QUANDO CICCIOFORMAGGIO PERSE L’ONORE
Gavino Sanna
Sa Defenza
"Abbiamo ricevuto da un'amico questo pdf di Gavino Sanna, un tomo leggero ma denso, da leggere e ridere assieme per non piangere; con la sua ilarità e schiettezza l'autore ha colpito nel segno del racconto e ci ha convinto decisamente a pubblicarlo sulla nostra modesta pagina, affinché gli amici di Sardinya possano leggerlo come e quanto vogliono; da dire anche che ci si fa una certa cultura su eventi a noi sconosciuti e benché non si conoscano tutti i soggetti citati in campo come Ciccioformaggio (per noi di Sa Defenza già Sergente Garcia) e molti altri, è per noi come il caccio sui maccheroni per la grazia discorsiva e avvincente, dobbiamo ringraziare sinceramente e con grande calore "il pubblicista" Gavino Sanna, un sardo vero, (oggigiorno rari e difficili a trovarsi ) dicevamo che gli siamo veramente grati per averci svelato questi retroscena a tratti buffi benché drammatici per la mancanza di serietà di questi politicanti, altra pasta dei Mario Melis o statisti d'altri giorni; fatti incontestabili e molto molto esplicativi sul carattere, lealtà, signorilità e dignità mostrata da Ciccioformaggio e company, veramente una classe politica indegna di alcuna fiducia popolare, oggi come ieri al governo della RAS, a Cagliari "
Sa Defenza
NON FARTI FREGARE DAI SENTIMENTI
O SARANNO QUELLI AD UCCIDERTI
DI TUTTI I PRESIDENTI CHE NON HANNO FATTO NIENTE, LUI LO FARÀ MEGLIO
Alghero. Mercoledì 14 novembre 2018. Squilla
il telefono “Gavino, vieni a Porto Torres, vieni a
vedere un cantiere nautico. C’è una barca bellissima,
tutta di legno. È una vecchia imbarcazione. La sta
restaurando Antonio Polese, un mago del legno,
ultimo discendente della vecchia dinastia dei
Polese turritani, tutti maestri d’ascia”. Io amo il
mio paese, Porto Torres. Mi fa felice tornarci. Dopo
qualche giorno vidi perciò quel barcone: bello,
imponente, quasi pronto per essere inaugurato. Mi
accompagnò un amico giornalista. Nel cantiere c’era
un cameraman della Rai, il padrone del cantiere
stesso (figlio di un caro amico d’infanzia) ed altri
conoscenti. Ma quello che mi colpì del gruppo fu un
signore piccoletto, che si muoveva come un cagnetto,
come quei bastardini che vogliono essere accarezzati
perché tu possa volergli bene. Questa maniera goffa
di comportarsi nei miei confronti, non usuale nei
sardi, destò la mia curiosità. Alla fine della visita
quel signore mi domandò, con fare circospetto “Lei
è disposto ad incontrare il futuro Presidente della
Sardegna?”. Io risposi “Volentieri!”. Il piccoletto
si riferiva a Christian Solinas, che avevo anche incontrato in altre occasioni. Invitai tutti a casa
mia ad Alghero e venerdì 16 novembre avvenne
l’incontro, a cui parteciparono il mio amico
giornalista, il cameraman della Rai, il piccoletto ed
il futuro Presidente, che entrò nell’atrio del mio
appartamento con tutta la sua stazza. Io sarei stato
contento di fare l’ennesima campagna pubblicitaria
per un presidente della Sardegna. Christian Solinas
parlò cordiale, non molto a dir la verità. Chi parlo
di più, sperticandosi in lodi ed iperboli verso il
Presidente fu proprio il cagnolino, “Il Presidente
Solinas è una persona di primo piano, un grande
stratega, sarà il presidente migliore”. Dopo la
discussione facemmo le foto di rito, alle quali il
mio amico giornalista, notoriamente di sinistra,
sembrava restio a partecipare. Con un poco di
imbarazzo, dopo mie varie sollecitazioni, anche lui si
fece una foto ricordo con Solinas. Una foto insomma
non si nega a nessuno! E che diamine! Poi ce ne
andammo tutti a pranzo al Pavone, noto ristorante
d’Alghero, dove chiacchierammo del più e del meno,
non molto di politica. Il giorno dopo al telefono
chiesi un parere su Solinas al giornalista mio amico,
che mi rispose solo con una frase “Mi sembra una
brava persona”. Nulla più. La sua risposta in realtà
nascondeva un giudizio politico ben più articolato e
forse più severo, ma io allora non ci feci molto caso,
poiché preso dall’entusiasmo di aiutare un nuovo
presidente, per di più di un partito a me molto
caro, un partito che tra le sue fila aveva annoverato
un gigante, un mio grande amico: Mario Melis.
NON HO MAI SAPUTO DISTINGUERE SE ERA UN COGLIONE
GRANDE O UN GRANDE COGLIONE
L’unica cosa concreta di cui si parlò in quel pranzo fu
il prossimo appuntamento a Milano, dove avremmo
approfondito l’argomento. Dopo pochissimi giorni mi
raggiunse a Milano il cagnolino e il futuro Presidente
della Sardegna. Venne col suo piccolo scudiero
turritano, che appena mi vide cominciò a saltarmi
addosso e a farmi le feste “Devi avere fiducia Gavino,
il nuovo Presidente è una persona seria. Io sono di
Porto Torres e ti offro tutte le assicurazioni possibili.
Devi fare una campagna elettorale per noi, devi avere
fiducia” mi disse. Io risposi che avrei accettato, ma
solo se mi avessero lasciato fare una campagna poco
politica, ma di grande amore per la Sardegna. Il futuro
Presidente mi rassicurò “E’ proprio quello che voglio
fare. Vorrei circondarmi delle menti di maggior valore
della Sardegna. Le chiedo se Lei accetterà il fatto di
lavorare con me in questa campagna elettorale e poi diventare l’ambasciatore della Sardegna nel mondo”.
Io risposi di sì in maniera naturale e ci salutammo
cordialmente. Non l’avrei più visto, ma questo allora
non potevo saperlo. Dopo due giorni ricevetti una
telefonata dal suo cagnolino, in cui mi si pregava
di fare in fretta, che la campagna sarebbe entrata
nel vivo a giorni. Lo rassicurai e mi misi al lavoro.
Pensavo ad un lavoro diverso rispetto a quello fatto
con altri presidenti della Sardegna, come Renato
Soru e Ugo Cappellacci, a cui molto modestamente
avevo contribuito all’elezione. In pochi giorni scrissi
tutto di getto, come sempre mi accade per le cose
che amo fare. Come mi capitò per la Barilla, la birra
Miller o Giovanni Rana. Mandai personalmente a
Solinas, ed anche al suo cagnolino, 27 annunci più
5 per quelli che io chiamo “I vengo anch’io”, cioè
le liste che accompagnano ogni Presidente, ma
che avrebbero appoggiato qualsiasi altro, purché
lo avessero ritenuto vincente. Non mi aspettavo
una risposta immediata. Poi finalmente la risposta
arrivò, di sera. Dall’altra parte della cornetta il
piccoletto turritano “Gavino, abbiamo proposto
la tua campagna alla direzione del partito: è stata
bocciata, considerata banale, inoltre simile a qualche
tua campagna precedente. Ma soprattutto è stata
giudicata troppo semplice. Questa sera ti chiamerà
Solinas”. Già, troppo semplice: a me, che vengo
apprezzato da tutti per la semplicità con la quale
ho costruito i miei successi di pubblicitario. Rimasi
di stucco, meravigliato. Bocciato da un branco di
incompetenti, bocciato uno che ha fatto migliaia
di campagne tra cui una a Richard Nixon. Avrei
voluto sapere chi fossero questi professori della
comunicazione. Aspettando la risposta sono quasi
invecchiato. Non ricevetti più nessuna telefonata.
Scapparono tutti, Presidente e cagnolino compreso.
A Milano avevamo anche parlato del mio compenso.
Mi avevano accennato che avrebbero procurato degli
sponsor e rispettato gli accordi. Con l’invio degli
esecutivi, come da loro richiesto, il mio lavoro era
finito, pertanto avrei dovuto ricevere il compenso
stabilito, che in realtà era la questione che mi
interessava di meno, visto che tra l’altro si trattava
di una miseria. Con la loro fuga persi soprattutto il
sogno di una Sardegna nuova che mi ero immaginato
grazie al nuovo Presidente. Mi rimase solo l’emozione
dell’incontro con Mario Melis di tanti anni prima.
Sempre a Milano, senza nessun cagnolino. Mario mi
regalò il suo distintivo, voleva che lo indossassi. Per
me fu un onore e mi commossi tanto. Attraverso
quei piccoli moretti del distintivo io pensavo che la
Sardegna potesse essere la più bella terra del mondo.
LA DIGNITÀ VALE PIÙ DELLA VITA
La Sardegna bisogna accudirla con amore,
raccontarla con garbo, prenderla per mano. Ma
tutte le volte che io rientravo nell’isola la trovavo
sempre peggio. E allora mi veniva in mente una frase
dell’ex presidente della Francia Charles De Gaulle
di ritorno da un viaggio, quando gli chiesero un
giudizio su una delle sue terre preferite: il Brasile.
“Generale com’è il Brasile?” e lui rispondeva
“Fantastico. È la terra del domani, peccato che
rimarrà sempre cosi!”. Ecco, queste frasi mi
facevano pensare alla Sardegna: la terra dell’eterno
domani che non arriva mai. E lo dico da ottimista,
anche se può apparire paradossale. Il sardo ce la
mette tutta, ma poi per un motivo o per l’altro si
ritorna al punto iniziale. Sembra la nostra condanna.
QUAQUARAQUA SI NASCE E SI DIVENTA
Un giorno di tanti anni fa venni invitato a Cagliari
per una conferenza importante e proprio Mario
Melis mi chiese “Gavino, cos’è la Sardegna per te?”
io replicai senza pensarci sopra “Una bellissima
cartolina illustrata poggiata su un bidone di
spazzatura”. Gelo in sala e fine della trasmissione. Tutte queste cose in realtà mi vennero in mente a
Milano, dopo che ci lasciammo col futuro Presidente
Solinas. Perciò il giorno dopo mi misi in pista, molto
concentrato e cercando di trovare le frasi giuste,
che ben rappresentassero l’essenza della nostra
meravigliosa isola e le indicassero per lo meno
una via d’uscita, che poi deve essere applicata.
Specialmente dai politici. L’esito delle mie idee
invece fu il siluramento da parte di quella specie di
politburo sardista. Venni quasi assalito dalla paura e
dall’incertezza: forse sarei dovuto tornare a scuola.
Per una sorta di curiosità telefonai ad alcuni amici,
legati al partito o vecchi militanti. Chiamai per primo
un amico carissimo: Giacomino Sanna. Lo conoscevo
dai tempi di Sassari Sera. Per tanti anni era stato
segretario politico regionale del Psd’Az. Raccontai
ciò che era successo e lui mi chiese chi fossero i
garanti di quella specie d’imbroglio. Appena gli feci
i nomi, specie del cagnolino, disse solo “per carità”.
Non aggiunse altro. La sua era una sentenza, la mia
una dabbenaggine per essermi fidato di quella
gente. La seconda persona a cui telefonai fu un
altro giornalista, ora Presidente dei Quattro Mori:
Antonio Moro, quasi uno scherzo del destino. Saputa
la cosa Moro replicò “Non è possibile, vedrai che
Solinas ti chiamerà, tutto si sistemerà”. Le ultime parole famose. Quasi beffarde. Tuttavia speravo che
Antonio Moro fosse sincero. Mi venne in mente anche
di pensare male, ossia che Salvini se ne infischiasse
altamente di Solinas e che la campagna elettorale
la conducesse direttamente lui, in sostituzione del
Presidente. Avevo ragione. Infatti per un periodo
a Cagliari si vedevano solo le “vele” di Salvini. Il
suo faccione che troneggiava ovunque, assieme al
simbolo della Lega. In piccolo, quasi con vergogna, la
scritta: vota Christian Solinas Presidente. Io però mi
rodevo dentro, quante storie avrei voluto raccontare:
il turismo, la cultura, gli artisti, il mare, il pecorino,
il viso antico degli anziani. Tutto soffocato da Salvini,
che sotterrava la nostra cultura mettendoci sopra la
sua faccia. E i sardi gli hanno pure creduto. Solinas
ha vinto infatti scomparendo e con lui è scomparso
un gran pezzo della nostra cultura, fagocitata dai
leghisti, anche sardi, che nell’adesione al Carroccio
vedevano una possibilità di sistemarsi senza
lavorare. Già da quei giorni infatti era cominciato
l’assalto alla diligenza, tutti a voler ricoprire una
carica. Io immaginavo l’improvvisa apparizione
del vaso di Pandora, che ha una storia affascinante.
Pandora era la figlia di un adoratore di Zeus, che
per il suo matrimonio regalò a lei ed alla famiglia
uno stupendo vaso. Quel vaso doveva però rimanere intatto, poiché conteneva le meraviglie del mondo.
In caso contrario, se si fosse rotto, sarebbero uscite
dal suo interno delle sciagure, delle cose tremende.
A me questa caccia alle poltrone dette l’impressione
che il vaso di Pandora si stesse per rompere. Dentro
c’erano indagati, disonesti e corrotti. Gente di ogni
risma. Nel frattempo volevo capire chi fosse in realtà
il Presidente, perché con me, in sua presenza, aveva
quasi sempre parlato il suo cagnolino. Mi capitò di
leggere, era gennaio, un articolo su Solinas di Gian
Antonio Stella, famoso giornalista del Corriere della
Sera, in cui era scritto che la Sardegna avrebbe
avuto un nuovo Presidente: si sarebbe chiamato
Ciccioformaggio. Stella immaginava Solinas da
bambino con i suoi amichetti che lo prendevano
in giro per la sua corpulenza e soprattutto
per la sua faciloneria. Uno così, da grande, di
quali personaggi si sarebbe potuto circondare
I SOGNI CHE NON DIVENTANO REALTÀ NON SERVONO A
NIENTE
Alla corte dei re si è sempre trovato di tutto, ma
nel passato Re e Papi si sono spesso circondati di
personaggi geniali, di grandi artisti e consiglieri.
E poi c’erano i paggi ed i giullari, coloro che facevano ridere, ma che non godevano di alcuna
considerazione e si accontentavano di qualche
mancia e pasto a scrocco. Ora le cose si sono capovolte.
Alla corte dei politici sono scomparsi gli artisti e i
consiglieri illuminati: i paggi, i cagnolini, sono quelli
che mangiano di più e soprattutto (ancora peggio)
sono tenuti in grande considerazione. Il loro piatto
preferito si chiama appalto, la loro arma si chiama
lusinga. E pazienza se dell’isola non hanno la ben
che minima idea di sviluppo, basta solo qualche
slogan in campagna elettorale, poi tutti insieme
nella mangiatoia, pronti ad accaparrarsi pure le
briciole. Io invece non ho bisogno di appalti, ma
avrei nel mio piccolo un’idea precisa della Sardegna,
magari sarà sbagliata, ma ce l’ho, specie sui borghi:
la nostra anima. Avevo appuntato dei piccoli
pensieri. Per me i borghi sono i luoghi dimenticati,
dove bisogna ricollegare il proprio legame con gli
antenati ed i posteri. Ma per me la Sardegna è anche
un sasso liscio e rotondo raccolto sulla spiaggia,
che lanciato in mare si riempie di vita e comincia
a saltellare con grandissima gioia. Per me dare
vita a qualcosa inanimata, farla morire in mare,
che non è un cimitero delle emozioni, ma un luogo
sacro che raccoglie tutto il nostro essere, è una cosa
straordinaria. Io volevo raccontare questa Sardegna, farla rinascere e fondere col mare che la circonda.
Potrebbe essere un’immagine poetica, un sogno.
Forse lo è. Quando affermiamo che i sogni sono solo
fantasie commettiamo un grave errore, è proprio il
contrario: i sogni sono obbiettivi da realizzare. Per
questo, da sardo, volevo stuzzicare la sardità che è
dentro ognuno di noi. Ce l’abbiamo tutti e molti non
lo sanno. Volevo trasmetterlo questo concetto, glielo
detto a Christian Solinas: “Voglio fare una campagna
elettorale sulle emozioni, che è decisamente più bella
e stimolante, soprattutto più utile”. Uno spunto me
lo avrebbe dato la rivoluzione dei pastori, che mi ha
profondamente colpito. Gettando il latte per terra i
pastori hanno sprecato il sangue delle loro vene, che
è bianco. Non tutti hanno colto questa provocazione
e l’hanno ridotta ad un prezzo per litro. Ma il sangue
bianco ed i pastori per la Sardegna sono molto di più.
Salvini disse che avrebbe risolto tutto lui in pochi
giorni: un euro al litro. Un ordine per gli industriali,
un numero semplice da ricordare. Il dramma è che i
sardi gli hanno creduto e non m’interessa se poi non
è stato così. Questo era scontato. Sono amareggiato
perché, a parte l’elemosina che hanno dato ai
pastori, ben inferiore ad un euro, i problemi del
latte, del formaggio e della pastorizia sono rimasti
intatti, irrisolti. Rimane sempre la Sardegna dove il tempo si è fermato, un’Africa alla deriva e nessuno
che la riporti a terra. Ripenso quindi a quella
frase di De Gaulle sul Brasile, ma fatta apposta
per la nostra isola: la terra del domani che non
arriverà mai. Salvini però la sa lunga, ha capito la
frustrazione dei sardi ed ha giocato d’anticipo. Ha
avuto il coraggio di dettare una campagna politica
dove l’elettore è stato ridotto ad un poveraccio,
che ha bisogno di tutti gli aiuti per cambiare la sua
vita. Peccato che la Sardegna, per i nuovi padroni,
rimarrà sempre quella terra ricordata nei due mesi
in estate, perché ha il mare bello e ad Alghero si
mangiano le aragoste migliori. Ma a molti sardi
non è importato. Se qualcuno vuole cambiare
l’isola al loro posto, ecco che in Sardegna viene
idolatrato. Salvini ha fatto una corsa straordinaria
in questo, a perdifiato per entrare nel vaso di
Pandora senza romperlo (illuso!), promettendo
l’impossibile. È stata la sua arma vincente, questa è
la verità. Matteo Salvini ha trionfato nascondendo
il Presidente. E con lui tutti i sardi. Nel vaso di
Pandora sono entrati anche i mascalzoni, i Cetto
la Qualunque, gente di ogni risma, la feccia
popolare, che in queste elezioni si è fatta conoscere
ed è diventata protagonista. Ma a comandare
sinora è stato uno che con Noi non c’entra nulla.
MI SONO LASCIATO ESSERE
L’italiano va sempre in soccorso del vincitore? Cosa
vera purtroppo. E poi diventano tutti amici quando
ti devono porre domande particolari. Ad esempio a
me chiedono come abbia fatto a condurre campagne
pubblicitarie per un esponente politico di centro, di
sinistra e di destra. Io ho sempre risposto che non
ho mai votato in vita mia e che non sono mai stato
un uomo di partito. Scelgo di collaborare con chi
penso che abbia voglia di aiutare la nostra isola a
migliorarsi. Spesso sugli uomini mi sono sbagliato,
anche con quelli profondamente diversi tra loro
come Soru, Berlusconi, o addirittura Cappellacci.
Io ho sempre eseguito il mio lavoro con grande
passione, perché credo che l’Italia e la Sardegna
debbano e possano migliorare con uomini capaci.
Che lo faccia uno di destra, sinistra o centro a me
poco interessa. Per cui se qualche fannullone mi
critica per questo, non me ne importa assolutamente
nulla. Ma ora voglio tornare al vaso di Pandora e di
tutte le altre cose brutte che sono andate dentro,
comprese quelle che riguardano il Presidente
Solinas. Prendo spunto da alcune frasi che ha
detto su di lui Mario Guerrini, uno dei più valenti
giornalisti sardi “Massone, curriculum personale pari a zero, praticamente non ha mai lavorato.
Ha usato una laurea fasulla acquisita in Usa”.
Sono rimasto allibito, anche per la mia ingenuità
nel non essermi informato prima. Di queste vicende
si è occupata la Magistratura, ma senza alcuna
conseguenza per Solinas. In campagna elettorale
è successo pure di peggio. In una foto, accanto a
Salvini e Solinas, in conferenza stampa importante,
c’erano personaggi che definire poco raccomandabili
è un eufemismo. Il vaso di Pandora stava per
esplodere. All’interno però, bisogna dirlo, c’era una
cosa buona: l’abolizione delle accise. Ma non quelle
sulla benzina, come il leader del Carroccio aveva
azzardatamente promesso in tv, bensì quelle sulla
birra, straordinario regalo alla Sardegna contenuto
in un Decreto di questo Governo. I sardi in questo
modo potranno ubriacarsi meglio e a buon mercato.
IL SIGNORE È ASSERVITO
Finalmente arrivò il giorno fatidico delle elezioni:
il 24 Febbraio. In Sardegna se al posto di Solinas
c’era Salvini, al posto di quest’ultimo pareva ci
fosse Trump, o il suo sosia. Allo stesso modo in cui il
presidente americano si è presentato all’elettorato
del profondo sud del proprio paese, il suo emulo
Matteo Salvini ha esportato in Sardegna questa
tecnica efficace, perfetta per i nostri tempi: venire
incontro al desiderio attuale delle parti più deboli
e numerose delle classi sociali, che hanno bisogno
di sentirsi protetti. È stata infatti “protezione”
l’arma e la parola vincente delle ultime elezioni
sarde. Inoltre la gente ha bisogno di sentirsi dire
frasi aggressive, di immedesimarsi in un progetto,
di avere una scusa per dire alla fine “ho vinto”.
Esattamente come un tifoso dopo la vittoria della
squadra del cuore. Questo Salvini, come Trump, lo ha
capito benissimo. Sarà banale e non sarà nemmeno
giusto, ma oggi nel mondo le cose funzionano così.
°°°
Dopo la chiusura delle urne uno dei fatti più
esilaranti fu la profezia dell’exit pool, che dava i
due concorrenti più accreditati, Massimo Zedda
del centro-sinistra e Christian Solinas del centrodestra alla pari. L’indomani mattina Salvini (ripeto
non Solinas) ha spazzolato qualsiasi cosa che c’era
davanti a lui. Tutti erano contenti? Si, tutti contenti.
Tutti hanno vinto, ma nessuno ha ottenuto nulla:
sulla cultura sarda, sul lavoro, sui trasporti. Vediamo
che succederà, la cosa certa è che la Sardegna sarà
l’isola privata di Salvini e di qualche suo amico.
Ciccioformaggio, lo straordinario uomo delle navi,
colui che non si taglia mai la barba per non scoprire
cosa c’è sotto, l’uomo corpulento e invisibile, non
conterà nulla. I suoi cagnolini mangeranno solo
le briciole, la torta se la divoreranno i lombardi.
NÈ COGLIONI NÈ CON GLI ALTRI
Bastano le promesse di Salvini, il senso di
“protezione”, le frasi ad effetto ad avere convinto
l’elettorato a voltare pagina? La risposta ovviamente
è no. Cinque anni di governo di Centrosinistra in
Sardegna hanno deluso chiunque. Fortemente.
Sanità a pezzi, tanti ospedali chiusi e riduzioni posti
letto. Trasporti nel caos, la Sassari-Olbia peggio
dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, l’aeroporto
di Alghero senza aerei. Sul fronte lavoro anche
peggio: precariato e nessuna vertenza industriale
risolta, dal polo del Sulcis a quello della Chimica
Verde di Porto Torres. Insomma, un disastro, con
qualche cosa buona, che non sono riusciti nemmeno
a comunicare. Eppure l’ex Presidente Francesco
Pigliaru è una persona di qualità, ma è capitato
in un posto sbagliato nel momento sbagliato.
Il massimo. Il Professore è uomo di riflessione,
titubante per carattere, restio a prendere decisioni
rapide per questioni difficili, come questo periodo
purtroppo impone. Una parola inglese lo definirebbe
bene in politica: unfit, inadatto a questo ruolo,
con competenze magari per mille altri. Alcuni
suoi assessori si sono dimostrati una frana. Arru e
Deiana verranno ricordati tra i più scarsi della
storia sarda. Massimo Deiana, dopo i danni ai
trasporti, è stato addirittura premiato: ora è a capo
dell’Authority portuale sarda. È chiaro che i
sardi si sono scocciati, votando pure di peggio. Ma
in Sardegna (e anche in Italia) non ci sono solo gli
aspetti amministrativi a fare incazzare gli elettori,
che pur di non votare a sinistra, si farebbero
tagliare la mano. Ci sono quegli pseudo dirigenti,
nazionali e locali (per fortuna non tutti),
che francamente sono insopportabili e rendono
la sinistra invisa. Essi hanno spinto milioni
di persone (giovani, disoccupati, precari, ceto
medio, fasce deboli) verso l’astensione o tra le
braccia di Grillo o Salvini. La sinistra di oggi è
invece amata dai capitani d’azienda e dalla ricca
borghesia. In pratica un mondo che gira a
rovescio. Ecco chi sono gli pseudo dirigenti
del variegato mondo della sinistra, osteggiati
come il demonio. I buoni dirigenti piangono
anche per loro e per colpe che non hanno.
I Professori.
Sono spesso ex sessantottini, da giovani grandi
critici del PCI, giudicato troppo di destra. I loro
idoli erano Che Guevara o Fidel Castro, ma non sono
mai stati nella Sierra Maestra, bensì annidati in
posti di prestigio delle Pubbliche Amministrazioni,
dai quali pulpiti pontificano. Dividono la società in
caste. Chiaramente a guidarla devono essere loro,
come certi filosofi per gli ateniesi. Si candidano solo
se sicuri di elezione e accettano volentieri cariche,
naturalmente ben retribuite. Quando sono a secco di
poltrone, propongono tagli a tutti. Meno che a loro.
I ma anche.
Il loro leader riconosciuto è Valter Veltroni, quello
che stava con gli operai ma anche con gli industriali,
con Fellini ma anche con Pasolini. I “ma anche”
infatti stanno con tutti: con la moglie ma anche con
l’amante, con gli spaghetti ma anche con le pennette,
con i cacciatori ma anche con gli uccelli. Sono sempre
in mezzo e da lì non possono essere schiodati.
Gli ambientalisti alle vongole.
Soffrono di prurito cronico quando sentono la parola
industria. Hanno in genere un lauto stipendio fisso,
temono l’inquinamento, ma si fumano due pacchetti
di Marlboro al giorno. Viaggiano in SUV e sono i
professionisti dei flash mob. Non si mettono neanche
il problema che la loro macchina vada a benzina,
distillato del petrolio. Le raffinerie per costoro
devono stare nel deserto o nei paesi del terzo mondo.
In quei posti, senza tutele e diritti, gli operai possono
morire come mosche, lontano da occhi indiscreti. La
loro parola d’ordine è sviluppo eco-compatibile,
una cosa che non vuol dire assolutamente niente. Gli
ambientalisti alle vongole sono spesso dirigenti di
sezione, contribuendo alla causa. Delle sonore batoste.
Lo faccia lei.
Quando sono al governo i “Lo faccia lei “ non
vogliono essere criticati. E soprattutto disturbati.
Il loro leader storico è Piero Fassino, che a
Grillo quando lo incalzava rispose “Lo faccia
Lei un partito, vediamo quanto è bravo”. Detto.
Fatto. Il Movimento Cinque Stelle dopo pochi
mesi diventò uno dei maggiori partiti italiani.
I salottieri.
Ogni paese che vai salottieri che trovi. D’ ideologia di
sinistra estrema, svengono alla vista di un meccanico
con le mani sporche. Sono bene accolti dalla borghesia,
che se li coccolano bene e li votano pure. Visto che
sono inoffensivi. Leader assoluto Fausto Bertinotti,
parolaio e ora campione di Comunione e Liberazione.
Gli analisti.
Parola equivoca, ma sono quelli che in TV si sono
specializzati nel riuscire a far perdere alla sinistra 2
mila voti al secondo. Prendono per coglione qualsiasi
interlocutore con il loro sorrisino di disprezzo.
Vivono infatti di certezze e i conduttori televisivi lo
sanno, invitandoli in continuazione per fare danni.
Leader emergente della categoria Matteo Orfini.
I banchieri.
Dopo la vicenda del Monte Paschi di Siena (forse
anche prima) sono diventati di sinistra. Ricevono aiuti
insperati e sono benvoluti da tanti dirigenti rossi,
che non hanno nulla da eccepire quando producono
disastri e vengono premiati da liquidazioni da
nababbo. I banchieri ricambiano e quando vedono tipi
come Renzi si commuovono, divorati dalla nostalgia.
Gli internazionalisti.
Alla disperata ricerca di un leader, appena
ne intravvedono uno si buttano a capofitto,
prendendo topiche colossali. Hanno amato la
Boschi (perché?) e ora Greta, una bravissima
ragazzina, ma che ha solo 16 anni. Senza
speranza, in fondo rimarranno anch’essi bambini.
Gli smentisco.
Categoria diffusissima anche a sinistra. Smentiscono
cose dette alcuni minuti prima. Smentiscono
i loro stessi atti. Smentiscono tutto quello
che gli capita a tiro. La loro guida spirituale
è stato sindaco di Firenze. E a quanto pare
Presidente del Consiglio. A meno di una smentita.
Gli avevo detto.
Sono perfetti nel commentare e criticare le cose
quando sono già avvenute. “L’avevo detto!”.
In realtà non avevano detto nulla, perché non
gli cavi un pronostico neanche con la pinza.
Non si sa mai. Spesso sono giornalisti figli di
papà, sovente in TV a commentare i fatti con
la loro prosopopea da intellettuali. Criticano
tutti, hanno la barbetta e non usano la cravatta:
solo una camicia leggermente sbottonata
sotto una giacca triste, per incoraggiamento.
Come vedete in questo modesto elenco, che potrebbe
continuare, mancano elettricisti, infermieri, operai,
più milioni di persone. Loro devono sudarsi la pagnotta, perché a sinistra nessuno li rappresenta.
ERAVAMO UN POPOLO, SIAMO DIVENTATI GENTE
Durante lo spoglio delle schede si assistette a scene
tipo Mundial: urla, grida, scene di giubilo. Specie
da parte dell’esercito di vassalli, valvassori e
valvassini, molti dei quali diventati all’improvviso
leghisti. Salvini li aveva protetti e convinti, ma era
Christian Solinas l’uomo invisibile, che ufficialmente
stava stracciando Massimo Zedda, l’ultimo martire
mandato al patibolo dal centro-sinistra, in piena
crisi di nervi, di uomini e soprattutto di idee.
Ciccioformaggio dopo poche ore sarebbe diventato
il nuovo Presidente della Sardegna: l’erede di Mario
Melis. Non è una bestemmia: i sardi hanno voluto
questo, i sardi hanno voluto Ciccioformaggio. O forse
non hanno voluto gli altri. Ma in fondo che differenza
fa? Il disprezzo per cinque anni di delusioni ha preso
il sopravvento sull’ignoto. Salvini, sempre lui, aveva
dichiarato che in un quarto d’ora si sarebbe composta
la Giunta. Ci vollero invece tre mesi: record sardo
battuto. Dopo la vittoria arrivò infatti il silenzio:
Ciccioformaggio si era volatilizzato, Salvini invece lo
si vedeva in TV a tutte le ore, intento a fare campagna
elettorale da altre parti, sempre e comunque in tutti
pagnotta, perché a sinistra nessuno li rappresenta.
i posti meno in quello dove sarebbe dovuto essere:
al Viminale. Per fortuna. Poi comparve un tale,
sempre leghista, il ministro Centinaio, che forse
si chiama cosi per confondersi con quel centinaio
di ministri giunti sull’isola a promettere e non
mantenere. Ebbene, questo Ministro aveva condotto
(anche lui) la trattativa con i pastori, che aveva definito
sontuosamente “chiusa”. Nella realtà quell’accordo
non è altro che un coperchio appoggiato su una
pentola ribollente di rabbia, infuocata da decenni
di soprusi. Le assemblee dei pastori scontenti di
questi ultimi mesi lo dimostrarono. Il problema
del latte e della pastorizia ancora incombe, pesante
come un macigno, nella disastrata economia sarda.
Il ministro Centinaio è scomparso dalla Sardegna.
Come Ciccioformaggio, dicevamo. Che zitto, zitto
continuava a occupare due scranni (e due stipendi):
quello di Deputato e di Presidente della Regione.
Tengo famiglia, non si sa mai. Ci vollero sentenze e
cannonate per schiodarlo dal doppio incarico, che
annunciò due mesi dopo la sua elezione, con la stessa
addolorata enfasi di Madre Teresa di Calcutta in
visita ai lebbrosi. Finalmente a maggio è stata varata
la nuova Giunta, anzi una mini Giunta, perché per gli
altri nomi le forze della coalizione si stavano ancora
scannando. Ciccioformaggio decretò Assessore al
Turismo un suo fedelissimo, un certo Gianni Chessa,
anche lui del Psd’Az, un uomo buono e caritatevole,
in perenne litigio col vocabolario italiano, che subito
mostrò il suo valore di statista assoluto. Ad una
affollata conferenza annunciò la creazione di nuovi
5.000 posti di lavoro per tutta la Sardegna. Come?
Con la costruzione di decine e decine di campi
da golf disseminati in tutta l’isola. Questa sì che
sarebbe stata la valorizzazione della nostra cultura.
Tutti infatti sanno quanto i nuragici, punici, romani
e pastori giocassero a golf ed amassero le mazze.
Ma c’era di peggio, per lo meno politicamente.
Al Bilancio Solinas ha posto un certo Fasolino da
Golfo Aranci, uno che, come narravano i giornali
sardi, aveva con l’esattoria un debito di 425.000
euro. Quasi una provocazione. Pare comunque che
il buon Fasolino stia risolvendo la sua questione
personale e mentre tutti gli chiedevano conto
della sua restituzione al fisco, lui vuole che lo Stato
restituisca alla Sardegna 285 milioni di euro. Auguri.
NON ESISTONO INNOCENTI, MA COLPEVOLI CHE NON
ABBIAMO ANCORA SCOPERTO
Quando Salvini nell’isola non c’è (sparito in pratica
dopo la campagna elettorale), ha lasciato per vario tempo un suo amico a comandare: Eugenio Zoffili,
40 anni, proclamato capo della Lega in Sardegna,
Deputato e vice burattinaio di Ciccioformaggio
è riuscito persino a piazzare tre lombardi come
primi funzionari di vari assessorati regionali.
Inoltre, dopo avere dettato legge nella formazione
della Giunta ha imposto un suo uomo alla guida
del Consiglio Regionale: Michele Pais, di Alghero,
leghista perché come tanti aveva fiutato il vento
giusto. Ma Zoffili da Erba, provincia di Como,
si è intromesso in qualsiasi vicenda locale,
suggerendo assessori ed uomini a lui legati.
Proibito dissentire, chi lo fa è perduto, praticamente
espulso. Il bello è che i sindaci gli danno pure retta
e si genuflettono alle sue brame. Nel frattempo,
giusto per non farsi mancare nulla, l’esponente
del Carroccio, nel suo paese natale, Erba,
appunto, ha proposto che una piazza venga
intitolata ad un gerarca fascista. Bene, uno come
lui non solo ci governa, ma ci comanda. E stiamo
pure zitti. Ad agosto Zoffili ha lasciato l’isola,
verso nuovi incarichi. Non sentiremo la sua
mancanza. Il vaso di Pandora nel frattempo si
è davvero rotto, ha retto sino che ha potuto, ma
la pressione interna era troppo forte. Dal vaso
sono usciti tutti: approfittatori, imbroglioni, ignavi, cambia bandiera. Tutti a muoversi
come delle trottole, a millantare nei territori
amicizie per incassare consensi e prebende. Nessuna
idea, nessuna programmazione, nessun progetto.
Ognuno si alza la mattina e può spararla grossa:
il dramma è che viene pure ascoltato. Dove finirà
la mia povera Sardegna? Che cosa diranno dai
cieli Enrico Berlinguer, Mario Melis o Francesco
Cossiga? Che cosa penseranno di una terra
profanata dai peggiori lombardi, per giunta
acclamati dal popolo? Non lo sapremo mai. Io in
questa vicenda sono stato imbrogliato, fidandomi
di gente che non sa cosa sia la parola data od
una stretta di mano. Ma questo è il minimo, un
piccolo dettaglio in un oceano di guai. Quello
che mi dispiace è vedere ancora la nostra terra
senza prospettive. Abbiamo un cuore capace di
ribellarsi, ma dobbiamo ritrovare lo spirito giusto.
Questo è il problema, ma anche la soluzione. Forse.
LA DIGNITÀ VALE PIÙ DELLA VITA
Qualche tempo fa sono stato a Bonarcado, un piccolo
paese sardo, di quelli che amo. Nella chiesa ho
scoperto una cosa estremamente interessante, una
tavola in cui era scritta una preghiera a S. Michele. Un ruggito lontano di quelli che fanno tremare le
vene: “S. Michele Arcangelo, difendici nella lotta:
sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie
del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo
domini e Tu, principe della Milizia Celeste, con
il potere che ti viene da Dio incatena nell’inferno
Satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per
il mondo per far perdere le anime. Amen”.
Lasciai la Chiesa sperando nell’aiuto di San Michele
SIAMO FOTTUTI DA QUELLO CHE SIAMO: MAI TECCIU
Mai Tecciu è un sibilo. Fu un mio amico
ristoratore a farmelo ascoltare la prima volta,
appioppandolo ad un politico locale intrallazzone.
Mai Tecciu, due parole che valgono più di un
capitolo: significano mai sazio, uno che mangia,
mangia ancora, non si accontenta mai e vuole
mangiare di più. Provate ad immaginare nella
vita quanti Mai Tecciu avete incontrato: nella
politica, nel lavoro, tra gli amici. Mai Tecciu è
vecchio quanto l’uomo e non si estinguerà mai.
Ce ne sono diverse razze, ma ognuno di noi ne
potrà scoprire delle nuove. Ad ogni modo è sempre
lui il protagonista di ogni campagna elettorale. Mai Tecciu della cultura.
Sono quelli che parlano sempre dal pulpito.
Dispensano consigli eruditi e poi si perdono in
un bicchiere d’acqua. Famosi in questo molti
professori sinistroidi, che nella vita non fanno
altro che leggere. Senza capire. Il loro gusto della
lettura è proprio far sapere che hanno
letto. Così possono avere ragione su tutto,
mentre il popolo li spernacchia e vota a
destra. E loro neanche si chiedono il perché.
Mai Tecciu delle cariche.
È proprio una malattia, comunissima: a destra, sinistra
e centro. Colpisce tutti, dalla metropoli all’ultimo
villaggio. Ancora non si è scoperto l’antidoto e le cause
che spingono un povero cristiano a candidarsi per 30
anni di seguito in un Consiglio Comunale, a recarsi
dallo psicanalista qualora non venisse nominato
Assessore, ad effettuare quattro salti in padella
(carpiati) appena cambia il vento della politica.
Anche per una poltroncina da cento euro al mese.
Mai Tecciu delle trattative.
Splendida razza. Sono quei politici che scrivono
magnifici articoli e comunicati in cui dicono, come
suore carmelitane, di non volere niente, nessun
posto, nessun assessorato. Nelle trattative sono invece
i peggiori ricattatori: minacciano fine di legislature,
mancati appoggi e temporali vari se non verranno
accolte le loro richieste. I più infidi sono quelli che
prendono il 4 o il 5% dei voti e sanno di essere
decisivi. Se non sono accontentati alla riunione con
gli alleati finiscono con la frase di rito “te lo facciamo
vedere Noi”. Nel comunicato finale, con discreta dose
d’ipocrisia, affermeranno invece di votare secondo
coscienza o ancora peggio secondo i programmi.
Per il Presidente o Sindaco di turno è finita.
Mai Tecciu per il Popolo.
Sono i peggiori. Dicono di scendere in mezzo alla
gente (che vuol dire?) e che la politica deve partire
dal basso. Il popolo comanda, specie quando li
vota, è bue quando vota gli altri. Confondono
il benessere collettivo con il proprio. In genere
questi Mai Tecciu annoverano tra le proprie
file, trasversalmente, una masnada di
opportunisti ed approfittatori, pronti per il
bene comune a cambiare casacca in un secondo.
Al potere rubano più degli altri. Sempre in nome
del popolo sovrano. Mai Tecciu quindi non è
un soprannome, ma un modo di essere, un
modello di vita. A quanto pare contagioso.
L’ULTIMA META.
IL CAMMINO DI SANTIAGO DI COMPOSTELA
Questa lunga e disgustosa storia mi aveva tolto
il sonno. Una notte, però, mi venne in aiuto un
ricordo straordinario della mia vita professionale.
Sognai quando, molto tempo fa andai a trovare
Walter Molino, l’uomo che disegnava quelle
meravigliose tavole della Domenica del Corriere.
Gli chiesi quale fosse la sua pagina preferita. Lui mi
guardò negli occhi e mi rispose “Ce l’ha di fronte”.
Io alzai lo sguardo e vidi Papa Giovanni XXIII che
prendeva per mano John Kennedy e da soli
s’incamminavano verso un domani che si sperava
fosse migliore. Un’immagine poetica, l’icona
di due culture che s’incontravano. Paragonai, con un
po’ di ribrezzo, questa scena al Presidente Solinas
che prende per mano il suo amato cagnolino, di nome
Bastianino. Questi due, lontanissimi da quelli disegnati
da Molino, ho immaginato che andassero via, da soli,
in un viaggio politicamente senza ritorno e senza
alcun rimpianto. Invece i cagnolini avevano vinto.
Non è vero quindi che la vita da cani sia così penosa
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Gavino Sanna è il più famoso e premiato
pubblicitario italiano. Ha studiato architettura
all’Istituto d’Arte di Sassari ed ha avuto come
maestri: Filippo Figari, Stanis Dessy, Eugenio
Tavolara, Vico Mossa, Mauro Manca e Salvatore Fara.
Per un paio d’anni Gavino a Sassari ha avuto la cattedra
all’Università dove insegnava “comunicazione” e
all’Accademia di Belle Arti dove insegnava “design”.
Ha fatto parte del Comitato Scientifico della Scuola
Sperimentale del Cinema dove è stato anche membro
del consiglio di amministrazione con: Francesco
Alberoni, Dante Ferretti, Giancarlo Giannini e Carlo
Rambaldi. In America ha conseguito un diploma
alla New York University. Gavino da solo ha vinto
più premi che tutte le agenzie italiane insieme.
Tanto per ricordare: sette Clio, l’Oscar Mondiale della
pubblicità; sette Leoni al Festival Internazionale di
Cannes; l’unico Telegatto vinto da un pubblicitario
italiano; quattro sono i Golden Pencil dell’Art
Directors Club Italiano; due i riconoscimenti
dell’International Film Festival di New York; sei
Max Award; un Grand Prix italiano; sette Agorà.
Gli sono stati assegnati: il Gran Premio Pio Manzù
e il Premio Gianbattista Bodoni. Ha vinto due Gold Award all’Art Directors Club di New York e
il Golden Pencil all’One Show in America. Sette
sono stati gli Andy Award e quattro i Moebius Award
di eccellenza. Sassari città lo ha gratificato con il
Candeliere d’Oro per aver portato alto nel mondo
il nome della Sardegna. Il Comitato Scientifico
della Fondazione Lucio Colletti gli ha assegnato il
“Temo d’Oro” per la comunicazione. Gavino ha
ricevuto: il premio città di Trento, città di Bolsena,
città di Nuoro, di Banari, di Oristano, di Cagliari,
di Suvereto e di Orani. Il Pericle d’Oro, il premio
Internazionale di Houston e quello internazionale
Zenias. Le città di Sant’Anna Arresi, Varese,
Busachi, Oristano gli hanno conferito la cittadinanza
onoraria. La città di Arzana gli ha conferito il
premio Porcino d’Oro oscar della gastronomia.
Nel 1999 il gruppo sardo di giornalisti sportivi
gli assegna il premio “Ussi” per il contributo al
mondo dello sport come presidente onorario
dell’Amatori Rugby Alghero e per il progetto
“Ospedale Gaslini” di Genova con la squadra della
Juventus. Nel 2001 gli è stato assegnato il premio
“La Maschera Punica”. Nel 2003 lo premiano
“Sardo dell’Anno”, la consulta provinciale del
volontariato di Sassari gli assegna il premio “il
Nuraghe” e Oristano il premio “Maschera della
Sartiglia”. Nell’aprile del 2009 la Fondazione Rotary
International ha attribuito a Gavino il Paul Harris
Fellow. Nel 2017 gli è stato assegnato in Sardegna il
premio “Filippo Figari”. Nel 1998 gli viene conferita
dall’Università di Sassari la laurea “Honoris
Causa” in sociologia della comunicazione di massa
e scienze della comunicazione. Nel 1999 Gavino è
chiamato dal Presidente Ciampi per realizzare la
campagna per il lancio dell’Euro in Italia. Nel 2010
l’Università degli Studi di Ferrara gli ha assegnato
la laurea “Honoris Causa” in neuroestetica. Dopo
10 anni trascorsi in America torna in Italia per
fondare la Benton & Bowles. In seguito diventa
presidente e direttore creativo della Young &
Rubicam, l’agenzia più grande del mondo. Nel 1988
Gavino Sanna viene nominato dal Presidente della
Repubblica Francesco Cossiga “Commendatore
dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”.
Nel 2009 il Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Grande
Ufficiale all’Ordine e al Merito della Repubblica
Italiana. Gavino Sanna ha pubblicato 34 libri. Nel
2000 lascia definitivamente l’attività di pubblicitario
e dal 2008 si dedica alla sua azienda vitivinicola,
Mesa, fondata nel sud Sardegna a Sant’Anna
Arresi, oggi partner del Gruppo Santa Margherita.
Il volume non è in vendita
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