mercoledì 29 maggio 2013

Perché una taglia unica non va bene per tutti - Il caso dell'Italia

La solidarietà europea di fronte alla crisi dell'Eurozona
Perché una taglia unica non va bene per tutti - Il caso dell'Italia
Claudio Borghi 
Tradotto da  Henry Tougha


Gentili Signori,
vorrei offrirvi un breve viaggio che comincia qui e termina in Italia, il mio paese, e al termine di questo viaggio spero sarà chiaro che tavolta ci sono matrimoni che sarebbe molto meglio non celebrare. Un brillante economista italiano, il professor Alberto Bagnai, ha perfino scritto un racconto: "Il romanzo di Hans Centro e di Maria Periferia", prevedendo ciò che avverrà in futuro se dovessimo insistere nel mantenere questo fidanzamento troppo a lungo, e le conseguenze sono assai cupe. Non c'è niente di male nell'amicizia, talvolta può sfociare in un matrimonio, ma il più delle volte è meglio restare solamente amici. E per l'Europa è proprio il caso.




Cominciamo dagli anni novanta: lo SME era un precursore dell'Euro, con tassi di cambio pressoché fissi. Questa situazione iniziò ben presto a generare in Italia un pesante deficit della bilancia commerciale, e il deflusso di denaro fu contrastato esattamente con gli strumenti sbagliati che stiamo utilizzando oggi: un forte aumento delle tasse (il governò tassò addirittura i depositi bancari durante la notte, prelevando una percentuale a qualsiasi Italiano avesse un saldo attivo sul suo conto corrente), un aumento dei tassi d'interesse fino al 18%, ed esattamente la stessa retorica che stiamo sentendo oggi, a proposito del disastro di un'uscita dallo SME. Come forse ricorderete, dopo che la Banca d'Italia ebbe bruciato tutte le riserve di valuta estera, alla fine l'Italia fu costretta ad abbandonare lo SME e la lira svalutò di circa il 20%.

Come potete vedere in questa tabella, l'effetto sulla bilancia commerciale fu pressoché immediato e aprì la strada all'ultimo "miracolo italiano" degli anni novanta, ossia l'ultimo periodo di crescita che l'Italia ricordi. 


Notate la bilancia commerciale dei paesi dell'Eurozona: l'Italia era in surplus, la Germania in deficit. Tutto un altro mondo. Considerate che il debito pubblico italiano non era diverso da oggi, ma non era oggetto di preoccupazione. Lo shock si rifletteva sul tasso di cambio, nessuno avrebbe pensato di vendere i titoli del debito pubblico sotto la parità. Notate anche che molte delle tremende conseguenze prefigurate in caso di uscita dallo SME, esattamente dagli stessi nomi (uno dei più rumorosi fu proprio Mario Monti) che ora mettono in guardia sulla catastrofe di un'uscita dall'Euro (crollo del sistema bancario, iperinflazione, impossibilità di comprare petrolio e materie prime) non si verificarono neanche lontanamente. L'inflazione addirittura scese dello 0,5% a confronto con l'anno precedente.

Poi venne l'Euro e l'Italia fu attirata con successo nella stessa trappola. Dopo aver bloccato di nuovo il naturale strumento di equilibrio rappresentato dal tasso di cambio variabile, il fantasma del deficit commerciale ritornò con moltiplicata potenza, e stavolta su scala europea. 
Penso che questa tabella non abbia bisogno di commenti. Si potrebbe scavare a fondo sulle ragioni del boom tedesco. E' evidente che si tratta del risultato di un'aggressiva compressione salariale che ha ampliato il gap di competitività con l'euro-periferia, i cui deficit venivano riempiti da enormi flussi di capitali investiti dall'Europa core nei paesi ormai "senza rischio di cambio". L'arrivo dei flussi di capitali ha spinto in alto l'inflazione, allargando sempre più il gap di competitività e alimentando un debito privato fuori controllo, che ha finito per schiacciare la maggior parte dei paesi dell'euro-periferia. Guardate il grafico seguente: dal 1999 al 2007 la variazione del debito privato è in rosso e quella del debito pubblico in blu, e questo è quanto per un altro dei miti di questa crisi: quello che recita "la colpa è del debito pubblico".
Cos'è andato storto? Nulla di strano, in realtà un esito diverso sarebbe stato alquanto improbabile visto che l'Eurozona violava apertamente i più basilari requisiti per un'Area Valutaria Ottimale, e alla fine l'Euro si è rivelato nient'altro che la solita trappola dell'aggancio valutario per i paesi deboli, portando al classico ciclo di Frenkel. L'aumento delle imposte in un paese già martoriato di tasse come l'Italia ha schiacciato l'economia, e il gettito aggiuntivo è finito ai creditori dell'Europa del Nord via fondo salva stati e prestiti alla Grecia e ad altri paesi della periferia. L'Italia aveva un'esposizione praticamente nulla verso il debito dei paesi periferici.

Si può capire la pericolosità della situazione se solo pensiamo che in condizioni normali uno shock in un paese fa scendere il valore della sua moneta, che così aiuta la sua economia. Nell'Eurozona siamo riusciti a costruire il mostro di un sistema che peggiora le condizioni di un'area sotto shock, facendo aumentare il costo del suo indebitamento.

Ora passiamo alle soluzioni e vediamo perché l'opzione "più Europa" viene negata dall'esempio dell'Italia.

Quasi tutti concordano che ci sono solamente tre vie per uscire da questa situazione: una rottura dell'Euro, una rapida deflazione via tagli salariali nella periferia (possibilmente accompagnata da un aumento dei prezzi in Germania), e il mantra "più Europa". Da Krugman in giù esiste un qualificato consenso sul fatto che una profonda deflazione non sarebbe realistica, né socialmente e nemmeno economicamente, a causa del peggioramento del peso del debito se il PIL dovesse crollare ancora. Diamo dunque uno sguardo a ciò che l'esempio dell'Italia ci può raccontare sull'integrazione forzata di aree economicamente differenti.

L'Italia è un caso di studio estremamente interessante sull'integrazione, perché comprende aree estremamente diverse in termini di potenza economica. Possiamo dire che la moneta unica "Lira" ha unificato un Nord Italia Tedesco, un Centro Francese e un Meridione Greco, con il vantaggio di una lingua comune. Com'è stato ottenuto l'equilibrio? Nel solo modo possibile in un'area valutaria non ottimale, cioè via importanti trasferimenti fiscali interni. Ciò significa che per poter replicare il "modello italiano" la Germania dovrebbe pagare per gli altri nello stesso modo in cui il Nord Italia fa per il resto del paese, ma anche se questa situazione fosse politicamente gestibile (ed io sospetto che non lo sia), non sarebbe affatto desiderabile, ed esattamente per via di ciò che è andato storto in Italia.

Per rendere l'idea: immaginate che la forza economica e industriale del Nord Italia sia "10" e che lo stesso valore debba essere dato ad un'ipotetica valuta del Nord, mentre il valore per il Sud è "2". La valuta "Lira" sarebbe scambiata a una media delle due aree, diciamo "6". Il risultato è che il Nord ottiene una valuta più debole rispetto alla sua forza, mentre il Sud ne ha una più forte. Le industrie del nord diventano così molto competitive ed esportano con successo sul mercato mondiale ed anche sul mercato interno, mentre nel giro di poco tempo le fabbriche del Sud chiudono e rimangono in vita solo i settori al riparo dalla competizione (turismo, cibo di qualità), non abbastanza per essere autosufficienti. Ben presto è risultato evidente che la situazione del Sud era insostenibile e che i programmi per "rilanciare" l'economia del sud drenavano soldi dal Nord, portandosi via molto del suo surplus commerciale. La pressione fiscale ha cominciato a salire in modo rapido e progressivo, mirando a colpire le industrie di successo del Nord e raccogliere risorse per finanziare le necessità di un Sud alla fame, e così l'equilibrio è stato ripristinato.


Capite il ciclo? Il Nord è competitivo grazie a una moneta debole, accumula extra profitti e questi profitti vengono drenati per pagare un Sud la cui crescita è resa impossibile da una moneta troppo forte. Posso immaginare che molte industrie tedesche vedano solo il lato competitivo delle industrie del Nord Italia, non sapendo che dall'altra parte esse sono gravate da un carico di tasse e di limitazioni, senza alcun aiuto dallo Stato, senza infrastrutture decenti, perché molto del denaro viene portato via per riaggiustare lo squilibrio interno.

Cosa è accaduto del denaro mandato al Sud? Sono stati fatti molti tentativi di creare industrie, con forti incentivi ad avviare attività commerciali, ma se non c'è un "reale" interesse economico a mantenere un impianto aperto e l'unica ragione sono i finanziamenti pubblici, il risultato è che non viene fatto nessun serio investimento, perché il flusso di denaro che arriva dallo Stato potrebbe interrompersi in qualsiasi momento, ed è stabilito anno per anno con la legge finanziaria.

In molti casi la risposta è stata semplicemente quella di creare lavoro dal nulla, con un numero sproporzionato di dipendenti pubblici. Molti analisti fanno notare situazioni ridicole, come il fatto che a quanto pare in una piccola regione come la Calabria ci sono più guardie forestali che nell'intero Canada. Lo Stato ben presto diventa il principale datore di lavoro del Sud. La sgradita conseguenza di avere un flusso costante di denaro (circa cinquanta miliardi all'anno in media, ma anche di più se si considerano i servizi) intermediato dallo Stato dal Nord al Sud, è la creazione di una rete di corruzione di politici e manager pubblici che mirano ad ottenere profitti dall'immenso potere di decidere l'allocazione delle risorse. Lo scambio di "voti per lavoro" si è radicato rapidamente nella cultura del Sud Italia nel momento in cui è diventato chiaro che non c'era alcuna realistica possibilità di competere in attività economiche "normali".

Inutile dire che anche questo difettoso equilibrio è andato in frantumi con l'Euro. Una volta che l'intero paese ha ricevuto la stessa moneta forza "10" del resto d'Europa la competitività delle industrie del Nord Italia è immediatamente crollata, ma la loro forza sarebbe stata sufficiente a mantenerle sul mercato, se non che sfortunatamente il peso dei trasferimenti fiscali interni era ancora saldamente in atto, e così per quanto la cosa sia stata mascherata per un po' di tempo da flussi di capitali in arrivo a basso costo, la debolezza alla fine le ha fatte saltare. Naturalmente se per un'economia del Sud a forza "2" la difficoltà a raggiungere la Lira a forza "6" era quasi insormontabile, la difficoltà ulteriore a raggiungere un Euro a forza "10" ha definitivamente cancellato ogni pur minima speranza di successo.

Dovrebbe essere chiaro che diventare una grande economia  Italiana non è conveniente per l'Europa, né dal punto di vista di quelli che dovrebbero pagare, né da quello di coloro che sarebbero costretti a ricevere gli aiuti. Una "mezzogiornificazione" dell'Europa è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno: è inefficiente, apre la strada alla corruzione e fomenta l'odio tra i popoli, i quali vedranno solo il loro denaro portato via senza poter afferrare l'intero quadro della situazione. L'unica via di uscita realistica è quella di stabilire delle aree valutarie conformate meglio, dove le economie siano libere di salire o scendere in base alle loro forze, e non per un sistema dirigistico di trasferimenti interni. Dividere l'area Euro in due potrebbe essere il primo passo verso una più profonda amicizia futura tra gli Europei, senza cadere nell'abisso di odio che spesso si crea in un matrimonio fallimentare.

Per concessione di Voci Dall'Estero
Fonte: http://european-solidarity.eu/ClaudioBorghiAquilini.pdf

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