La porta di Palazzo Chigi si aprì e non entrò nessuno: era Giuseppe Conte. Così – parafrasando Fortebraccio – si potrebbe sintetizzare la narrazione dei media sull’arrivo alla presidenza del Consiglio dell’attuale premier.
È letteralmente balzato fuori dall’anonimato, da un giorno all’altro, come un coniglio dal cilindro del mago, senza aver fatto nulla che potesse caratterizzarlo in qualche modo (come docente universitario era poco conosciuto perfino a Firenze dove insegnava).
Essendo stato scelto proprio per una neutra mediazione fra M5S e Lega, sembrava un uomo senza passato, senza idee e senza identità. Ma non senza qualità. Perché – bisogna riconoscerlo – nessuno aveva capito il personaggio e quello che avrebbe fatto. Era stato del tutto sottovalutato.
Per alcuni mesi infatti è stato rappresentato (e pure spernacchiato) come il vaso di coccio fra i due vasi di ferro (Salvini e Di Maio), come l’incolore riempitivo dell’esecutivo gialloverde. Come lo zero che – nella previsione del deficit del DEF, quella approvata dalla UE – si è frapposto fra il 2 e il 4. Una specie di lubrificante, destinato solo a diminuire gli attriti.
CONTE ZIO
Era il perfetto “Conte Zio”dei “Promessi sposi”, come aveva acutamente intuito Marcello Veneziani. E infatti si adattava perfettamente alla sua attività di premier, la descrizione manzoniana di quel personaggio: “Sopire, troncare, troncare, sopire” perché “quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagatella, e vanno avanti, vanno avanti…”.
A confronto delle dichiarazioni dirompenti dei due vicepremier, il Conte Zio praticava – per riprendere il Manzoni – “un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare”.
Nella compagine governativa gialloverde, dava l’impressione di essere – ricorro ancora ai Promessi sposi – “come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega”.
ZIO PEPPINO
Si era autodefinito “Avvocato del popolo”, ma questa bellicosa espressione di sapore rivoluzionario era immediatamente neutralizzata dalla sua antropologia forlaniana.
In effetti la sua bonomia democristiana, la mitezza, l’eleganza, la gentilezza dei modi sono parsi molto rassicuranti e lo hanno fatto crescere sempre più negli indici di popolarità.
Quello che doveva essere l’Avvocato del popolo è diventato lo Zio degli italiani. Zio Peppino, l’affabile zio avvocato che fa sempre comodo in famiglia.
Tuttavia, pian piano, si è creato uno spazio politico rilevantissimo perché il momento storico vede la contrapposizione fra il governo e le élite (l’establishment).
Così la mediazione da metodo è diventata Conte-nuto ed è emersa la cifra democristiana del premier. O meglio (ribadisco): forlaniana. Il coniglio uscito dal cilindro è diventato un “coniglio mannaro”.
Fu appunto Arnaldo Forlani, valente leader dc, a vedersi affibbiata per primo, da Gianfranco Piazzesi, questa definizione bacchelliana – tratta dal “Mulino del Po” – che allude all’astuzia politica e alle capacità che possono celarsi dentro un carattere mite.
LA SVOLTA
La trasformazione di Conte, da Peppiniello nostro a statista forlaniano, si è appalesata nella drammatica trattativa con la Commissione europea sul DEF che ha condotto in prima persona e che al tempo stesso gli ha permesso di conseguire un successo storico(dal momento che tutti prospettavano uno scontro dirompente fra Roma e Bruxelles) e di accreditarsi – presso la nomenklatura della Ue– come l’unico vero interlocutore del governo italiano.
L’operazione gli ha permesso anche di guadagnarsi definitivamente la fiducia del presidente Mattarella.
Conte – che si è costruita una sua tela di rapporti personali a livello internazionale, in particolare con Trump e la Merkel– si è fatto ricevere in udienza privata pure da Papa Francesco, il 15 dicembre, probabilmente esibendo non solo la sua fede cattolica (cosa che a Bergoglio interessa molto relativamente), ma soprattutto la sua provenienza giovanile da quella “Villa Nazareth”che è stata il punto d’incontro della potente corrente cattoprogressista vaticana e anche di “cattolici democratici” come Prodi, Scalfaro, Scoppola, Leopoldo Elia e lo stesso Mattarella (da lì viene anche l’attuale Segretario di Stato vaticano, Parolin).
L’ANTI SALVINI
Cosa si siano detti Conte e Bergoglio in quel colloquio non è dato sapere. Fatto sta che a pochi giorni di distanza, il presidente del Consiglio – sul caso dei 49 migranti, che tanto interessava al papa – ha preso la clamorosa posizione che sappiamo, pubblicamente contrapposta a Matteo Salvini: “se non li faremo sbarcare li vado a prendere io con l’aereo”.
Poi si è addirittura intestato la “soluzione” di questo caso (la ripartizione dei migranti), ancora una volta in accordo con la UE.
D’improvviso si è materializzato un Conte imprevisto, un vero “anti Salvini”, capace di batterlo sul terreno dove il vicepremier da sempre trionfa (quello dell’emigrazione).
Era inevitabile che in questa veste Conte raccogliesse simpatie a Sinistra.
Di sicuro ha catalizzato l’interesse degli ambienti catto-vaticani in cerca di rappresentanza nella crociata migrazionista anti-Salvini.
A questo punto d’improvviso tutti si sono accorti che Conte da comparsa era diventato un protagonista. Con quali prospettive? Il suo passato sembrava incolore. Ma lo era davvero?
PRODIANO/RENZIANO
L’antica collaborazione col suo famoso maestro Guido Alpa non lo caratterizzava politicamente. Gli erano state attribuite, per il passato prossimo, vaghe simpatie renziane e un’amicizia con la Boschi, ma anche questo non sembrava una cosa significativa.
Poi lui stesso ha rivelato di aver “votato per l’Ulivo di Prodi e Pd fino al 2013”.
E Renzi ha sarcasticamente fatto sapere: “Conte me lo ricordo, quando ci mandava i messaggini tutto contento e entusiasta delle riforme che facevamo, della Buona Scuola, del referendum…”.
In sostanza, quel Conte che sembrava senza identità, si rivela invece il classico moderato, catto-progressista, di area PD, che probabilmente non era proprio del tutto sconosciuto – anche al Quirinale – quando Mattarella gli ha dato l’incarico di formare il nuovo governo.
Certo, il fatto che per la guida del loro primo governo i “rivoluzionari” grillini abbiano scelto un democristiano, di area Pd, strappa più di un sorriso. Ma la cosa non va letta con ironia. E’ un fatto emblematico che spiega molte cose.
Renzi, dopo aver ricordato quei precedenti di Conte, lo ha polemicamente pizzicato aggiungendo: “A suo tempo, nel 2015, aveva tutta un’altra posizione sullo sforzo riformatore del Governo Renzi. È legittimo cambiare idea, specie se ti offrono incarichi importanti. Io penso che le idee valgano più delle poltrone”.
Ma siamo proprio sicuri che il Conte prodian-renziano abbia avuto un’improvvisa folgorazione grillina sulla via (non di Damasco, ma) di Palazzo Chigi?
E se – diversamente da quanto pensa Renzi – Conte in realtà rappresentasse proprio una soluzione “istituzionale”per disinnescare e, alla fine, “normalizzazione” il M5S?
Fabio Martini, sulla “Stampa”, ha scritto che Mattarella “probabilmente avrebbe gradito che il Pd entrasse a far parte di una maggioranza incardinata sui Cinque Stelle con Conte premier”.
A quel tempo fu proprio Renzi a mettersi di traverso. Ma se con i nuovi assetti del Pd, ridimensionato Renzi, per una crisi dell’attuale governo si ripresentasse questo scenario, non sarebbe proprio Conte il più adatto ad assumere la guida di un nuovo esecutivo M5S-PD, benedetto da Mattarella, da Bergoglio e dalla UE?
Non è detto che ciò accada. Ma le prospettive politiche che si aprono davanti a Conte sono anche altre. E lo potrebbero “consacrare” definitivamente come il vero anti-Salvini.
Come il Prodi del XXI secolo. I conti in Italia non tornano mai, ma Conte sì, tornerà.
Antonio Socci
Da “Libero”, 13 gennaio 2019
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