Di comidad
Non un famigerato complottista ma un “rispettabile” giornalista del “Corriere della Sera”, Antonio Ferrari, ha immediatamente definito il golpe in Turchia un pateracchio, una sceneggiata. In effetti c'erano delle stranezze evidenti anche a chi seguiva la vicenda soltanto in TV. Erdogan, fuggito dal Paese, veniva dato come in cerca di asilo in Germania, poi addirittura in arrivo a Ciampino; ma i commentatori più “esperti” sostenevano che avrebbe cercato riparo negli Emirati Arabi.
Poi Erdogan compariva su di uno smartphone della CNN turca ad arringare le folle e incitarle a scendere in piazza contro i golpisti. I commentatori sostenevano che stesse parlando dall'aereo. All'improvviso, nonostante i morti e i feriti, il golpe viene stroncato (un golpe che dura cinque ore in un paese di quelle dimensioni?) ed Erdogan torna da trionfatore. I moventi del benefattore di Ankara nel crearsi un’emergenza-golpe possono essere vari: regolare brutalmente i conti con l'opposizione, varare anche lui una bella “riforma costituzionale”, bloccare i residui settori kemalisti dell'esercito, assumere il controllo totale della stampa, zittire o ridurre le proteste e le richieste delle minoranze etniche, aprire una fittizia polemica con la NATO e con l’Unione Europea in vista di qualche altro giro di valzer con Putin, salvo poi, come già in passato, rientrare a condizioni più vantaggiose nel suo ruolo di provocatore a tutto campo al servizio del Sacro Occidente.
Sembra proprio che Erdogan abbia manipolato e pilotato un golpe senza nessuna possibilità di riuscita in modo da offrire al mondo la rappresentazione spettacolare del “consenso” di cui sarebbe circondato. Sarebbe stato molto più realistico se l’auto-golpista Erdogan avesse esibito le ricevute dei finanziamenti che gli arrivano da decenni da parte delle petromonarchie del Golfo Persico. Quegli stessi finanziamenti che rendono poco plausibile un suo definitivo cambio di campo.
In realtà il “consenso” costituisce un mero accessorio del potere, chi ha il potere ha il consenso. Il potere è una bolla emergenziale drogata dalla propaganda e dalla violenza, al di sotto della bolla non c’è nulla. Anche molti “oppositori” sono persuasi invece che il potere possegga una sua solidità intrinseca e sia espressione di un radicamento sociale. Questi “oppositori” sono un po’ come atei che credono in Dio. La superstizione può coinvolgere anche gli uomini del sottobosco del potere: i vertici democristiani, che avevano imperato in Italia sino all’inizio degli anni ‘90, furono liquidati in pochi mesi, ad onta della loro illusione di rappresentare l’espressione di un inossidabile blocco sociale e ideologico, mentre invece costituivano solo un ammennicolo della NATO, cioè della fittizia emergenza della minaccia sovietica.
Anche alcuni commentatori non allineati sono caduti nella trappola del contrapporre i nostri “valori” europeo-occidentali a quelli del sultano turco, ma l’ipocrisia europea delle lezioni di democrazia ad Erdogan arriva comunque nel momento peggiore, quando il presidente francese Hollande ha appena preso a pretesto l’attentato di Nizza per prorogare lo stato di emergenza in Francia dapprima di tre mesi poi di sei mesi, cioè sino al gennaio prossimo, probabile data del prossimo attentato.
L’attentato di Nizza, prima di essere un fallimento delle misure di antiterrorismo, si configura anzitutto come una debacle dell’ordine pubblico, poiché risulta evidente la sproporzione tra l’economicità dei mezzi dell’attentato e la mostruosità degli effetti. Quando un mascalzone è turco tutti se ne accorgono, ma quando si tratta di un leader “occidentale”, magari dai toni dimessi e dagli occhioni da cane bastonato come Hollande, allora si fa finta di nulla.
Poche ore prima dell’attentato Hollande aveva annunciato in un’intervista la fine dello stato di emergenza, ciò facendo appello alla retorica dello Stato di Diritto, che non potrebbe dilatare all’infinito lo stato di eccezione. Tutta l’intervista, gestita dai soliti giornalisti proni, era tesa alla rivendicazione dei propri “successi” come la riduzione di nove milioni delle spese dell’Eliseo (capirai), senza invece dichiarare esplicitamente i costi stratosferici delle misure del cosiddetto ”antiterrorismo” e la lista dei beneficiari di quei finanziamenti pubblici. Non poteva mancare poi un’autocelebrazione sui salvifici effetti delle sue “riforme” del lavoro.
La fasulla esibizione di buone intenzioni di Hollande in merito alla cessazione dello stato di emergenza si sarebbe poi dovuta “arrendere” di fronte ai fatti di Nizza, ma il vero dato di fatto era che l’emergenza non era servita per niente a tutelare i cittadini; anzi, la bolla emergenziale della minaccia terroristica è la mongolfiera su cui può librarsi l’arbitrio del regime di Hollande.
Le sue destabilizzanti “riforme” del lavoro abbassano ulteriormente la soglia dei diritti dei lavoratori, e vanno quindi nel senso opposto alla sicurezza, in quanto impediscono di integrare i ceti più poveri delle periferie, su cui si erano tanto accalorati sociologi e media, e costituiscono inoltre un incentivo all’immigrazione di disperati pronti a qualsiasi condizione salariale.
Come a dire che si scacciano dal mercato del lavoro coloro che si sono formati su un certo grado di dignità del lavoro, e si pongono le condizioni per l’afflusso di chi è costretto a non porsi di questi problemi. E tutto ciò mentre la Francia si comporta da Stato canaglia, molto più responsabile della stessa Turchia nella destabilizzazione dell’Africa e del Vicino Oriente, dalla Libia, al Mali, alla Siria. La “speranza europea” rappresentata da Hollande si era dimostrata alla fine peggiore della Merkel.
Ora Hollande si rivela peggiore persino di Erdogan.
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