaviano (oristanese), hanno dimostrato l'infondatezza di un'accusa a dir poco campata per aria. Oristano quindi non si inventò nulla, proprio nulla. Non fu capitale di ignobili invenzioni. Fu capitale grandissima, quando lo fu, di ben altro.
Circa il romanticismo sardo, sarà bene precisare che, così come tutti i romanticismi d' Europa (compreso quello dell'Italia che non era, come tutti sanno, una 'nazione' ma un insieme di 'nazioni'), esso andò correttamente e nobilmente a riscoprire le robuste origini 'nazionali' della Sardegna e le trovò, tra l'altro, soprattutto nella storia basso medioevale della Sardegna, cioè nella lunga e secolare lotta dell'indipendenza della Sardegna messa in atto dagli Arborea a partire dal rex Sardiniae Barisone I (storia questa e non certo mito, documentata in seguito dalle carte dell'Archivio della Corona d'Aragona e da altri archivi ancora di Comuni italiani).
La Sardegna sino a che non sopraggiunse la colonizzazione italiana era ritenuta 'nazione sarda' (da 'natio', il nome che i Romani davano ai popoli uniti da una lingua comune, da comuni tradizioni e da un territorio) anche dagli spagnoli ( 'naciò sardesca'). Non c'era quindi bisogno di inventarsi nulla, proprio nulla, neppure dal punto di vista terminologico. Semmai bisognava consolidare e contemporaneamente rendere più celebre quella comune opinione di 'nazione'. Cosa che fecero gli intellettuali romantici sardi parlando (per come poterono e per quanto 'politicamente' poterono) di lingua e letteratura sarda, di storia sarda, di economia, di tradizioni e di archeologia sarda.
La letteratura e la documentazione del tempo mostrano 'ad abundantiam' questo sforzo generosissimo dei vari Giovanni Spano, di Vittorio Angius, di Antonio Soggiu (vescovo di Oristano), di Salvatore Cossu, di Salvatorangelo Maria de Martis e di altri numerosi intellettuali del tempo (soprattutto preti e religiosi della chiesa cattolica).
In questo genuino e disinteressato fervore 'nazionalista' di stampo romantico europeo si infilò, purtroppo, l'attività criminale del Pillitto che, uomo scaltro e coltissimo qual' era, trovò terreno fertile per infilarvi a scopo di lucro i suoi (e solo suoi, fino a prova contraria) falsi. Quindi i romantici di allora e tanto meno gli oristanesi (anche se i falsi riguardarono quasi tutti le vicende degli Arborea) non si inventarono nulla. Accadde solo che da un farabutto e forse da qualche altro 'mercante' compare venissero ingannati gli studiosi e i 'letterati' meno perspicaci o troppo amanti della loro nazione. Compreso il can. De Castro che ebbe come unico torto quello di credere troppo e ad oltranza alla genuinità delle pergamene, nonostante l'autorevole pronunciamento degli storici e dei filologi della formidabile scuola tedesca.
Quindi Tendas ha (lui sì) detto cose false, autoproclamandosi così comicamente, senza rendersene conto, il primo 'falsario' della storia oristanese. Lui guida, si tranquillizzi, una città onesta e gloriosa, mai macchiata da falsi di nessun genere. Se in Sardegna c'è ancora una 'resistenza' storica e non tramonta il concetto di Sardegna come 'popolo a sé', con una sua precisa identità, e cioè 'nazionale', lo si deve alla grandezza morale di Oristano e degli Arborea! Lo si deve alla loro superba legislazione estesa a tutta la Sardegna, al popolo sardo o 'nazione sarda' che la si voglia chiamare. La 'mitopoiesi' (cioè la rivisitazione falsa del passato per rendere glorioso il presente) è invenzione di una certa sinistra radicale isolana e di una scuola antropologica che intende, con questa parola fasulla e senza senso, caparbiamente negare e mortificare la storia, veramente accaduta, che ha riguardato i Sardi e la Sardegna.
Un ultimo rilievo.
L'espressione ' domenica scorsa mille persone hanno ascoltato il presidente Cappellacci che diventava il capo-popolo di un’isola che si sente nazione e che però si trova grazie anche a questo capo-popolo nelle condizioni in cui si trova oggi e che pensa di risolvere i problemi inventandosi la zona franca” è quasi non commentabile non solo perché oggettivamente confusa e pasticciata, ma soprattutto perché c'entra come i classici cavoli a merenda, dato che i rappresentanti del Parlamento europeo erano davanti al Sindaco di Oristano perché volevano sentire da lui i motivi tecnico-politici e non meschinamente partitici (quell'inventarsi una 'zona franca inventata' è saggio non edificante di sterile polemica politico-partitica) circa l'attuazione o meno di uno strumento economico singolare nuovo come la zona franca integrale e non più gli obsoleti soli punti franchi statutari. Anche in quella occasione di possibile anche se precariamente dialettica unità c'è stata una rovinosa caduta di stile e ha trionfato la maledizione storica dei 'pocos, locos e male unidos'. Io mi auguro tanto che i parlamentari europei non conoscessero l'espressione di quel re famoso, nemico dei Sardi e della loro libertà che però, ci piaccia o non ci piaccia, aveva capito molto bene di che pasta orribile eravamo e siamo tuttora fatti. Nonostante il grido esaltante di battaglia 'Arbare-e' e quello dolorosamente sublime di 'fortza paris' della e dalla trincea dei nostri nonni.
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