Il federalismo non è un gioco
THE ECONOMIST LONDRA
Come se stessero giocando a The Sims, i leader dell'Unione europea si divertono ad architettare strutture sovranazionali sempre più complesse. Ma tradurle in realtà sarà molto più difficile, e non basterà a superare la crisi.
Chiunque abbia mai giocato a un videogioco che simula la vita reale come SimCity o The Sims (o guardato i propri figli mentre lo fanno), sa bene quanto possano essere avvincenti. La gente passa una valanga di ore a creare un mondo sintetico, che sia una casa o una città intera. Inventano personaggi che parlano una lingua incomprensibile conosciuta come Simlish, controllano le loro azioni e a volte li osservano mentre vengono travolti da qualche calamità simulata. A Bruxelles sta succedendo qualcosa di simile. I leader dell’Unione giocano a una specie di SimEurope.
Guido Westerwelle e Radek Sikorski, ministri degli esteri di Germania e Polonia, hanno passato buona parte del 2012 isolati dal mondo insieme ad altri 9 colleghi (quasi tutti giovani), intenti a creare una realtà virtuale. Questa settimana hanno rivelato le conclusioni del loro “Gruppo per il futuro dell’Europa": il mondo immaginario che hanno disegnato comprende un presidente europeo eletto dal popolo, un ministro degli esteri europeo più potente, una polizia di frontiera comune e persino un esercito europeo. I britannici, conosciuti per la sgradevole tendenza a rovinare tutti i giochi più divertenti, non sono stati invitati.
Appena qualche giorno prima il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha tenuto il suo discorso annuale sullo “stato dell’Unione”, e ha parlato di un futuro segnato “da una federazione di stati-nazione”, un’idea che ha continuato a ribadire in una serie infinita di articoli e dichiarazioni. Barroso ha resuscitato espressioni coniate dal suo predecessore Jaques Delors, ma non ha chiarito i contorni del suo progetto. Si è limitato a dire che intende presentare le sue proposte entro il 2014.
Con le sue parole Barroso ha aperto la strada ad altri tre “presidenti” (Herman Van Rompuy del Consiglio europeo, Mario Draghi della Bce e Jean-Claude Juncker dell’Eurogruppo dei ministri delle finanze) che stanno già progettando una “reale” unione monetaria ed economica. Dopo aver posto "le fondamenta” a giugno, Van Rompuy ha presentato un “issues paper” che tra le altre cose propone un bilancio unico per l’eurozona. In occasione del vertice di ottobre potrebbe essere pubblicato un rapporto intermedio, mentre la versione finale potrebbe vedere la luce a dicembre.
In un certo senso a scatenare questa vertiginosa fantasia è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel, con i suoi inviti a creare una “unione politica” (con un aumento del potere del Parlamento europeo, nonostante i suoi limiti strutturali). L'argomento crea un certo imbarazzo in Francia, dove i partiti sono profondamente divisi sull’Europa fin dal referendum del 1992 sul trattato di Maastricht (approvato di un soffio) e quello del 2005 sulla costituzione europea (respinto). Nonostante ciò il ministro delle finanze socialista Pierre Moscovici ha recentemente pronunciato la parola “federalismo”, mentre l’ex primo ministro conservatore François Fillon ha proposto un nuovo “patto per l’Europa” che prevede un ministro delle finanze europeo.
Tutte queste idee nascono da un vecchio concetto: più Europa. Lo scopo è quello di evitare una guerra devastante o l’emergere di una potenza dominante, unendo i paesi del vecchio continente pur continuando a rispettare le identità nazionali. Il problema è che ogni passo del processo d’integrazione si scontra con ostacoli sempre più complicati. Oggi i leader nazionali non devono soltanto negoziare la cessione di sovranità, ma anche “vendere” i trattati a una popolazione sempre più riluttante.
In SimEurope il popolo è un elemento virtuale, diviso in buoni europeisti e cattivi nazionalisti o populisti, e i cattivi possono essere sconfitti grazie all’arma dell'integrazione europea. Ma nel mondo reale le cose non sono così semplici, perché il progetto europeo è circondato da uno scetticismo sempre più palpabile. Secondo gli ultimi sondaggi la maggioranza dei tedeschi pensa che le cose andrebbero meglio senza l’euro, e molti si sbarazzerebbero volentieri anche dell’Unione. In Francia la maggior parte di coloro che hanno votato a favore del trattato di Maastricht oggi non lo rifarebbe. In Spagna, al contrario, la popolazione vuole una maggiore integrazione europea.
I partiti euroscettici ed eurofobi si contendono grosse fette dell’elettorato. Alle elezioni olandesi di questo mese i centristi hanno recuperato terreno, ma soltanto grazie a prese di posizione intransigenti nei confronti dei paesi in difficoltà. In diverse aree del continente il popolo chiede un referendum per esprimere la propria volontà. Nel Regno Unito gli euroscettici sperano che gli elettori chiedano l’abbandono dell’Ue, mentre in Germania l’élite pro-europea vorrebbe un referendum per cambiare la costituzione e concedere maggiori poteri a Bruxelles.
Verso il nocciolo
Trasformando una moneta immaginaria in una valuta reale, i leader europei hanno creato una crisi che non ha nulla di virtuale, e ora devono risolverla. Ritornare al vecchio marco, alla lira o al franco sarebbe più doloroso che cercare una soluzione per salvare l’euro. Ma questo significa realizzare una maggiore integrazione, porre fine alla calcolata ambiguità che circonda l'obiettivo ultimo dell’Europa e mettere i cittadini davanti a una scelta chiara.
I leader europei stanno affrontando il nocciolo della questione, ma le loro proposte recenti hanno un grosso difetto: complicano le cose anziché semplificarle. Ai ministri degli esteri può anche piacere l’idea di un esercito europeo, ma di sicuro non serve a risolvere la crisi economica. Allo stesso modo la proposta di Barroso di una federazione di stati non risolve nulla, anzi scatena aspre polemiche sul federalismo senza spiegare come conciliare l’integrazione con quello che resta dello stato nazione.
L’eurozona si è cacciata in una situazione paradossale e pericolosa: gli stati-nazione si sentono violati dalla crescente volontà di controllo di Bruxelles, ma al contempo l’Ue è troppo debole per avere un impatto reale od ottenere il sostegno della popolazione. Un approccio migliore potrebbe essere quello di mettere da parte le etichette e lavorare per l’integrazione di un gruppo ristretto di funzioni essenziali, a partire da un’unione bancaria coerente e titoli di stato comuni. Tuttavia la Germania rifiuta la mutualizzazione del debito, ricordando che nemmeno gli Stati Uniti prevedono la responsabilità di uno stato per i debiti degli altri.
Eppure in America i bond statali esistono. Sono garantiti dalle tasse federali e rappresentano una risorsa sicura per tutte le banche. I singoli stati e le banche possono anche andare in bancarotta, ma questo non comporta una reazione a catena. Chiamatela come vi pare – integrazione, centralizzazione, federazione, confederazione – ma l’obiettivo dovrebbe essere quello di stabilizzare il sistema in modo da consentire agli stati e alle banche in difficoltà di fallire in tutta sicurezza.
Traduzione di Andrea Sparacino
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