lunedì 19 luglio 2010

i Giganti di Monte Prama e rilfessioni di un'Archeologo....

Cari, amici lettori,

per prima cosa mi voglio scusare con Pintore e con Sirigu per aver peccato di leggerezza nel pubblicare l'articolo su sa defenza e da me subito rimosso dopo aver letto su Facebook che trattasi di impostura, l'autenticità dell'autore era discutibile e percò ho creduto bene di rendere giustizia al Re.

Da parte di Sa defenza non vi è nessuna voglia o motivo di volere prevaricare nessuno studioso ne sardo ne altro, ne tantomeno voler entrare in polemica con studiosi della loro levatura, il blog sa defenza è, e, rimane un luogo di riporto di quanto succede nella nostra terra con un'attenzione particolare alle teorie e ai fatti che possono avvalorare la possibilità di valorizzare e sostenere una possibile futura sovranità sarda.

Niente altro da aggiungere , se non che voglio solo voglio ribadire le nostre pubbliche scuse al Sig. Zuanne Pintore che al Sig. Roberto Sirigu, e a tutti i lettori che a loro insaputa hanno letto un articolo firmato da un autore abusivo.

cum amistade
Vaturu

tratto dall'articolo che contestava giustamente la provenienza dell'articolo sottostante

"La notizia della tavoletta indecifrabile comunque esce, su questo blog, e crea un panico visibile e, forse, altri sotterranei. Quello visibile è del nostro GAP, che prima accusa comuni amici di aver violato la consegna del silenzio, dimenticando di averne parlato lui non al bar o a una riunione di amici, ma su Facebook; poi minaccia querele per divulgazione di un segreto da esso stesso rivelato potenzialmente a milioni di persone e, infine, chiudendo la sua pagina in Internet che ora a chi la cerca risponde: “Questo contenuto non è disponibile”. Inghiottito insieme ai numerosi commenti al suo articolo originario e allo stesso articolo, lo stesso o parte di un articolo che, come mi ha avvertito l'archeologo dr Roberto Sirigu, era uscito nel blog sadefenza ) qualche giorno prima: “Voglio precisare che si tratta di un mio articolo, copiato di sana pianta, intitolato "Le tombe degli eroi
nella necropoli di Monti Prama", pubblicato nel 2006 nel Quaderno n. 1 della rivista "Darwin".” Anche l'articolo su sadefenza è sparito: “Spiacenti, la pagina che cerchi nel blog Sa defenza sotziali non esiste”. Non è mai esistito e il dr Sirigu ha equivocato o è prematuramente scomparso?
Bene, gli elementi per risolvere questo piccolo giallo estivo ci sono, a questo punto, tutti. È davvero esistita la tavoletta sarda con iscrizioni indecifrabili? È uno scherzo andato male, tipo: adesso metto in giro false iscrizioni e a chi le decifra racconto della burla? E, in più, esiste davvero un Giuseppe Asdrubale Puggioni, il GAP della nostra storia, archeologo, funzionario di una soprintendenza archeologica? Si accettano soluzioni del noir. Le migliori saranno premiate con un buono caffè da spendere da Vittorio, dove Michele fa il miglior caffè della costa orientale.

commento sulla vicenda del Dr Roberto Sirigu:

"Personalmente ritengo che nessun essere umano sia esente dal rischio di errori. Ciò che conta è il modo in cui si pone rimedio agli errori commessi. Ringrazio dunque Sa defenza per la rettifica e per la correttezza con cui hanno voluto farsi pubblicamente carico di quanto è accaduto. In tempi come questi in cui lo sport nazionale sembra essere quello di defilarsi, incontrare persone oneste e responsabili è di grande conforto. Ho visionato il sito dopo che è stato di nuovo reso disponibile il testo del mio articolo che appare però mutilo della parte iniziale e senza la mia firma. Approfitto, se posso, dell'ospitalità in questo blog per chiedere, se permane l'intenzione de Sa defenza di ripubblicare il mio articolo, che tale pubblicazione avvenga restituendo all'articolo la sua integrità e associando all'articolo la mia firma.
Un grazie cordiale"
Roberto Sirigu

http://gianfrancopintore.blogspot.com/2010/07/il-giallo-della-tavoletta-sarda.html


QUESTO E' L'ARTICOLO DA CUI ABBIAMO DEPURATO LA FIRMA ABUSIVA

IL DR ROBERTO SIRIGU HA GENTILMENTE CONCESSO A SA DEFENZA LA PUBBLICAZIONE ,

GRAZIE DI CUORE DA SA DEFENZA DR ROBERTO.

autore DR Roberto Sirigu
www.sardegnacultura.it/documenti/7_93_20070720115442.pdf




Le tombe degli eroi nella necropoli di Monti Prama

Le statue sembrano ribadire che l’identità culturale dei nuragici non era stata intaccata dal profondo mutamento che si verifica nella prima Età del Ferro
ROBERTO SIRIGU


NEL DIBATTITO CULTURALE contemporaneo, la riflessione sulla memoria e sul ricordo intesi come temi culturali ha assunto un posto di primo piano. Tra le varie ragioni che possono spiegare questo rinnovato interesse verso tali tematiche è certamente possibile annoverare il moltiplicarsi delle occasioni di contatto tra esponenti di differenti culture, determinato dalla globalizzazione, e la conseguente preoccupazione che il contatto si trasformi in contaminazione. Ora, nei casi in cui questo fenomeno venga percepito come un pericolo per la salvaguardia della propria cultura e quindi per la propria identità, non è infrequente che a esso ci si opponga ricercando in un passato più o meno remoto le ragioni culturali della propria fisiono mia identitaria. Il passato, rivissuto attraverso il filtro selettivo della memoria – individuale o collettiva che sia, la memoria è infatti sempre, per definizione, selettiva – in questi casi viene ad assumere la funzione di argine da contrapporre a ogni potenziale pericolo di cambiamento.

Derive Identitarie.
Accanto a quest’uso del passato e del ricordo come strumenti di difesa dai pericoli di derive identitarie, però, si assist all’affermarsi anche di un altro atteggiamento, che appare in qualche misura speculare al primo. Si tratta di un atteggiamento che affiora tra i membri di gruppi o comunità che per varie ragioni aspirano ad acquisire una propria autonomia rispetto a una qualche macrocomunità dalla quale ci si vuole affrancare.

In questi casi, la memoria culturale, secondo la definizione elaborata dall’egittologo tedesco Jan Assmann, la “storia delle origini mitiche e degli eventi posti in un passato assoluto” a cui i membri di una determinata comunità attribuiscono un valore fondante nel processo culturale che ha portato alla formazione della propria identità culturale, diventa lo strumento attraverso cui determinare il cambiamento che si intende perseguire: la legittimazione delle proprie rivendicazioni identitarie e la separazione dal gruppo o dalla comunità di appartenenza originari di cui non ci si sente parte integrante. All’interno di queste dinamiche il “discorso archeologico”, per usare un termine del filosofo Michel Foucault, viene non di rado impiegato come strumento di persuasione retorica. In realtà la lettura interpretativa dei dati archeologici viene richiamata a fondamento giustificativo di scelte o situazioni del presente.
Atteggiamenti e volontà di questo tipo si manifestano anche in Sardegna, infatti una parte non secondaria del mondo culturale dell’isola, che ha fatto delle rivendicazioni indipendentiste un nucleo progettuale finalizzato a creare intorno a sé aggregazione identitaria, ricorre all’archeologia nel tentativo di trovare nei dati archeologici un sostengno scientifico per la legittimità delle proprie rivendicazioni.

Ora, appare legittimo chiedersi, sino a che punto può essere considerato corretto un simile uso dell’archeologia?
Riflettere sulla riscoperta delle sculture di Monti Prama da parte della comunità ci può aiutare a dare una risposta a questo interrogativo: il rinnovato interesse per questi reperti appare infatti collocarsi esplicitamente nel filone del dibattito identitario isolano, come è facile verificare
attraverso una semplice ricognizione tra i vari blog dedicati al tema di queste sculture. Partiamo allora da un breve riassunto delle tappe principali che hanno segnato la storia recente di queste opere.

Nel marzo del 1974, nella località di Monti Prama, nel Comume di Cabras in provincia di Oristano, un contadino rinviene, nel corso di lavori di aratura, una testa di scultura in pietra e altri elementi
scultore di considerevoli dimensioni. La segnalazione del ritrovamento desta l’immediato interesse della stampa e infatti La Nuova Sardegna ne riferisce il 31 marzo del 1974. La segnalazione determina un primo intervento di scavo da parte della Soprintendenza alle Antichità, condotto tra il 1974 e il 1975 dagli archeologi Alessandro Bedini e Giovanni Ugas. Nel gennaio del 1977 gli archeologi Giovanni Lilliu ed Enrico Atzeni si recano sul posto per una nuova verifica , che porta al rinvenimento di altri frammenti di statue e di altri elementi litici.

L’intervento di scavo sistematico del sito di rinvenimento delle statue ha luogo nel corso del
1979, per conto della Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano, sotto la guida dell’archeologo Carlo Tronchetti.

La necropoli
Dopo il rinvenimento, le statue vengono portate nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e successivamente alcuni frammenti vengono esposti in una sala dello stesso Museo. Recentemente, infine, i frammenti scultorei sono stati affidati al laboratorio di restauro di Li Punti della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Sassari e Nuoro, che ne sta seguendo il restauro in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Cagliari e Oristano. Come ribadisce lo stesso Tronchetti in una recentissima pubblicazione sull’argomento 1, lo scavo riporta alla luce una necropoli composta da 33 tombe a pozzetto irregolare, ciascuna delle quali sigillata da un lastrone in arenaria gessosa di circa 1 metro di diametro per 14 cm di spessore. Queste ultime risultano del tutto prive di corredo,
a eccezione della tomba n. 25, al cui interno viene rinvenuto uno “scaraboide egitizzante tipo Hyksos” databile non prima della fine del VII sec. a.C., e delle tombe 24, 27 e 29 che restituiscono frammenti di vaghi di collana in pasta vitrea.

In base a questi elementi, Tronchetti data la realizzazione della necropoli – che a suo avviso sarebbe stata utilizzata da più generazioni – nel corso del VII secolo a.C.
A nord della necropoli costituita dalle tombe a pozzetto era dislocata un’altra area funeraria di tombe a cista litica realizzate con pietra differente dall’arenaria impiegata nelle tombe a pozzetto. A circa 20 metri a sud-ovest della necropoli si legge ancora la presenza di una capanna nuragica e altre strutture sono visibili nei dintorni.

Le sculture vengono ritrovate esattamente al di sopra della necropoli: più di 2.000 frammenti di statue scolpite nell’arenaria gessosa, riconducibili a circa 25 esemplari. La disposizione dei frammenti al di sopra delle tombe consente di affermare che essi erano stati gettati già in frammenti a formare un cumulo informe di materiali. A dimostrare questa tesi sarebbe in particolare il rinvenimento tra i frammenti di un torso di arciere rotto in tre pezzi rinvenuti in situ.
Le statue si possono suddividere in tre gruppi: il primo rappresenta figure umane, il secondo modelli di nuraghe e il terzo betili. Le figure umane sono rappresentazioni di arcieri e di “pugilatori”, ovvero figure di guerrieri che si proteggono il capo con lo scudo. Dal punto di vista
dello stile iconografico queste figure appaiono pienamente coerenti con la piccola statuaria in bronzo, i famosi bronzetti per intenderci. Di grande interesse appaiono poi anche i modelli di nuraghe, raffiguranti sia il tipo di nuraghe monotorre che il tipo complesso e i betili.

Ma a quale periodo deve essere ricondotto questo insieme di opere scultoree?

Tendenzialmente gli studiosi sembrano orientati a collocarle cronologicamente nelle fasi intorno all’VIII-VII sec. a.C., basandosi soprattutto sulla datazione della necropoli proposta da Tronchetti
e sull’ipotesi che tra le sculture e la necropoli esistesse una stretta correlazione.
L’importanza archeologica di queste opere sarebbe dunque notevolissima: basti pensare che queste opere sarebbero da collocarsi in un contesto mediterraneo che le vedrebbe cronologicamente
coeve con le produzioni della statuaria arcaica greca.

Il problema ovviamente non è solo cronologico: a seconda della fase di attribuzione varia notevolmente la funzione simbolica che appare possibile attribuire alle sculture.
Connessa alla datazione all’VIII-VII sec. a.C. è l’interpretazione delle sculture e della necropoli come una sorta di heroon, termine greco che designa un sepolcro in cui si ritiene sia stato deposto il corpo di un personaggio eroico. È questa l’ipotesi formulata da Giovanni Lilliu, che immagina la necropoli come luogo di sepoltura di una sorta di gens, una famiglia di ordine militare distintasi per particolari motivi e quindi degna di ricevere sepoltura in tombe singole, non più nelle tradizionali e collettive tombe dei giganti. In accordo con questainterpretazione appare anche la proposta di lettura avanzata da Carlo Tronchetti, che interpreta la necropoli e le statue come un organico testo simbolico: “una necropoli-santuario in cui viene glorificata una famiglia, o una famiglia allargata o un clan”, attraverso una eclatante manifestazione di simboli culturali – l’immagine degli eroi, del monumento-simbolo e del segno della sacralità – da proporre
come propria immagine identitaria alle nuove entità culturali, Fenici e Greci, che si affacciano in questo periodo sul suolo sardo.

È questo un momento cronologico sul quale le ricerche archeologiche si sono ultimamente intensificate, producendo risultati di grande interesse. Vari siti nuragici – ricordiamo quello certamente più noto: il nuraghe di Sant’Imbenia, nel territorio di Alghero – stanno restituendo attestazioni archeologiche della presenza, oltre che ovviamente dei sardi nuragici, di Fenici e di Greci Euboici. Il dato però più significativo consiste nel fatto che la convivenza tra gli esponenti di questi differenti mondi culturali sembra essere stata pacifica e proficua sia sul piano
commerciale che, più in generale, sul piano culturale. Da queste ricerche emerge un quadro storico d’insieme decisamente differente da quello ritenuto attendibile anche solo qualche anno fa.

La Sardegna della prima Età del Ferro appare essere un’isola intensamente frequentata da genti e culture differenti, capaci di incontrarsi attraverso forme di contatto tanto intenso quanto pacifico.

Il mito delle origini
Il rinvenimento archeologico di Monti Prama sembra inserirsi dal punto di vista
cronologico-culturale proprio in questo articolato e movimentato quadro d’insieme, offrendoci un’immagine efficace di come i processi culturali in atto in Sardegna in quel periodo dovevano essere vissuti dai sardi nuragici. Se infatti i contatti e gli inevitabili scambi tra culture differenti si svolsero in un clima sostanzialmente pacifico, ciò non significa che un simile processo non abbia in qualche misura determinato paure e tensioni sul piano più squisitamente identitario. Anzi, le statue di Monti Prama starebbero a dimostrare il contrario.

Sarebbero infatti il segno tangibile del fatto che i sardi nuragici avvertissero la necessità di mostrare – e quindi al tempo stesso di ribadire – che la propria identità culturale non era stata intaccata dall’insieme di fenomeni di inevitabile
mutamento che erano in atto in Sardegna in quel periodo. Se queste ipotesi risultassero fondate, il sistema sculture-necropoli sarebbe dunque da interpretarsi come una esplicita manifestazione della memoria culturale, un insieme di segni culturali attinti da un passato in cui la cultura nuragica collocava la proprio origine mitica e che, nel presente caratterizzato da profondi mutamenti culturali, doveva esercitare la funzione di argine contro il pericolo di derive identitarie che appaiono analoghe, per certi versi, a quelle a cui abbiamo fatto cenno all’inizio.

Alternativa a questa ipotesi è invece quella che vede nelle sculture rappresentazioni non legate al passato, anche se più o meno prossimo, ma immagini tratte dal presente a cui appartenevano i committenti di queste opere. Questa ipotesi si lega a cronologie più vicine al IX, se non addirittura al X sec. a.C. Comunque sia, il dibattito appare quanto mai aperto su queste e su altre questioni interpretative connesse con lo studio della civiltà nuragica.
Da questo insieme di fattori, e da altri elementi, nasce il notevole valore scientifico di queste opere. Le sculture di Monti Prama, lo abbiamo appena ricordato, sembrano aver svolto già in antico la funzione di segni della memoria culturale, quindi identitaria, dei sardi nuragici. Ma questo è sufficiente per fondare su quei simboli, e quindi su quel passato, le scelte politico-culturali del presente? Si sente spesso parlare di queste opere come di manifestazioni di una presunta superiorità
della cultura nuragica rispetto a quelle coeve, una superiorità che viene altrettanto spesso evocata per riscattare i sardi da secoli di dominazioni e di subalternità.

Ma può mai un breve scorcio del passato riscattarci dalle insoddisfazioni che suscita il nostro stesso presente? In ogni caso l’elezione di quei simboli identitari non riuscì a impedire che la civiltà nuragica si trasformasse, prima o poi, in qualcosa d’altro. È una riprova del fatto che nessun simbolo identitario, nemmeno se tratto dal passato, può arginare con efficacia i mutamenti che inevitabilmente investono qualunque sistema culturale. L’archeologia, come del resto la storia, non può fornire alcun aiuto scientifico in tal senso: nessuna scoperta archeologica potrà mai né legittimare né delegittimare le nostre scelte identitarie di oggi. Perché l’identità non è un dato naturale, ma semmai una scelta culturale.

Roberto Sirigu,Università di Cagliari

1 C. Tronchetti, “Le tombe e gli eroi. Conside-
razioni sulla statuaria di Monti Prama”, in P.
Bernardini, R. Zucca (a cura di), Il Mediterra-
neo di Herakles.Studi e ricerche, Roma, 2005,
pp. 145-167.


venerdì 16 luglio 2010

Nucleare. I promotori della consultazione potrebbero accettare Referendum, meglio nel 2011 La Giunta: meno spese se accorpato alle comunali

SERGIO ATZENI
http://edicola.unionesarda.it
ASSEMBLEA COSTITUENTE COMITATO PER IL "SI" AL REFERENDUM
CONSULTIVO SUL NUCLEARE IN SARDEGNA

Serve un'altra data. La Regione risparmierebbe 12 milioni se il referendum contro il nucleare si svolgesse nella prossima primavera - insieme alle elezioni comunali - e non a novembre, come chiedono i promotori.

Lo ha detto Giandomenico Sabiu, capo di Gabinetto del presidente Ugo Cappellacci, ieri durante l'incontro con una delegazione di
Sardigna Natzione e del movimento “No Nuke UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA' ", promotori del referendum consultivo.

I promotori, che pensavano inizialmente al mese di novembre, hanno richiesto dieci giorni di tempo per decidere la data da proporre, dovendo interpellare anche il “Comitato per il sì” costituito di recente e al quale hanno aderito associazioni, sindacati, partiti ed esponenti politici di tutti gli schieramenti.
Questo il quesito che si vuole proporre ai sardi: “Sei contrario all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”

LA DECISIONE Naturalmente la decisione definitiva spetterà al governatore Ca
ppellacci che, a prescindere dalla richiesta dei promotori, in questa situazione di crisi preferirà quasi certamente una data che consentirebbe un risparmio notevole alle casse della Regione. L'accorpamento con le elezioni comunali, inoltre, sarebbe un'opportunità che potrebbe favorire il raggiungimento del quorum. Ecco perché è difficile che i promotori se la lascino sfuggire.

IL CONFRONTO «Il capo di Gabinetto del presidente - ha spiegato Bustianu Cumpostu, leader di Sardigna Natzione, « ci ha detto che l'eventuale referendum a novembre costerebbe 12 milioni in più, per questo sarebbe consigliabile rimandarlo alla prossima primavera e unirlo alle comunali. Abbiano chiesto dieci giorni di tempo per dare una risposta e avere il tempo di consultare anche il comitato per il sì». Accorpandolo con le comunali andrebbero alle urne circa 250 mila elettori, numero che rappresenta un quarto dell'elettorato sardo: «Si voterà anche in comuni importanti come Cagliari, Alghero e Olbia, penso che così il quorum potrebbe essere raggiunto più facilmente», ha sottolineato Cumpostu, «personalmente propenderei per avere il referendum subito, ma vogliamo prendere una decisione condivisa e il mio parere non deve essere un ostacolo».

L'APPELLO Nei prossimi giorni, quindi, gli esponenti di Sardigna Natzione e del movimento “No nuke” si riuniranno con gli aderenti al comitato contro il nucleare, per concordare tutti insieme la data da proporre per il referendum. «Qualunque sia la data in cui si andrà a votare», ha aggiunto Cumpostu, «mi aspetto che la gente risponda al quesito e sia sensibile al problema che non è solo ambientale, ma anche di sovranità. I sardi devono capire che il nucleare vincola tutte le future generazioni, perché per le scorie di terza categoria servono 200 mila anni per lo smaltimento. Noi non abbiamo neanche un bisogno energetico che giustifichi le centrali nucleari e non esiste neppure un risparmio finanziario nel costo dell'energia, se sommiamo l'alto costo di smaltimento e il costo dell'uranio». Abbiamo in Sardegna - ha concluso Cumpostu - una fonte energetica incredibile che è il carbone e non capisco perché non la si possa sfruttare nel modo migliore».

LA VICENDA Sardigna Natzione e "No Nuke", il 9 febbraio scorso, avevano consegnato 16.286 firme, autenticate e certificate elettoralmente, presso la Corte d'Appello di Cagliari per poter indire un referendum consultivo. L'Ufficio Regionale del Referendum ha poi dato il via libera allo stesso, giudicando positivamente la legittimità della richiesta.
Nel caso non si votasse nel mese di novembre, la legge prevede che la data venga fissata tra il primo gennaio e il 10 giugno del 2011: ecco perché è stato indicato come giorno più probabile quello legato alle amministrative di primavera.


mercoledì 14 luglio 2010

Nucleare: Questi rischi di cui non si parla mai

Michel di Pracontal
RNA-RETE NAZIONALE ANTINUCLEARE
traduzione dal francese : Fabienne Melmi

http://www.ilfautlesavoir.com/

Professionalità, trasparenza, precedenza alla sicurezza nelle centrali....
Dopo trentanni senza
gravi incidenti , ci si potrebbe quasi dimenticare che il nucleare è un'industria ad alto rischio.
Tuttavia gli incidenti e le minacce esistono.


MOVIMENTARSI PER NON SUBIRE!
AGIRE PER NON MORIRE!

NO NUKE! UNA RISATA SHARDANICA VI SEPPELLIRA'!!!



Che ci sia capo di stato o ministro, generale o ingegnere, panettiere o giornalista, la regola è intangibile: per penetrare in uno degli "edifici dei reattori" di una centrale nucleare, occorre mettersi prima in slip. La procedura segue un ordine imperativo e meticoloso. Il percorso comincia con un "anthropo" - per anthropogammametria - che controlla che il visitatore è esente da contaminazione radioattiva. Poi il visitatore entra in "zona calda" e passa al guardaroba dove si sveste. Munito di un dosimetro e di un badge, supera allora un portico, si siede vicino ad una barriera. Là,si infilano calzini, maglietta, tuta, beretto, guanti, scarpe, tutti immacolati e debitamente controllati,. Dopo essersi applicati una crema ed avere messo un casco, eccoci alfine pronti.





Maggio 2005, centrale di Dampierre-en-Burly, vicino a Gien, in riva alla Loira. Quattro torre di 900 megawatt riparano ciascuna un edificio reattore - o "BR" -, torrione cilindrico di parecchie decine di metri di altezza, fatto di un muro di cemento armato di 90 centimetri di spessore . Salvo casi eccezionali, non si penetra nel BR di una torre in funzionamento, ma solamente durante i periodi di arresto necessario per ricaricare il combustibile da trattenere nell'installazione. Oggi ad esempio, è il caso della torre n° 1 a Dampierre. Alcuni lavoratori interinali adoperati dalle imprese a cui EDF subappalta delle operazioni di manutenzione arrivano all'ingresso principale , all'entrata della centrale. Per essere ammessi nel BR, bisogna cambiare badge prima di entrare sotto il duomo maestoso che protegge il reattore: un tino di acciaio di 20 centimetri di spessore che contiene le guaine del combustibile radioattivo.

La cultura di sicurezza è il leitmotiv degli agenti del nucleare. "Una centrale deve girare, ma la redditività non passerà mai davanti alla sicurezza, perché è lei che "tira le prestazioni"", dice Jean-Philippe Bainier, direttore del Centro nucleare di produzione di elettricità (CNPE, di Dampierre che impiega 1250 addetti permanenti, senza contare le centinaia di interinali degli imprese prestatarie,). Ogni giorno, tutte le attività della squadra di condotta sono seguite da un "ingegnere di sicurezza" che confronta le sue osservazioni con quelle del capo squadra. Pierre Haution è incaricato, lui, delle relazioni con l'autorità di Sicurezza (ASN), il "carabiniere" del nucleare: Il "mio lavoro, spiega, è di garantire che tutte le informazioni regolamentari siano trasmesse all'autorità di Sicurezza e di prestare attenzione al mantenimento di un clima di fiducia basata sulla trasparenza. Ogni evento deve essere segnalato il più velocemente possibile. L'autorità di Sicurezza può quindi farsi continuamente un'idea del funzionamento della centrale."

Professionalità, trasparenza.... Descritto dai suoi agenti, l'universo delle centrali di EDF che produce l' 80% della nostra elettricità, sembra idilliaco. Il programma nucleare è stato lanciato nel 1974. Su 58 reattori al totale, 48 reattori sono stati avviati prima del 1990. Dopo una generazione passata senza incidenti gravi, ci si potrebbe quasi dimenticare che si tratta di un'industria ad alto rischio. Per i giovani ingegneri freschi usciti delle scuole, il nucleare è un'attività come un altra. È vero che si fa fatica, ascoltando il ronzio regolare delle turbine, a pensare all'incidente di Three Miles Island (Stati Uniti) nel 1979 o alla catastrofe di Chernobyl nel 1986. "Il nucleare francese è percepito come uno dei più sicuri al mondo", scrive Yves Marignac, dell'associazione Wise (1). Per una larga parte dell'opinione pubblica, come per i decisionisti, un incidente di tipo Chernobyl è impossibile in Francia.

E se questa assicurazione fosse solo un'illusione? Abbiamo indagato su parecchi siti, ma anche presso agli organismi competenti e a differenti periti. Il quadro che ne esce fuori è contrastato . Le centrali nucleari francesi sono delle installazioni di qualità, servite da agenti devoti ed appassionati per il loro lavoro. E la loro sicurezza ha progredito molto in dieci anni, almeno se ci fidiamo degli indicatori quantitativi di EDF. Ma presentano anche numerosi punti deboli che il discorso ufficiale minimizza o passa sotto silenzio.

Primo aspetto: l'incidente maggiore non è impossibile, è solamente improbabile. Il principio di concezione dei reattori "è di evitare un incidente maggiore piuttosto che di resistergli", riassume Yves Marignac, dell'associazione Wise. I componenti sono stati calcolati per tenere in condizioni di funzionamento giudicate verosimili. "L'atto di base è probabilistico, conferma André-Claude Lacoste, direttore generale dell'autorità di Sicurezza nucleare (ASN). si considera un coppia probabilità-conseguenze e si pongono dei limiti. Gli avvenimenti troppo improbabili non sono presi in considerazione. " Questo approccio è completato dalla nozione di "sicurezza in profondità" che consiste in sovrapporre differenti linee di protezione, allo stato delle tre barriere che confinano il combustibile radioattivo. Quella è la teoria. Perché la pratica è l'idea della complessità di un'installazione nucleare: un incubo di tubatura, con più di 11000 paratie, centinaia di pompe, innumerevoli chilometri di tubature, migliaia di circuiti di controllo... in effetti, l'imprevisto è inevitabile.

12 maggio 1998, appena avviatosi, il reattore nuovo di zecca di Civaux-1 (Vienna) rompe un tubo e perde il refrigeratore del circuito primario che assicura il raffreddamento del combustibile. In chiaro, un organo vitale, perché un surriscaldamento del primario può provocare una fusione del nocciolo ed un rilascio di radioattività. È ciò che è accaduto a Three Miles Island. A Civaux, la crisi è durata più di 50 giorni ed il reattore è stato riportato ad un stato di "sicurezza" solo all'inizio di luglio 1998. Nell'intervallo di tempo, si è dovuto scaricare in emergenza i due reattori della centrale di Chooz, nelle Ardennes che fanno parte della stessa serie.

27 dicembre 1999: la tempesta che attraversa la Francia colpisce il sito del Blayais, nella Gironde, dove tre reattori su quattro sono in produzione. La centrale è parzialmente inondata . Non è un incidente grave come quello di Three Miles Island, ma un incidente serio. "Le onde provocate dalla tempesta nell'estuario della Gironde hanno causato la perdita di una delle due vie del sistema di raffreddamento del reattore 1, così come l'indisponibilità di due sistemi di salvaguardia dei reattori 1 e 2", nel rapporto ufficiale sull'incidente considerato dal deputato Claude Birraux. Certo, in alcun momento, l'acqua ha raggiunto il combustibile, ciò, se fosse successo avrebbe potuto avere conseguenze gravissime. Non resta nemeno molto del "concetto di sicurezza in profondità con barriere successive che si è rivelate insufficienti. (...) L'acqua non sarebbe mai dovuta entrare nell'edificio reattore. " In seguito a questo incidente, l'istituto di Protezione e di Sicurezza nucleare (IPSN) ha dimostrato in un rapporto che otto siti su diciannove erano vulnerabili al rischio di inondazione: Belleville, (Cher), Chinon (Indre-e-Loire), Dampierre (Loiret), Gravelines, (Nord), le Blayais (Gironde), Saint-Laurent, (Loir et Cher), hanno una piattaforma appoggiata sotto la "quota maggiorata di sicurezza"; i siti di Fessenheim (Haut-Rhin) e di Tricastin (Drôme) si trovano vicino ad un canale di cui la linea di acqua è più elevata della piattaforma. Questo rapporto ha condotto EDF ad impegnare diversi lavori di protezione, ma il rischio di un fiume in piena eccezionale non è eliminato.

Gli attentati del 11 settembre 2001 hanno posto in essere una nuova minaccia: un crash di aereo di linea su una centrale. Il problema è stato studiato? Risposta delle autorità: sì, ma i risultati sono classificati. "Pensiamo che il migliore modo di lottare contro l'attacco di un aereo indiretto, è di impedire a questo aereo di avvicinarsi ad un'installazione. Ne risultano misure preventive da cui il dettaglio rileva del segreto difesa", si limita a commentare André-Claude Lacoste, direttore generale dell'ASN. Joseph Sanchez, direttore della centrale di Fessenheim, afferma che ha conosciuto "le conclusioni di un studio, dove si afferma che l'edificio reattore resisterebbe" a questo tipo di attacco. Nella sua centrale, si è pregati di venire senza macchina fotografica né telefono portatile, al nome della sicurezza e del piano Vigipirate.

Fine 2002 è apparsa un altro problema: quello del rischio sismico. Nel quadro dell'elaborazione di una nuova "Regola fondamentale di sicurezza" (RFS 2001-01), i periti dell'IRSN (2) hanno rivalutato questo rischio in differenti regioni. Hanno concluso che certe centrali, come Fessenheim in Alsace o Bugey a 30 km di Lione, erano più esposte di quanto non si credesse. All'epoca della loro costruzione, i due siti erano stati dimenzionati in funzione di un "sisma storico massimale verosimile" che non riflette più le conoscenze attuali. Anche se il rischio può sembrare debole, le due centrali sono difatti installate in regioni a sismicità accertata.
Un terremoto, del XIV° secolo, non ha distrutto la città di Basilea?

Un vero problema per EDF che ha valutato, in un documento confidenziale (3), l'importo dei lavori per rimettere in conformità le centrali sulla base dei riferimenti calcolati dall'IRSN: 1,2 miliardo di euro per i soli siti di Bugey e di Fessenheim; 1,9 miliardo se si aggiunge quelli di Chinon (Indre-e-Loire), Civaux (Vienne), Golfech, (Tarn-e-Garonne), Dampierre (Loiret), Saint-Laurent, (Loir et Cher), Belleville, (Cher), Saint-Alban (Isère) e Le Blayais (Gironde), anche loro concernati . I commenti che raffigurano nella nota di EDF a proposito di questo rischio sismico, prima percepito come un rischio finanziario, sono inquietanti: "Delle azioni di lobbying o altri periti sono possibili? (...) Bisogna trovare una scappatoia a questa minaccia. Nella pratica progettata, è un studio di impatto che deve definire fin dove sarebbe industrialmente accettabile rivalutare il sisma. E dunque derogare per certi siti all'applicazione del RFS."

Ecco che sfuma seriamente il ritornello secondo il quale i costi non saprebbero opporsi all'esigenza di sicurezza. Si può giudicare che il rischio di un sisma distruttore sia debole in Francia, ma nessuno aveva pensato neanche che Le Blayais potrebbe essere inondato. La disputa tra EDF e l'IRSN è stata la causa di una lettera molto tecnica di André-Claude Lacoste che non dà ragione né ad uno né all'altro dei protagonisti. In ogni caso, 10 siti su 19 non presentano oggi una tenuta al sisma che sia soddisfacente, secondo le stesse perizie sulle quali si basa la sicurezza! E per almeno due di essi il rischio non può essere considerato come trascurabile. Altra preoccupazione per i periti dell'IRSN: il problema dei pozzetti del cinta di confinamento. Hanno per funzione, in caso di breccia nel circuito primario, di raccogliere l'acqua e di permettere che il cuore continua ad essere raffreddato. Ora si è scoperto, in seguito ad un incidente successo nel 1992 in Svezia alla centrale di Barsebaeck, che i filtri dei pozzetti possono otturarsi. In questo caso, l'acqua non passerebbe più e ci sarebbe un rischio di fusione del cuore. "Questo problema riguarda numerosi reattori nel mondo, in particolare quelli del parco francese. EDF ha impiegato dieci anni a riconoscerlo. Ora è un dossier urgente", si allarma un osservatore.

Ma EDF ha numerosi altri problemi: l'impresa pubblica, pesantemente indebitata, è in piena mutazione, alla vigilia di aprire il suo capitale e di entrare in un mercato concorrenziale. I direttori dei siti proclamano alto e forte che niente di tutto ciò non affetta il funzionamento delle centrali. Pierre Wiroth, ispettore generale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione di EDF, si mostra più sfumato: "Constato per esempio che un "atteggiamento interrogativo ed una pratica rigorosa e prudente" non sono sempre all'appuntamento, scrive nel suo rapporto 2004, pubblicato nel gennaio scorso. Talvolta la coscienza del rischio degli intervenienti sembra insufficientemente evoluta ..." E di appuntare "numerosi errori che potrebbero imparentarsi alle violazioni, in particolare nel campo della radioprotezione e della sicurezza", "delle modalità di superamento di zona (salti di zona) che non si rispettano "perché non ci sono più rischi più ", delle attrezzature di protezione individuale che non si portano "perché è imbarazzante", delle "check-lists" di cui ci si affranca "perché si conosce la musica"."

Conclusione: "Il sistema migra , con leggerezza, da uno spazio sicuro verso una zona dove i margini si riducono. " Un sentimento condiviso da A., agente di condotta, venticinque anni di esperienza su parecchie centrali. C'è oggi una crisi culturale ad EDF. Quando sono stato assunto, i capi di servizio erano pronti a farsi in quattro affinché tutto funzionasse. Oggi non è più veramente
cosi . Tra le costrizioni economiche, il rompicapo dei RTT e la burocratizzazione dell'impresa, si perde il cuore del mestiere. Dieci anni fa, si dedicava il 13% della massa salariale alla sicurezza,oggi solo il 7%. Mentre conosceremo a breve un'emorragia per la messa in quiescenza di pensione dei molti tecnici, e non abbiamo più i mezzi per formare i giovani. Il problema è ancora più acuto per i prestatari [il subappalto, NDLR]. Certi non hanno capito che una centrale nucleare non è una fabbrica di cioccolato. Alcuni impiegati vengono senza avere consapevolezza che il gesto tecnico che compiono può avere oggi un impatto sulla sicurezza della centrale fra cinque o dieci anni. Un giorno, un ragazzo mandato da una società interinale è venuto a pormi delle domande a proposito di un quadro elettrico, ed io mi sono reso conto parlandoci che il ragazzo non era un tecnico, ma, era un panettiere! »

Lo spettro di un incidente maggiore può continuare ad essere cancellato da un colpo di mano dal momento in cui si è deciso di prolungare di almeno vent' anni la durata di vita delle nostre centrali?
Il più grosso problema è di gestire un parco di cui si potrebbe essere obbligati a chiudere una parte importante, risponde un perito. Il fatto di dipendere al 80% dal nucleare non lascia nessuno margine di manovra. Gli svedesi possono permettersi di chiudere tutto, noi no. Questo ci obbliga ad anticipare ogni difetto che potrebbe essere generico. La scelta nucleare ha i suoi vantaggi, ma è anche una spada di Damocle. " Certamente, se si anticipa correttamente, la catastrofe non dovrebbe accadere. Ma, come lo nota sobria del nostro perito, molte cose che non dovevano accadere sono poi arrivate."

Note: (1) vedere Yves Marignac, "I rischi del nucleare francese al tempo dell'EPR", in "i Quaderni di Global Chance" (gennaio 2004). (2) Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza nucleare, base di perizia sulla quale si appoggia l'autorità di Sicurezza. (3) divulgato per la rete Sortir du Nucléaire.


Estate calda per EDF: I francesi temono le estati caldi , EDF ancora di più. Fin da metà-giugno, l'operatore temeva una produzione insufficiente questa estate, a causa di una siccità che limita il funzionamento delle centrali in bordo di fiumi . Era previsto di fare girare al massimo i 18 reattori di bordo di mare (Gravelines, Penly, Paluel, Flamanville ed Le Blayais), e di non chiuderne simultaneamente più di due. In seguito ad imprevisti di cui un afflusso di alghe a Paluel, 5 reattori di bordo di mare sono fermi questo mese. L' 8 luglio, la direzione del parco nucleare inviava ai direttori di centrale una posta elettronica allarmistica: "La situazione del parco di produzione EDF è tesa attualmente. Dobbiamo limitare a minime
e rigorose le operazioni a rischio..."

È precisato che la mancanza di potenza si eleva a "16 000 MW di cui 9 500 MW non previsti", che "la nafta si è avviata a prezzi alti" perchè gli acquisti sono realizzati all'estero". La siccità rischia di portare certi siti ad infrangere le ordinanze che fissano i livelli di rigetti nei fiumi. Ciò ha condotto la rete Sortir du Nucléaire ad attaccare presso la corte di giustizia le centrali di Civaux, del Blayais, di Saint-Laurent e di Gravelines, tutte colpevoli di recenti infrazioni . La penuria d'acqua rischia di provocare un funzionamento in flusso teso dei siti a bordo mare, situazione che Sortir du nucléaire qualifica di "préaccidentale".


Chi controlla le centrali?

Il controllo della sicurezza delle centrali nucleari di EDF è assicurata da una trafila molto gerarchizzata: lo sfruttamento è seguito al quotidiano dagli "ingegneri per la sicurezza" (IS che segnalano ogni errore). In caso di disaccordo con la squadra di sfruttamento, gli IS che hanno un "dovere di allerta", possono riferire al direttore della centrale. Un IS particolare ha per missione di informare continuamente l'autorità di Sicurezza nucleare (ASN, di ogni avvenimento che interessa la sicurezza,). L'asn si appoggia su degli organismi di periti di cui l'istituto di Protezione e di Sicurezza nucleare (IPSN), annessa al CEA, e l'istituto di Radioprotezione e di Sicurezza nucleare (IRSN). "Carabinieri del nucleare", l'ASN ha il potere di chiudere ogni centrale che giudicherebbe insufficientemente sicura. L'asn è lei stessa sottomessa all'autorità del Primo ministro ed a quella del ministro dell'industria.



domenica 11 luglio 2010

Antinucleari e filo-rinnovabili


Mario Agostinelli
www.ilfattoquotidiano.it

MOVIMENTARSI PER NON SUBIRE!
AGIRE PER NON MORIRE!

NO NUKE! UNA RISATA SHARDANICA VI SEPPELLIRA'!!!

Perché mai politici potenti ma inseguiti dalle procure, a partire da Berlusconi e Scajola e una schiera di imprese monopoliste ma da sempre sostenute dall’aiuto pubblico, capitanate da Emma Marcegaglia e dall’AD di Enel, Bruno Conti, si sono messi alla testa del più imponente impegno al mondo per il ritorno al nucleare e vengono sospinti da autorevoli personaggi come Umberto Veronesi e Chicco Testa, “esperti” ma tutt’altro che estranei al mondo delle imprese?

Ci sono motivi che vanno oltre la scelta tecnica e che hanno a che vedere con l’idea di democrazia e partecipazione necessaria a costruire il nostro futuro. Un futuro in necessaria discontinuità con il sistema che minaccia la sopravvivenza della vita sul pianeta e con la globalizzazione a spese dell’ambiente naturale e dell’uguaglianza sociale. In effetti, la cancellazione ad opera del Governo di una decisione popolare assunta con referendum nel 1987, non è dettata da una meditazione lungimirante sulla crisi energetica, ma piuttosto da una vocazione autoritaria di chi non tollera il controllo dell’opinione pubblica e dal collegamento acritico di “opinion leaders” con il mito della crescita, anche se esso porta consumo irreversibile di natura e territorio e disprezzo della salute.

Nella situazione data, i reattori atomici si propongono come la tecnologia già disponibile che, garantendo consumi e livelli di vita attuali, mantiene inalterato il resto del sistema ereditato dalle fonti fossili – stessi megaimpianti (“centrali”, nomen omen), stessa rete di distribuzione, analoghe concentrazioni di capitali, ancora maggiore controllo militare – assicurando comando e controllo dell’economia nelle mani degli attuali ceti dominanti. Per produrre il cambiamento, bisogna al contrario pianificare un passaggio verso stili di vita comunitari, perseguire la sufficienza e la riduzione dei consumi non necessari, instaurare una democrazia partecipativa e un sistema di autogoverno del territorio indispensabili per risolvere la crisi ambientale. Anche se si volesse prescindere dalla tecnologia, le priorità andrebbero ribaltate, mettendo al centro vita, giustizia sociale, relazioni virtuose con la natura, valorizzazione dell’interculturalità e della creatività, sovranità popolare. Questo cambio di visuale è incompatibile con la diffusione del ciclo nucleare, che, al contrario, è incurante del territorio e insensibile alle comunità locali e portatore di sprechi enormi con le sue reti lunghe di fornitura che ricoprono l’intero pianeta. Le reti connaturate alle fonti rinnovabili, invece, sono per definizione policentriche, corte, diffuse e i cicli biologico-energetico-naturali che con esse convivono vengono chiusi localmente e favoriscono l’incontro cooperativo tra domanda e offerta, sottraendo il comando della catena alla spinta del profitto verso consumi individuali inarrestabili. La “nuova energia” si può pianificare diffusamente nell’ambito dell’autogoverno comunale e con la partecipazione della popolazione: anche i piani regolatori e i tracciati urbanistici, la dislocazione e la disposizione degli edifici sarebbero ridisegnati sulla base delle scelte energetiche decise insieme nel territorio.

Per concludere, dobbiamo innanzitutto ribadire su un piano politico che l’energia è vita o morte, innanzitutto; non solo potenza, velocità, trasformazione di materia. È relazione, pensiero, affetti, respiro, mobilità muscolare: oggetto squisitamente sociale; non solo merce e prezzo economico. Opporsi al nucleare significa ripensare e ripensarci, spostarsi da un modello muscolare a uno neuronale, da un’organizzazione centralizzata e autoritaria a una decentrata e partecipativa, far procedere finalmente insieme società e ambiente. Per queste ragioni profonde e non solo per l’insostenibilità e l’immane nocività del nucleare, bisogna rompere un quadro statico e rispondere all’insensato “risorgimento nucleare” che ci viene imposto con un NO e un SI. Antinucleari quindi, ma, contemporaneamente, sobri e filo rinnovabili a tutta forza.





lunedì 5 luglio 2010

ASSEMBLEA COSTITUENTE COMITATO PER IL "SI" AL REFERENDUM CONSULTIVO SUL NUCLEARE IN SARDEGNA

Sayli Vaturu
De Sa Defenza Sotziali

L'ASSEMBLEA E' INIZIATA VERSO LE CINQUE DELLA SERA DI DOMENICA 04 LUGLIO 010, UNA GIORNATA ROVENTE IL TERMOMETRO SEGNAVA ROSSO FUOCO OLTRE 35 GRADI.

UN PO DI TORMENTO CON L'IMPIANTO AUDIO CHE NON FUNZIONA, LE SLIDE NON HANNO IL GIUSTO APPLICATIVO E RESTANO IMMOBILI, MA DOPO QUESTA EMPASSE BUSTIANU CUMPOSTU RESPONSABILE DEL COMITATO PROMOTORE REFERENDUM CONSULTIVO SUL NUCLEARE PRENDE LA PAROLA E SPIEGA L'IMPORTANZA DI QUESTO EVENTO PER TUTTA LA NATZIONE SARDA.

IL SALUTO DEL SINDACO DI SANTA GIUSTA ANGELO PINNA E L'ASSEMBLEA SI AVVIA AD UNO SLANCIO PRODUTTIVO DI IDEE E PROPOSTE.

INTERVIENE CLAUDIA ZUNCHEDDU DEI ROSSOMORI E PONE L'ACCENTO SULLE SITUAZIONI DI DEGRADO AMBIENTALE INDUSTRIALE.

GIACOMO MELONI SEGRETARIO DEL SINDACATO ETNICO CSS ARRINGA L'UDITORIO SUI DISASTRI ACCADUTI NEL MONDO DEL LAVORO IN SARDEGNA ED ESPONE ANCHE LE MANCANZE DELLA TRIPLICE SINDACALE ITALIOTA SU QUESTIONI DI IMPORTANZA NOTEVOLE COME IL PROBLEMA SCORIE DELLE ACCIAIERIE DEL NORD (BRESCIA) DA LORO VOLUTE E AVVALLATE PER TENERE IN PIEDI UN LUOGO DI LAVORO CHE E' SOPRATUTTO UN SITO DI STOCCAGGIO DI POLVERI CANCEROGENE, A CUI E' SEGUITO UN ULTERIORE DEGRADO AMBIENTALE, E SEMPRE NEL NOME DEL LAVORO.. GENERANDO NEL SULCIS IGLESIENTE L 'ASSIOMA: LAVORO UGUALE MORTE.

SONO INTERVENUTI IN MOLTI COMITATI E MOVIMENTI CHE LOTTANO A FAVORE DELLA VITA E CONTRO IL NUCLEARE.

OLTRE IL COMITATO PROMOTORE COMPOSTO DA:
SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA E
NO NUKE! UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA',

ERANO PRESENTI:
SPERANTZIA DE LIBERTADI,
COMITATO PRO SARDIGNA,
PROVE DI UN MONDO DIVERSO,
VERDI SARDEGNA,
COMITATO ANTINUCLEARE SANTA GIUSTA -OR-,
COMITATO ATERA ENERGIA PRO SARDIGNA,
COMITATO ANTINUCLEARE SILI',
COMITATO ANTI NUCLEARE TERRALBA -OR-,
NO NUCLEARE SS,
ASSOCIAZIONE 2000 RESISTENZE MONASTIR -CA-,
SI SES DE ACORDIU... MOVIDI',
NO AL NUCLEARE -CA-,
COOP. SOCIALE GIARDINO APERTO,
COMITATO DELLA PLANARGIA DI BASE,
COMITATO NO AL NUCLEARE DI SASSARI
COMITATO ANTINUCLEARE SOLARUSSA IN MOVIMENTO -OR-,
COMITATO PRO IL "SI" SULCIS IGLESIENTE,
COLLETTIVO ANTICAPITALISTA SARDO,
COLLETTIVO COMUNISTA (ML) -NU-,
PRC OR,
PRC MEJLOGU,
A MANCA PRO S'INIPENDENTZIA,
CAGLIARI SOCIAL FORUM,
GETTIAMO LE BASI,
CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA,
SINDACADU DE SA NATZIONE SARDA,
CISL ORISTANO,
iRS-INDIPENDENTZIA REPUBRICA DE SARDIGNA,
PSdAz PARTIDU SARDU,
ROSSOMORI,
RIFONDAZIONE COMUNISTA ,
SINISTRA CRITICA,
CIRCOLO PD SANTA GIUSTA,
STRANOS ELEMENTOS,
ASSOCIAZIONE CULTURALE AI BILOZZIU PATTADA,
SEZIONE PSd’Az OLIENA,
COMUNE DI S. GIUSTA,
COMUNE DI MILIS,
COMUNE DI OLZAI,
COMUNE DI THIESI,
COMUNE DI TISSI,
COMUNE DI LACONI,
COMUNE DI LODINE,
ASSOCIAZIONE CULTURALE "AI BILOZIU" PATTADA,
CHERI SULLA LUNA,
ISTENTALES,
INDIPENDENTE....MENTE,
ARKA (H.C.E.) ASSOCIAZIONE CULTURALE INTERMEDIALE (CA),
LA PERGAMENA,
ASSOCIAZIONE URN SARDINNYA,
SHARDANA CENTRO CULTURALE INDIPENDENTISTA DI AACHEN GERMANIA,
GLOBAL ANTIGOLF MOVEMENT,
SEZIONE DEL PD DI SENORBI'
RIVISTA CAMINERAS

PAOLA ALCIONI (POETA)
LEONARDO MELIS (SCRITTORE)
F.BRUNO VACCA (SCRITTORE)
NATALINO PIRAS (SCRITTORE)
ROSANNA ROSSI (ARTISTA)
ANGHELU CREMONE (CUNSILLERI PRVINCIALI DE SU SULCIS)

E MOLTE ADESIONI PERSONALI.

PENSIAMO SIA IMPORTANTE ANCHE CONSIDERARE L'ASPETTO DELL'ETICA NELLA TECNOLOGIA MODERNA E PER QUESTO MOTIVO DIAMO UN ACCENNO AL DIBATTITO CHE IN FILOSOFIA SI E' SVOLTO E CONTINUA AD ESSERE ATTIVO RIPORTIAMO ALCUNI FILOSOFI CHE HANNO DATO VITA A QUESTO DIBATTITO NON MOLTO CONSIDERATO DALLA POLITICA IN GENERALE: L'ETICA.

CERTI CHE QUESTO VI FACCIA PIACERE:

DAL MANUALE DI BIOETICA DI ENGELHARDT

“In una società laica e pluralista l’autorità per le azioni che coinvolgono altri discende dal loro permesso. Di conseguenza , 1) senza tale permesso o consenso non c’è nessuna autorità, e 2) le azioni contro questa autorità sono biasimevoli nel senso che escludono il loro autore dalla comunità morale in generale e rendono lecito (ma non obbligatorio) l’uso della forza ad uso della forza a scopo difensivo, punitivo o di ritorsione. (H.T. Engelhardt manuale di bioetica Il Saggiatore edizioni 1999 pag 143 trad de The fondathions of bioethics Oxford University press 1996)

Hugo Tistram Engelhardt jr. (1941) è un medico, biologo e filosofo statunitense di origini tedesche.
Vede l'accordo come soluzione alla società pluralistica contemporanea, in cui ci sono valori contrastanti, e l'unico principio che devono rispettare è quello di non usare le altre persone senza il loro consenso o permesso. Subordinato a questo principio è il principio di beneficenza, senza il quale l'impresa morale non ha senso, il contenuto dei doveri di beneficenza può derivare da accordi espliciti
Il principio è deontologico, ossia agisce come un vincolo collaterale alle azioni, indipendentemente dalle conseguenze derivanti dall’osservarlo; non si fonda sul valore della libertà e del rispetto reciproco , ma sulle persone come unica fonte dell’autorità morale laica, più precisamente sul fatto che non è lecito usare le persone senza il loro permesso.

Francis Bacon teorizza che l'osservazione della natura deve essere praticata compilando una tabula presentiae e una tabula absentiae in proximitate in cui si mettono per iscritto i dati di temperatura, oggetti anche nel dettaglio di sostanze chimiche e altri fattori ambientali presenti e assenti in un dato momento in cui si è ottenuto un fenomeno di cui si cerca di scoprire i fattori favorevoli e poi la causa determinante. (wikipedia)

Martin Heidegger
Divenuto nel 1916 assistente di Husserl, inizia con lui un periodo di intensa collaborazione e di ricerca, in particolare riguardante Aristotele, Kant e Fichte; nello stesso tempo, svolge esercitazioni accademiche sulla fenomenologia seguendo l'indirizzo tracciato da Husserl. Fra il 1923 ed il 1927, divenuto professore presso l'università di Marburgo, svolge corsi su Platone, Hegel, Cartesio e sull'ontologia medievale; in questo periodo comincia il distacco da Husserl, che si concretizzerà poi nella pubblicazione, nel 1927, di Essere e tempo, la sua opera principale, dedicata al suo maestro e tuttavia segnata da una applicazione molto originale del metodo e ai concetti della fenomenologia. Nel 1928 sarà proprio Heidegger a succedere, a Friburgo, nella cattedra che era stata di Husserl; la sua carriera universitaria lo porterà, in seguito, ad assumere il ruolo di rettore, sia pure per breve tempo, proprio mentre Husserl fu allontanato, a causa delle sue origini ebraiche, dall'insegnamento (ma Heidegger affermerà in seguito la sua estraneità a questo provvedimento, cui in ogni caso non si oppose). (Wikipedia)

L’ETICA DELLA RESPONSABILITA’ M. HEIDEGGER

“ Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale òa scienza conferisce forze senza precedenti e l’economia imprime un impulso incessante, esige un’etica che mediante auto-restrizioni impedisca alla sua potenza di diventare sventura per l’uomo” (Die Frage nach der Technik, Pfulingen ed. 1954. trad it La questione tecnica , Saggi e discorsi. Mursia ed. Milano 1976)

Heidegger concepiva la tecnica moderna come la forma del disvelamento dell’essere che ha il carattere di una pro-vocazione: un trattare a realtà non più come oggetto, a come fondo (Bestand), ossia qualcosa che ha la sua posizine solo in base alla propria impiegabilità. Tale operare è un’opera puramente umana , ma l’effetto di un appello pro-vocante che Heidegger chiami im-posizione (Gestell); l’im-posizione è un destino, una modalità dello svelamento chui l’uomo viene inviato. La tecnica moderna è perciò la forma estrema e il compimento del pensiero metafisico e scientifico , come destino dell’occultamentodell’essere.

Il percorso teoretico di Hans Jonas si divide in tre tappe: la prima è caratterizzata dallo studio del passato in una prospettiva di storia dello spirito che individua il rilievo filosofico delle religioni gnostiche nell'essere la forma originaria del nichilismo contemporaneo (Germania, 1920-33); la seconda segna un passaggio verso lo studio del presente, come filosofia della natura elaborata in un serrato confronto con il metodo e i risultati delle scienze naturali (Canada, 1949-55); la terza tappa è marcata da un sentimento di paura per il futuro per stornare il quale il nostro autore varca la soglia della filosofia teoretica e si impegna nell'elaborazione di una filosofia pratica, alla ricerca di un'etica e di una politica adeguate alla civiltà tecnologica (Stati Uniti, 1955-93).

Hans Jonas

Etica per la civiltà tecnologica
La paura e la responsabilità di fronte alla realtà come un "tutto" sono al centro della sua opera più conosciuta, Il principio responsabilità (1979). Quest'opera è dedicata ai delicati problemi etici e sociali sollevati dall'applicazione incessante della tecnologia in tutti gli aspetti della vita. In questo testo, che porta all'ordine del giorno della riflessione filosofica europea l'emergenza ecologica, confluiscono tutte le ricerche precedenti dell'autore: religione, natura, tecnica.
Il punto di partenza dell'autore è che "il fare dell'uomo è oggi in grado di distruggere l'essere del mondo".

« Si prenda ad esempio, quale prima e maggiore trasformazione del quadro tradizionale, la vulnerabilità critica della natura davanti all'intervento tecnico dell'uomo - una vulnerabilità insospettata prima che cominciasse a manifestarsi in danni irrevocabili. Tale scoperta, il cui brivido portò all'idea e alla nascita dell'ecologia, modifica per intero la concezione che abbiamo di noi stessi in quanto fattore causale nel più vasto sistema delle cose [...]. Un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che l'intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere e che oggetto di sconvolgente grandezza, davanti al quale tutti gli oggetti dell'agire umano appaiono irrilevanti! La natura come responsabilità umana è certamente una novità sulla quale la teoria etica deve riflettere.»

Dal Principio responsabilità:

" non si deve mai fare dell'esistenza o dell'essenza dell'uomo globalmente inteso una posta in gioco nelle scommesse dell'agire. "

LA FORMULA PROPOSTA DA JONAS

( in: Technology as a Subjet for Etics, trad it Perchè la tecnica moderna è oggetto dell’etica. )

“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra.”

Ad avviso di jonas , gli aspetti che fanno dell’etica della responsabilità , impone il vincolo sostanziale che le conseguenze a lungo termine dell’azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra; l’imperativo di responsabilità impone di fondarsi su estrapolazioni predittive di conseguenza reali a lungo termine per l’inter società mana e perciò implica la priorità della dimensione pubblica sulla privata.

Jonas, annota l’utopismo immanente dell’agire tecnologico moderno , che punta a proiettarci in una condizione altra a quella consueta ( umana), con un immediato impatto sulla realtà grazie a l’ampiezza dei suoi poteri trasformativi E proprio a fronte di tale ampiezza trasformativa che occorre disegnare nuovi princìpi morali, che in mancanza di saggezza possa fungere da freno. La questione è drammatico proprio perché , allo stato attuale, “il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi.”
( da Etica della vita, Massimo Reichlin B. Mondadori)

ECCO L’IMPORTANZA PER LA NOSTRA SITUAZIONE DI METTERE DEI FERMI PRINCIPI ETICI , AFFINCHE’ QUESTI FRENINO L’ESUBERANZA DEL PREMIER ITALIOTA BERLUSCONI, E DEL CARTELLO AFFARISTICO NUCLEARISTA AD ESSO AFFILIATO, POICHE ABBIAMO AMPIAMENTE CAPITO CHE NELLA LORO ZUCCA VI E’ POCO O NULLA DI SAGGIO, E QUESTA SITUAZIONE DI AFFARI SPECULATIVI CON LA COLATA DI MILIONI DI METRI CUBI DI CEMENTO PER LA COSTRUZIONE DI CENTRALI NUCLEARI O DA SITI DI STOCCAGGIO DI SCORIE RADIOATTIVE DA LUI RAPPRESENTATO PUO’ DANNEGGIARE IRREPARABILMENTE L’AMBIENTE A NOI CIRCOSTANTE .

QUESTI SONO CERTAMENTE DEI BUONI MOTIVI PER MOBILITARCI E SUPERARE IL QUORUM DEL 33% E ANDARE A VOTARE AL REFERENDUM CON LA CONSAPEVOLEZZA CHE SARA’ L’INIZIO DI UNA NUOVA PRESA DI COSCIENZA PER LE NUOVE GENERAZIONI, OLTRE AL BENEFICIO DURATURO PER TUTTA LA NOSTRA TERRA!

MOVIMENTARSI PER NON SUBIRE!
AGIRE PER NON MORIRE!

NO NUKE! UNA RISATA SHARDANICA VI SEPPELLIRA'!!!

Bustianu Cumpostu


Sayli Vaturu


Franciscu Sanna

mercoledì 30 giugno 2010

Saluggia, gara deserta per il deposito scorie E il nucleare “made in Italy” fa già flop

Nel paesino piemontese nessuna azienda si è fatta avanti per costruire il nuovo impianto di stoccaggio per rifiuti radioattivi. Il progetto è contestato da chi teme che sia il primo passo per la realizzazione di un sito nazionale
Ambiente & Veleni | di Federico Simonelli
http://www.ilfattoquotidiano.it/

È una saga senza fine quella delle scorie radioattive, fatta di alcuni passi avanti, ma soprattutto di molte battute d’arresto. L’ultimo capitolo si svolge a Saluggia, il paesino piemontese dove si trova l’80% dei rifiuti nucleari liquidi italiani e dove sorge l’Eurex, il vecchio impianto per il riprocessamento del combustibile ex Enea (ora in smantellamento). Qui è andata deserta in questi giorni la gara per la costruzione del nuovo deposito D2 di stoccaggio dei residui radioattivi di categoria 1 e 2.

La Sogin, la Spa statale che si deve occupare del nucleare italiano, ha già pronto un nuovo bando con annessa relazione tecnica e ha modificato leggermente al rialzo l’importo del contratto: da circa 13 a 15 milioni e mezzo di euro. Una scelta, fanno sapere dalla società, dovuta al fatto che «le imprese europee del settore non hanno ritenuto convenienti le condizioni tecnico-economiche» del precedente bando. Sembra poco probabile, tuttavia, che i potenziali concorrenti abbiano deciso di mandare a monte la procedura solo per ottenere un lieve ritocco nel prezzo.

Il futuro edificio, un bestione da parecchie decine di migliaia di metri quadri destinato proprio ad alcune scorie derivanti dalle lavorazioni Eurex, ancora prima di nascere ha infatti già un vita difficilissima. Il progetto, approvato in deroga al piano regolatore nel 2005, in virtù di un proclamato stato d’emergenza, è fortemente osteggiato da associazioni ambientaliste e opposizione ed è tuttora oggetto di una serie di ricorsi. Tutte noie che potrebbero aver fatto venire qualche dubbio ai potenziali costruttori.

Ma cosa andrà a finire veramente nel deposito? «Rifiuti a bassa pericolosità – assicura Andrea Fluttero, segretario della Commissione ambiente del Senato – se ben costruito non penso proprio che creerà problemi». Ma i detrattori del progetto ribattono che la zona è inadatta a ospitare il deposito di stoccaggio. Il luogo identificato si trova a pochi metri dalla Dora Baltea, il principale affluente del Po, su un terreno ghiaioso e permeabile, «caratterizzato da una vulnerabilità della falda acquifera ufficialmente classificata come “estremamente elevata”, ed a valle del quale, a una distanza di meno di due chilometri, vi sono i pozzi dell’Acquedotto del Monferrato». Questo almeno è quanto si legge nel ricorso al presidente della Repubblica presentato ad aprile da una cittadina del comune del vercellese e appoggiato da associazioni ambientaliste e Pd locale. Molti i punti contestati: la presunta inidoneità del luogo, appunto, ma anche le procedure di concessione delle autorizzazioni.

«Non c’è nessuna ragione per costruire il deposito qui – spiega Gian Piero Godio, responsabile Energia di Legambiente Piemonte – si tratta tra l’altro di un’area depressa rispetto al livello del fiume». Diversa è la questione del Cemex, l’impianto di cementificazione delle vecchie scorie liquide che dovrebbe essere costruito poco lontano. Un progetto che, pur non essendo ancora partito, teoricamente dovrebbe permettere di solidificare i residui, in modo che poi siano trasferiti altrove. «Questo impianto serve eccome – conclude Godio – e speriamo che sia costruito velocemente».

Secondo Paola Olivero, capogruppo PD del consiglio comunale di Saluggia, «il rischio è che il D2 diventi il surrogato del famoso sito nazionale di stoccaggio di cui si parla da anni. Altrimenti perché la priorità, che prima era la costruzione del Cemex, ora sembra essere diventata quella dell’impianto di stoccaggio?». Ma per Fluttero la possibilità che il D2 diventi un deposito a tempo indeterminato «dipende dal successo o meno del ritorno del nucleare in Italia. A quel punto da qualche parte dovremo realizzare un sito nazionale, il che è una cosa assolutamente normale».

Resteremo a vedere. Per ora, il problema dei rifiuti prodotti dalle vecchie centrali procede a rilento: una bella grana per l’Italia soprattutto se, di centrali, vogliamo cominciare a costruirne di nuove.

domenica 27 giugno 2010

NO NUCLEARE DAY 26.06.010 CAGLIARI BASTIONI DI SAINT REMY



Sayli Vaturu
de Sa Defenza Sotziali

Una bella giornata, il sole è alto e la brezza marina ci carezza il viso, la visione che abbiamo dal Bastione di Saint Remy è un panorama spettacolare della città di Cagliari, un po sorniona, un po piccante .... Giovani chiaccherano sulle panchine lungo la balaustra di cisto bianco che attornia la piazza del bastione, e in sottofondo la musica che fà intendere lo svolgersi di un evento.

Bandiere al vento gialle con il sole che ride, ed alcune identitarie sarde.

Il banner del comitato NO NUKE, una risata sardonica vi seppellirà fa capire bene il motivo della mobilitazione


Oggi si svolge una giornata di festa antinuke, il comitato organizzatore Lotta Nucleare ha dato avvio all'iniziativa in varie città dell'Italia oltre che a Cagliari.

Francesco Perra apre la manifestazione con un intervento sul motivo che ha portato il popolo sardo a mobilitarsi contro l'infausto nucleare.

Paola Alcioni del Comitato Promotore Referendum Consultivo sul Nucleare, espone la fatica fatta, da un gruppo di indipendentisti sardi ( Sardigna Natzione Indipendentzia SNI) e del comitato sardo NO NUKE, nella raccolta delle quasi 17.000 firme per portare a fine ottobre i sardi ad un referendum consultivo sul nucleare.

Il quesito referendario proposto agli elettori sardi recita:

"SEI CONTRARIO ALL'INSTALLAZIONE IN SARDEGNA DI CENTRALI NUCLEARI E DI SITI PER LO STOCCAGGIO DI SCORIE RADIOATTIVE DA ESSE RESIDUATE O PREESISTENTI?"

A OTTOBRE VOTIAMO " SI "
CONTRO IL NUCLEARE
PER DIRE SI ALLA VITA!

La voce di Paola entra nel cuore e nell'anima di tutti gli astanti facendo comprendere l'importanza della partecipazione delle soggettività nazionali sarde al voto antinuke!

Roberto Copparoni dei Verdi ha dato le cifre della demenza della strada nucleare enumerando la illogicità di tale dispendio di energie denari e il malaffare che si concentra dietro tanta quantità di denaro sperperato.

Sayli, Valter Erriu, di NO NUKE ha messo in evidenza la questione etica che c'è alla base del ragionamento nucleare, ci si chiede come è nata l'idea delle centrali nucleari il motivo è chiaro stando alla storicità degli eventi ci richiama l'attenzione allo scopo , quello bellico.
L'irragionevolezza dell'uso dell'uraniopre produrre energiaè fondato dagli effetti nel suo uso: deturpa l'ambiente di estrazione del minerale come vediamo in Niger le conseguenze sanitarie sono pesanti sulle persone che vi risiedono, esse sono soggette a una varietà di malattie incurabili, il tutto grazie alla multinazionale francese AREVA che da oltre settanta anni sfrutta le miniere e distrugge l'ambiente circostante.

La stessa azienda AREVA a cui il premier italiano Berlusconi si è rivolto per avviare il suo progetto di morte nucleare in Sardegna ed in italia.

Mariella Cao del Comitato Sardo Gettiamo le Basi, ha fatto la cronistoria delle lotte in Sardegna contro il nucleare e le basi militari , argomento correlato e simbiotico.

La lotta contro le basi militari a partire della base militare americana nell'isola di Santo Stefano a La Maddalena, ha dato idea della proprozione del danno subito dal nostro territorio, i danni ambientali da irradiazione sono ingenti, ancora latente e nascosti i dati sull'inquinamento da radiazione non si dice ovviamente per non allarmare la popolazione , ma , è necessario esporlo e denunciarlo.

Gli americani sono andati via senza sborsare un soldo per la bonifica ambientale del territorio da loro avuto in gestione senza controlli di sorta per oltre 40 anni.

La morte invisibile La Maddalena c'è e continua a mietere vittime sacrificali sull'altare del nucleare.

La manifestazione ha avuto anche un preludio di musica etno-jazz eseguita dal maestro Mario Massa che ha deliziato le orecchie degli estimatori presenti.

Si è svolto anche un Mobe Flash che ci ha portato in una decina di persone di fronte al palazzo della regione in rappresentanza della sovranità a cui Presidente Cappellacci deve dare risposta seria e ferma contro il nucleare.

Paola Alcioni comitato Promotore Referendum Consultivo


"Sayli" Valter Erriu comitato sardo NO NUKE!

martedì 22 giugno 2010

NO AL NUCLEARE, SI AL REFERENDUM


di Andrea Pili (delegato di Sperantzia de Libertadi, jovunus de SNI)

Sperantzia de Libertadi è l'organizzazione giovanile di Sardigna Natzione Indipendentzia. Siamo stati molto attivi nel sostegno del referendum sull'installazione delle centrali nucleari in Sardegna, in particolar modo con la raccolta firme o con eventi di sensibilizzazione popolare come il Chernobyl Day e la manifestazione del 9 dicembre. La nostra organizzazione è nettamente contraria al nucleare nella nostra isola e abbiamo constatato la medesima avversione nei nostri coetanei e colleghi in università e nelle scuole superiori.

Senza dimenticare le implicazioni che le centrali nucleari potrebbero avere su salute e ambiente, noi pensiamo che i problemi fondamentali- e le questioni su cui premere- siano riguardanti l'ambito economico- sociale, in quanto ci offrono dei dati oggettivi e condivisibili. I motivi con cui lo stato italiano vuole giustificare la costruzione dei siti nucleari sono: l'abbassamento degli attuali costi energetici; la ripresa del comparto industriale sardo e quindi la creazione di appetibili opportunità di lavoro- specie dopo le delicate questioni di Eurallumina, Vinyls, Alcoa ecc

Innanzitutto, spesso non si tiene mai conto dell'incisione sui prezzi dei tassi di interesse correnti nel periodo in cui inizieremo a pagare le bollette da energia atomica; dunque si entrerebbe anche in questo caso in dati non quantificabili con assoluta certezza. Comunque, qualunque sia il costo, non esiste alcuna convenienza atomica per la edificazione delle centrali. Infatti, l'Agenzia Atomica dell'Onu (IAEA) stima l'esaurimento delle scorte d'uranio in un periodo che va dal 2026 e il 2035; sappiamo che la centrale di terza generazione di Olkiluoto (Finlandia) ha iniziato ad essere costruita nel 2005 ed il suo completamento è stato posto nel 2012- ma doveva essere pronta nel 2009. Il rischio è quello di finire la centrale nucleare proprio quando mancherebbe solo poco tempo per l'esaurimento dell'uranio e quindi alla vicina fine anche dell'utilizzo delle stesse. Inoltre, l'energia dall'atomo inevitabilmente sarà oggetto di salite del prezzo proprio perché ci sarà sempre meno uranio a fronte della domanda. Il nucleare quindi piuttosto che la soluzione dei costi è soltanto un loro rinvio a data da destinarsi.

Per quanto concerne il riavvio dell'industria sarda o la creazione di nuovi posti di lavoro in Sardegna, non facciamoci illusioni: lo stato italiano non ha mai realizzato nulla di buono per il popolo sardo ogni qualvolta ha messo piede nella nostra economia e ne sono una dimostrazione le ultime vicende operaie che hanno- ancora una volta- mostrato come il popolo sardo sia vittima di un modello economico imposto da altri per gli interessi di multinazionali e slegato completamente dalle risorse della sua terra. Quindi non c'è nessuna ragione al mondo per cui l'Italia da Dracula si trasformi improvvisamente in Babbo Natale! Il nucleare è soltanto l'ultima imposizione dell'Italia, destinata a fallire inesorabilmente lasciando i nostri lavoratori ad aspettare l'ennesima elemosina o l'ennesimo ricatto! Perché possiamo proprio parlare di un autentico ricatto occupazionale! Si vuole costringere il nostro popolo ad accettare il nucleare come unico possibile sbocco lavorativo. Inoltre, si afferma che la Sardegna sarebbe la terra più adatta per costruire le centrali necessarie al fabbisogno energetico italiano, in quanto al sicuro da eventuali calamità naturali. Però noi ci domandiamo: per quale motivo i sardi dovrebbero fare questo favore allo stato italiano, un'istituzione che si è presentata sempre da arrogante colonizzatrice! Per ora è l'Italia in debito con noi, dal momento che ancora attendiamo di vedere i dieci miliardi di euro che ci spettano!

Che piaccia o no, prima o poi il sistema energetico dovrà basarsi sulle fonti rinnovabili ed è dunque su queste che la Sardegna deve investire in quanto sono le uniche risorse che le assicurerebbero l'autosufficienza. L'uso di tali fonti- inoltre- è destinato a creare sul serio nuove opportunità di lavoro come già avviene in Spagna, in Germania e sta succedendo in Usa grazie al piano Obama che dovrebbe creare 30200 posti l'anno. Le teorie di economisti quali Jeremy Rifkin sostengono che ingenti occasioni lavorative nascerebbero dalla conversione di tutti gli edifici per fare sì che ogni edificio diventi centrale di stesso con l'utilizzo di sole, vento, calore terrestre. In questo modo si rimetterebbero in moto anche edilizia e architettura.
L'eolico in Sardegna sarebbe un'interessante prospettiva: in aree come la Gallura o il sud-est dell'isola soffia il vento con la più alta classe d'intensità europea (più di 9.4 m/s). Quindi pensate cosa potrebbe accadere se potessimo gestirci l'eolico al di fuori delle tristi speculazioni di cui abbiamo avuto notizia e che sarebbero conseguenza della sudditanza della politica sarda nei confronti di loschi figuri italiani.

Occorre una decisa presa di coscienza di tutti i giovani sardi contro il nucleare e per la sovranità! L'evoluzione inevitabile verso le energie rinnovabile danno conferma a noi indipendentisti di non essere dei matti visionari ma di stare dalla parte giusta. Infatti, finiti petrolio e uranio, arriverà il giorno in cui tutti i paesi saranno costretti a rivedere il proprio modello di sviluppo centralizzato per abbracciare le nuove fonti che garantirebbero l'autonomia energetica a moltissime comunità. Noi ci occuperemo di accelerarla venuta di quel giorno per utilizzare la nostra sovranità energetica per costruire quella economica e quella politica. Alla costante autoritaria dello stato italiano contrapporremo la costante resistenziale sarda.
Siamo pronti a creare tante Pratobello in tutta l'isola e ovunque l'Italia avrà in mente di fare i suoi siti nucleari!



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