Debito e Euro: Cosa fare? Un manifesto
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Tradotto da Alba Canelli | ||
Editato da Raffaella Selmi |
La crisi
L'Europa sta sprofondando nella crisi e nel declino sociale sotto il peso dell'austerità, della recessione e della strategia delle "riforme strutturali". Questa pressione è strettamente coordinata a livello europeo, sotto la guida del governo tedesco, della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea. E’ ormai chiaro agli occhi di tutti che si tratta di politiche assurde , da "analfabeti": l'austerità fiscale non riduce il peso del debito, ma genera una spirale recessiva, aumento della disoccupazione, e semina disperazione tra i popoli europei.
Eppure, queste politiche sono giustificate dal punto di vista delle classi ricche. Si tratta di unmodo brutale - una terapia d'urto - per ripristinare i profitti, per garantire le rendite finanziarie, e attuare controriforme neoliberali. Quello che sta succedendo fondamentalmente è che gli Statistanno convalidando le pretese delle autorità finanziarie sulla futura produzione di ricchezza degli Stati (PIL). Per questo la crisi prende la forma di una crisi del debito sovrano.
Il falso dilemma
Questa crisi dimostra che il progetto neoliberale in Europa non era sostenibile: presupponeva che le economie europee fossero più omogenee di quanto non siano in realtà. Esso presupponeva che le economie europee fossero più omogenee di quanto non lo siano in realtà. Le differenze fra i paesi sono andate mano a man aumentando con l’ingresso nel mercato mondiale e l’esposizione alle fluttuazioni dell’euro. I tassi d’inflazione disomogenei e i tassi d’interesse non sufficientemente remunerativi hanno favorito le bolle finanziarie e immobiliari e intensificato i flussi di capitale tra paesi. Tutte queste contraddizioni, aggravate dall'introduzione dell'unione monetaria, già presenti prima, sono esplose con gli attacchi speculativi ai debiti sovrani dei paesi più esposti.
Le alternative progressiste a questa crisi passano per una profonda rifondazione dell’Europa: è indispensabile a livello europeo la collaborazione, ma anche a livello internazionale, per la ristrutturazione industriale, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo dell’occupazione. Una simile trasformazione sembra fuori portata negli attuali equilibri politici, e perciò l'uscita dall'euro viene presentata in diversi paesi come la soluzione immediata. Il dilemma sembra essere tra una uscita rischiosa dalla zona euro e un ipotetica armonizzazione europea che dovrebbe emergere dalle lotte sociali. Si tratta a nostro avviso di una falsa dicotomia: è necessario elaborare una strategia politica praticabile di confronto immediato.
Qualsiasi trasformazione sociale implica la messa in discussione degli interessi sociali dominanti, dei loro privilegi e del loro potere, ed è vero che questo confronto si svolge principalmente in un quadro nazionale. Ma la resistenza delle classi dominanti e le misure di ritorsione cui sono in grado di ricorrere vanno al di là dei confini nazionali. La strategia di uscita dall’euro non contempla a sufficienza la necessità di un’alternativa europea, ed è per questo che occorre disporre di una strategia di rottura con l’“euro-liberismo” che consenta di fare emergere gli strumenti per un’altra politica. Non tratteremo qui del programma, ma dei suoi mezzi d’attuazione.
Che cosa dovrebbe fare un governo di sinistra?
Siamo immersi in quella che può essere tecnicamente definirsi "crisi di bilancio". Questa crisi, che si protrae grazie al gioco combinato del “disindebitamento” del settore privato e delle politiche di austerità di bilancio, ha la sua origine nella passata accumulazione di attivi fittizi, non corrispondenti ad una crescita economica reale. In termini pratici, questo significa che i cittadini devono ora pagare il debito, quindi legittimando i prelievi della finanza sulla produzione e le entrate fiscali presenti e future. Gli Stati europei, con un’operazione rigorosamente coordinata a livello europeo – e mondiale – hanno deciso di nazionalizzare i debiti privati trasformandoli in debito sovrano e di imporre politiche di austerità e di trasferimento di capitali per pagarlo. Con questo pretesto vengono messe in atto le "riforme strutturali", tipiche di un’economia neoliberale: riduzione dei servizi pubblici e del Welfare, tagli delle spese sociali e flessibilizzazione dei mercati del lavoro, per ridurre i salari diretti e indiretti.
Una strategia politica di sinistra dovrebbe concentrarsi, secondo noi, sulla conquista di una maggioranza favorevole a un governo di sinistra in grado di spazzare via tutte queste imposizioni.
Liberarsi della presa dei mercati finanziari e controllare il deficit. Nel breve termine, uno dei primi passi di un governo di sinistra dovrebbe essere quello di trovare il modo di finanziare il deficit, in autonomia dai mercati finanziari.Questo è vietato dai regolamenti europei ed è invece la prima rottura da mettere in atto. Esiste un’ampia gamma di misure possibili, che non sono nuove e che sono state utilizzate in passato in diversi paesi europei: un prestito forzoso sui risparmi più consistenti, il divieto per i non residenti di concedere prestiti , l’obbligo per le banche di detenere una quota di obbligazioni pubbliche, una tassa sui trasferimenti internazionali di dividendi e sulle operazioni in conto capitale, ecc., e naturalmente una riforma fiscale radicale. Il modo più semplice sarebbe che la banca centrale nazionale finanziasse il deficit pubblico, come avviene negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Giappone, ecc. Sarebbe possibile creare un’apposita banca autorizzata a rifinanziarsi presso la Banca centrale, ma che avrebbe come principale funzione quella di acquistare obbligazioni pubbliche (ed quello che la BCE ha già fatto nella pratica).
Naturalmente, il problema non è una questione tecnica, in realtà si tratta di una rottura politica dell'ordinamento europeo. Senza questa rottura, ogni mossa politica suscettibile di non “tranquillizzare i mercati finanziari” verrebbe immediatamente contrastata attraverso l’aumento del costo del finanziamento del debito pubblico.
Liberarsi dai mercati finanziari e ristrutturare il debito
Questa prima serie di misure immediate non è sufficiente a ridurre il peso del debito e degli interessi accumulati. L'alternativa è la seguente: o un'austerità di bilancio eterna oppure una moratoria immediata sul debito pubblico seguita dalle misure di annullamento del debito. Un governo di sinistra dovrebbe dire: "Non possiamo pagare il debito sforbiciando salari e pensioni, e ci rifiutiamo di farlo". Avviata la moratoria, occorrerebbe organizzare un audit dei cittadini per individuare il debito illegittimo, che in genere si riferisce a quattro elementi:
- i"regali fiscali" concessi in passato alle famiglie più ricche, alle imprese e ai detentori di rendite,
- i privilegi fiscali “illegali”: evasione fiscale, paradisi fiscali e amnistie,
- i piani di salvataggio messi in atto dalle banche da quando è esplosa la crisi,
- il debito generato dal debito stesso, per l’effetto valanga dovuto alla differenza tra il tasso d’interesse pagato per rimborsarlo e i tassi di crescita del PIL, erosi invece dalle politiche di austerità e dalla disoccupazione.
L’audit apre la strada a una negoziazione forzosa dei titoli del debito che consentirebbe di annullarne gran parte. Questa è la seconda rottura.
Ma i debiti sovrani sono anche indissolubilmente legati al bilancio delle banche private; perciò il salvataggio di un paese è in realtà un piano per salvare le banche. È necessaria una terza rottura rispetto all’ordinamento neoliberista, e questa passa per il controllo dei movimenti internazionali di capitali, il controllo del credito e l’appropriazione collettiva delle banche. È il solo modo razionale per districare il groviglio di debiti. Dopo tutto, questa è stata la scelta decisa in Svezia negli anni ’90 (anche se poi le banche sono state riprivatizzate).
Riassumendo, l’apertura di una strada alternativa richiede un insieme coerente di tre rotture:
- il finanziamento dei titoli del debito sovrano, passato e futuro,
- l'annullamento del debito illegittimo,
- la socializzazione (gestione collettiva, N.d.T.) delle banche per il controllo del credito.
Questi sono gli stumenti per una reale trasformazione sociale. Come attuarla?
E' necessario un governo di sinistra
Questi tre punti di rottura, indispensabili per resistere al ricatto finanziario, non possono essere attuate che da un governo di sinistra. Nonostante la diversità delle condizioni sociali e politiche da paese a paese, l’intera Europa si è concentrata nell’estate 2012 sull’eventualità che Syriza potesse vincere le elezioni e costituire l’asse di questo governo in Grecia. Da allora, la campagna di Syriza verte sui temi essenziali che sosteniamo in questo Manifesto: un governo di sinistra costituisce un'alleanza per denunciare il memorandum della Troika e ristrutturare il debito in moda da salvare il potere d’acquisto dei salari, le pensioni, la spesa per la sanità , l’istruzione e la sicurezza sociale. Il nostro approccio è in sintonia con quello di Syriza: «Niente sacrifici pro l’euro».
Uscire dall'euro non significa finirla con l’“euro-liberismo”
È evidente che un governo di sinistra che adotti misure di questa portata deve essere deciso ad applicare un programma socialista e disporre di un largo sostegno popolare. E questo lo otterrà solo ponendo, come obiettivi prioritari, la lotta contro gli interessi della finanza, la ricostruzione di un’economia di piena occupazione e la gestione collettiva dei beni comuni. Questa è la sola alternativa possibile: se lo scopo è l’annullamento del debito, non ci si deve allontanare da questo obiettivo. La coerenza e la chiarezza politica sono le condizioni per vincere – e per meritare di vincere. La prima misura di un governo di sinistra deve perciò essere la lotta contro il debito e l’austerità.
Affinché questa politica "contro" sia efficace, un governo di sinistra deve basarsi su un ampio sostegno popolare ed essere disposto a utilizzare tutti gli strumenti democratici necessari per far fronte alla pressione degli interessi finanziari, incluse misure di nazionalizzazione dei settori strategici, e a uno scontro diretto con il governo Merkel, la BCE e la Commissione Europea. La battaglia per la difesa della democrazia e delle conquiste sociali deve superare i confini nazionali. Ma se la politica di Bruxelles si oppone, si dovrà operare nell’ambito dell’assetto nazionale esistente. Niente tabù sull’euro ,non si dovrebbe escludere nessuna ipotesi, compresa quella dell’abbandono della moneta unica, e questa dovrebbe essere l’ ultima possibilità se nessun’altra soluzione fosse praticabile nel quadro europeo, o se le autorità europee vi costringessero un paese.
Un governo di sinistra non potrebbe negare le conseguenze dell’uscita dall’eurozona. Innanzitutto il fatto che questo non comporterebbe senz’altro il recupero della sovranità democratica: il finanziamento del debito pubblico sfuggirebbe al controllo dei mercati finanziari, ma la pressione rimarrebbe esercitabile con manovre speculative sulla la nuova/vecchia moneta del paese in deficit di bilancio.
D'altronde, l'onere del debito non sarebbe ridotto. Al contrario aumenterebbe in proporzione al tasso di svalutazione, in quanto il debito è denominato in euro. In queste condizioni, il governo sarebbe costretto a convertire il debito pubblico nella nuova valuta, il che equivarrebbe ad un parziale annullamento: rientra nei poteri di uno Stato assumere una decisione del genere, ma bisogna mettere in conto l’ipotesi un conflitto con gli altri Stati. Poiché le imprese private e le banche non dispongono dello stesso potere sovrano il valore dei debiti privati e finanziari espressi nella moneta nazionale aumenterebbe. In questo contesto, la nazionalizzazione delle banche sarebbe in ultima analisi necessaria per evitare il fallimento di tutto il settore del credito, ed il conseguente ulteriore aumento del debito nei confronti della finanza pubblica internazionale.
Inoltre, la svalutazione della nuova moneta scatenerebbe un processo inflazionistico che porterebbe all’aumento dei tassi d’interesse e all’aggravarsi dell'onere del debito e delle disuguaglianze dei redditi. Infine, l’uscita dall’euro viene in genere presentata come una strategia tendente a conquistare parti di mercato grazie a una svalutazione concorrenziale. Questo tipo d’approccio non rompe con la logica della concorrenza di "tutti contro tutti" e gira le spalle a una strategia di lotta europea comune contro l’austerità.
In ultima analisi un governo di sinistra che non stabilisse come priorità l’uscita dall’euro e dall’UE avrebbe più margini di manovra e rafforzerebbe il potere di negoziazione ampliando la base di consenso all’interno dei paesi membri. Si tratta dunque di una strategia progressista e internazionalista, contrapposta a una strategia isolazionistica e nazionale.
Una politica unilaterale di rottura e di solidarietà
Le soluzioni progressiste si contrappongono al progetto neoliberista di “tutti contro di tutti”. La base, fondamentale, di cooperazione le rende tanto più efficaci quanto più sono le nazioni coinvolte. Ad esempio, una riduzione estesa ed uniforme dell’orario di lavoro e un’imposta uniforme sui redditi da capitale, non avrebbe l’effetto boomerang che si produce quando è un singolo stato ad adottarle. Per aprire questa strada di collaborazione, un governo di sinistra dovrebbe adottare unilateralmente una serie di misure:
- Le “buone” misure vengono attuate unilateralmente come, ad esempio, il rifiuto dell'austerità o la tassazione delle transazioni finanziarie.
- Esse sono accompagnate da misure protezionistiche, come ad esempio un controllo dei capitali.
- L'attuazione unilaterale di politiche in conflitto con le regole europee è un rischio politico calcolato. Il beneficio sta in una logica di estensione, perché misure come il rilancio del budget o la tassa sulle transazioni finanziarie vengano adottate da altri Stati membri.
Tuttavia, lo scontro politico con l’UE e con le classi dirigenti di altri Stati europei, soprattutto il governo tedesco, è inevitabile e la minaccia di uscita dall’euro non va esclusa a priori dalle possibili opzioni.
Per questa politica alternativa la scelta di un mercato unico europeo non è indispensabile. Le eventuali misure di ritorsione contro un governo di sinistra vanno neutralizzate con contromisure, che effettivamente implicano il ricorso a dispositivi protezionistici. Ma l’orientamento non è protezionista nella comune accezione del termine, in quanto si protegge un processo di trasformazione sociale portato avanti dal popolo e non si proteggono gli interessi dei capitali nazionali nella loro concorrenza con altri capitali. Si tratta, dunque, di un “protezionismo d’estensione”, chiamato a scomparire una volta generalizzate attraverso l’Europa le misure sociali per l’occupazione e contro l’austerità.
La politica di rottura non è dunque un assioma, è legittimata da misure giuste ed efficaci, che rispecchiano gli interessi della maggioranza e che perciò hanno vocazione ad essere estese ai paesi vicini. Solo così può avvenire quella mobilitazione sociale che, attraversando tutti i paesi, è in grado di ribaltare i rapporti di forza e di mettere in discussione le istituzioni dell’UE. La recente esperienza dei piani di salvataggio neoliberisti elaborati dalla BCE e dalla Commissione europea mostra come alcune disposizioni dei trattati dell’UE siano facili da aggirare , e come le autorità europee non abbiano ,purtroppo, esitato a farlo. Perciò rivendichiamo il diritto di adottare misure etiche, come il controllo dei capitali e l’introduzione di meccanismi di tutela del potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Ancora una volta, l’uscita dall’euro è una minaccia o un’arma di ultima istanza.
La legittimità di questa politica progressista sta nel concetto di classe a fondamento di un nuovo modello di Comunità: un bilancio europeo allargato, alimentato da una tassa comune sul capitale, che finanzia fondi di armonizzazione e investimenti socialmente ed ecologicamente utili. Ma non ci aspettiamo che un cambiamento simile avvenga da solo, e mettiamo all’ordine del giorno la lotta immediata contro il debito e contro l’austerità, la difesa dei salari e delle pensioni, delle politiche sociali e dei servizi pubblici. È questo il nostro orientamento strategico per un governo di sinistra.
Firmatari
Κύπρος: Stavros Tombazos
Britain: Giorgos Galanis, Özlem Onaran
Estado español: Daniel Albarracín, Nacho Álvarez, Bibiana Medialdea, Manolo Garí, Antonio Sanabria, Jorge Fonseca, Teresa Pérez del Río, Lidia Rekagorri Villar (Euskal Herria), Jérôme Duval, Andreu Tobarra, Ander Gorroño Bidaguren (Euskal Herria), Jorge Alaminosder Gorroño Bidaguren (Euskal Herria), Jorge Alaminos, Pedro A. García.
Portugal: Francisco Louçã, Mariana Mortagua
France: Gilles Orzoni, Jacques Rigaudiat, Philippe Zarifian, Gilles Raveaud, Jacques Cossart, Nicolas Béniès, Marc Bousseyrol, Mathieu Montalban, Samy Johsua, Catherine Samary, Dany Lang, Bruno Théret, Claude Calame, Jean-Marie Harribey, Ozgur Gun, Patrick Saurin, Antoine Math, Pierre Khalfa, Marc Mangenot, Jean Gadrey, Mireille Bruyère, Henri Philipson, Pierre Bitoun, Pierre Khalfa, Bernard Guibert, Robert Kissous, Guillaume Etievant, Jean-Marie Roux, Jakes Bortayrou (Paesi Baschi), Thomas Coutrot, Philippe Légé, Olivier Lorillu, Boris Bilia, Christiane Marty, Bertrand Rothé, Philippe Enclos, Xavier Girard, Gérard Streletski, Christophe Pébarthe, Pierre Cours-Salies, Yvette Krolikowski, Céline Martin, Michel Bréhier, Yann Merlevede, Dany Lang, Chantal Frattaruolo, Yves Chassin, Martial Picot, Gustave Massiah, Catherine Harmant, Christian ZanneMichel Bréhier, Yann Merlevede, Dany Lang, Chantal Frattaruolo, Yves Chassin, Martial Picot, Gustave Massiah, Catherine Harmant, Christian Zanne, Antoine Cantais, Geneviève Morenas, Jean-Michel Hérisson, Jean-Claude Salomon, Julien Sardou , Stephen Bouquin.
Belgique: Eric Toussaint, Pierre Vermeire, Gunter Breugelmans, Maurice Cramers, Filip De Bodt, Eric Goeman, Herman Michiel, Georges Spriet, Daniel Tanuro, Thomas Weyts, Helena Van der Vorst, David Dessers.
Sverige: Rodolfo Garcia, Örjan Appelqvist
Nederland: Willem Bos, Corrie van Willegen
Suisse: Jean Batou, Pierre Vanek, Juan Tortosa
Britain: Giorgos Galanis, Özlem Onaran
Estado español: Daniel Albarracín, Nacho Álvarez, Bibiana Medialdea, Manolo Garí, Antonio Sanabria, Jorge Fonseca, Teresa Pérez del Río, Lidia Rekagorri Villar (Euskal Herria), Jérôme Duval, Andreu Tobarra, Ander Gorroño Bidaguren (Euskal Herria), Jorge Alaminosder Gorroño Bidaguren (Euskal Herria), Jorge Alaminos, Pedro A. García.
Portugal: Francisco Louçã, Mariana Mortagua
France: Gilles Orzoni, Jacques Rigaudiat, Philippe Zarifian, Gilles Raveaud, Jacques Cossart, Nicolas Béniès, Marc Bousseyrol, Mathieu Montalban, Samy Johsua, Catherine Samary, Dany Lang, Bruno Théret, Claude Calame, Jean-Marie Harribey, Ozgur Gun, Patrick Saurin, Antoine Math, Pierre Khalfa, Marc Mangenot, Jean Gadrey, Mireille Bruyère, Henri Philipson, Pierre Bitoun, Pierre Khalfa, Bernard Guibert, Robert Kissous, Guillaume Etievant, Jean-Marie Roux, Jakes Bortayrou (Paesi Baschi), Thomas Coutrot, Philippe Légé, Olivier Lorillu, Boris Bilia, Christiane Marty, Bertrand Rothé, Philippe Enclos, Xavier Girard, Gérard Streletski, Christophe Pébarthe, Pierre Cours-Salies, Yvette Krolikowski, Céline Martin, Michel Bréhier, Yann Merlevede, Dany Lang, Chantal Frattaruolo, Yves Chassin, Martial Picot, Gustave Massiah, Catherine Harmant, Christian ZanneMichel Bréhier, Yann Merlevede, Dany Lang, Chantal Frattaruolo, Yves Chassin, Martial Picot, Gustave Massiah, Catherine Harmant, Christian Zanne, Antoine Cantais, Geneviève Morenas, Jean-Michel Hérisson, Jean-Claude Salomon, Julien Sardou , Stephen Bouquin.
Belgique: Eric Toussaint, Pierre Vermeire, Gunter Breugelmans, Maurice Cramers, Filip De Bodt, Eric Goeman, Herman Michiel, Georges Spriet, Daniel Tanuro, Thomas Weyts, Helena Van der Vorst, David Dessers.
Sverige: Rodolfo Garcia, Örjan Appelqvist
Nederland: Willem Bos, Corrie van Willegen
Suisse: Jean Batou, Pierre Vanek, Juan Tortosa
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