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lunedì 14 ottobre 2024

IL GIALLO DELLA CONVERSIONE DI ANTONIO GRAMSCI E IL MURO DI SILENZIO

antoniosocci

In questi mesi Antonio Gramsci – molto studiato anche all’estero – è stato evocato spesso nel dibattito pubblico italiano. Eppure sembra che persista un argomento tabù: la sua (controversa) conversione. 

C’è qualche storico controcorrente come Luigi Nieddu che, indagando i tanti misteri dei suoi ultimi due anni e della sua morte, ne ha parlato, nel 2014, nel suo libro L’ombra di Mosca sulla tomba di Gramsci (Le Lettere), ma fra gli storici di area l’ipotesi è liquidata drasticamente.

Un esempio recente. Lo storico Angelo d’Orsi ha pubblicato, con Feltrinelli, Gramsci. La biografia e alla fine del suo libro racconta gli ultimi tre giorni del leader comunista.

lunedì 19 febbraio 2024

UN UOMO VERO

Fonte

Fra le tante suggestive letture che possono accompagnare questa Quaresima, c’è un libro delle Edizioni Ares davvero sorprendente: Nell’orto degli ulivi. Expositio Passionis Domini (1534-1535), scritta da quel gigante che fu Tommaso Moro.


Di questo statista, Lord Cancelliere d’Inghilterra fra il 1529 e il 1532, grande umanista, brillante scrittore, dotato di proverbiale humour, padre e marito amorevole, maestro di liberalismo, di carità e umanità verso tutti, infine eroico martire della libertà di coscienza (di cui è stato testimone straordinario) e santo (proclamato dalla Chiesa), abbiamo un ritratto firmato dal famoso Erasmo da Rotterdam che era suo grande amico:“Il volto corrisponde al carattere: aperto alla simpatia, all’amicizia e a un sorriso lievemente motteggiatore; perché, a dir il vero, egli è più portato alla giocosità che a un contegno grave e sereno (…). Ha una tale carica di simpatia e gaiezza, che vicino a lui si rasserenano anche i più malinconici”.

Com’è noto, Moro – che Giovanni Paolo II ha proclamato patrono dei governanti e dei politici cattolici – fu condannato a morte (insieme al vescovo Fisher) e decapitato perché si rifiutò di approvare l’Atto di Supremazia del re Enrico VIII sulla Chiesa d’Inghilterra, che dava inizio allo scisma anglicano e all’assolutismo (tradendo la Magna Charta, come fece notare More, e imponendo il potere totalitario del Re su tutto).

mercoledì 24 maggio 2023

IL CAPOLAVORO CHE IL SALONE DEL LIBRO HA DIMENTICATO: I 50 ANNI DI “ARCIPELAGO GULAG” DI SOLZENICYN:

Se c’è un libro che ha cambiato la storia, nella nostra generazione, è sicuramente “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solzenicyn. Non a caso Raymond Aron definiva lo scrittore-dissidente russo – morto 15 anni fa – “l’homme du siècle”. La sua opera monumentale sull’immane macello del comunismo sovietico (e sulla menzogna dell’ideologia marxista dilagante nel mondo), fu pubblicata esattamente cinquant’anni fa, nel 1973.

Era auspicabile perciò che il Salone del libro 2023 – che si sta svolgendo a Torino in questi giorni – dedicasse all’opera di Solzenicyn una celebrazione adeguata. Ma nel programma non si trova nulla su “Arcipelago Gulag”. Peccato. Sarebbe stata finalmente un’occasione di riflessione per il mondo intellettuale italiano e anche un risarcimento postumo per Solzenicyn.

domenica 24 luglio 2022

IL SUICIDIO POLITICO DEL GOVERNO DRAGHI



Il caos in cui Governo e Parlamento si sono ritrovati nelle ultime ore obiettivamente deriva dagli errori di Mario Draghi che è andato incontro a una disfatta: si può essere abili banchieri, ma non si è automaticamente degli statisti. Le sue sgrammaticature politiche sono state palesi e clamorose.

Anzitutto le dimissioni di giovedì scorso. Il Parlamento gli aveva dato la fiducia (ampia), ma il premier è andato a dimettersi per “il venir meno della maggioranza di unità nazionale”. Cosa era accaduto? Il M5S non aveva partecipato al voto sulla fiducia. La maggioranza c’era lo stesso, ma Draghi ha affermato che lui non intendeva guidare il governo se non c’era, a sostenerlo, la stessa coalizione con cui è nato.

lunedì 15 novembre 2021

Antonio Socci: SE ABBIAMO AVUTO 75 ANNI DI PACE GRAZIE ALLA UE LA TERRA E’ PIATTA…



Antonio Socci

POST-VERITA’

“Le immagini raccontano l’Europa” è un libro di Romano Prodi in cui le foto illustrano la storia dal 1945 ad oggi.

“Repubblica” (9/11) anticipa il testo dell’ex presidente della Commissione europea. La sua narrazione ovviamente gronda retorica e confonde indebitamente la UE con l’Europa.

Inoltre l’autore rivendica “le nostre radici” che “si fondano prima nel mondo greco-romano e, successivamente, nel cristianesimo”. Secondo Prodi furono “queste nostre radici” a permettere “la nascita delle grandi università” che hanno prodotto “un primato intellettuale e scientifico”da cui “nello stesso tempo” è germogliata “un’identità che possiamo davvero chiamare europea”.

Viene da chiedersi perché si possa orgogliosamente rivendicare un’“identità europea”, mentre sembra disdicevole parlare – per esempio – di identità italiana (è ritenuto “sovranismo”).

Prodi torna poi a ripetere il ritornello propagandistico della UE: “solo l’unità politica poteva garantirci la pace permettendoci di conservare le nostre radici”.

Ma è così? Intanto la UE – che non comprende tutti gli stati e i popoli europei – nasce negli anni Novanta e ha come connotato proprio lo strappo da quelle radici cristiane esaltate da Prodi: fu evidente nella discussione sulla Costituzione europea e ancor più lo si vede nell’orientamento ideologico delle sue scelte, sempre “politically correct”.

Quanto al “primo obiettivo”, cioè la pace, secondo Prodi “è stato pienamente raggiunto: da oltre 75 anni nessun conflitto armato ha insanguinato il suolo di alcuno fra i Paesi europei che cercavano fra di loro un accordo”.

“Da 75 anni” significa dal 1945-46. È inspiegabile come si possa ripetere per propaganda un argomento così infondato: è noto infatti che l’Unione Europea è nata con il Trattato di Maastricht del 1992.

Ma soprattutto va detto che, dal 1945 fino al crollo del Muro di Berlino (1989), la “pace” in Europa fu dovuta a Yalta, alla “guerra fredda” ovvero all’equilibrio del terrore fra Usa e Urss.

Nel 1957 fu firmato il Trattato di Roma che istituì, su spinta americana, la “Comunità economica europea” fra sei stati dell’Europa occidentale, per “la scelta statunitense” scrive Limes “di non evacuare la porzione di Europa controllata al termine della seconda guerra mondiale per impedire che venisse assoggettata da Mosca: Stalin è all’origine di Nato e Comunità europee (poi Ue) quanto Truman, con i ‘padri fondatori’ europei in veste ancillare”.

La pace mantenuta da Usa e Urss si fondava proprio sulla sottomissionee la spartizione dell’Europa in due sfere d’influenza: in particolare sulla divisione in due della Germania che era stata all’origine della tragedia bellica mondiale.

PROFEZIE

Crollata l’Urss cambia la scena geopolitica e la UE nasce nel 1992 proprio in seguito all’unificazione tedesca.

Da allora però si ripropone l’allarme preventivo lanciato da Arnold Toynbee nel suo “Civilization on trial” del 1949: se “la Germania fosse inclusa in una Unione Europea” senza Usa e Urss “diverrebbe, a lungo andare, la padrona” e tale Unione sarebbe “sotto il predominio germanico”. Un grave pericolo per gli europei, secondo Toynbee.

Pure Benedetto Croce, c’informa Repubblica (10/11), scriveva su “Risorgimento liberale”, addirittura nel 1944, un articolo in cui metteva in guardia dalla Germania che “in previsione della sconfitta militare” già “prepara la terza guerra mondiale”.

C’è stata questa guerra? Dicono i grandi strateghi che “l’eccellenza suprema” consiste nel vincere una guerra senza l’uso della forza militare.

 

Antonio Socci

Nella foto: Churchill, Roosevelt e Stalin alla conferenza di Yalta, febbraio 1945.

giovedì 9 settembre 2021

LA GUERRA (IN CASA) DI ENRICO. IL PD DI LETTA E DI GOVERNO SI ROMPE



Antonio Socci

Cosa succede dentro al Pd? Enrico Letta è stato eletto segretario (in pratica all’unanimità) dicendo: Il Governo Draghi è il nostro Governo.

Ieri lo stratega di Zingaretti, Gianfranco Bettini, gli ha risposto: io sono contrario alla formula secondo cui ‘il governo Draghi è il mio governo’ e secondo cui il suo programma è il nostro programma.

Ieri Letta ha dichiarato: “Per noi la priorità è che questo governo duri fino alla fine naturale della legislatura”. Negli stessi minuti Bettini tuonava contro l’idea di “un governo che arrivi fino alla fine della legislatura.

La sua proposta è mandare Draghi al Quirinale e poi andare alle urnecon un’alleanza di ferro Pd-M5S-Leu. L’idea di Letta invece è la riconferma di Mattarella. Un bello scontro.

Il senatore Andrea Marcucci lo considera disastroso: Le battute di Bettini alla festa del Fatto quotidiano sono molto dannose e sminuiscono il lavoro dei ministri, dei gruppi e dello stesso segretario.

Marcucci è considerato un renziano (più o meno ex) come il ministro della Difesa Lorenzo Guerini che ha replicato, anche lui, a Bettini: L’agenda Draghi è l’agenda del Pd.

Cosa evidenzia questo conflitto ormai emerso alla luce del sole? Una contrapposizione frontale tra fazioni. Una parte, quella bettiniana-zingarettiana che vedeva Conte come stella polare e il governo giallorosso come approdo strategico, sta “rosicando” assai.

La caduta del governo Pd-M5S-Leu ha convogliato contro Renzi – il rottamatore – tutto il loro rancore e ha fatto esplodere il loro mal di pancia per la perdita sostanziale del potere e per la nascita di un governo di unità nazionale (con Lega, Forza Italia e Italia Viva) dominato dalla figura di Mario Draghi.

Il quale Draghi viene considerato quasi un abusivo, da sfrattare tramite promozione al Quirinale, come se la Presidenza della Repubblica fosse un depotenziamento. Idea così surreale che lo stesso Conte – per il quale Draghi è un insidioso antagonista – si è affrettato a tirare il freno: “Per me la corsa al Quirinale è dopodomani”, iniziare ora quel dibattito “sarebbe sfibrante”.

L’idea di Bettini, di eleggere Draghi presidente a febbraio e andare alle urne con una coalizione Pd-M5S-Leu, è ritenuta suicida da alcuni perché quell’alleanza non potrebbe mai allargarsi ai gruppi di centro (di Renzi, di Bonino o Calenda) che la vedono come la peste, quindi sarebbe destinata alla disfatta elettorale.

Ma il Pd bettiniano contempla anche l’idea di andare all’opposizione, purché si torni ad avere un governo legittimato dalle urne. Un paio di mesi Bettini fa aveva dichiarato: “Senza una ripresa della dialettica democratica, la democrazia si snatura”.

Letta invece rappresenta un Pd che vede con terrore l’idea di trovarsi fuori dai Palazzi, all’opposizione, a digiuno di poltrone ed esposto a tutte le intemperie della storia.

Perciò si è dato una strategia della sopravvivenza: la prosecuzione del governo Draghi dove il Pd è comunque in maggioranza (anche se non ha più un potere egemone) e la rielezione di Mattarella (sebbene l’attuale presidente abbia ripetuto con chiarezza che non è nelle sue intenzioni restare al Quirinale altri sette anni).

Quella di Letta non sembra una prospettiva entusiasmante. È piccolo cabotaggio, un ordinario lavoro artigianale da “cacciavite”, per questo cerca qualche battaglia identitaria (Ddl Zan, Ius soli, tassa di successione) nella speranza di trovare un’anima, ma forse col rischio di ottenere l’effetto opposto e perderla.

Del resto la sua segreteria è molto debole. Potrà rafforzarsi un po’ se dal voto di ottobre (anche grazie agli errori del centrodestra) uscirà vincente, specialmente al Comune di Roma.

Ma resta una segreteria fragile. Con la prospettiva di un Congresso in cui Letta potrebbe essere soppiantato da uno dei due candidati che già si scaldano in panchina: Stefano Bonaccini (presidente dell’Emilia Romagna) e l’attuale vicesegretario Giuseppe Provenzano (sostenuto specialmente dall’area bettiniana). Enrico dunque non può proprio stare sereno.

 


lunedì 30 agosto 2021

ARIA DI CONCLAVE. PAPA BERGOGLIO HA FRETTA DI LEGIFERARE SU RINUNCIA E PAPI EMERITI. MA…



Antonio Socci

Ieri il papa – all’udienza con i parlamentari cattolici – ha esordito così: “Vorrei chiedere scusa, per non parlare ancora in piedi, ma ancora sono nel periodo post-operatorio e devo farlo seduto. Scusatemi”.

Che il pontefice abbia un problema di salute è noto, ma non è chiaro qual è la situazione. Abbiamo visto lunedì scorso (su queste colonne) tutti i dubbi e le domande che sono state sollevate dalla comunicazione ufficiale vaticana sull’intervento chirurgico del 4 luglio. Da più parti si ripete ciò che l’agenzia “Infovaticana” ha scritto il 10 agosto: La salud del Papa no es la quen dicen.

Questi problemi di salute possono portare alla rinuncia, perché a parlare di dimissioni come una possibilità – in caso di malattia o di vecchiaia – è stato lo stesso Francesco fin dall’inizio del suo pontificato.

Il 26 maggio 2014 dichiarò: io credo che un Vescovo di Roma, un Papa che sente che le sue forze vengono meno – perché adesso si vive tanto tempo – deve farsi le stesse domande che si è posto Papa Benedetto.

Poi a La Vanguardia (ripresa dall’Osservatore romano del 13 giugno 2014) dichiarò: Papa Benedetto ha compiuto un gesto molto grande… dato che viviamo più a lungo, giungiamo a un’età in cui non possiamo continuare a occuparci delle cose. Io farò lo stesso, chiederò al Signore di illuminarmi quando giungerà il momento e che mi dica quello che devo fare, e me lo dirà sicuramente.

Inoltre il quotidiano argentino La Nación ha recentemente riportato l’intervista rilasciata il 16 febbraio 2019 da Francesco al giornalista e medico Nelson Castro, che ha scritto un libro sulla salute dei papi.  Alla domanda su come lui immagina la sua morte, Bergoglio ha risposto: Da papa, in carica o emerito che sia. E a Roma. In Argentina non ci ritorno.

Come si vede quindi Francesco anche di recente ha previsto la possibilità di dimettersi e diventare “papa emerito”, evidentemente per motivi legati alla salute o all’età.

Ora, come ha scritto Luis Badilla, la malattia che ha colpito papa Francesco è severa e degenerativa (è “un dettaglio molto significativoche molti in queste ore sottovalutano, ignorano o manipolano”) e la severità di questa malattia ha indotto subito papa Bergoglio a manifestare concretamente in Vaticano l’idea di lasciare. Negli ultimi giorni però è apparso molto nervoso e sembra alternare il pensiero della rinuncia con l’intenzione di tener duro, anche se il quadro medico si complica.

Questa situazione ha comunque fatto irrompere d’improvviso, nel clima lento e ovattato del Vaticano, un ospite insolito: la fretta. Lo si è visto per il Motu proprio che annulla il “Summorum pontificum” di Benedetto XVI sulla liturgia tradizionale, firmato in fretta e furia da Francesco il 16 luglio, appena due giorni dopo l’uscita dal Policlinico Gemelli.

La stessa fretta con cui in Vaticano, in queste ore, si sta lavorando a una norma che regoli la rinuncia papale e il papato emerito. Da più di otto anni abbiamo i due papi, una situazione unica nella storia della Chiesa che in Vaticano hanno sempre minimizzato come cosa normale che si sarebbe risolta da sola.

Invece ora, d’improvviso, oltretevere ritengono che sia urgente e improrogabile emanare delle regole. Perché di colpo tanta fretta? C’è aria di dimissioni e di nuovo Conclave.

Dunque procedono i lavori per definire giuridicamente i concetti di “rinuncia” e di “papato emerito”. I problemi che però si affacciano sono enormi. Lo stesso papa Bergoglio, il 18 agosto 2014, tornando dalla Corea, osservò due volte che probabilmente i teologi dissentiranno sull’istituzione del papato emerito.

Perché ritengono che il papato sia in una situazione teologica diversa dall’episcopato (per cui esistono i vescovi emeriti). Ma allora cosa significa la definizione di “papa emerito” che Benedetto XVI, con la rinuncia, ha applicato a se stesso?

E’ di lui che il prossimo provvedimento di papa Francesco si occuperà? No. La professoressa Boni, nel saggio già citato che pare sia la base del lavoro condotto in Vaticano, scrive che con tale provvedimento non si manca di deferenza o solo di tatto nei riguardi del vivente papa emerito: la legge emananda, come usuale, disporrà esclusivamente per il futuro senza alcuna retroattività (cfr. can. 9), curando semmai esplicitamente di eccettuare la ‘situazione’ di Benedetto XVI come si è andata spontaneamente sviluppando”.

Un tale intervento normativo, scrive l’avvocato Francesco Patruno, dottore in ricerca di diritto canonico ed ecclesiastico, “non potrebbe ‘sanare’  – ammesso che fosse possibile – la rinuncia di Benedetto XVI e tutto ciò che ne è scaturito nonché sciogliere i nodi e le incertezze relative a quell’atto compiuto l’11 febbraio 2013, e ciò per la semplice ragione che Benedetto XVI quando ha compiuto quell’atto l’ha fatto non potendo tenere conto di una futura disciplina”.

E l’ha fatto nei pieni poteri di papa. Dunque la situazione attuale di Benedetto XVI emergerebbe come un “unicum, di fatto superiore alla situazione di un altro papa che si dimettesse?

L’avvocato Patruno ci spiega: nell’ultima udienza del suo pontificato, il 27 febbraio 2013, Benedetto XVI spiegò che egli rinunciava al solo pontificato attivo, ma non a quello passivo. Da qui deriva la formulazione usata nell’atto di rinuncia e la qualifica di ‘papa emerito’”.

In effetti mons. Gaenswein, spiegando l’atto di papa Benedetto (di cui è il principale collaboratore), ha parlato di “un pontificato d’eccezione”, che realizza di fatto un ministero allargato, con un membro attivo e uno contemplativo”, “quasi un ministero in comune.

Ma – chiedo – era possibile una tale rinuncia “dimezzata”? “Se non si ritiene che sia possibile” risponde Patruno “allora si tratta di una rinuncia nulla con tutto quello che ne segue. Si può cercare di sanare andando a chiedere al papa emerito di rinunciare completamente al munus, ma in questo caso si riconosce implicitamente che egli è rimasto papa. E si apre uno scenario inedito per quanto riguarda la figura di Francesco”.

Dunque, non sarà facile emanare norme in questa materia. Sembra un vicolo cieco.

 

Antonio Socci

mercoledì 21 luglio 2021

I LEADER DEL RANCORE



Antonio Socci

Era il 29 giugno quando Beppe Grillo pronunciò il suo durissimo giudizio su Giuseppe Conte: non può risolvere i problemi perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione.

Due settimane dopo è arrivato il patto della spigola che però non ha cancellato quelle parole, le ha solo messe nel congelatore.

Al momento, Conte – per prendere il controllo completo del M5S – non può permettersi di mostrarsi risentito con Grillo, perché domina un altro e più importante risentimento: quello verso Draghi (reo di aver preso il suo posto a Palazzo Chigi) e verso Renzi (reo di averlo sfiduciato).

Del resto pochi credono alla “pace di Bibbona”. Come riferisce Emilio Pucci sul “Messaggero”, un big grillino dice: “Il fondatore M5s non si farà mettere all’angolo, è evidente che lo sta mandando avanti per poi farlo bruciare”.

E cosa può “bruciare” Conte? Cosa lo muove? Non una particolare idea del Paese – perché ha mostrato di essere pronto a indossare disinvoltamente le idee più diverse – ma appunto il risentimento.

Il risentimento del potere perduto” (Minzolini) è il rancore di chi ritiene di essere stato privato ingiustamente del suo ruolo. E cosa produce?

Secondo il filosofo Max Scheler: “L’esito principale del configurarsi del risentimento è l’impulso di vendetta. In effetti Conte ci pensa.

Già venerdì si è visto il primo sgambetto al governo Draghi che è andato in minoranza in Commissione Ambiente sul decreto “Semplificazioni” per un blitz grillino: “l’imboscata” scrive il Foglio “è stata coordinata dall’asse contiano del M5S… l’ecologismo diventa insieme alla giustizia l’epicentro del malessere grillino su cui Giuseppe Conte potrebbe far leva per alimentare la sua escalation contro il governo”.

In effetti sabato Conte ha lanciato un avvertimento a Draghi su riforma della giustizia e reddito di cittadinanza (si dice che potrà rompere con questo esecutivo).

Per il blitz in Commissione Ambiente i contiani hanno avuto il voto del Pd. D’altronde Letta è deciso a puntare ancora sul M5S. Si stenta a capirne le ragioni politiche. Ma c’è un aspetto umano che accomuna Conte e Letta ed è proprio il risentimento.

È questo il vero cemento impolitico della coalizione giallorossa nella versione Conte-Letta? È il rancore che prevale sulla linea politica, sul realismo, sulla stabilità del governo e sulla consapevolezza dei problemi del Paese?

Quello di Letta è un rancore inestinguibile verso Renzi (reo di avergli soffiato Palazzo Chigi e averlo immortalato davanti al mondo con l’”Enrico, stai sereno”) e verso Salvini nei confronti del quale Letta non ha un rancore personale, ma fomenta quello della sua parte politica che ha sempre bisogno di un Nemico e che è sempre vissuta di demonizzazione dell’avversario.

Un democristiano di lungo corso come Pier Ferdinando Casini, quando Letta è stato chiamato alla segreteria del Pd, nel marzo scorso, disse: Se mi sento di dare un consiglio a Enrico Letta? Metta da parte ogni risentimento, e lo faccia davvero.

Mai consiglio fu più ignorato. Basti vedere la strategia di Letta sul Ddl Zan: pur di non darla vinta a Renzi e a Salvini (che continuano a proporgli di correggere degli articoli) rischia di andare a sbattere.

Non ascolta nemmeno le voci interne al Pd, come il capogruppo al Senato Andrea Marcucci che lo mette in guardia dal “muro contro muro”. Letta non sente ragioni: va addirittura contro il Papa.

Il risentimento di Letta verso Renzi peraltro è ben documentato nei suoi libri recenti, dove si possono leggere passi così: “vaffa, rottamazione, ruspa. Tre parole, tre progetti politici a declinarle, tre leader forti a incarnarle: Beppe Grillo, Matteo Renzi, Matteo Salvini. Uomini dai percorsi e dai profili molto diversi, eppure accomunati da un tratto ben chiaro: tutti e tre si sono serviti dell’idea della distruzione dell’avversario per farsi largo e raggiungere il potere”.

Parole francamente esagerate, ingiuste e poco serene. Anche perché quei tre leader (Grillo, Renzi e Salvini) hanno saputo, per esempio, andare oltre le liti del passato e i reciproci rancori, facendo politica. Letta e Conte no.

Forse, per “stare sereni”, converrebbe a Letta e a Conte meditare le parole di Nietzsche riproposte dal card. Gianfranco Ravasi: Nulla sulla terra consuma un uomo più rapidamente che la passione atroce del risentimento.


martedì 13 luglio 2021

CALCIO E POLITICA. QUELLI SECONDO CUI GRAN BRETAGNA, RUSSIA, SVIZZERA, ISLANDA, NORVEGIA, UCRAINA ECC. NON SONO IN EUROPA

NOZIONI

Bisognerebbe tenere a mente certe nozioni di storia e di geografia nel dibattito pubblico e non sempre accade. Per esempio, consideriamo la differenza fra l’Europa e l’Unione Europea.

L’Europa è un continente che va dall’Atlantico agli Urali, come ricordava Giovanni Paolo II sottolineando la sua identità giudaico-cristiana e la sua eredità greco-romana. Comprende 43 Stati più alcuni transcontinentali.

Invece l’Unione Europea comprende 27 Stati che, da qualche decennio, hanno sottoscritto un trattato internazionale.

Molti Paesi non hanno sottoscritto tale Trattato e non sono nella UE, ma fanno parte dell’Europa, da sempre: per esempio Svizzera, Russia, Gran Bretagna (uscita di recente dalla UE), Islanda, Norvegia, Ucraina, Albania, Serbia eccetera.

Ebbene, questa distinzione (fondamentale) talora si perde forse per l’abitudine erronea di chiamare “Europa” quella che invece dovrebbe essere chiamata “Unione Europea” (c’è anche, in tale brutta consuetudine, una certa arroganza politica).

Questo ha finito per dare origine a equivoci ed errori stupefacenti. Lo si è visto in certe cronache del Campionato europeo di calcio 2020, che è la sedicesima edizione del torneo organizzato dall’Uefa e disputato nel 2021 a causa del Covid.

Tale campionato non riguarda i paesi dell’Unione Europea, ma i Paesi dell’intera Europa affiliati alla Uefa, infatti – come ricordiamo – hanno partecipato le Nazionali di Svizzera, Russia, Turchia e Ucraina che non fanno parte della Ue.

La loro stessa presenza avrebbe dovuto far ricordare a tutti la distinzione fra le due diverse entità: l’Europa (il grande continente dalla storia antica) e l’Unione Europea (la piccola e arrogante organizzazione internazionale istituita con un recente Trattato). Invece no.



SOVRANISMO?

Per esempio, sulla “Stampa” (7/7) un articolo di Gabriele Romagnoli è uscito con questo sottotitolo: “Con tutte le tentazioni sovraniste e le recriminazioni anti-comunitarie incredibilmente andiamo a rappresentare in finale lo sfinito continente”.

Cosa c’entrano il sovranismo e le “recriminazioni anti-comunitarie” con il calcio non si sa. Ma soprattutto cosa c’entrano con un campionato che non riguarda la UE, ma l’Uefa e il continente (europeo)?

Speravo in una forzatura del titolista e invece è proprio farina del sacco di Romagnoli che così inizia il suo pezzo: “Incredibilmente l’Europa siamo noi. Con tutte le tentazioni sovraniste e le recriminazioni anti-comunitarie va l’Italia a rappresentare lo sfinito continente, forse proprio contro chi ha preferito uscire dalla sua storia se non dalla sua geografia”.

Allude alla Gran Bretagna (confusa con la sola Inghilterra).



Brexit

Maurizio Crosetti che sulla prima pagina di “Repubblica” (4/7) esordisce così: “Gli inglesi non sono mai stati più dentro l’Europa da quando hanno deciso di chiamarsene fuori”.

Allude al fatto che la Gran Bretagna (non la sola Inghilterra) è uscita dalla UE: secondo lui è uscita dall’Europa.

Poi prosegue: “Gli manchiamo da morire e ce lo fanno sapere su un campo di calcio…. L’Europa che disprezzano ora la rivogliono tutta”. Secondo Crosetti “gli inglesi… giocano una partita mascherata… solo perché la vecchia, gloriosa, amata Europa li riprenda indietro”.

Titolo dell’articolo in prima: “L’Inghilterra ora rivuole l’Europa”. E all’interno: “Nostalgia dell’Europa”.

P.S. La Gran Bretagna non solo ha deciso la Brexit con un referendum, ma l’ha confermata dando il trionfo a Johnson alle elezioni politiche. Fuori dalla UE, non dall’Europa.



Antonio Socci

domenica 4 luglio 2021

Il PD è veramente EREDE del PCI?

SPIEGATE IL PD AL VICESEGRETARIO PD. IL “PARTITO-PRINCIPE” DI GRAMSCI. IL “GIORNALISMO IMPARZIALE” SECONDO SALVEMINI


ANTONIO SOCCI


MERCATISMO

La polemica lanciata dal vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano contro il governo Draghi perché – fra gli altri – si avvale di due economisti “liberisti” è surreale per tanti motivi.

Ma ce n’è uno particolare. Il Pd – e ancor prima l’Ulivo – è stato totalmente immerso in quel “pensiero unico” che – come scrive Michael Sandel in “La tirannia del merito” (Feltrinelli) – considera i “meccanismi del mercato” come “i principali strumenti per realizzare il bene pubblico”.

Nota infatti Tomaso Montanari (Il Fatto quotidiano 16/6) che questa “fede nel mercato” – criticata da Sandel, docente di Teoria del governo ad Harvard – è “condivisa da tutti i leader e dai partiti del centrosinistra globale, da Clinton, a Blair al nostro Pd” citato esplicitamente dallo studioso. Qualcuno informi Provenzano.

 

ROSSO ANTICO

Non si può dire che le celebrazioni dei cento anni del Pci (fondato appunto nel 1921) siano state l’occasione di riflessioni vere su quello che è stato (e che è?) il mondo comunista in Italia.

Ha prevalso il sentimentalismo del “come eravamo” ed è proseguita l’impenetrabile reticenza che dal 1989 avvolge le ragioni delle diverse trasformazioni del Pci (Pds, Ds, Democratici…).

Così sono spariti i simboli e le scenografie comuniste, i riferimenti all’ideologia marxista, ai regimi del socialismo reale, alla storia e ai leader del partito, ma si è avuta una sostanziale continuità della classe dirigente.

C’è anche una continuità nella concezione della propria parte? Bisognerebbe interrogarsi, per esempio, su quanto ancora sopravvive la concezione del partito che Antonio Gramsci – nelle sue “Note sul Machiavelli” – aveva elaborato sul modello del Principe: “Il moderno Principe, sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”.

Più in generale, nel discorso pubblico del nostro Paese, bisognerebbe interrogarsi su questa “completa laicizzazione” che, anche sui media, sembra aver dissolto la riflessione sulla verità oggettiva…

 

IMPARZIALI?

Giovanni Valentini sul Fatto quotidiano (26/6) ripropone il primo messaggio inviato dal presidente Carlo Azeglio Ciampi alle Camere che diceva: “Onorevoli parlamentari, la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta”.

Parole sacrosante per il pluralismo (ma quanto ce n’è oggi veramente?). Qualche dubbio rimane sul concetto di “imparzialità nell’informazione”. Non si tratta di chiedersi se ce ne sia oggi, ma se e come sia possibile.

Si potrebbe riflettere su una pagina di un grande antifascista come Gaetano Salvemini (negli anni dell’esilio): “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere” (in “Mussolini diplomatico”, Parigi 1932).

 

Antonio Socci

lunedì 24 maggio 2021

Scoperta la tomba di San Pietro a Tor Pignattara?

UNA SCOPERTA SENSAZIONALE? LA TOMBA DI SAN PIETRO (COL SUO CORPO) NELLE CATACOMBE DELLA BORGATA PASOLINIANA.

Tor Pignattara… un nome singolare che deriva dalle anfore visibili nella costruzione della volta del Mausoleo di Sant’Elena. Qui infatti, dove esisteva la basilica dedicata ai martiri Marcellino e Pietro, l’imperatore Costantino realizzò il mausoleo dinastico.

Antonio Socci


Può essere la scoperta archeologica del millennio e la più importante della storia della Chiesa. Così l’Anno Santo del 2025 sarebbe un avvenimento unico, perché il giubileo nasce proprio come pellegrinaggio “ad limina Petri”.

In effetti si tratta dell’individuazione, a Roma, del probabile luogo di sepoltura di san Pietro (forse addirittura con i suoi resti mortali).

Tre studiosi italiani, Liberato De Caro, ricercatore del Cnr, Fernando La Greca, professore all’Università di Salermo, ed Emilio Matricciani, docente al Politecnico di Milano, hanno firmato un accurato studio sulla rivista scientifica internazionale “Heritage”, intitolato: “The search of St Peter’s memory ‘ad catacumbas’ in the cemeterial area ‘ad Duos Lauros’ in Rome”.

La sepoltura dell’apostolo – secondo questo studio – dovrebbe trovarsi nelle grandi (e in parte inesplorate) catacombe “ad duos lauros”, a Topignattara.

E’ la periferia di Roma, sulla via Casilina, che negli anni Cinquanta ospitava le baraccopoli immortalate da Pier Paolo Pasolini in “Ragazzi di vita”. Anche il film “Accattone” in buona parte fu girato in queste borgate.

La zona è dominata dall’alto Mausoleo di S. Elena il cui soffitto è fatto con anfore di terracotta, nel gergo popolare “pignatte”, da cui il toponimo “Torre delle pignatte” e poi Torpignattara. Delle grandi catacombe sottostanti pochi sanno.

Per quale motivo sta qui la tomba della madre di Costantino, colui che cristianizzò l’Impero romano e cambiò per sempre la storia?

In realtà, in quest’area che apparteneva agli “equites singulares” di Massenzio, Costantino fece costruire, sulle catacombe cristiane, una grande basilica (oggi non più esistente) e il mausoleo anche per se stesso oltreché per la madre (però poi lui morì a Costantinopoli e fu sepolto là).

Ma perché l’Imperatore costruì quella basilica e voleva essere sepolto proprio lì, con sua madre? C’è un segreto celato da quasi due millenni ed è appunto la presenza, in quelle catacombe, del corpo del principe degli apostoli.

GLI SCAVI

I nostri tre studiosi, prima di arrivare alle conclusioni, ricordano gli scavi compiuti tra il 1940 e il 1949 sotto l’altare della Basilica di San Pietro, in Vaticano, dove tradizionalmente si riteneva che si trovasse la tomba dell’apostolo.

Fu scoperto allora un piccolo monumento del II secolo, che ricordava il luogo del suo martirio, lì nel circo Vaticano. Questa edicola è il “trofeo”

menzionato in una lettera del presbitero romano Gaio, vissuto al tempo del papa Zefirino (199-217). Gli archeologi di Pio XII, nel 1949, ritennero così di aver trovato la tomba, quantomeno la prima tomba, di Pietro, ma non le ossa.

Negli anni successivi l’epigrafista Margherita Guarducci pensò di aver trovato le ossa di Pietro nei resti di quegli scavi. Ma padre Ferrua sj, che era presente ai lavori, si oppose sempre a questa identificazione.

La Guarducci sostenne di aver individuato la prova della sua scoperta in un minuscolo graffito, con frammenti di poche lettere, dove ritenne di leggere il riferimento al nome di Pietro. Le polemiche, anche su questo frammento di intonaco (oggi datato alla prima metà del III secolo) sono state infinite e non si è mai arrivati a una conclusione certa.

NON SOLO GIALLO ARCHEOLOGICO

La Chiesa non si pronuncia su queste ricerche. Ma l’argomento è scottantee non solo per gli archeologi.

Infatti il primato del Vescovo di Roma sulla Chiesa universale (cioè il papato stesso), si basa sul fatto che i pontefici succedono, nell’episcopato romano, a colui a cui Gesù conferì il primato:

E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.  A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli’” (Mt 16, 18-19).

Il tema è diventato esplosivo con Lutero, nel XVI secolo. Infatti i protestanti, per contestare il papato, cominciarono a mettere in dubbio la notizia storica della presenza di Pietro a Roma e quindi del suo episcopato e del suo martirio nell’Urbe.

Ma, a dire il vero, nessuna località – eccetto Roma – ha mai rivendicato l’evento del martirio di Pietro e le testimonianze storiche sulla presenza (e sul martirio) dell’apostolo nella capitale dell’Impero, a capo di quella comunità cristiana, sono innumerevoli.

A parte la prima lettera di Pietro stesso (contestata perché, come altri autori cristiani, chiama Roma “Babilonia”), attestano concordemente il suo episcopato romano gli scritti di papa Clemente I (96 dC), poi Ignazio di Antiochia (107 dC), quindi Ireneo di Lione (circa 180 dC), il vescovo di Corinto, Dioniso (attorno al 170 dC), Tertulliano (attorno al 200 dC), Clemente di Alessandria (circa 200 dC), fino a san Girolamo ed Eusebio di Cesarea (IV secolo). Dunque una tradizione storica unanime e incontestabile.

Tuttavia, nel corso dei secoli, si è cercata anche la prova regina, ovvero la sepoltura dell’apostolo a Roma. Questo era l’obiettivo degli scavi voluti da Pio XII nel secolo scorso.

Oggi gli esperti, anche ammettendo che quel loculo vaticano, anticamente, abbia ospitato il corpo di san Pietro, ritengono che i suoi resti siano stati poi spostati “ad catacumbas” (prima per le persecuzioni, poi per le scorrerie dei barbari nell’Urbe).

Infatti, nel Cronografo (cioè Calendario Romano) dell’anno 354 troviamo che “la commemorazione di San Pietro era ad catacumbas, non sul colle vaticano, ricordano i nostri tre studiosi su “Heritage”.

NUOVE SCOPERTE

De Caro, La Greca e Matricciani analizzano il “Liber Pontificalis”, dove nel VI secolo furono raccolte le biografie dei papi con documenti d’archivio dei secoli precedenti, e scoprono che, fra tutte le antiche basiliche romane la cui costruzione è attribuita a Costantino (per esempio San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme), l’unica che certamente fu edificata da lui è proprio quella (oggi sparita) di Tor Pignattara dove anche costruì il Mausoleo per sé e la madre.

Quelle catacombe sono intitolate ai santi Marcellino e Pietro, due martiri minori del IV secolo. De Caro, La Greca e Matricciani mostrano che in realtà anticamente l’ordine dei nomi era invertito e “Pietro” era proprio il principe degli apostoli a cui dunque sarebbero veramente intitolate le catacombe e – secondo la più antica copia del “Liber Pontificalis” – pure la Basilica “ad duos lauros” (che è perciò la vera Basilica costantiniana di San Pietro).

Qui dunque sarebbe la tomba dell’apostolo ed è accanto a Pietro che Costantino voleva essere sepolto, con la madre.

I tre studiosi rintracciano anche, nelle catacombe, una significativa epigrafe sepolcrale, su Pietro, della metà del IV secolo e un affresco rappresentante San Pietro che regge un cartiglio.

In base a complicati calcoli sulla pianta della Basilica, i tre autori ritengono infine di aver individuato la cripta, ancora inesplorata, dove potrebbe trovarsi il sepolcro dell’apostolo. Si potranno adesso fare degli scavi?

RIVELAZIONE MISTICA

Un ultimo dettaglio (che esula da questo studio). Pio XII, negli anni degli scavi sotto San Pietro, fece interpellare una mistica che stimava, Maria Valtorta, la quale rispose che la tomba dell’Apostolo è nelle catacombe “ad duos lauros” a Torpignattara e lei aveva visto in visione i suoi resti mummificati, con le mani che tengono un’antica pergamena. La Valtorta descrisse pure la cripta.

Il ritrovamento sarebbe un evento straordinario. Paolo VI diceva che le ossa di Pietro, per la Chiesa, sono come oro. E’ la sua carne infatti che toccò e abbracciò il Salvatore del mondo.



BATTIATO SU DARIO FO E NANNI MORETTI. LUCA RICOLFI E CAMILLE PAGLIA SULLA LIBERTA’ DI PENSIERO CHE NON C’E’ PIU’ A SINISTRA. L’AUTOGOL DI LETTA E IL “PARTITO STRANIERO”


Antonio Socci 

SARO’ FRANCO

Enrico Letta annuncia che vuole rendere il Pd simpatico”.  È un problema antico. Luca Ricolfi nel 2008 scrisse il libro: Perché siamo antipatici? La Sinistra e il complesso dei migliori”. Ma perché la Sinistra è (o almeno si sente) antipatica?

Si può forse trovare una risposta in due aneddoti raccontati da Franco Battiato in un’intervista al “Fatto quotidiano” (11/11/2015) riproposta in questi giorni: “Nel 1980” raccontava Battiato “alla fine di un’esibizione delirante con 5.000 persone, Dario Fo mi aspettò all’uscita del concerto. Mi disse: ‘I tuoi testi non mi piacciono’. E io risposi: ‘E a me che cazzo me ne frega?’. Eravamo sullo stesso piano, a quel punto. Ma non mi ritengo intoccabile, anzi. Se mi avesse criticato in un’altra maniera avrei anche apprezzato. È sempre il modo. Si può essere critici senza essere brutali. Una volta in motoscafo a Venezia ero con Nanni Moretti. Vide una ragazza corpulenta e la investì: ‘Ma non ti vergogni di pesare così tanto?’. Rimasi di stucco.

Ecco, al di là dei due personaggi in questione, forse Letta dovrebbe rinunciare proprio al connotato pedante e pedagogico tipico della sua area politica.

La Sinistra è come uno che entra nella tua vita (senza essere stato invitato) e pretende di “educarti” o “rieducarti”, dicendoti perentoriamente quello che devi fare e pensare. Sarà per questo che non sprizza simpatia da tutti i pori?

 

FUOCO DI PAGLIA

Ha fatto clamore il sociologo Luca Ricolfi che, a “Quarta Repubblica”, ha dichiarato: sono in imbarazzo. Io sono culturalmente di sinistra, ma riconosco che la libertà di pensiero oggi è migrata da sinistra a destra.

Ancora più forte, tempo fa, era stata Camille Paglia, una delle più lucide intellettuali americane: La libertà di espressione era la vera essenza, l’anima della politica di sinistra degli anni Sessanta… per questo è stato incredibilmente scioccante per me il momento in cui i liberal americani hanno abbandonato il free speech negli anni Settanta e hanno inaugurato l’èra del politicamente corretto… la sinistra è diventata una polizia del pensiero stalinista che ha promosso l’autoritarismo istituzionale e ha imposto una sorveglianza punitiva delle parole e dei comportamenti.

 

AUTOGOL

Enrico Letta è voluto “andare apposta a Bruxelles”, scrive La Stampa (20/5), per dire a Ursula von der LeyenL’Europa conti sull’appoggio del Pd alle riforme Draghi.

L’Europa? Letta non ritiene che, delle riforme da fare in Italia, debba rendere conto anzitutto agli italiani?

A parte il fatto che è tutto da verificare l’appoggio del Pd, per esempio, alla riforma della giustizia e del codice degli appalti, ma l’essere andato dalla Von der Leyen fornisce l’occasione, ai suoi avversari, per ribadire: il Pd conferma di essere il ‘partito straniero’ in Italia. È un autogol clamoroso.

Così Letta mostra di essere rimasto quello del pamphlet  Morire per Maastricht.  A proposito: un capitolo di quel libretto era intitolato: Elogio dei parametri di Maastricht.  Oggi quei parametri, che tanto sono costati al popolo italiano (come tasse, disoccupazione, tagli alla sanità e alle pensioni), vengono bombardati proprio da Mario Draghi che ha dichiarato di non aver mai condiviso “le attuali regole di bilancio” e di volerle smantellare.

Tale richiesta di sicuro sarà avversata dalla Germania (di cui la Von der Leyen è espressione). Questo è il problema del futuro della Ue. Cosa dice Letta in merito? Cos’ha detto alla Von der LeyenLetta e il Pd staranno con la Germania o con Draghi e con l’Italia?



sabato 17 aprile 2021

LA SINISTRA CHE FA LA GUERRA ALLA LINGUA E QUELLA CHE VUOLE PROIBIRE AI MASCHI DI URINARE IN PIEDI (ERA MEGLIO IL COMPAGNO ENGELS)

Antonio Socci


Il caso che ha suscitato più ironie, nella rivoluzione del politicamente corretto, è quello del parlamentare Usa Emanuel Cleaver, del partito Democratico, che, recitando la preghiera di inizio dei lavori del Congresso, ha concluso con “Amen and Awomen” (in realtà “amen” non è maschilista: è un’antica parola ebraica-aramaica che non c’entra nulla con l’inglese “men”).

Ormai la rivoluzione “politically correct” galoppa dappertutto, anche in Emilia dove un tempo sognavano altre rivoluzioni: il comune di Castelfranco Emilia ha deciso di usare sui propri canali social lo “schwa”(una “e” rovesciata) per promuovere un linguaggio inclusivo e non discriminatorio (così dicono) verso le donne o verso chi non si riconosce nel cosiddetto “binarismo di genere”.

Dunque scrivono: “A partire da mercoledì 7aprile moltǝ nostrǝ bambinǝ e ragazzǝ potranno tornare in classe!”, anziché “molti nostri bambini e ragazzi” (maschile che, nell’italiano corrente, include tutti).

Lo schwa è un segno grafico difficile da pronunciare. I napoletani, nel loro dialetto, usano un suono simile, per esempio nell’espressione mamm’t, ma non c’entra nulla con il “politicamente corretto”.

Se però si contesta l’uso del maschile universale, si dovrebbe cominciare a correggere anche quelle parole che finiscono in “a”, ma includono maschi e femmine. Sarebbe da ridere.

Si dovrebbe chiamare “dentisto” chi finora era “dentista”, ma è di sesso maschile. Così pure l’elettricista (che diventa elettricisto) o il pianista maschio (che diventa pianisto), il violinista maschio (violinisto) o il tassista (che diventa tassisto) o il barista, lo stilista e il marmista. Ma anche “socialista, comunista ed ecologista” – per i maschi – diventerebbero socialisto, comunisto ed ecologisto.

A Castelfranco però vanno oltre e, contro il “binarismo” maschio/femmina, aboliscono il genere stesso delle parole. È una conquista di uguaglianza? O è un altro traguardo grottesco del “politically correct”? Siamo sicuri che sia proprio ciò di cui oggi si sente il bisogno?

L’insospettabile Friedrich Engels, braccio destro di Marx, nell’“Anti-Dühring” osserva che “ogni rivendicazione di uguaglianza che va oltrefinisce necessariamente nell’assurdo”.


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giovedì 10 dicembre 2020

GOVERNO VOTA IL MES E ROVINA IL POPOLO



AIUTO!!! GLI ITALIANI NON LO SANNO, MA STANNO ORGANIZZANDO UN MECCANISMO CAPACE DI ROVINARCI (COME HANNO FATTO CON LA GRECIA) ABBATTENDOSI SUI NOSTRI RISPARMI E SUL NOSTRO FUTURO. E LO VOTANO MERCOLEDI. GOVERNO VOTA IL MES E ROVINA IL POPOLO. “Quando le cose si fanno serie, è necessario mentire”, diceva tempo fa un presidente della Commissione europea. Di solito le “cose serie” nella Ue sono gli interessi di Germania e Francia.

Infatti, per capire la “riforma del Mes” su cui il Parlamento deve votare il 9 dicembre (da non confondersi col Mes sanitario), bisogna prima superare una giungla di balle.

Chiediamoci: per chi suona la campana? Risposta: per noi. Gli italiani non lo sanno, ma, camuffandosi dietro sigle inglesi e dietro la nebbia delle tecnicalità per addetti ai lavori, stanno perfezionando un marchingegno che potenzialmente può assestare una mazzata su di noi, sui nostri risparmi e sul futuro dei nostri figli.

Non è solo una delle solite fregature europee ai danni dell’Italia (cui siamo abituati) come sull’immigrazione. C’è di più. Claudio Borghi (Lega), infaticabile avversario di questa operazione anti-italiana, spiega:

“la riforma del Mes è una cosa infirmabile e invotabile. Il Trattato del Mes (che già è stato un gravissimo errore) sarebbe così riconfermato con l’aggiunta di cose pericolosissime e beffarde per l’Italia. Per esempio, se qualcuno volesse prelevare dei soldi dal Mes, soldi che ci mettiamo noi, per salvare le sue banche potrebbe farlo. Noi, invece, se avessimo bisogno di quei soldi dovremmo sottostare a una specie di memorandum tipo Grecia dove imporrebbero patrimoniali, tagli alle pensioni, licenziamento degli statali e azzeramento dei risparmi. L’azzeramento dei risparmi verrebbe consentito da un articolo preciso di questo nuovo Mes. Una specie di mega bail-in. Non solo. Dovremmo confermare cose incredibili. Per esempio: il capitale di 700 miliardi dovrebbe essere incondizionatamente versato a richiesta nell’arco di una settimana e la quota parte per l’Italia è di 110 miliardi!Dopodiché l’art. 32: i beni di proprietà del Mes godono dell’immunità da ogni forma di giurisdizioneart. 35: il presidente e il personale godono di immunità totale di giurisdizione da qualsiasi tribunale; art. 36salari esenti dall’imposta sul reddito… Avremmo così delle persone esenti da qualsiasi tribunale che avrebbero l’autorità e la possibilità di decidere del fallimento del nostro Stato. Eh no, ogni riga deve essere valutata dal Parlamento e rifiutata.

Non è solo il centrodestra a demolire questa riforma. Sul sito della rivista “Micromega” (Gruppo Repubblica/Espresso), ben lontana dal centrodestra, è uscito “un appello di economisti e giuristi” intitolato: “Una riforma che persevera negli errori”. Inizia così: L’Italia non deve avallare un meccanismo che riproduce le logiche del passato, che si sono rivelate clamorosamente sbagliate”.

Si tratta di “una riforma, preparata prima dell’insorgere della pandemia e che risponde alla logica della ‘vecchia’ Europa, quella che ha drammaticamente fallito nella gestione della crisi greca e che ha sbagliato anche nell’affrontare le conseguenze della crisi del 2008, relegando una delle aree economiche più ricche del mondo ad una sostanziale stagnazione decennale”.

Questi professori ricordano che

“la storia d’Italia degli ultimi trent’anni è caratterizzata da snodi critici in cui riforme apparentemente tecniche e di scarsa portata hanno pesantemente condizionato gli sviluppi futuri… Tali riforme sono state fatte passare senza che l’elettorato fosse sufficientemente informato e cosciente della posta di gioco, spesso con argomenti speciosi quali la necessità di non perdere ‘credibilità’ dinanzi ai partner europei. Siamo convinti che la riforma del Mes rappresenti uno di questi snodi cruciali e che sia necessario opporle il veto. Non solo perché nessuna delle richieste italiane è stata accettata – in particolare la contestuale attivazione della garanzia europea sui depositi bancari – ma soprattutto per affermare con forza che bisogna farla finita con la ‘vecchia’ politica.

Anche sul sito della rivista “Il Mulino” (pure essa lontana dal centrodestra) il costituzionalista Alessandro Mangia e l’economista Francesco Saracenohanno scritto contro questa riforma e pure contro l’utilizzo del Mes sanitario.

Naturalmente l’Ue, cioè la Germania, preme perché il governo italiano obbedisca alle sue pretese e firmiIl Pd, che non ha la fiducia degli italiani (i quali lo hanno bocciato e mandato al minimo storico), ma che è il “partito di fiducia” dei governi stranieri, spinge per l’approvazione.

Quando pure Berlusconi (con Lega e Fdi) si è convinto di votare contro, Repubblica” ha fatto sapere che i tedeschi ritengono “incomprensibile” che Berlusconi voglia difendere interessi italiani anziché tedeschi. Testualmente: “la posizione di Berlusconi  è ‘incomprensibile’ agli occhi di Berlino e dell’establishment europeo, specie quando si ammanta di una certa retorica nazionalista, del tipo ‘noi pensiamo agli italiani, non alle banche tedesche’”.

Per essere acclamati come “europeisti” bisogna difendere gli interessi di tedeschi e francesi. Non quelli italiani. Il livello del dibattito sui giornali “europeisti” è questo: che figura farà l’Italia se boccerà la riforma? Ogni Paese della Ue difende i suoi interessi. Se lo fa l’Italia dicono che si scredita come nazionalista.

Francesi e tedeschi possono mettere veti, noi no. Stefano Fassina, isolatissimo a sinistra, ha notato che in queste ore “sulla Brexit la Francia dell’europeista Macron minaccia il veto”, però “sulla revisione del Mes si può dire soltanto sì, altrimenti si è anti-europeisti e sovranisti”.

La posizione decisiva per le sorti di questa riforma è quella del M5S che è sempre stato ferocemente contrario al Mes, ma oggi quei parlamentari si preoccupano per i loro seggi in caso di crisi di governo (li impauriscono prospettando elezioni anticipate che in realtà non ci saranno mai).

Sono dunque spaccati. Barbara Lezzi cita Luigi Di Maio che ha dichiarato che questa riforma è peggiorativa di uno strumento già devastante di suo”. Eppure Di Maio non si oppone.

Invece la Lezzi prosegue: “Non possiamo smantellare il trattato del MES come avevamo promesso perché non siamo soli al Governo, ma non lo è neanche il PD. Il ministro Gualtieri ha ignorato con spocchia le richieste che gli sono pervenute dai colleghi del M5S durante un’audizione in Parlamento. Ma, di più, ha scientemente ignorato i due atti di indirizzo del Parlamento (votati con il Conte I e Conte II). Questo non è il metodo corretto per addivenire ad una sintesi… Basta anche con la sciocchezza che ‘lo votiamo ma non lo attiviamo’ ” (è dimostrato che gli effetti perversi, per noi, scattano anche se non viene attivato dall’Italia). Questa è l’ultima possibilità che il M5S ha per salvarsi l’anima.

Antonio Socci
Da “Libero”, 7 dicembre 2020


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