SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA
In limba contro l’Enel davanti al giudice. Primo processo col traduttore per gli indipendentisti sardi che occuparono la sala comandi della centrale: «per denunciare le maxibollette applicate nell’Isola».
L'Unione Sarda | 11 dicembre 2001
Sassari. “Porte aperte alla centrale”, era un vecchio slogan dell’Enel. E loro, indipendentisti doc, lo hanno preso alla lettera e sono entrati dritti dritti prima nella sala comando della termocentrale di Fiumesanto e poi nell’aula di un tribunale che ha battezzato il primo processo in limba.
Accusati di minacce, resistenza a pubblico ufficiale eccetera eccetera, gli otto del commando Amsicora, col dovuto rispetto per il giudice “straniero”, la loro battaglia l’hanno già vinta: portare a conoscenza di tutti il grande salasso energetico inflitto ai sardi. Una bolletta che nell’Isola pesa oltre il quaranta per cento in più rispetto agli utenti del resto d’Italia. Cavallo di razza cavalcato, dopo l’incursione,un po’ da tutti i partiti politici.
Ieri finalmente si è aperto il processo, con tanto di traduttore ufficiale per la prima volta nella storia. Il professor Michele Pinna, docente universitario di Lingua e letteratura sarda alla facoltà di lettere e filosofia, ha accompagnato con la versione in italiano le dichiarazioni spontanee di Giovanni Pietro Marras, meglio noto come “Zampa” e Gavino Sale, leader di Sardigna Natzione (attualmente coordinatore di IRS, ndr) all’epoca responsabile della Commissione politiche energetiche del partito.
Il giudice Guido Vecchione ha fatto capire subito che aria tirava, allontanando l’ex interprete, arrivata in aula con bavaglio alla bocca e cartelloni appesi al collo, a denunciare l’ennesima ingiustizia. L’avevano esclusa perché la sua domanda di iscrizione all’albo dei traduttori ufficiali era stata redatta soltanto in lingua sarda, senza traduzione in italiano. «Niente sceneggiate, prego», e dopo la decisione del giudice l’interprete si lascia accompagnare fuori.
Poi l’aula si riempie, “Zampa” Marras, sotto l’inseparabile berritta, prova a raccontare i suoi natali. «Si attenga ai fatti». Quello che accade il diciannove ottobre di quattro anni fa non è casuale, dice Zampa. È stato pensato due mesi prima, vista l’inutilità di convegni e volantini e la scarsa incisività di sporadiche apparizioni sul giornale. Stavolta sulla carta stampata vogliono apparire ben bene, caratteri in neretto, per un’azione clamorosa quanto pacifica.
A “Porte aperte” loro ci sono, otto patrioti del commando: «due donne coraggiose e sei uomini arditi». Ma, sottolineano al giudice, sempre nel pieno rispetto della legalità: «decisi a denunciare l’Enel, che dal 1962 ha estorto alle famiglie e alle industrie sarde all’incirca ottomila miliardi di lire».
Mai nessun accenno alle armi? chiede il giudice Vecchione. «Mai, per me tutte le armi del mondo depen esser fattas a chijina», devono essere ridotte in cenere, chiarisce l’interprete. Per Gavino Sale non ci sono dubbi. Ma quali armi, l’unica arma era il suo Tritolo, compagno di commando così chiamato per le sue esplosioni di allegria, così contagiose. Soltanto un equivoco. «Non ci siamo mai qualificati come gruppo armato, mai abbiamo avuto l’intenzione di abbassare quella leva e spegnere la centrale elettrica, privando della luce i fratelli sardi. Questo era piuttosto l’intendimento dell’ingegner Signoriello, il metodo più veloce per far intervenire i carabinieri. Noi lo abbiamo dissuaso». Le domande dell’avvocato Teresa Pes sono filtrate senza traduttore, per risparmiare sui tempi altrimenti infiniti del processo. Che si concluderà soltanto il sette febbraio ma per un problema tutto avvocatizio.
Tutto a posto quindi, il traduttore c’era, il processo si è tenuto regolarmente, il sardo è entrato ufficialmente in un’aula giudiziaria, accompagnato da telecamere e macchine fotografiche.
Articolo di Patrizia Canu.
L'Unione Sarda | 11 dicembre 2001
Sassari. “Porte aperte alla centrale”, era un vecchio slogan dell’Enel. E loro, indipendentisti doc, lo hanno preso alla lettera e sono entrati dritti dritti prima nella sala comando della termocentrale di Fiumesanto e poi nell’aula di un tribunale che ha battezzato il primo processo in limba.
Accusati di minacce, resistenza a pubblico ufficiale eccetera eccetera, gli otto del commando Amsicora, col dovuto rispetto per il giudice “straniero”, la loro battaglia l’hanno già vinta: portare a conoscenza di tutti il grande salasso energetico inflitto ai sardi. Una bolletta che nell’Isola pesa oltre il quaranta per cento in più rispetto agli utenti del resto d’Italia. Cavallo di razza cavalcato, dopo l’incursione,un po’ da tutti i partiti politici.
Ieri finalmente si è aperto il processo, con tanto di traduttore ufficiale per la prima volta nella storia. Il professor Michele Pinna, docente universitario di Lingua e letteratura sarda alla facoltà di lettere e filosofia, ha accompagnato con la versione in italiano le dichiarazioni spontanee di Giovanni Pietro Marras, meglio noto come “Zampa” e Gavino Sale, leader di Sardigna Natzione (attualmente coordinatore di IRS, ndr) all’epoca responsabile della Commissione politiche energetiche del partito.
Il giudice Guido Vecchione ha fatto capire subito che aria tirava, allontanando l’ex interprete, arrivata in aula con bavaglio alla bocca e cartelloni appesi al collo, a denunciare l’ennesima ingiustizia. L’avevano esclusa perché la sua domanda di iscrizione all’albo dei traduttori ufficiali era stata redatta soltanto in lingua sarda, senza traduzione in italiano. «Niente sceneggiate, prego», e dopo la decisione del giudice l’interprete si lascia accompagnare fuori.
Poi l’aula si riempie, “Zampa” Marras, sotto l’inseparabile berritta, prova a raccontare i suoi natali. «Si attenga ai fatti». Quello che accade il diciannove ottobre di quattro anni fa non è casuale, dice Zampa. È stato pensato due mesi prima, vista l’inutilità di convegni e volantini e la scarsa incisività di sporadiche apparizioni sul giornale. Stavolta sulla carta stampata vogliono apparire ben bene, caratteri in neretto, per un’azione clamorosa quanto pacifica.
A “Porte aperte” loro ci sono, otto patrioti del commando: «due donne coraggiose e sei uomini arditi». Ma, sottolineano al giudice, sempre nel pieno rispetto della legalità: «decisi a denunciare l’Enel, che dal 1962 ha estorto alle famiglie e alle industrie sarde all’incirca ottomila miliardi di lire».
Mai nessun accenno alle armi? chiede il giudice Vecchione. «Mai, per me tutte le armi del mondo depen esser fattas a chijina», devono essere ridotte in cenere, chiarisce l’interprete. Per Gavino Sale non ci sono dubbi. Ma quali armi, l’unica arma era il suo Tritolo, compagno di commando così chiamato per le sue esplosioni di allegria, così contagiose. Soltanto un equivoco. «Non ci siamo mai qualificati come gruppo armato, mai abbiamo avuto l’intenzione di abbassare quella leva e spegnere la centrale elettrica, privando della luce i fratelli sardi. Questo era piuttosto l’intendimento dell’ingegner Signoriello, il metodo più veloce per far intervenire i carabinieri. Noi lo abbiamo dissuaso». Le domande dell’avvocato Teresa Pes sono filtrate senza traduttore, per risparmiare sui tempi altrimenti infiniti del processo. Che si concluderà soltanto il sette febbraio ma per un problema tutto avvocatizio.
Tutto a posto quindi, il traduttore c’era, il processo si è tenuto regolarmente, il sardo è entrato ufficialmente in un’aula giudiziaria, accompagnato da telecamere e macchine fotografiche.
Articolo di Patrizia Canu.
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