Ci si chiede chi sarà a prendere le direttive censorie dalla UE o é il contrario?
Maurizio Blondet 17 Novembre 2025
L’ultimo progetto di Ursula von der Leyen, lo “Scudo democratico”, rappresenta una pericolosa escalation nella costruzione da parte dell’UE di una macchina di censura a livello continentale. Questi strumenti, come il Digital Services Act (DSA), pretendono di proteggere i cittadini e la democrazia da “fake news”, “disinformazione” e “interferenze straniere”.
In realtà, il loro scopo è controllare la narrazione e reprimere il dissenso in un momento in cui le élite politiche europee si trovano ad affrontare livelli senza precedenti di sfiducia pubblica, centralizzando il controllo sul flusso di informazioni e imponendo un’unica “verità” definita da Bruxelles. Non si tratta di proteggere la democrazia, ma piuttosto di proteggere l’establishment dalla democrazia stessa. Se associato ad altre iniziative, come il piano di von der Leyen di creare un apparato di intelligence sovranazionale simile alla CIA, questo indica una tendenza più ampia e profondamente inquietante alla centralizzazione del potere nelle mani della Commissione – e di von der Leyen in persona. La vera guerra alla democrazia non è condotta da Mosca o Pechino, ma da Bruxelles. Come ha affermato di recente un diplomatico dell’UE, in pieno stile orwelliano: “La libertà di parola rimane per tutti. Allo stesso tempo, però, i cittadini devono essere liberi da interferenze”.
Ma chi decide cosa costituisce “interferenza”? Chi stabilisce cosa è “vero” e cosa è “falso”? Le stesse istituzioni e gli stessi organi di informazione aziendali che si sono ripetutamente dedicati a diffondere allarmismo e disinformazione. Solo poche settimane fa, Ursula von der Leyen ha affermato che il sistema GPS del suo aereo era stato disturbato dalla Russia, un’accusa rapidamente smentita dagli analisti.
Nel frattempo, la BBC, spesso considerata un modello di integrità giornalistica, è stata recentemente sorpresa a modificare le riprese di un discorso di Donald Trump per renderlo più estremo. E che dire della copertura mediatica ininterrotta delle presunte “incursioni di droni russi” in tutta Europa a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, per le quali non è stata fornita alcuna prova?
L’UE afferma di proteggere i cittadini dalle “falsità”, ma su quale base democratica o morale la Commissione si attribuisce l’autorità di decidere cosa sia vero, soprattutto quando è chiaro che lo stesso establishment politico-mediatico dell’UE si dedica regolarmente alla disinformazione e alla propaganda? Inoltre, quando i cosiddetti fact-checker indipendenti vengono selezionati e finanziati dalla Commissione stessa, il risultato è un circolo vizioso: l’UE finanzia istituzioni che poi “verificano” e amplificano le narrazioni dell’UE stessa.
Lo Scudo Democratico, come i suoi predecessori, istituzionalizza quindi il potere di definire la realtà stessa. Non si tratta di una novità. Come ho dimostrato in diversi recenti rapporti, l’Unione Europea gestisce già un vasto apparato di propaganda e censura che abbraccia ogni livello della società civile: ONG, think tank, media e persino il mondo accademico. Il fulcro di questo sistema è una rete di programmi finanziati dall’UE – in particolare CERV (Cittadini, Uguaglianza, Diritti e Valori), Europa Creativa e l’iniziativa Jean Monnet – che collettivamente convogliano miliardi di euro in organizzazioni che sono, in teoria, “indipendenti”, ma che di fatto sono profondamente invischiate nella macchina di Bruxelles.
L’ultimo progetto di Ursula von der Leyen, lo “Scudo democratico”, rappresenta una pericolosa escalation nella costruzione da parte dell’UE di una macchina di censura a livello continentale. Questi strumenti, come il Digital Services Act (DSA), pretendono di proteggere i cittadini e la democrazia da “fake news”, “disinformazione” e “interferenze straniere”.
In realtà, il loro scopo è controllare la narrazione e reprimere il dissenso in un momento in cui le élite politiche europee si trovano ad affrontare livelli senza precedenti di sfiducia pubblica, centralizzando il controllo sul flusso di informazioni e imponendo un’unica “verità” definita da Bruxelles. Non si tratta di proteggere la democrazia, ma piuttosto di proteggere l’establishment dalla democrazia stessa. Se associato ad altre iniziative, come il piano di von der Leyen di creare un apparato di intelligence sovranazionale simile alla CIA, questo indica una tendenza più ampia e profondamente inquietante alla centralizzazione del potere nelle mani della Commissione – e di von der Leyen in persona. La vera guerra alla democrazia non è condotta da Mosca o Pechino, ma da Bruxelles. Come ha affermato di recente un diplomatico dell’UE, in pieno stile orwelliano: “La libertà di parola rimane per tutti. Allo stesso tempo, però, i cittadini devono essere liberi da interferenze”.
Ma chi decide cosa costituisce “interferenza”? Chi stabilisce cosa è “vero” e cosa è “falso”? Le stesse istituzioni e gli stessi organi di informazione aziendali che si sono ripetutamente dedicati a diffondere allarmismo e disinformazione. Solo poche settimane fa, Ursula von der Leyen ha affermato che il sistema GPS del suo aereo era stato disturbato dalla Russia, un’accusa rapidamente smentita dagli analisti.
Nel frattempo, la BBC, spesso considerata un modello di integrità giornalistica, è stata recentemente sorpresa a modificare le riprese di un discorso di Donald Trump per renderlo più estremo. E che dire della copertura mediatica ininterrotta delle presunte “incursioni di droni russi” in tutta Europa a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, per le quali non è stata fornita alcuna prova?
L’UE afferma di proteggere i cittadini dalle “falsità”, ma su quale base democratica o morale la Commissione si attribuisce l’autorità di decidere cosa sia vero, soprattutto quando è chiaro che lo stesso establishment politico-mediatico dell’UE si dedica regolarmente alla disinformazione e alla propaganda? Inoltre, quando i cosiddetti fact-checker indipendenti vengono selezionati e finanziati dalla Commissione stessa, il risultato è un circolo vizioso: l’UE finanzia istituzioni che poi “verificano” e amplificano le narrazioni dell’UE stessa.
Lo Scudo Democratico, come i suoi predecessori, istituzionalizza quindi il potere di definire la realtà stessa. Non si tratta di una novità. Come ho dimostrato in diversi recenti rapporti, l’Unione Europea gestisce già un vasto apparato di propaganda e censura che abbraccia ogni livello della società civile: ONG, think tank, media e persino il mondo accademico. Il fulcro di questo sistema è una rete di programmi finanziati dall’UE – in particolare CERV (Cittadini, Uguaglianza, Diritti e Valori), Europa Creativa e l’iniziativa Jean Monnet – che collettivamente convogliano miliardi di euro in organizzazioni che sono, in teoria, “indipendenti”, ma che di fatto sono profondamente invischiate nella macchina di Bruxelles.

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