L’isterica retorica di Netanyahu sull’Iran serve a distrarre dalla Cisgiordania
Durante l’incontro con Theresa May, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto un resoconto spaventoso sulla minaccia rappresentata da un’aggressione iraniana ad Israele e a tutti gli altri paesi. Secondo Netanyahu, l’Iran è un nemico molto più pericoloso dell’ISIS o di Al-Qaida, perché sta cercando “di distruggere Israele, sta tentando di conquistare il Medio Oriente, minaccia l’Europa, minaccia l’Occidente e minaccia il mondo”.
Anche per gli standard di Netanyahu questa retorica sembra eccessiva, ed è probabilmente motivata da un desiderio di distogliere l’attenzione dalla costruzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania. Nel giro di pochi giorni dall’inaugurazione di Donald Trump in qualità di Presidente, Israele ha annunciato la costruzione di ulteriori 2.500 unità abitative in Cisgiordania. Anche se l’amministrazione Trump ha espresso un tiepido malcontento, Israele probabilmente non incorrerà in proteste più vigorose da parte di Washington.
Netanyahu sa che i membri anziani della nuova amministrazione hanno loro stessi denunciato l’Iran con termini apocalittici simili ai suoi. Sabato scorso, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti James Mattis ha chiamato l’Iran “il singolo stato più grande sponsor del terrorismo nel mondo”, anche se ha aggiunto che non è necessario per gli Stati Uniti dispiegare forze militari aggiuntive per contrastare l’Iran. Il giorno precedente, gli Stati Uniti avevano imposto nuove sanzioni, anche se limitate, a causa del test di un missile balistico iraniano.
Le nuove costruzioni di insediamenti israeliani in Cisgiordania di solito provocano grida a livello internazionale riguardo al fatto che la prospettiva della “Soluzione dei Due Stati” per stabilire la pace tra Israele e i Palestinesi viene erosa o distrutta. Ma in realtà una tale soluzione è morta e sepolta da tempo a causa della disparità di forza politica, diplomatica e militare tra le due parti. Israele non ha alcun motivo per fare compromessi e la dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese, decrepita e autoritaria, non ha praticamente alcuna influenza o opzioni alternative a causa della sua dipendenza di lunga data dal supporto della sicurezza israeliana.
Israele e gli stati arabi Sunniti del Golfo guidati dall’Arabia Saudita sono contenti di avere un presidente più congeniale a loro alla Casa Bianca, e sono felici che Obama se ne sia andato. L’amministrazione ha adottato un tono anti-iraniano molto più bellicoso, ma è evidente che non strapperà l’accordo sul programma nucleare iraniano concordato dal presidente Obama. La politica degli Stati Uniti in Iraq e Siria è diretta principalmente all’eliminazione dell’ISIS e dei gruppi simili ad Al-Qaida, usando le forze aeree americane ed alleate a sostegno degli alleati locali sul terreno, in particolare le forze armate irachene in Iraq e i Curdi siriani in Siria.
L’influenza iraniana nella regione è in aumento semplicemente perché comanda ciò che è essenzialmente una coalizione di stati e movimenti Sciiti – Iraq, Siria ed Hezbollah in Libano – che sta vincendo la guerra in Siria in alleanza con la Russia. In Iraq, gli Stati Uniti e l’Iran hanno avuto per lungo tempo uno strano rapporto che è un misto di cooperazione e rivalità. L’assenso di Washington e Teheran è in pratica necessario prima che ci sia un nuovo primo ministro iracheno.
Sia Netanyahu che la Sig.ra May sono un po’ isolati a livello internazionale, e vogliono approfittare di una situazione più fluida a Washington sotto il Sig. Trump, ma non sanno bene che direzione prenderà. È improbabile che gli Stati Uniti facciano marcia indietro sulle loro più importanti decisioni politiche in Iraq e Siria, perché stanno funzionando bene e l’ISIS è sotto forte pressione.
Ulteriori costruzioni di insediamenti israeliani intorno a Gerusalemme e in Cisgiordania minano l’idea che la “Soluzione dei Due Stati” sia fattibile, ma questa da tempo non è niente di più che una comoda foglia di fico. Un’amministrazione più accomodante a Washington aumenterà la pressione proveniente dall’Estrema Destra all’interno di Israele affinché il paese si muova verso l’annessione di tutta la Cisgiordania o parte di essa, ma un vero cambiamento è improbabile.
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Articolo di Patrick Cockburn pubblicato su Counterpunch l’8 febbraio 2017.
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
Durante l’incontro con Theresa May, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto un resoconto spaventoso sulla minaccia rappresentata da un’aggressione iraniana ad Israele e a tutti gli altri paesi. Secondo Netanyahu, l’Iran è un nemico molto più pericoloso dell’ISIS o di Al-Qaida, perché sta cercando “di distruggere Israele, sta tentando di conquistare il Medio Oriente, minaccia l’Europa, minaccia l’Occidente e minaccia il mondo”.
Anche per gli standard di Netanyahu questa retorica sembra eccessiva, ed è probabilmente motivata da un desiderio di distogliere l’attenzione dalla costruzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania. Nel giro di pochi giorni dall’inaugurazione di Donald Trump in qualità di Presidente, Israele ha annunciato la costruzione di ulteriori 2.500 unità abitative in Cisgiordania. Anche se l’amministrazione Trump ha espresso un tiepido malcontento, Israele probabilmente non incorrerà in proteste più vigorose da parte di Washington.
Netanyahu sa che i membri anziani della nuova amministrazione hanno loro stessi denunciato l’Iran con termini apocalittici simili ai suoi. Sabato scorso, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti James Mattis ha chiamato l’Iran “il singolo stato più grande sponsor del terrorismo nel mondo”, anche se ha aggiunto che non è necessario per gli Stati Uniti dispiegare forze militari aggiuntive per contrastare l’Iran. Il giorno precedente, gli Stati Uniti avevano imposto nuove sanzioni, anche se limitate, a causa del test di un missile balistico iraniano.
Le nuove costruzioni di insediamenti israeliani in Cisgiordania di solito provocano grida a livello internazionale riguardo al fatto che la prospettiva della “Soluzione dei Due Stati” per stabilire la pace tra Israele e i Palestinesi viene erosa o distrutta. Ma in realtà una tale soluzione è morta e sepolta da tempo a causa della disparità di forza politica, diplomatica e militare tra le due parti. Israele non ha alcun motivo per fare compromessi e la dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese, decrepita e autoritaria, non ha praticamente alcuna influenza o opzioni alternative a causa della sua dipendenza di lunga data dal supporto della sicurezza israeliana.
Israele e gli stati arabi Sunniti del Golfo guidati dall’Arabia Saudita sono contenti di avere un presidente più congeniale a loro alla Casa Bianca, e sono felici che Obama se ne sia andato. L’amministrazione ha adottato un tono anti-iraniano molto più bellicoso, ma è evidente che non strapperà l’accordo sul programma nucleare iraniano concordato dal presidente Obama. La politica degli Stati Uniti in Iraq e Siria è diretta principalmente all’eliminazione dell’ISIS e dei gruppi simili ad Al-Qaida, usando le forze aeree americane ed alleate a sostegno degli alleati locali sul terreno, in particolare le forze armate irachene in Iraq e i Curdi siriani in Siria.
L’influenza iraniana nella regione è in aumento semplicemente perché comanda ciò che è essenzialmente una coalizione di stati e movimenti Sciiti – Iraq, Siria ed Hezbollah in Libano – che sta vincendo la guerra in Siria in alleanza con la Russia. In Iraq, gli Stati Uniti e l’Iran hanno avuto per lungo tempo uno strano rapporto che è un misto di cooperazione e rivalità. L’assenso di Washington e Teheran è in pratica necessario prima che ci sia un nuovo primo ministro iracheno.
Sia Netanyahu che la Sig.ra May sono un po’ isolati a livello internazionale, e vogliono approfittare di una situazione più fluida a Washington sotto il Sig. Trump, ma non sanno bene che direzione prenderà. È improbabile che gli Stati Uniti facciano marcia indietro sulle loro più importanti decisioni politiche in Iraq e Siria, perché stanno funzionando bene e l’ISIS è sotto forte pressione.
Ulteriori costruzioni di insediamenti israeliani intorno a Gerusalemme e in Cisgiordania minano l’idea che la “Soluzione dei Due Stati” sia fattibile, ma questa da tempo non è niente di più che una comoda foglia di fico. Un’amministrazione più accomodante a Washington aumenterà la pressione proveniente dall’Estrema Destra all’interno di Israele affinché il paese si muova verso l’annessione di tutta la Cisgiordania o parte di essa, ma un vero cambiamento è improbabile.
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Articolo di Patrick Cockburn pubblicato su Counterpunch l’8 febbraio 2017.
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
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