di Gian Luigi Deiana
Si apre una nuova pagina nel percorso di Sinistra Critica Sarda. Il coordinamento sardo dell’organizzazione - riunito il 10 settembre a Ghilarza - ha deciso all’unanimità di formalizzare la scelta di una posizione politica indipendentista. Il documento costituisce il frutto e allo stesso tempo la base di un lavoro politico di analisi e di pratica che è stato condotto in questi anni e che sarà approfondito, sviluppato e articolato nei prossimi mesi.
1: PERCHE’ UNA POSIZIONE INDIPENDENTISTA. - L’assunzione di una posizione indipendentista non viene da una valutazione di fase ma si fonda sulla realtà di un processo storico e sul suo esito attuale. In particolare: prima il rapporto tra la Sardegna e il Piemonte, poi il rapporto tra la Sardegna e il regno d’Italia, poi il rapporto tra la Sardegna e la repubblica italiana e infine il rapporto tra la Sardegna e l’assetto italo-europeo del neoliberismo. In termini cronologici si tratta di quattro distinte statuizioni del rapporto coloniale: 1719-1861; 1861-1945; 1945-1991; 1991-2011. Per tutto il corso del processo, che si avvia ormai a toccare i tre secoli, il filo conduttore è stato ed è e nel caso sarà il colonialismo interno, una specie di colonialismo straccione sia per chi lo ha imposto che per chi lo ha subìto. Tuttavia questo tri-secolare cordone ombelicale con l’Italia non si è condotto da solo, si è bensì svolto e nutrito svolgendo e nutrendo insieme il rapporto di classe interno alla Sardegna: prima il privilegio feudale, poi le sotto-borghesie mediatrici del regno, poi i ceti amministrativi e dirigenti locali della repubblica, e infine gli attuali replicanti regionali del neoliberismo.
2: POSSIAMO NON DIRCI ITALIANI? - Dentro questo particolare modello di subalternità la Sardegna oltre ad avere perso ha anche guadagnato, nel senso che per questa via, nel bene e nel male, è entrata nella modernità. Ha sperimentato, anche se a singhiozzo, una stagione di riformismo piemontese che ha contribuito a generare lo spirito della rivoluzione antifeudale (1770-1800); ha maturato una capacità popolare ed intellettuale reattiva rispetto al cedimento di classe rappresentato dalla “fusione perfetta” (1848-1878); non si è lasciata penetrare dal fascismo mentre ha dato un grande contributo alla resistenza e alla costituzione (1920-1950); ha maturato in forme nuove una coscienza critica anticapitalista e anticoloniale nella fase imperialistica del neoliberismo (1970-2011). In sintesi, la società sarda ha reimparato dall’Italia quella modernità del “diritto” e quella necessità della “cultura” che essa aveva perduto con la sconfitta dei Giudicati, e che i ceti parassitari sardi avrebbero volentieri soffocato ad ogni passo. Certo questo è avvenuto in modo contorto e contraddittorio, ma si può allo stato attuale, e solo in quanto sardi, disconoscere per esempio il valore della resistenza italiana e il significato della costituzione italiana, e ripudiare il contributo dei sardi alla loro storica realizzazione? E’ rinunciabile la comune vicenda storica passata nel fuoco delle trincee, nell’emigrazione, nelle università e soprattutto nelle fabbriche e nella lotta di classe? Può non dirsi italiano il Gramsci dei Consigli operai o degli scritti del carcere? E tuttavia l’ingresso della Sardegna nella modernità, di cui siamo involontari debitori nei confronti dell’Italia, è stato certamente un ingresso prigioniero, tenuto costantemente per mano e quindi costantemente sotto bastone: e questo oggi non lo si può subire più.
3: INDIPENDENTISMO DOGMATICO ED AUTONOMISMO AMMINISTRATO. - La storia recente della Sardegna ha riproposto ad ogni generazione il tema dell’indipendenza e della sovranità, e parallelamente ha riproposto l’autonomismo e il regionalismo come sua risoluzione concreta. Il risultato è sempre stato il gemellaggio fra un indipendentismo dogmatico e un autonomismo empirico, velleitario e puro il primo e subalterno e corrotto il secondo. Il punto più tragicomico e più surreale di questa ricorrente gemellatura si produce quando essa esibisce una specie di rapporto incestuoso tra il culto dell’indipendenza pura e la pratica dell’autonomia corrotta, cosa che riguarda quasi tutta la storia del Psdaz, le prediche dell’ultimo Cossiga e praticamente tutte le varie esercitazioni di funambolismo dei presidenti dei Consigli regionali, delle segreterie regionali dei partiti ecc. Bene, per questa via è chiaro che non si va da nessuna parte. Vi è una e una sola possibile alternativa: la costruzione attuale di un indipendentismo empirico.
4: LA COSTRUZIONE DI UN INDIPENDENTISMO EMPIRICO. - Nonostante la lunga vicenda di soffocamento coloniale e di alterazione storica che i sardi hanno subìto nei secoli “italiani” l’indipendenza non è necessariamente una via obbligata: in presenza di una “radicale” lotta anticapitalistica in Italia infatti non avremmo alcuna fretta di essere necessariamente indipendenti. Tuttavia l’indipendenza diventa una via obbligata quando diventa evidente che questo vecchio stato padrone e questa sua economia degli squali non può più tornare indietro dalla sua marcia di distruzione, e cioè quando non può più fare a meno di scaricare sulla colonia storica la sua più sporca fisiologia futura: occupazione militare, produzioni inquinanti con elevatissima componente di capitale e bassissima componente di forza lavoro, colonizzazione turistica a piena devastazione ambientale ecc. La necessità strutturale della colonizzazione è drammaticamente peggiore della volontà ideologica o della opzione politica della colonizzazione: siamo quindi ad un salto di qualità rispetto al quale l’innocuo adattamento gemello di indipendentismo dogmatico e di autonomismo amministrativo cessa di essere un gioco politico e diventa un fattore di distorsione grave. Si tratta quindi di scegliere il traguardo dell’indipendenza ed insieme di segnarne analiticamente le tappe in termini empiricamente praticabili. Debito pubblico, tenuta finanziaria, beni comuni, relazioni internazionali, unione europea, sistema bancario, rating, disarmo, riconversioni, ecc. E’ un compito da giganti che probabilmente non potrà nemmeno prendere avvio al di fuori di una grande trasformazione italiana ed europea: e questo è il motivo per cui la questione dell’indipendenza sarda va comunque tenuta all’interno della lotta anticapitalista internazionale, senza limitarsi con questo ad esserne una semplice appendice.
5: L’INDIPENDENTISMO EMPIRICO E LE ORGANIZZAZIONI ANTICAPITALISTE IN ITALIA. - L’idea di depurare l’indipendentismo sardo dalla condivisione di strutture organizzative anticapitaliste italiane (ovvero il comandamento di rompere organizzativamente con i partiti “italianisti”) è come tale un’idea religiosa; ma anche la liquidazione della questione da parte delle organizzazioni antagoniste italiane come vezzo “nazionalitario” è a sua volta un pregiudizio religioso. Poiché il problema è reale (è reale nella struttura, oppure non lo è affatto) è sbagliato sia vederlo in modo abbagliante (con la conseguenza che poi non si vede il contesto che lo genera) sia vederlo dal rifugio visuale dei congressi politici italiani (con la conseguenza che poi lo riduce a birdwatching). Di conseguenza è necessario costruire un percorso attraverso il quale tutti i compagni sardi a vario titolo impegnati nelle diverse organizzazioni anticapitaliste italiane possano convergere in un’unica organizzazione anticolonialista sarda. Questa, proprio in considerazione della sua ragione “includente”, dovrebbe avere una articolazione orizzontale e quindi non gerarchizzata, una identità collettiva e non leaderistica, una pratica di movimento e non di burocrazia, una forma educativa di inchiesta e non di ideologia ecc.
6: L’INDIPENDENTISMO EMPIRICO E L’INDIPENDENTISMO STORICO. - Poiché è il movimento reale che decide del mutamento dello stato di cose presente, l’ultimo anno di conflitti in Sardegna ha chiarificato che vi sono significative esperienze di organizzazione anti-italianiste, degne anche di grande stima: è il caso soprattutto di A Manca, di Sardigna Natzione e di Irs. La scissione in Irs ha messo temporaneamente a nudo i limiti all’origine dell’orientamento assunto da questo movimento, il cui eclettismo ideologico e il cui interclassismo pratico non si sarebbero potuti affidare, all’atto del successo elettorale, ad altro che sublimazioni, personalistiche o intellettuali a seconda delle propensioni interne. Il successo politico sul referendum antinucleare non solo ha premiato Sardigna Natzione con pieno merito, ma la ha anche avvicinata positivamente al lavoro comune con le organizzazioni antagoniste in genere, e con organizzazioni antagoniste “italianiste” anche più che con organizzazioni indipendentiste “sarde”, e ha evidenziato definitivamente l’insostenibilità di fratellanze a destra in nome della “sovranità”. A Manca prosegue in un percorso radicale col quale ci siamo rapportati costruttivamente in situazioni diverse, ma che pure presenta forti connotati di a-manca-centrismo, antiitalianismo, pregiudiziale indipendentista ecc. che allo stato attuale rendono favorevoli convergenze su problemi specifici ma rendono difficile una convergenza sulla linea politica di fondo. In tutte queste organizzazioni, e ovviamente in quelle indipendentiste e nazionaliste minori, è presente una tentazione settaria che talvolta sembra costituirne persino il vero denominatore comune: la documentazione diretta presente sui blog ne è una testimonianza efficace. D'altronde va considerato il fatto che la percezione di analoghe manchevolezze è presente fondatamente anche nel giudizio che queste organizzazioni indipendentiste hanno maturato nei confronti delle varie formazioni antagoniste di matrice italiana presenti attualmente in Sardegna. La condizione speculare di questo punto pregiudiziale necessita di tutta la chiarezza e di tutta l'apertura di cui oggi si possa essere reciprocamente capaci.
7: CHE FARE ? LA PROSPETTIVA - Il primo passo (v. sopra, punto 6) è quindi quello di costruire il ragionamento partendo dal punto di avvio prodotto all’interno di Sinistra Critica Sarda e valutandolo insieme ad altri compagni per i quali il problema si pone in partenza nel medesimo modo. Non è irrealistico prospettare che da una situazione di discussione così costruita possa nascere a breve una realtà definita dotata di un minimo di massa critica e di riconoscibilità: con carattere antiliberista, anticapitalista e anticolonialista riguardo alla visione politica generale; ma anche antagonista rispetto al bipolarismo italiano e all’opportunismo di sinistra in esso presente; interna all’anticapitalismo italiano ed europeo e convergente con l’indipendentismo sardo nella prospettiva di un fronte ampio popolare e di classe. Questo soggetto politico che di fatto è già in gestazione può poi consentirsi di presentare le proprie credenziali a quelle che comunque ne sono state le organizzazioni politiche madri (Sinistra Critica, Rifondazione ecc.) e ridefinire i rapporti formali con le stesse alla luce dei risultati politici acquisiti nella fondazione e nella prospettiva.
8: LA SITUAZIONE PRESENTE - Sulla situazione politica presente pesa da molti anni la configurazione del bipolarismo italiano, che in realtà è a sua volta una protesi del bipolarismo europeo e che prevedibilmente continuerà a durare, in quanto è lo strumento istituzionale necessario al neoliberismo come macchina reale dell'organizzazione sociale. Il bipolarismo è apparentemente nei singoli stati la condizione “politica” della sovranità popolare, ma in generale e dunque sul piano europeo è la condizione “istituzionale” della sottrazione della sovranità popolare; il bipolarismo significa, costituzionalmente, che la sovranità non appartiene al popolo. La condizione italiana è in molti sensi la peggiore poiché essa presenta insieme il peggior centrodestra ed insieme il peggior centrosinistra della scena bipolare europea; questi schieramenti sono anzi talmente peggiori l'uno dell'altro che oltre a non poter far intravvedere alcun possibile contributo all'uscita dallo sprofondamento, e potendo solo reiterare la stagnazione, l'unico esito del gioco a loro appaltato sarebbe “la rovina comune di tutte le classi in lotta”, nonché l'imbarbarimento fatale delle situazioni coloniali. Per tale ragione, anche ammettendo la debolezza per la quale in situazioni contingenti si accetta di fissare un accordo politico su qualcosa (ad esempio temi referendari, campagne di interesse generale o anche lavoro comune fra i compagni) non deve essere possibile legare strutturalmente ed organicamente una organizzazione anticapitalista sarda al bipolarismo italiano, nemmeno in varianti regionali o locali di centrosinistra; come del resto non deve essere possibile legare strutturalmente e organicamente una organizzazione anticolonialista sarda alle espressioni classiste organizzate della stessa borghesia sarda (partiti, lobby, media ecc.).
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