martedì 9 luglio 2013

Erdogan non cede alla piazza e allontana la Turchia dall'Europa

Erdogan non cede alla piazza e allontana la Turchia dall'Europa 
Il braccio di ferro con gli antigovernativi tiene in scacco il Paese 

di PAOLA PEDUZZI
www.unionesarda.it

L'uomo che sta fermo, in silenzio, in piedi, con le mani in tasca è diventato il nuovo simbolo della piazza turca. Attorno a lui si radunano altre persone, ferme anche loro, finché non diventano troppe e arriva la polizia a disperderle: neppure il silenzio è tollerato in questa Turchia spaccata a metà da una rivolta che non si placa. Ogni giorno ci sono decine di arresti e una prova di forza permanente da quando, alla fine di maggio, sono iniziate le proteste al parco Gezi, in piazza Taksim, che le autorità di Istanbul vogliono sostituire con un rifacimento della caserma Taksim, antico simbolo della cultura ottomana costruita all'inizio dell'Ottocento dal sultano Salimm III (la caserma in realtà era stata trasformata in uno stadio nel Novecento e poi rasa al suolo nel 1940: nel progetto odierno l'edificio ospiterà un centro commerciale). 
La riprogettazione in chiave ottomana della città più cosmopolita della Turchia è una delle ambizioni del premier, Recep Tayyip Erdogan, che di Istanbul è stato il sindaco prima di entrare nella politica nazionale (la città è tuttora guidata da un esponente del partito di governo, l'Akp, islamico moderato). 


IL PROBIZIONISMO

 L'assalto all'urbanistica di Istanbul è andata di pari passo con un'ingerenza del premier nella vita privata dei turchi: non si può fumare, non si può bere, non ci si può baciare in pubblico, si devono fare almeno tre figli e via dicendo. L'islamizzazione della Turchia che va avanti, strisciante ma decisa, da dieci anni, cioè da quando Erdogan è arrivato al potere nel 2003 (l'Akp ha poi vinto le legislative altre due volte alle elezioni), è uscita dalle università, dai centri di potere, dalle epurazioni nell'esercito e una volta che ha toccato la vita quotidiana dei turchi è diventata intollerabile. La piazza raccoglie questa insofferenza, che è più culturale che politica, e affonda le sue radici in una società gelosa delle sue istituzioni e del suo laicismo, in una regione sfinita dagli scontri religiosi. Erdogan è duro con questa protesta: ha iniziato definendo i manifestanti “çapulcu”, sciacalli, e quella parola la si sente ripetere - spesso inglesizzata - in tutti i ritornelli e gli slogan, come la deliziosa canzonetta “Ogni giorno I'm chapulling”. 

I RAID E GLI ARRESTI 

La polizia antiterrorismo da giorni fa raid nelle principali città del paese, soltanto ad Ankara ci sono stati quasi un migliaio di arresti, dopo che le autorità hanno annunciato che avrebbero trattato come terroristi chi continuava ad andare in piazza. «La caccia alle streghe è iniziata», dicono molti commentatori, ricordando che spesso i metodi di Erdogan nei confronti delle opposizioni - a cominciare da quella storica e importante, incarnata nell'esercito e nel kemalismo laico di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Turchia moderna - è stato così: una piccola ma costante vendetta contro chi dissente. In questo modo, già ora l'opposizione all'Akp è diventata quasi un fantasma dal punto di vista politico, e nell'esercito i kemalisti sono stati decimati.
La piazza - che s'è radunata sotto l'organizzazione Taksim Solidarity che rifiuta connotazioni politiche se non la natura anti Erdogan - ha chiesto il rilascio di tutti i cittadini arrestati, ma il governo come unica concessione ha proposto un referendum sulla sorte del parco Gezi. È evidente che Erdogan vuole ridurre la rivolta a una dimostrazione ambientalista in difesa di quattro alberi, usando poi i suoi metodi repressivi per mettere a tacere la voce, ben più articolata, della piazza. La violenza è equiparata: Erdogan ha aperto un'inchiesta sulla polizia (che sappiamo già come andrà a finire) ma ha anche detto che investigherà «uno per uno chi ha fatto provocazioni sui social media e chi ha fornito ogni genere di sostegno logistico alla piazza». 


LA VIOLENZA 

La violenza è però in gran parte usata dalle forze dell'ordine, con quei cannoni che sparano acqua sulla folla mista non si sa a che cosa, ma è una sostanza che toglie il respiro e brucia la pelle. 
La gestione della crisi ha mostrato la frattura all'interno del partito di governo che passa attraverso l'opposizione tra Erdogan e il presidente, Abdullah Gül. Il primo è per le maniere forti, il secondo per un dialogo con la piazza, ma non certo per ragioni umanitarie o illuminate: Gül non vuole ingaggiare uno scontro culturale così forte con metà del paese, soprattutto perché l'anno prossimo ci saranno le elezioni. Erdogan è invece elettoralmente aggressivo: dice che per tre volte ha vinto nelle urne e che se qualcuno non lo vuole lo buttasse fuori con il voto, perché sa di contare su una base di consenso forte per quanto invisibile in questi contesti di rivolta più urbani. Il premier vuole farsi eleggere presidente ed è popolare in molte parti del paese, soprattutto in Anatolia. Gül invece vuole annichilire le ambizioni presidenziali di Erdogan e per farlo usa la piazza, lasciando aperta la soluzione del dialogo e dell'ascolto di quel che i manifestanti dicono. Il suo portavoce è il vicepremier Bulent Arinc. È stato Arinc a costringere Erdogan a un incontro con i rappresentanti della piazza (finito ovviamente nel nulla) ed è stato sempre lui a dover puntualizzare le sue parole quando le agenzie di stampa hanno iniziato ad attribuirgli frasi sull'utilizzo dell'esercito imminente per disperdere le proteste. Non che Arinc non sia a favore dell'utilizzo dell'esercito - di una dittatura stiamo pur sempre parlando - ma lui, cioè Gül, gioca la parte del poliziotto buono. 


IL DIALOGO 

A sostenere la linea del dialogo è anche Fetullah Gülen, multimiliardario con residenza negli Stati Uniti che ha fondato la confraternita islamica Hizmet che controlla decine di moschee in Turchia e fuori ed è proprietario di un grande impero mediatico nel paese. L'Akp deve molta della sua fortuna ai buoni auspici di Gülen, soprattutto Erdogan, ma oggi pare che questo signore chiacchieratissimo e misterioso si sia schierato con Gül, dopo che ha dichiarato: «Questi manifestanti hanno alcune richieste intelligenti».
Nessuno sa dire al momento come si uscirà da questa crisi, e se Erdogan ne verrà fuori più forte (e autoritario) o irrimediabilmente indebolito. Le due anime della Turchia che si combattono in questo momento sono socialmente strutturate in modo identico, sono come due colossi che si scontrano senza faglie sui livelli di reddito o sui livelli culturali: per questo è difficile dire se vince l'intolleranza dei laici (che hanno il grave difetto di non riuscirsi a unire in modo forte: è il difetto di tutte le opposizioni laiche della regione medio orientale e la prima ragione del loro insuccesso) o l'autoritarismo di Erdogan. 
Quel che è certo è che i paesi stranieri non sanno come intervenire né - e questo è peggio - che esito augurarsi. Le Nazioni Unite sono preoccupate, l'Unione europea è preoccupata, gli Stati Uniti sono preoccupati: tutti si augurano che il premier rispetti quel patto simildemocratico che ha siglato con l'occidente con il suo islamismo moderato, ma non sanno che fare se Erdogan dovesse invece decidere di affidarsi più all'islamismo che alla moderazione. L'Unione europea ha grandi responsabilità sulla questione turca: da anni corteggia e scaccia Ankara dal suo consesso, alza le richieste cui la Turchia deve rispondere per poter accedere all'Ue (cosa in sé giusta) salvo poi spaccarsi ogni volta che c'è bisogno di un maggior impegno da parte dei paesi europei nel coinvolgimento della Turchia. L'Europa è molto divisa perché l'ingresso di un paese a maggioranza musulmana creerebbe non pochi problemi all'identità europea (per non parlare dei suoi elementi costituitivi sulle radici giudaico-cristiane), e come spesso accade nel nostro continente ha pensato non di trovare una road map accettabile ma di ignorare il problema.

 
VIA DALL'EUROPA 

Il risultato è che la Turchia si è gradualmente staccata dal suo sogno europeo, e oggi Erdogan è il primo a dire che dell'Europa non gli interessa più granché. Preferisce le sue avventure asiatiche, come quando Ankara si fece mediatrice unica della questione nucleare iraniana, con esiti catastrofici che ancora oggi Erdogan paga nei confronti della leadership di Teheran. Preferisce quel rapporto di timore e insolenza che la lega alla Russia, nonostante adesso la bilancia sembri sempre più pendere per i diktat di Mosca a tutto svantaggio della Turchia (ironia vuole che Erdogan sia spesso paragonato al presidente russo Vladimir Putin: stessa dittatura, stessi metodi, stesse ambizioni da leadership eterna).
La Turchia non guarda più l'Europa, ma questo non sarebbe nemmeno un grande problema (per molti anzi è un sollievo). Il problema ora è tutto per gli americani. Nonostante i tanti sberleffi, Ankara è un alleato della Nato posizionato in modo strategico sia per le risorse energetiche sia come punto d'appoggio (e ben oltre) nella gestione dei conflitti medio orientali. La Turchia è talmente importante che il presidente americano Barack Obama è riuscito a convincere il premier israeliano Benjamin Netanyahu a chiedere scusa a Erdogan per il blitz delle forze speciali di Gerusalemme contro una nave battente bandiera turca che faceva parte di una flottiglia diretta a Gaza (fine maggio del 2010, nove morti). Le relazioni israeliano-turche si erano congelate dopo quell'episodio, e anzi la retorica antisemita di Erdogan era diventata sfacciata, ma Obama ha dovuto chiedere a Netanyahu di chiudere un occhio: perdere la Turchia è troppo rischioso.
La guerra in Siria è il contesto più pericoloso in cui la strategicità della Turchia risulta palese: Erdogan chiede la fine del regime di Bashar el Assad da tanto tempo, ospita i rifugiati siriani e buona parte dell'opposizione alla quale garantisce armi e protezione (compresi i fondamentalisti di al Qaida e questo non sarà a costo zero per la stabilità del paese). Sempre in Turchia sono stati posizionati i Patriot contro Damasco, a dimostrazione dell'imprescindibilità di questo avamposto occidentale nel mezzo di quella regione. Come può ora l'America, che ancora non ha una strategia in Siria e anzi tenta in tutti i modi di trovare una soluzione negoziata (sarebbe meglio dire raffazzonata), perdere la Turchia? Non può.


GLI STATI UNITI 

E da Washington arriva molta preoccupazione ma anche la speranza che Erdogan non sia troppo duro e violento, o almeno che non lo faccia vedere: così si potrà continuare a stare alleati, e a delegare alla Turchia quello che l'America non sa e non vuole più fare in Siria. Almeno fino a quando non interverrà Putin.



domenica 7 luglio 2013

Nuovo piano UE: tutti i conti bancari Europei sono a rischio di prelievi forzosi in stile Cipriota

Nuovo piano UE: tutti i conti bancari Europei sono a rischio di prelievi forzosi in stile Cipriota
By Michael Snyder
tradutz de sadefenza
 Veramente credevate che non avrebbero usato il precedente creato ad arte e messo a segno a Cipro? Giovedì (27.06) i ministri delle finanze dell'UE hanno concordato un nuovo piano scioccante che renderà ogni conto corrente bancario in Europa vulnerabile, soggetto a prelievi forzosi  stile Cipro. 
In altre parole, la confisca dei risparmi a cui abbiamo assistito a Cipro sarà ora utilizzato come modello per i futuri fallimenti bancari in Europa. 
Questo significa che se si dispone di un conto corrente bancario in Europa, ci si può svegliare una mattina e scoprire che ogni centesimo  oltre i 100.000 € potrebbe essere scomparsi. Questo è esattamente quello che è successo a Cipro, e ora i funzionari dell'UE  programmano di rifare la stessa cosa in tutta Europa. Per un bel po 'i funzionari dell'UE hanno insistito che Cipro era un "caso speciale", ma ora vediamo chiaramente che era una bugia. 
Indignazione internazionale per quello che è successo a Cipro è scemata, e ora stanno portando avanti quello che probabilmente avevano già pianificato fin dall'inizio. Perché hanno scelto questo specifico momento di attuare un piano del genere? Stanno anticipando quel vedremo a breve: un'ondata di fallimenti bancari? Sanno qualcosa che non ci dicono?
Sorprendentemente, questo annuncio ha ricevuto poca attenzione dai media internazionali. Il fatto che la confisca dai conti correnti bancari entri a far parte  integrante del piano per salvare le banche europee in difficoltà avrebbe dovuto aver fatto notizia in tutto il mondo. 
 Ecco come la CNN ha descritto il piano ...
I Ministri delle finanze dell'Unione europea Giovedì hanno approvato un piano  per affrontare i futuri salvataggi delle banche, costringendo gli obbligazionisti e gli azionisti (bondholders) a farsi carico  dei salvataggi bancari prima dei contribuenti.
La nuova disposizione procedurale richiede che obbligazionisti, azionisti e grandi risparmiatori con più di 100.000 € di depositi, siano loro i primi a subire le perdite qualora le banche fallissero. I correntisti o risparmiatori con meno di 100.000 € saranno protetti.I fondi dei contribuenti saranno usati solo come ultima risorsa. 
Secondo questo nuovo piano, gli obbligazionisti saranno i primi a "contribuire" quando un salvataggio delle banche è necessario.
Vuoi immaginare cosa sta per accadere ai prezzi dei titoli bancari europei?
Gli azionisti della banca saranno i successivi a contribuire  quando sarà necessario un salvataggio bancario.
Dopo di che, si andrà a prelevare nei conti correnti che hanno più di 100.000 euro nei depositi bancari.
Funzionari UE dichiarano che un tale piano è necessario perché salvare le banche con i soldi dei contribuenti  stava creando troppi problemi ...
L'Unione europea ha speso l'equivalente di un terzo della sua produzione economica per salvare le banche tra il 2008 e il 2011, utilizzando denaro dei contribuenti, ma fatica a contenere la crisi e - nel caso dell'Irlanda - ha quasi mandato in bancarotta il paese.
 Il caso del  "salvataggio" di Cipro a marzo, ha scaricato le perdite sui depositanti risparmiatori,  ha segnato un approccio del fare più duro che può ora, a seguito all'accordo di Giovedì, può essere replicato altrove. 
Oh meraviglia delle meraviglie - la "soluzione cipriota" può ora essere "replicato" in tutta Europa.
Questo piano sarà ora sottoposto al Parlamento europeo per l'approvazione finale. L'obiettivo è di avere questo piano finalizzato entro la fine di quest'anno.
Se si dispone di un conto corrente bancario in Europa con oltre 100.000 euro ,  pensate seriamente cosa fare, se è il caso di portarli fuori adesso .
Non so come dirvelo in altro modo.
A Cipro, ci sono stati pensionati e le piccole imprese che hanno perso centinaia di migliaia di euro  dalla sera alla mattina.
Fate in modo che questo non accada a voi.

E senza dubbio a breve, nei prossimi anni,  vedremo fallire un sacco di banche in Europa. Ciò sarà particolarmente evidente quando si aprirà la prossima grande crisi finanziaria.
Ma anche se non siamo ancora entrati nella prossima grande crisi finanziaria, la depressione economica in Europa continua a peggiorare. Basta prendere in considerazione questi fatti ...
Vendite auto in Europa ha raggiunto il minimo in 20 anni .
-Nel complesso, il tasso di disoccupazione nella zona euro si è assestato al 12,2 per cento . Questo è un nuovo record storico.
-In Italia stanno chiudendo in media di 134 punti vendita al giorno . Nel complesso, dal 2008  hanno chiuso i battenti in Italia 224.000 imprese .
-Si prevede che l'Italia avrà bisogno di chiedere un piano di salvataggio UE entro 6 mesi .
La fiducia dei consumatori in Francia è sceso al minimo storico .
-Il tasso di disoccupazione in Francia è salito al 10,4 per cento . Che è il più alto in 15 anni.
- il  il 57 per cento di tutta la produzione economica in Francia dipende dal Governo.
-Nel mese di maggio, i prestiti delle famiglie in Europa è diminuita al ritmo più veloce degli ultimi 11 mesi .
-Durante il primo trimestre, il reddito disponibile nel Regno Unito è diminuito al ritmo più veloce degli ultimi 25 anni .
-Il tasso di disoccupazione in Spagna è previsto al 28,5 per cento per il prossimo anno.
-Solo pochi anni fa, la percentuale di crediti inesigibili in Spagna era sotto il 2 per cento. Ora si è assestata al 10,87 per cento .
-Il debito pubblico in Spagna è cresciuto del 19,1 per cento negli ultimi 12 mesi da solo.
-Il governo greco afferma che l'economia greca crollerà del 4,5 per cento quest'anno.
-E 'in fase di proiezione che il tasso di disoccupazione in Grecia salirà al 30 per cento nel 2014.
E di certo non aiuta il fatto che la Cina ha in sostanza dichiarato una guerra commerciale  all'Europa, un duro colpo per le sorti delle industrie europee in difficoltà.
Gli americani dovrebbero prestare attenzione a ciò che sta accadendo in Europa. I problemi economici paralizzanti che stanno dilagando in tutto il continente arriveranno anche qui.
E a un certo punto c'è una buona possibilità che vedremo lo stile di confisca  Cipriota in questo paese.
Quindi non mettere tutte le uova nello stesso paniere. E' bene frazionare le risorse in diverse posizioni. Questo rende molto più difficile di essere spazzati via tutti in una volta.
Ciò a cui stiamo assistendo oggi in Europa è un fatto senza precedenti nella storia moderna. 
Essi dichiarano aperta la caccia ai grandi depositi bancari. Alla fine, un sacco di persone in Europa perderà un sacco di soldi.
Assicuratevi di non essere tra loro.

sabato 6 luglio 2013

Zona franca, il fronte si unisce, Fiscalità di vantaggio? Ecco chi pagherebbe


Fiscalità di vantaggio? Ecco chi pagherebbe
Beniamino Moro
Tra i tanti equivoci da chiarire sulla richiesta di instaurare in Sardegna una zona franca integrale, dove far coesistere un insieme di agevolazioni di natura doganale e fiscale che, come sostengono i proponenti, abbiano l'effetto di aumentare la competitività dei nostri prodotti, di rilanciare i consumi e gli investimenti e di allargare la nostra base produttiva, c'è quello di chi paga il costo della fiscalità di vantaggio.

Gli incentivi fiscali, al contrario di quelli finanziari (contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato) sono un'arma potentissima di sviluppo economico regionale usata in tutta l'Europa. Negli ultimi 25-30 anni, si è assistito a una concorrenza fiscale senza precedenti, con aliquote al ribasso nella tassazione dei profitti d'impresa derivanti da nuovi investimenti. L'Irlanda, ad esempio, con la fiscalità di vantaggio a favore delle nuove imprese che andavano a localizzarsi nel suo territorio, è passata da un Pil pro-capite che negli anni '80 viaggiava, come quello della Sardegna, tra il 70-75% della media europea a un valore che alla vigilia della crisi finanziaria è arrivato intorno al 130%. Mentre la Sardegna è rimasta al palo. È dentro questo filone di pensiero della concorrenza fiscale utilizzata per promuovere lo sviluppo economico delle Regioni in ritardo di sviluppo che il legislatore ha inserito la fiscalità di vantaggio nella legge 42/2009 sul federalismo fiscale.

Per essere applicata nelle Regioni a Statuto speciale, la legge prevede che queste debbano concordare con lo Stato delle norme di attuazione, che adeguino i loro Statuti di autonomia alle previsioni normative della stessa legge 42. Il Trentino-Alto Adige, nella legge finanziaria del 2010, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta, nel 2011, hanno concordato con lo Stato le norme di attuazione dei rispettivi Statuti, con l'inclusione al loro interno della fiscalità di vantaggio. La norma che al riguardo si ripete più o meno identica in entrambe le leggi finanziarie è che la Regione o le Province autonome, relativamente ai tributi erariali per i quali lo Stato ne preveda la possibilità, possono in ogni caso modificare aliquote e prevedere esenzioni e deduzioni, purché nei limiti delle aliquote superiori definite dalla normativa statale. Più o meno, si tratta dello stesso contenuto della recente Risoluzione della Commissione Autonomia dell'Assemblea sarda che invita la giunta a formulare al governo una proposta di legge che attribuisca alla Regione la potestà di modificare aliquote, prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni sui tributi erariali di spettanza della stessa Regione.

Peraltro, nella sostanza, lo Statuto sardo già contiene all'articolo 10 una norma che attribuisce alla Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell'Isola, la facoltà di disporre, nei limiti della propria competenza tributaria, esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese. Perciò, quando si rivendica nei confronti dello Stato l'immediata costituzione in Sardegna di una zona franca integrale, di che cosa si sta parlando in realtà? Il tavolo tecnico Stato-Regione è senz'altro la sede idonea per specificare nel dettaglio le norme di attuazione della legge 42/2009 che richiedano modifiche dello Statuto regionale, ma sul punto specifico della fiscalità di vantaggio non si scorgono potenziali conflitti con lo Stato, posto che questa misura è prevista dalla stessa legge 42 e coincide con una norma già contenuta nel nostro Statuto di autonomia. Sul fatto cioè che la Regione, nell'uso delle proprie risorse finanziarie, possa gestire a suo piacimento tutte le forme di fiscalità di vantaggio che ritiene opportune, come peraltro ha già fatto con l'Irap, non mi pare che ci siano dubbi, sempre che formalmente segua la strada corretta dell'accordo con lo Stato. Anzi, sarebbe un modo appropriato di gestire le risorse regionali, invece di sprecarle con le attuali pratiche clientelari. Ma la Regione è pronta a pagare per la fiscalità di vantaggio?


Zona franca, il fronte si unisce
Lo. Pi.
Prima lo scontro, poi la condivisione. La maggioranza ritira un ordine del giorno, le quattro mozioni vengono votate all'unanimità, e il Consiglio ritrova l'unità sulla possibilità di approvare, con procedura d'urgenza, una legge che fissi le regole per l'attuazione della Zona franca sarda. I comitati, intervenuti con le bandiere sotto i portici del Palazzo, sperano che sia la volta buona.

LE QUATTRO MOZIONI 

Le mozioni presentate da Giampaolo Diana per il Pd, da Franco Mula per i Riformatori, da Claudia Zuncheddu per Sardigna libera e da Efisio Arbau per La Base - seppur nelle diversità - impegnano il presidente della Regione a farsi garante con lo Stato per il rispetto del decreto legislativo 75 del 1998, che prevede l'attivazione di punti franchi in sei porti sardi e nelle aree industriali contigue, attraverso una deroga della presidenza del Consiglio. 

L'ASPETTO SALIENTE 

Ma l'aspetto politico saliente è che ci sono l'accordo di tutte le forze politiche a discutere con procedura d'urgenza due proposte (a firma di Gianvalerio Sanna del Pd e di Giacomo Sanna del Psd'Az) e l'impegno di esitare una legge che diventerà la proposta dell'assemblea per l'attuazione della Zona franca. Che tutti vogliano le agevolazioni fiscali è assodato. Anche se, per dirla con le parole del consigliere Pd Chicco Porcu, «non si capisce se la maggioranza persegua quella doganale fiscale o quella integrale». 

IL GOVERNATORE 

Zona franca che, per il presidente della Regione Ugo Cappellacci, si ottiene facendo leva su due strumenti normativi: l'articolo 164 del trattato europeo che parla di coesione sociale e territoriale e la legge 42 sulla riforma federale che prevede politiche fiscali di vantaggio per l'insularità. In aula ha lanciato un appello a Renato Soru: «Venga con me, a Roma e in Europa, come il centrodestra fece per la Vertenza entrate». E poi: «Sono pronto a fare un passo indietro, se il problema sono io, così come dice il segretario regionale del Pd, Silvio Lai. Costituiamo un Comitato per il bene della Sardegna». In serata il governatore dirà: «Il pronunciamento unanime è un segnale positivo. L'auspicio è che sia il punto di partenza di un'azione condivisa. Quella per la zona franca è una battaglia che non appartiene a un solo esponente politico, a una fazione piuttosto che un'altra, a un singolo territorio o a un'unica categoria». 

L'OPPOSIZIONE 

Per Giampaolo Diana, autore di una delle quattro mozioni, «nel suo intervento Cappellacci ha dimostrato di non sapere come realizzare la Zona franca. Il fatto che la maggioranza abbia ritirato un ordine del giorno a sostegno del governatore la dice lunga». Ma Pietro Pittalis, capogruppo del Pdl, replica: «L'abbiamo ritirato anche per non dare alibi al Pd e al Psd'Az». Nel merito Diana ha aggiunto: «Le forze politiche devono provare a completare un progetto che, attraverso la fiscalità di vantaggio, metta le imprese nella condizione di scaricare costi del lavoro importanti per allargare la base lavorativa». Insoddisfatta dell'intervento di Cappellacci anche Claudia Zuncheddu mentre Franco Mula ed Efisio Arbau hanno constatato «le distanze tra il Consiglio e l'esterno» e, soprattutto Mula, «il fatto che gli amministratori dei Comuni siano più avanti». 

POLEMICA 

Gianvalerio Sanna a Cappellacci ha chiesto spiegazioni sulle indiscrezioni relative «a un uso dell'autista per scopi privati e sul personale estraneo alla missione». Replica del portavoce del governatore: «Il presidente utilizza l'auto privata anche per le occasioni istituzionali e durante i suoi spostamenti viene accompagnato da due agenti di pubblica sicurezza. Inoltre la Giunta ha ridotto, dimezzandole, anche le auto lasciate in eredità dall'ex assessore Sanna ai Gabinetti della Regione». Silvio Lai, invece, attacca sulla Zona franca: «Se vuole davvero un fronte comune deve fare ben più di un passo indietro e smetterla di fare promesse inattuabili». Anche perché è «un re Mida al contrario».

REAZIONI 

In serata è intervenuta l'europarlamentare Pd Francesca Barracciu. Soddisfatta «per la decisione del Consiglio di procedere speditamente nell'esame delle proposte di legge». Quindi il leader Psd'Az Giacomo Sanna: «Ritengo che l'approvazione di un testo condiviso rappresenti una straordinaria occasione per fare chiarezza sull'istituzione del regime franco e serva a certificare l'unità del popolo sardo su una battaglia storica». Battaglia su cui interviene Felicetto Contu (Udc), che fa ammenda del passato e poi dice: «Quando una bandiera c'è, si prende». 

«F35: nessun veto, Presidente Napolitano»

SA DEFENZA E' CONTRO L'ACQUISTO DEGLI F35 ,  PERCHE' E' STRUMENTO DI MORTE, INOLTRE E' INACCETTABILE COMPRARE AGGEGGI TECNOLOGICI COSI' COSTOSI MENTRE IL POPOLO SOFFRE E GEME PER LA CRISI INVENTATA DALLE BANCHE E DALLE ELITE PRIVATE!


LA REPLICA. Il deputato del Pd risponde al Capo dello Stato sull'acquisto degli aerei
«F35: nessun veto, Presidente»
Scanu a Napolitano: il Parlamento è sovrano per legge

di Augusto Ditel
unionesarda.it
Gian Piero Scanu

Al solo sentir parlare di diktat (posti o subìti), Gian Piero Scanu s'irrigidisce. Democristiano di lungo corso, rischia di beccarsi l'orticaria, così, in assoluto. Figuriamoci se la materia del contendere - attualissima, addirittura rovente negli ultimi giorni - è una spesuccia di 20 miliardi per l'acquisto degli aerei F35. 


I toni del deputato Pd non si smorzano anche se l'accusa del (presunto) veto posto dal Parlamento nei confronti del Governo è arrivata dal Capo dello Stato. «Ma quale veto e veto - manda a dire, con veemenza, a Giorgio Napolitano, l'autore della mozione che ha deciso lo slittamento di ogni decisione sulla quantità dei cacciabombardieri da ordinare alla Lockheed -: è solo l'esercizio della propria sovranità».

Un po' di rispetto, onorevole Scanu.

«Non ho offeso nessuno. Mi sono semplicemente riferito a una legge dello Stato, la 244 del 2012, che assegna al Parlamento (articolo 4) il compito di stabilire di quanti e quali strumenti d'arma si debba dotare il Paese».

Aerei, ma non solo.

«Certo. Aerei, ma anche navi, carri armati... Siamo di fronte a una vera e propria riforma da attuare in sinergia con il Governo, al quale Camera e Senato diranno cosa deve fare, al termine di un'indagine conoscitiva coordinata dalla commissione Difesa della Camera di cui faccio parte come capogruppo del mio partito».
Che ormai è spaccato.

«Rammento che il Pd ha votato all'unanimità la mozione, e mi auguro che mantenga la sua compattezza. Certo, oggi qualcuno storce il naso solo perché è intervenuto il Presidente della Repubblica, che è pur sempre il Capo delle Forze Armate. Ma Napolitano sa bene che il Consiglio Superiore di Difesa, composto da sette ministri, non ha il potere di modificare una legge. Anch'io del resto ho detto la mia dopo la presa di posizione del Csd, in quanto errata».

Sempre i soliti: quando non c'è accordo, si rinvia.

«È un'accusa ingenerosa e capziosa, questa, figlia di un'opposizione che si muove all'insegna dello sconsiderato “tanto peggio tanto meglio”. Eppoi, contesto nel merito il fatto che si sia trattato di un rinvio. È stato un blocco. Di fatto abbiamo ordinato all'esecutivo di non procedere all'acquisizione di alcuno strumento d'armi fino a quando il Parlamento non ultimerà il suo lavoro».

Cioè quando?

«La tempistica è già ben definita. Entro dicembre si riunirà il Consiglio d'Europa (è stato già convocato) al quale spetta il compito di fissare la politica comunitaria su Sicurezza e Difesa. A gennaio 2014 avremo un'idea precisa di come sviluppare l'attività di Difesa. Insomma, bisognerà attendere l'esito della due diligence , poi arriveranno le decisioni».

Quanti F35 sono stati già acquistati?

«A saperlo... C'è chi dice tre, chi sette, chi dieci. Anche questo, come ho avuto modo di stigmatizzare in sede di dichiarazione di voto alla Camera, è un paradosso inaccettabile: non siamo in grado di conoscere il numero esatto degli aerei. Sembra incredibile, ma è proprio così».

Quanto costa un F35?

«A saperlo... Nessuno sa indicare una cifra esatta, ma c'è una spiegazione: a differenza di altri Paesi, l'Italia ha acquistato i prototipi, che notoriamente sono più costosi. Un altro erroraccio».

Quanto sarebbe la spesa totale?

«Per queste ragioni, non lo so indicare, ma comunque siamo nell'ordine di una ventina di miliardi. Del resto, stiamo impiegando un paio di mesi per evitare l'aumento di un punto dell'Iva, e non possiamo utilizzarne qualcosa di più per gli F35? Siccome le armi non sono giocattoli, prima di spendere questa montagna di soldi, bisogna pensarci non una, ma mille volte».

Meglio costruire asili.

«Un'altra sciocchezza contenuta nella mozione dell'opposizione. Chi sa di amministrazione pubblica, non dice queste castronerie. Una somma destinata a qualcosa di specifico, stabilito per legge, non può essere trasferita sic et simpliciter , con un colpo di bacchetta magica, in un altro capitolo di spesa. L'ennesimo esempio di demagogia».

Un passo indietro: la prima ipotesi era di acquistare 131 aerei.

«È corretto».

Poi, il ministro Giampaolo Di Paola scese a 90.

«Giusto. Oggi però sarebbe sbagliato anticipare qualsiasi quantità per le ragioni illustrate poco fa».

Ma questi 90 mezzi sono stati già ordinati?«Lo escludo nella maniera assoluta. Nessun ordine, nessun impegno, nessuna penale in caso di rinuncia. Chi afferma il contrario, mente sapendo di mentire».


Questo lo dice lei.«No, è nei fatti: altrimenti il ministro Di Paola non avrebbe potuto passare in una notte da 131 a 90».


Si dice che gli F35 non siano esenti da difetti, e che non generino molti posti di lavoro.

«L'indagine conoscitiva dovrà analizzare anche questi aspetti non secondari. Potrebbe accadere, ad esempio, che l'acquisto dei mezzi aerei sia più opportuno farlo rivolgendosi al Consorzio Europeo di cui l'Italia fa parte, e non agli Usa. D'altronde sarebbe auspicabile tendere al massimo dell'efficacia e a un'omogeneità dei mezzi di difesa a livello europeo. Così come dovrà essere dimostrato, e soprattutto quantificato, il ritorno in termini occupazionali dell'una e dell'altra opzione».

L'industria militare comunque è una risorsa.

«Non solo lo sottoscrivo, ma aggiungo che non va mandata a fondo. L'Italia però deve procedere con prudenza estrema, perché la materia è estremamente delicata oltreché assai costosa. La Difesa di un Paese è un valore prezioso».

L'articolo 11 della Costituzione però ci ricorda che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa...

«Già. È bene ricordarlo».



venerdì 5 luglio 2013

Come reagiranno i Paesi Occidentali all’aumento indefinito del loro debito: Mega-QE, Decrescita, Inflazione Globale o Default?

Come reagiranno i Paesi Occidentali all’aumento indefinito del loro debito: Mega-QE, Decrescita, Inflazione Globale o Default?


La stampa ed i media spesso si focalizzano su scenari di corto respiro. Proviamo insieme a dare un’occhio a cio’ che accade a livello globale e non con l’ottica delle settimane, ma degli anni, con qualche ragionamento
SU SCALA GLOBALE, NEI PAESI AVANZATI STA AUMENTANDO PROGRESSIVAMENTE IL LIVELLO DI DEBITO PUBBLICO
La crescita del Debito Pubblico nei paesi avanzati e’ irrefrenabile e procede da 40 anni, con un’accelerazione dal 2008.
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SU SCALA GLOBALE, NEI PAESI AVANZATI STA AUMENTANDO PROGRESSIVAMENTE IL LIVELLO DI DEBITO PRIVATO
La crescita del Debito di famiglie ed imprese nei paesi avanzati e’ altrettanto irrefrenabile e procede anch’essa da oltre 3 decenni.
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LA CRESCITA ECONOMICA NELLE NAZIONI AVANZATE E’ IN PROGRESSIVO RALLENTAMENTO
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LE SPESE PUBBLICHE SONO IN CRESCITA, PARTICOLARMENTE A CAUSA DELL’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE (BOOM DELLE SPESE SANITARIE E PENSIONISTICHE, CONNESSE AI CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI)
Qui l’esempio delle spese sanitarie
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TIRANDO LE SOMME:
A) NELLE NAZIONI AVANZATE E’ IN ATTO UN PROGRESSIVO AUMENTO DELLA MASSA DEBITORIA PUBBLICA E PRIVATA, PROCESSO CHE TENDE AD AUTOALIMENTARSI IN QUANTO IL LIVELLO DI RICCHEZZA (PIL) HA CRESCITE CONTENUTE ED AL TEMPO STESSO IN QUANTO TENDONO A CRESCERE ALCUNE SPESE PUBBLICHE E PRIVATE (SANITARIE IN PRIMIS) A CAUSA DELL’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE.
B) NEGLI ULTIMI ANNI I GOVERNI E LE ISTITUZIONI FINANZIARIE HANNO REAGITO CON ENORMI INIEZIONI DI DENARO (QUANTITATIVE EASING) AL FINE DI STIMOLARE L’ECONOMIA E TENERE BASSI I TASSI (COSA CHE CONSENTE ANCHE DI AVERE MINORI ESBORSI PER INTERESSI), MA LE TENDENZE DI FONDO COMPLESSIVE NON SONO MUTATE

COSA DOBBIAMO ASPETTARCI IN FUTURO?
Le nazioni occidentali si trovano di fronte a scenari futuri che prevedibilmente prevedono:
- Crescite economiche basse
- Aumento ulteriore di debiti (pubblici e privati)

NEL MEDIO E BREVE PERIODO, LA REAZIONE SARA’ IN LINEA CON QUELLA VISTA NEGLI ULTIMI ANNI:
- Continueranno le politiche di sostegno all’economia
- I Tassi di interesse resteranno molto bassi, in quanto le nazioni occidentali non possono permettersi allargamenti ulteriori dei deficit e quindi incrementi tendenziali dei debiti ancor piu’ spinti
- Continuera’ la compressione della ricchezza delle classi medie produttive
- Difficilmente i livelli di Spesa Pubblica verranno intaccati: l’andamento demografico controbilancera’ azioni di riduzione della spesa pubblica di settori diversi da sanita’ e pensioni

NEL LUNGO PERIODO, PERO’, I TREND SARANNO INSOSTENIBILI. LE NAZIONI OCCIDENTALI DOVRANNO DECIDERE CHI PAGHERA’ IL CONTO, E SI TROVERANNO DI FRONTE A DELLE SCELTE; qui riportiamo 2 delle possibili scelte :
A) NON PAGARE PARTE DEI DEBITI ACCUMULATI (in sintesi fare una sorta di Default)
B) ALIMENTARE L’INFLAZIONE A LIVELLO GLOBALE (in modo che questa spinga in alto il PIL nominale, ed in basso i valori di Debito in rapporto al PIL)
Personalmente sono incline a pensare che alla fine si optera’ per la soluzione B, che consente tra l’altro un’abbattimento di alcune spese correnti (esempio: pensioni).
Badate bene che quanto sopra non si verifichera’ Domani, ne’ Dopodomani. Prima o poi, e’ comunque inevitabile che Qualcuno sia chiamato a Pagare.

L’ITALIA
In un quadro mondiale complessivo non troppo simpatico, l’Italia ha tutti i problemi del mondo avanzato, amplificati (alto debito, alta spesa pubblica, dinamiche demografiche, etc). Ha inoltre un’altro problema enorme, connessa alla produttivita’ e competitivita’, che semplicemente non sta affrontando. Per cui, certamente il Bel Paese continuera’ nel Trend Depressivo e tendente all’impoverimento.
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giovedì 4 luglio 2013

CARO SINDACO TENDAS . STAVOLTA E' GROSSA



Gigi Sanna









Io penso che ai sindaci di tutti i comuni (sardi e non), nessuno escluso, si possano perdonare tante cose e tanti errori date le obiettive difficoltà in termini economici in cui ci troviamo. Infatti, nessuno può ergersi a giudice di coloro che oggi sono in prima linea per cercare di salvare il salvabile di quella che una volta era, in fondo, l'amministrazione normale di una città normale o a misura d'uomo. Ma non si può perdonare ad essi la mancanza di senso 'politico' della comunità che governano soprattutto quando questa gode del privilegio di avere una storia illustre. Addirittura tanto illustre da essere conosciuta e inserita nella stessa storia dell'Europa del periodo Basso Medioevale. Perché Aristanis - lo si sa - era considerata città 'metropolitana', capitale cioè di un vero e proprio stato sovrano, quello di Arborea, alla pari con gli altri stati sovrani del tempo. 


Pertanto allorché un sindaco di Oristano si reca in qualsiasi luogo d'Italia, d'Europa e del mondo, per quanto i tempi siano cambiati ed il ruolo della città divenuto (purtroppo) marginale, ha il dovere morale di mostrare fierezza del passato e possibilmente di ricordare, dove possibile e quando possibile, i momenti gloriosi di quel passato. Non deve mai umiliarlo, per improvvisazione e per superficialità nella conoscenza della storia, attribuendo all'antica capitale macchie comportamentali per nulla sue. Macchie per giunta, va precisato, di singoli individui e mai di 'comunità'.
Lasciano quindi di stucco certe parole usate dal primo cittadino di Oristano, in un momento del tutto particolare (di nuovo storico) quale è stato quello dell'audizione dei rappresentanti sardi da parte della Commissione europea incaricata di valutare la problematica legislativa circa l'istituzione della Z.F.I nel territorio della Sardegna.


Eccole (per la parte che particolarmente interessa):

“Io mi onoro di essere sindaco di una comunità che a metà dell’Ottocento si inventò le carte di Arborea per giustificare le proprie origini blasonate, in un periodo in cui tutte le nazioni europee cercavano quali erano le proprie origini perché c’era bisogno di creare le grandi nazionalità europee, a Oristano si erano inventate queste carte! Peccato che i tedeschi dopo 50 anni scoprirono che erano proprio false che tutto quello che era scritto nelle carte di Arborea erano falsificazioni, belle, per sentirci importanti! Ma la maggior parte delle cose non erano vere quindi i miti, però quelle falsità servirono a creare il mito della nazione sarda che esiste e che si sta ri- perpetuando. Domenica scorsa mille persone hanno ascoltato il presidente Cappellacci che diventava il capo-popolo di un’isola che si sente nazione e che però si trova grazie anche a questo capo-popolo nelle condizioni in cui si trova oggi e che pensa di risolvere i problemi inventandosi la zona franca”.

Come si fa , da un punto di vista concettuale, ad essere 'onorati di guidare una città di falsari per giustificare 'blasoni', Dio solo lo sa! E non so cosa abbiano pensato in quel momento i parlamentari di Bruxelles. Crediamo che mai un sindaco nella storia abbia esordito così. Mi dispiace doverlo dire ma va detto. Perché parlare a braccio rende autorevoli ma spesso gioca brutti scherzi tanto che per prudenza qualche volta bisogna scriverli con umiltà certi discorsi. Nessuna 'diminutio'. Lo fanno spessissimo i papi e non lo fanno invece quelle vere pipe che siamo noi, sindaco Tendas compreso. 


Comunque, la cosa che veramente importa non è formale ma il fatto che Guido Tendas non è sindaco di nessuna 'comunità che si invento le carte di Arborea', per il semplice motivo che quelle carte, come tutti sanno, se le inventò e le compilò su pergamene autentiche antiche (ricavate da antichi testi medioevali) Ignazio Pillitto archivista cagliaritano del Comune di Cagliari. Il falsario fu lui e mai venne coinvolto, che si sappia, nessun oristanese né degli Scolopi né di altri istituti religiosi; a meno che Guido Tendas non si riferisca a Salvatorangelo De Castro. Ma allora la cosa sarebbe ben più grave perché avrebbe svolto il ruolo di Preside (e per non poco tempo) in una scuola intitolata ad uno ...spregevole oristanese falsario. E senza mai dire niente e muovere un dito per rimuovere la lapide in latino, quella che il preside prof. Bruno Manai aveva di suo pugno scritta (e fatta collocare nell'androne che porta alla sala della Presidenza) per il canonico parlamentare e studioso che onorava, ormai da tempo, con il suo nome illustre il liceo classico. Si sa che diversi studi, compreso il saggio monografico del prof. Paolo Gaviano (oristanese), hanno dimostrato l'infondatezza di un'accusa a dir poco campata per aria. Oristano quindi non si inventò nulla, proprio nulla. Non fu capitale di ignobili invenzioni. Fu capitale grandissima, quando lo fu, di ben altro.

Circa il romanticismo sardo, sarà bene precisare che, così come tutti i romanticismi d' Europa (compreso quello dell'Italia che non era, come tutti sanno, una 'nazione' ma un insieme di 'nazioni'), esso andò correttamente e nobilmente a riscoprire le robuste origini 'nazionali' della Sardegna e le trovò, tra l'altro, soprattutto nella storia basso medioevale della Sardegna, cioè nella lunga e secolare lotta dell'indipendenza della Sardegna messa in atto dagli Arborea a partire dal rex Sardiniae Barisone I (storia questa e non certo mito, documentata in seguito dalle carte dell'Archivio della Corona d'Aragona e da altri archivi ancora di Comuni italiani). 


La Sardegna sino a che non sopraggiunse la colonizzazione italiana era ritenuta 'nazione sarda' (da 'natio', il nome che i Romani davano ai popoli uniti da una lingua comune, da comuni tradizioni e da un territorio) anche dagli spagnoli ( 'naciò sardesca'). Non c'era quindi bisogno di inventarsi nulla, proprio nulla, neppure dal punto di vista terminologico. Semmai bisognava consolidare e contemporaneamente rendere più celebre quella comune opinione di 'nazione'. Cosa che fecero gli intellettuali romantici sardi parlando (per come poterono e per quanto 'politicamente' poterono) di lingua e letteratura sarda, di storia sarda, di economia, di tradizioni e di archeologia sarda.
La letteratura e la documentazione del tempo mostrano 'ad abundantiam' questo sforzo generosissimo dei vari Giovanni Spano, di Vittorio Angius, di Antonio Soggiu (vescovo di Oristano), di Salvatore Cossu, di Salvatorangelo Maria de Martis e di altri numerosi intellettuali del tempo (soprattutto preti e religiosi della chiesa cattolica).


In questo genuino e disinteressato fervore 'nazionalista' di stampo romantico europeo si infilò, purtroppo, l'attività criminale del Pillitto che, uomo scaltro e coltissimo qual' era, trovò terreno fertile per infilarvi a scopo di lucro i suoi (e solo suoi, fino a prova contraria) falsi. Quindi i romantici di allora e tanto meno gli oristanesi (anche se i falsi riguardarono quasi tutti le vicende degli Arborea) non si inventarono nulla. Accadde solo che da un farabutto e forse da qualche altro 'mercante' compare venissero ingannati gli studiosi e i 'letterati' meno perspicaci o troppo amanti della loro nazione. Compreso il can. De Castro che ebbe come unico torto quello di credere troppo e ad oltranza alla genuinità delle pergamene, nonostante l'autorevole pronunciamento degli storici e dei filologi della formidabile scuola tedesca.

Quindi Tendas ha (lui sì) detto cose false, autoproclamandosi così comicamente, senza rendersene conto, il primo 'falsario' della storia oristanese. Lui guida, si tranquillizzi, una città onesta e gloriosa, mai macchiata da falsi di nessun genere. Se in Sardegna c'è ancora una 'resistenza' storica e non tramonta il concetto di Sardegna come 'popolo a sé', con una sua precisa identità, e cioè 'nazionale', lo si deve alla grandezza morale di Oristano e degli Arborea! Lo si deve alla loro superba legislazione estesa a tutta la Sardegna, al popolo sardo o 'nazione sarda' che la si voglia chiamare. La 'mitopoiesi' (cioè la rivisitazione falsa del passato per rendere glorioso il presente) è invenzione di una certa sinistra radicale isolana e di una scuola antropologica che intende, con questa parola fasulla e senza senso, caparbiamente negare e mortificare la storia, veramente accaduta, che ha riguardato i Sardi e la Sardegna.

Un ultimo rilievo.
L'espressione ' domenica scorsa mille persone hanno ascoltato il presidente Cappellacci che diventava il capo-popolo di un’isola che si sente nazione e che però si trova grazie anche a questo capo-popolo nelle condizioni in cui si trova oggi e che pensa di risolvere i problemi inventandosi la zona franca” è quasi non commentabile non solo perché oggettivamente confusa e pasticciata, ma soprattutto perché c'entra come i classici cavoli a merenda, dato che i rappresentanti del Parlamento europeo erano davanti al Sindaco di Oristano perché volevano sentire da lui i motivi tecnico-politici e non meschinamente partitici (quell'inventarsi una 'zona franca inventata' è saggio non edificante di sterile polemica politico-partitica) circa l'attuazione o meno di uno strumento economico singolare nuovo come la zona franca integrale e non più gli obsoleti soli punti franchi statutari. Anche in quella occasione di possibile anche se precariamente dialettica unità c'è stata una rovinosa caduta di stile e ha trionfato la maledizione storica dei 'pocos, locos e male unidos'. Io mi auguro tanto che i parlamentari europei non conoscessero l'espressione di quel re famoso, nemico dei Sardi e della loro libertà che però, ci piaccia o non ci piaccia, aveva capito molto bene di che pasta orribile eravamo e siamo tuttora fatti. Nonostante il grido esaltante di battaglia 'Arbare-e' e quello dolorosamente sublime di 'fortza paris' della e dalla trincea dei nostri nonni.
 

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