mercoledì 7 agosto 2013

Il patto: Renzi a capo di un’Italia svenduta alla Germania

Il patto: Renzi a capo di un’Italia svenduta alla Germania

Stanno cercando di vendere l’Italia: Renzi e De Benedetti alla Germania, Prodi alla Cina. In cambio, dai futuri padroni puntano a ereditare il controllo su un paese che, grazie a loro, sarebbe ridotto a un semplice protettorato. Pur nei suoi aspetti sgradevoli e controversi, la battaglia che Napolitano ha affidato a Letta e Alfano mira a scongiurare la svendita rovinosa del paese, mantenendo un rapporto strategico con gli Usa proprio per evitare la capitolazione definitiva di fronte a Francia e Germania, interessate a “smontare” il loro competitore più scomodo: l’Italia è ancora la seconda potenza manifatturiera d’Europa. E’ la tesi del professor Giulio Sapelli, secondo cui persino il governo Monti fu un tentativo di limitare i danni. Sapelli denuncia un vero e proprio complotto contro l’Italia, organizzato da un establishment che include “Repubblica”, settori di Bankitalia e dirigenti di Confindustria che fanno capo a Luca Cordero di Montezemolo. L’uomo su cui punterebbero? E’ Matteo Renzi.
I renziani, che remano contro il governo Letta, «sono organici al gruppo di De Benedetti», dichiara Sapelli a Lorenzo Torrisi, in un’intervista pubblicata Giulio Sapellida “Il Sussidiario”. «Oltre a volere un capitalismo subalterno al sistema franco-tedesco, perseguono un altro scopo: dare una spallata definitiva alle componenti di sinistra, sia cattoliche che ex Pci, all’interno del Pd». Quando ha incontrato la Merkel a Berlino, Renzi non ha spiegato di cosa abbiano parlato. D’Alema, ricorda Sapelli, ha auspicato che Renzi avesse detto alla Merkel che la sua politica è sbagliata. Invece: «Il fatto che non abbia detto nulla mi fa venire il dubbio che abbia offerto il suo assenso alla politica della Cancelliera». Il punto centrale resta l’industria, ovvero la piccola e media impresa, cuore del sistema-Italia: «Dobbiamo chiederci come saremo dopo la crisi: saremo ancora la seconda potenza manifatturiera o no?».
Sapelli denuncia le manovre di «un piccolo establishment che si sta muovendo per ottenere un’integrazione subalterna dell’Italia al capitalismo franco-tedesco». Letta e Alfano? «Hanno avuto un atteggiamento fermo nei confronti dell’Europa, e a questi signori non piace: vogliono quindi che il governo cada». Da chi è formato questo establishment? «Sicuramente da quella parte di Confindustria che fa riferimento a Montezemolo, così come da De Benedetti: basti vedere il comportamento di “Repubblica” che arriva a chiedere apertamente le dimissioni di Alfano», dopo lo scandalo kazako. Secondo Sapelli, una parte di Confindustria «vuol vedere l’Italia subalterna a Francia e Germania perché ormai non ha più nessuna fiducia in uno sviluppo autonomo manifatturiero del nostro paese», e quindi «lavora e pensa a un’integrazione subalterna di ciò che rimane dell’industria italiana sotto Montezemolol’ombrello protettivo franco-tedesco: in sostanza crede che l’Italia non ce la possa fare, e cerca di venderla al prezzo migliore».
La grande stampa riflette la battaglia in corso dietro le quinte: se “Il Sole 24 Ore” «ha preso solo una sbandata», bocciando il governo Letta, il “Corriere della Sera” «ha una posizione oscillante», e se “La Stampa” preme sempre di più su via Solferino, al “Corriere” è in atto uno scontro che mette in evidenza le divergenze radicali all’interno del mondo bancario, co-azionista del quotidiano milanese: «La linea subalterna e rinunciataria si scontra con quella di Bazoli e Guzzetti. Questi ultimi sanno che verrebbe messo in discussione il ruolo delle banche, anche grazie all’appoggio di una parte di Bankitalia». Il ministro Saccomanni, che viene da Bankitalia, in un recente convegno sulle soluzioni al “credit crunch” «ha aperto le porte ai credit fund, cioè allo shadow banking». Di fatto, per Sapelli, si tratta di un attacco frontale a Bazoli e Intesa, banca che «cerca ancora di difendere un po’ di rapporto con l’industria italiana», come già fatto dallo stesso Passera. «Non a caso anche le banche popolari, che hanno rapporti con le imprese sul territorio, sono De Benedettistate prese a bastonate da Bankitalia».
A partire dal drammatico esperimento-Monti, secondo Sapelli, Napolitano ha perseguito «un obiettivo chiaro: un’integrazione non subalterna dell’Italia nel processo europeo, una non-distruzione della nostra industria a seguito del cambiamento che ci sarà dopo la crisi». Secondo l’economista, «a questi signori, a questo establishment, il fatto che siamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa sembra dare fastidio». Via Monti, ecco Letta e Alfano. Ma la regia è sempre la stessa, quella di Napolitano: «Con questo esecutivo, si erano messi insieme gli unici due schieramenti contrari all’egemonia tedesca: il gruppo sociale raccolto intorno a Berlusconi e Prodiquello che finalmente, grazie alla crisi e grazie a Letta, ha capito che l’Italia non può essere subalterna».
Oltre a Francia e Germania, poi, ad avere interessi sull’Italia «c’è anche la Cina, che ha un “ambasciatore” in Prodi: in pratica si tratta di trovare le imprese da vendere a Pechino, che sta espandendo sempre di più la sua influenza in Europa». La Cina ultimamente però vacilla, è in crisi, «grazie proprio al sistema dello shadow banking che Saccomanni invoca per l’Italia». Di certo, aggiunge Sapelli, questo disegno agli americani non sta bene, «perché gli Usa non vogliono un’Italia “tedesca”: la Germania è una potenza anti-americana, quindi non vogliono che aumenti il suo peso nel nostro paese». E questo per Sapelli «è un bene, perché non credo che l’Italia – da sola, inEuropa, senza gli Stati Uniti – abbia un avvenire». Il professore pensa che l’avvenire italiano sia «organicamente legato al rapporto con gli Usa». Ultima annotazione, la Fiat: la banda Marchionne, secondo Sapelli, non fa parte del club che progetta la svendita del made in Italy. Per una sola ragione: per l’industria torinese, l’Italia non esiste già più. «La Fiat fa gli interessi degli Agnelli, che oggi vogliono diventare sempre meno italiani».

Fonte: www.libreidee.org
Link: http://www.libreidee.org/2013/08/il-patto-renzi-a-capo-di-unitalia-svenduta-alla-germania/

venerdì 2 agosto 2013

Gli afro-sardi, purissimi europei, DNA Sequencing Sardinians Reconstructs European Y Chromosome Phylogeny

La "Sardinya cromosomica è identitaria" ed anche "cosmogonica" con i suoi nuraghi che parlano di astronomia applicata, dalle parole del prof. Zacharia Sitchin possiamo evincere che forse siamo i diretti antenati degli antichi "Anunnaki" che  generarono attraverso la manipolazione genetica una nuova razza terrestre per poterla sfruttare come minatori nello "abtzu" minerario dell'africa sud occidentale ben 300.000 anni fa; 
la notizia del prof. Cucca è  li ad aprirci una rivelazione che noi sardi già conoscevamo ancor prima dello studio genetico pubblicato su "Science"  sui 120 connazionali; non ci vuole molto per comprendere che siamo un popolo a se,  basta guardare ascoltare ed osservare il popolo sardo per capire e riconoscere la sua specificità etnica, le sue traditzioni, la sua lingua , le sue particolari espressioni non conosciute ne comprese altrove, è per dirla con la giusta parola una  NATZIONE naturale.

Sa Defenza


Gli afro-sardi, purissimi europei
Uno studio sul cromosoma Y ci riporta all'Homo sapiens
Pubblicata negli States l'analisi di un'équipe isolana sul Dna di 1200 soggetti

Caterina Pinna
www.unionesarda.it


È vero che noi sardi non siamo alti, né biondi e l'occhio chiaro suscita in noi un'ammirata sorpresa: il tutto considerato nella media, ben inteso. Se però un marziano dovesse sbarcare sul pianeta blu e dire quali sono gli “europei” indicherebbe senza timore di smentita noi isolani. Un po' bronzetti nelle fattezze, olivastri di pelle e con troppi peli (sempre nella media) ma provenienti con certezza dal Vecchio Continente. 

Bisogna mettersi il cuore in pace, perché a dirlo sono i geni, il Dna, quell'infinita sequenza di triplette nelle quali è scritta la storia degli essere umani. Il primo nucleo che ha abitato l'Isola 7700 anni fa arrivava dall'Europa. Per storia e geografia poi, viviamo in una terra circondata dal mare, la popolazione sarda ha ereditato un altissimo numero di informazioni che ci rende unici e speciali dal punto di vista genetico. Ed è in questo immenso “registro” che è stata scoperta una nuova, preziosissima traccia che ci riporta indietro fino al paleolitico. Grazie a un'analisi dettagliata del cromosoma Y (che determina il sesso maschile) fatta su 1200 sardi, gli scienziati sono stati in grado di risalire al padre comune di noi tutti, all' homo sapiens vissuto 185 mila anni fa in Africa orientale.

I risultati di questa straordinaria ricerca, condotta da un'équipe coordinata dal professor Francesco Cucca, direttore dell'Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica, Cnr di Monserrato e professore di Genetica Medica dell'Università di Sassari, sarà pubblicata sul numero di oggi della prestigiosa rivista americana “Science” con il titolo “Low-Pass DNA Sequencing of 1200 Sardinians Reconstructs European Y Chromosome Phylogeny”. Un riconoscimento importante per il team di scienziati che ha scelto di dedicare il lavoro a Laura Morelli, una collega del gruppo sassarese scomparsa troppo presto.

«La scoperta più significativa della mappatura fatta sul cromosoma Y - spiega il professor Francesco Cucca - è che siamo riusciti a stabilire una data ben più antica di quanto non si fosse fatto finora e questo ci consente di mettere il codice maschile in linea con quello femminile». Si va indietro di oltre 50 mila anni rispetto a quanto indicato nella maggior parte degli studi precedentemente fatti su questo cromosoma.

Dal punto di vista genetico la Sardinya rappresenta uno straordinario laboratorio, perché i sardi assommano nel loro Dna un registro di informazioni ricchissimo. Dunque, all'interno del sequenziamento dell'intero genoma si inserisce «lo studio sul cromosoma Y di 1200 maschi, che rappresenta una popolazione ampia e adeguata a questo tipo di ricerca, e costituisce una fase più avanzata di indagine». Il cromosoma Y è particolarmente adatto per ricostruire ogni passaggio, perché viene trasmesso solo dai padri ai figli maschi, in una singola copia, quindi non si porta dietro le “ricombinazioni” tra contributi paterni e materni, tipici degli altri cromosomi. 

Ciò significa che la sua lettura è più lineare ma anche più ricca di informazioni, perché se nella replicazione del codice genetico ci sono state delle “mutazioni”, quando queste riguardano le cellule deputate alla riproduzione sessuata (spermatozoi e ovociti), si accumulano di generazione in generazione. In questo modo ci si porta dietro un'eredità che racconta tutte le “mutazioni” che si sono verificate nei progenitori.

«Lo studio - aggiunge il professor Cucca - conferma che i sardi hanno nel loro Dna una serie di caratteristiche peculiari e distintive - geni frequenti nell'Isola e rarissimi altrove - ma rivela anche che posseggono la maggior parte delle variabilità presente sul Dna del cromosoma Y degli altri popoli europei». 

Ecco perché per gli studi genetici ed evoluzionistici, i sardi rappresentano la singola popolazione che racchiude meglio le caratteristiche genetiche di tutti gli europei contemporanei. «La prima espansione demografica risale a 7700 anni fa, grazie a un nucleo fondante, un gruppo che si espande in modo omogeneo in tutta l'Isola, qualunque fosse l'origine. Si suppone però venissero dalla penisola iberica ma tracce di varianti genetiche sono state trovate anche nell'ovest europeo». 

Romani e vandali hanno poi portato in Sardinya varianti genetiche rintracciate in Africa. Ogni apporto esterno è stato registrato: per sapere di più su di noi non resta che leggere il sorprendente libro scritto tra le spirali del Dna.




L'indagine fatta da più istituti sardi è dedicata a Laura Morelli, studiosa scomparsa 
Un team guidato dal professor Cucca 
«Il mio compito è stato quello di legare insieme i fili dei vari gruppi di studiosi, avendo lavorato per anni a Cagliari e poi a Sassari e di nuovo a Cagliari». Il professor Francesco Cucca, allievo del professor Antonio Cao, preferisce distribuire equamente i meriti di una ricerca che ha un valore scientifico molto importante non solo per ciò che riguarda la storia della popolazione sarda ma perché contribuisce a ricostruire le vicende del primo popolamento in Europa. «L'idea - racconta - è nata due anni fa, durante una semplice conversazione tra amici. A un convegno di genetisti in America abbiamo poi capito che gli studi procedevano in questa direzione e questo ha rappresentato un'ulteriore spinta». Lo studio ha coinvolto in una intensa collaborazione numerosi ricercatori di differenti realtà scientifiche. In prima fila il professor Paolo Francalacci docente di Genetica presso il dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio dell'Università di Sassari che insieme al professor Cucca ha ideato e scritto il lavoro. «Del gruppo di lavoro sassarese faceva parte anche Laura Morelli, una collega e amica, recentemente scomparsa dopo una breve malattia, alla quale è dedicato lo studio». È stata la Morelli, insieme a Francalacci ad effettuare le complesse analisi filogenetiche per ricostruire le linee di discendenza del cromosoma Y e i rapporti evolutivi tra di esse. 
Gli altri protagonisti sono Carlo Sidore e Serena Sanna dell'Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica (IRGB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche che hanno avuto un ruolo prevalente insieme a Riccardo Berutti del CRS4 nelle analisi informatiche e statistiche sulle sequenze di Dna esaminate nello studio; 
Andrea Angius dell'IRGB-CNR/CRS4 che ha supervisionato il sequenziamento di molti dei campioni Dna considerati nello studio. La ricerca ha coinvolto anche ricercatori di altri gruppi nazionali ed europei (rispettivamente dell'Università di Pisa e di Bilbao) e americani (University of Michigan e National Institute on Aging di Baltimora).
«Saranno due gli studi pubblicati su Science, il nostro e quello di un'équipe americana che ha fatto uno studio analogo su altre popolazioni».
A iniziare a leggere, trenta anni fa, il grande libro genetico della Sardinya è stato il professor Antonio Cao, un pediatra che ha condotto importantissimi studi sulla talassemia, malattia ereditaria. «Noi abbiamo continuato quel lavoro di ricerca», aggiunge ancora il professor Cucca.  
  Le caratteristiche genetiche dei sardi hanno evidenziato i fattori di rischio di alcune malattie tipiche del bacino del Mediterraneo come il morbo di Cooley, responsabile di tanti morti.




Aggiungiamo l'articolo di Aba del blog monteprama apparso il 3 settembre per arricchire ulteriormente quanto già pubblicato antecedentemente.

sa defenza 


Uno studio sul cromosoma Y di 1204 Sardi. Ed il nostro bis-bis-bis...papà

di Atropa Belladonna
monteprama

Non è certo il merito principale di questo articolo, ma prima di dimenticarmene ringrazio sentitamente gli autori per avere fatto una  sintesi grafica dei siti archeologici sardi  dal mesolitico fino al neolitico tardo: non l' avevo mai vista prima (figura 1) (1). 

Figura1. Distribuzione spaziale di siti archeologici noti, in Sardegna, per l'epoca mesolitca e neolitica (modificato, dal supplementary material del rif. 1). La datazione dei siti di figura 1b, corrisponde alla prima grande espansione neolitica degli agricoltori-allevatori in Sardegna (data media 5700 a.C., 7700 anni  BP, before present). Nel lavoro di Francalacci et al. (1), tale espansione corrisponde alla "privatizzazione" sarda di alcune varianti del sotto-aplogruppo I2a1a, presente in ca. il 38% dei campioni analizzati, ma raro nel resto dell' Europa occidentale

Detto questo, l'elegante analisi del genetista Paolo Francalacci (Università di Sassari) e co-autori, pubblicata di recente sul prestigioso Science (1),  si distingue principalmente per i seguenti aspetti: 
a.  aver preso in considerazione un campione su larga scala (1204 persone), da una popolazione geneticamente informativa; di questo gruppo è stata analizzata la porzione MSY (maschio-specifica) del cromosoma sessuale Y, cromosoma che i maschi ereditano per via patrilineare (come il cognome, in pratica) (vd in coda al post il paragrafoDefinizioni). Tale porzione è particolarmente adatta ad analisi di genetica evolutiva perchè non presenta ricombinazione ed ha una bassa velocità di mutazione (1); 
b. avere usato dati archeologici per la calibrazione dell' albero evolutivo del cromosoma Y, anche se questo, come ben specificato dagli autori, è forse l'aspetto più critico (vide infra); 
c. aver individuato 11763 varianti minime degli aplogruppi studiati, denominate polimorfismi di singolo nucleotide (SNP, Single Nucleotide Polymorphism),  di cui ben 6751 nuovi: costituiranno una risorsa preziosa per futuri studi siadi evoluzione molecolare che di interesse medico;
d. l' aver individuato, nel modo più esaustivo possibile, i cosiddetti private clades (i rami specifici dell' albero evolutivo del cromosoma Y) della Sardegna, la loro posizione nell' albero e la loro segregazione dagli altri aplogruppi e sottoaplogruppi (Tabella 1 e albero): questo è fondamentale non certo per evocare i fantasmi nazionalistici, ma per poter stimare la velocità di mutazione spontanea (punto e.)
e.  aver contribuito a chiarificare un dilemma long-standing, cioè  l'apparente discrepanza tra l'età del nostro più recente antenato comune materno (posto tra 150000 e 240000 anni fa, dall' analisi del DNA mitocondriale, mtDNA) e quella  del più recente antenato comune paterno (finora posta a ca. 50000-115000 anni fa, attraverso l' analisi del cromosoma Y) (2). Come si sa, il mtDNA lo ereditiamo, tutti, per via materna dalla cellula uovo, mentre il cromosoma Y lo ereditano solo i maschi per via paterna. Entrambi sono soggetti ad una certa velocità di mutazione spontanea e le mutazioni si accumulano nel tempo: nei casi fortunati è possibile stimare la velocità di mutazione di un determinato gene o gruppo di geni, e risalire così al più recente progenitore comune.

Il lavoro di Francalacci et al. (1) ed uno concomitante di G. David Poznik et al. (2), riportano invece le tempistiche sullo stesso piano per maschi e femmine: in (1) si parla di 180000-200000 anni fa per il più recente antenato maschio comune; in (2) di un'epoca un pò più recente, 120000-156000 anni fa. Insomma in altre parole Adamo ed Eva sarebbero grosso modo, coetanei. In realtà, sempre quest'anno, è stato individuato per il cromosoma Y un aplotipodel superaplogruppo A (africano), denominato A00, che sarebbe ancora più antico: 338000 anni fa (3).  Non stupisca la variazione così ampia tra diversi studi e con diverse campionature: in assenza o scarsità di dati sperimentali di paleo- ed archeogenetica da campioni datati con sicurezza, e/o di campioni moderni sufficientemente larghi ed informativi, la calibrazione temporale degli alberi evolutivi è affetta da largo errore.

Tabella 1: la distribuzione, presentata in forma semplicata , dei 1204 genomi analizzati  tra i diversi aplogruppi, sotto-aplogruppi e le specifiche varianti sarde (private clades) della sezione MSY del cromosoma Y. Come si vede 851 (oltre il 70%) delle MSY cadono nei private clades (modificato da 1). Evidenziato in verde il gruppo legato al cromosoma Y di Ötzi, in giallo l'aplogruppo I, il sottoaplogruppo I2a1a ed il suo  private clade utilizzato per stimare la velocità di mutazione (1).

La strategia di analisi e di calcolo si può riassumere in questo modo:
i. dai dati raccolti si costruisce (sostanzialmente tramite comparazione delle sequenze nucleotidiche) un albero filogenetico; 
ii. l'albero ed i dati genetici consentono di individuare (se vi sono) le private clades di una determinata popolazione ed i punti di divergenza dai rami di un determinato aplogruppo;
iii. se una o più private clades sono sufficientemente segregate e numericamente ben rappresentate, sono utilizzabili per calcolare la velocità di mutazione  per quel determinato sottogruppo; in questo caso si è utilizzato il clade I2a1a-δ che include 430 individui su 1204, cioè il 36%, ed appare completamente segregato;
 iv. se, come in questo caso, l' accumulazione dei vari SNP appare costante nel tempo, la si può utilizzare come una sorta di orologio molecolare per datare le diramazioni dell' albero: ma per far questo c'è bisogno di un punto di calibrazione, momento  critico dell' intera analisi;
v. il punto di calibrazione scelto, in questo caso, è la prima grande espansione umana della Sardegna, che,  dai dati archeologici  disponibili, si colloca a ca. 7700 anni fa (fig. 1b);
vi: utilizzando il punto temporale di calbrazione e la variabilità degli SNP interna al private clade selezionato (I2a1a-δ in questo caso), si calcola una velocità di mutazione, che risulta qui essere di una nuova mutazione ogni 205 anni (+/- 50 anni); vii. da questa velocità si estrapola l' età del più recente progenitore comune maschio, che risulta essere, in questo caso, di ca. 200000 anni.

E' chiaro che vi sono diverse criticità: prima fra tutte la calibrazione dell' albero basata su dati archeologici la cui datazione è molto incerta e variabile; sarebbe molto meglio disporre anche di dati genetici da resti umani "d'epoca" datati con ragionevole sicurezza. Inoltre la storia evolutiva viene ricostruita sulla base di una fotografia genetica attuale e di ricostruzioni archeologiche relativamente recenti: l'espansione sarda di ca. 7700 anni fa segue, secondo l' albero evolutivo ricostruito, la differenziazione dei clades europei principali del cromosoma Y, avvenuta ca. 14000-24000 anni fa (1); ma questa analisi non può dirci nulla del destino genetico, ad esempio, dei fautori della enorme industria litica di Ottana che risale a 100000-700000 anni fa: che fine hanno fatto? c'è ancora qualche traccia di questi antichissimi abitanti, o si sono tutti estinti durante il Pleistocene, nel wipe out del periodo glaciale? Ed ancora: il piccolo manipolo di 13 persone, del campione moderno analizzato,  che mostrano aplogruppi prevalentemente africani (A1b1b2b e E1a1, vd. Tabella 1), li hanno ereditati in tempi recenti da invasori Romani e Vandali  (come suggeriscono gli studiosi) o sono giunti sull' isola in tempi più antichi?

L' analisi di sequenze geniche moderne consente quindi di ottenere un albero filogenetico che riflette i rapporti consequenziali tra di essi. Con  sofisticate interpolazioni matematiche, è possibile ricostruire la storia evolutiva di tali sequenze geniche, compiendo una sorta di cammino a ritroso. In casi fortunati si dispone di dati sperimentali provenienti dal passato per verificare se si inseriscano in modo corretto nel quadro (vd. ad esempio il caso di Ötzi, figura 2), ma di certo non si dispone di dati paleogenetici su larga scala: le vere e proprie stratigrafie di aplotipi che vengono ricostruite con questi potenti metodi di sequenziazione e calcolo, rimangono prevalentemente virtuali. Inoltre non possono tenere conto di linee estinte o che hanno avuto un successo trascurabile nel tempo, rendendo ancora oggi largamente incerto il link tra storia delle migrazioni umane e genetica evolutiva. Per fare un esempio, l' aplotipo Y di Ötzi appartiene al sotto gruppo G2a (come quello di altri due uomini neolitici euroepei) (4), tanto da fare pensare che all' epoca i G2a fossero molto più diffusi di oggi in Europa, dove attualmente sono rari (1-10%) tranne che in alcune zone del Caucaso, Corsica ed Sardegna (15-30%). Gli aplogruppi dominanti in Europa, oggi, appartegono ai superraggruppamenti I-J ed R . 
Ma a  proposito di Ötzi, dove si piazza? Il suo aplogruppo è del tipo G2 (4), precisamente del sottogruppo G2a2b che viene rappresentato da 131 sardi nello studio di Francalacci et al. (1, e tabella 1). La specifica variante polimorfica di Ötzi non è rappresentata nel campione preso in esame, ma si posiziona in modo ben delineato nell' albero filogenetico, evidenziando l' esistenza  di un antenato comune fra Ötzi  e gli attuali private clades sardo-corsi del tipo G2a2b. Del resto, che l' intero genoma della mummia del Similaun avesse come parenti più vicini quello dei Sardi e Corsi moderni, lo avevamo già appreso (4). 

Figura 2. Albero filogenetico  per il DNA di “Ötzi” (3300-3100 a.C.) (uno zooming dell' albero completo, che potete osservare in questo sito) (1). Le linee tratteggiate indicano la ramificazione in punti dove la lunghezza dei rami stessi non viene supportata da osservazioni sperimentali sul campione antico.  1) SNPs ancestrali a tutti i sottogruppi osservati;  1-2) 
SNPs il cui stato ancestrale in Ötzi è sconosciuto; 2) SNPs non condivisi da Ötzi; 3) SNPs condivisi dai campioni sardo-corsi;  Sardo-Corsican samples; 4) inizio degli SNPs per ora unicamente sardi (private); 5) Private  SNPs di Ötzi (1, supplementary material).

Conclusioni
Oltre alla nuova datazione del nostro bis-bis-bis....papà, i dati hanno anche implicazioni per le antiche vicende sarde. Nel cromosoma Y dei sardi attuali, sono presenti tutti i più comuni aplogruppi europei, tranne quello N del nord degli Urali. Il grado di intervariabilità è alto, così come la percentuale di campioni che segregano in private clades dell'isola (ca. il 71%). Sono presenti, in percentuali non trascurabili,  sotto-aplogruppi rari nel resto d'Europacome l' R2a1 ed alcuni del gruppo F e G. Secondo gli autori i dati suggeriscono uno scenario piuttosto intricato per la storia relativamente recente della Sardegna. Nello specifico, la notevole "privatizzazione" in rami specifici sardi degli aplogruppi E, R, e G, è consistente con una ulteriore espansione demografica (oltre quella del neolitico antico, fig. 1b, marcata dalla privatizzazione del ramo I2a1a), durante il tardo neolitico (4000-3500 a.C.). Altre variazioni giunsero probabilmente con l' arrivo di gruppi umani recanti sottogruppi del tipo I (diverse da I2a1), J e T. I dati genetici concordano con i dati archeologici indicanti che la Sardegna raggiunse un notevole livello abitativo in tempi preistorici. 
Ricordiamo che l' aplogruppo I2a1 del cromosoma Y è  identificato dalla mutazione M26, caratteristica della Sardegna (dal 34%-51%, secondo le zone), ma assente/a bassa frequenza nel resto d’Italia, così come nell' isolato genetico di Carloforte (2%) (5)

Considerazioni finali
Si attendono ovviamente, risultati di archeogenetica sul cromosoma Y da inserire nel quadro e, possibilmente, nell' albero filogenetico. Per ora gli studi su resti umani recuperati dagli archeologi  si sono focalizzati sul DNA mitocondriale e su un numero di campioni limitato

Come ha fatto notare Rebecca Cann commentando gli articoli (1) e (2), vi sono reticenze e perplessità, per così dire sociali, riguardo questo tipo di studi:  "For most biologists, the analysis of  SNPs simply provides evidence of population subdivision in the branching patterns  of our long-dead ancestors, and this can  offer an overwhelming sense of our geographical roots that some will find appealing. However, for social scientists pondering  the social consequences of such disclosures surrounding biological diversity in humans,  there can be instant recoil at past misguided  efforts to use genetics to justify racism".(6) Queste motivazioni (o meglio in molti casi, pseudomotivazioni), purtroppo, inducono anche a presentare questo tipo di studi, da parte dei media  o peggio dai soliti divulgatori, in modo parziale e in gran parte con titoli fuorvianti ed eclatanti. Viceversa, alcuni tendono ad sovraintepretare i risultati di tali indagini in modo favorevole a qualche teoria, dando a questi studi una sorta di potere soprannaturale sull' interpretazione della storia. In altre parole questi studi bisogna prendersi la briga di leggerli, con santa pazienza, per capirne la portata e potenzialità. 

In una bella intervista  sul numero estivo 2013 di Focus Storia Collection, il bravissimo Paolo Francalacci  risponde ad alcune domande e, tra le altre cose, spiega: "La genetica è più democratica della storia, perchè ci fa vedere gli spostamenti delle masse, non dei singoli re e dei loro eserciti. Gli uomini hanno tutti una origine comune: una piccola tribù africana di circa 150000-200000 anni fa. [..] 27000 anni prima prima di Cristo la base genetica dell' Italia moderna ha iniziato a definirsi: gruppi di uomini provenienti dal Medioriente e dall' Europa (prima dal nord, più tardi da occidente) cominciarono a susseguirsi sul territorio italiano fino al XII secolo a.C. [..] La cosa più sorprendente è che il paesaggio genetico italiano è rimasto fermo a età preromana[..] Gli antichi romani, che tanta importanza hanno avuto da un punto di vista culturale e politico non hanno influito molto sui geni degli italiani: erano infatti sì una élite dominante, ma costituivano un gruppo troppo piccolo per lasciare una eredità genetica".
Questo concetto è, a mio avviso, anche esso molto importante negli studi stessi di genetica evolutiva e nella loro correlazione a dati di archeologia e di storia-spesso dominati proprio dai lasciti delle élites. 

(1) Paolo Francalacci et al., Low-Pass DNA Sequencing of 1200 Sardinians Reconstructs European Y-Chromosome Phylogeny, Science, 2013, 341, 565-569 , with free access supplementary material 
(2) G. David Poznik, Brenna M. Henn, Muh-Ching Yee, Elzbieta Sliwerska, Ghia M. Euskirchen, Alice A. Lin, Michael Snyder, Lluis Quintana-Murci, Jeffrey M. Kidd, Peter A. Underhill, and Carlos D. Bustamante, Sequencing Y Chromosomes Resolves Discrepancy in Time to Common Ancestor of Males Versus Females, Science  2013: 341 (6145), 562-565
(4)  Keller, A. et al. (2012). "New insights into the Tyrolean Iceman's origin and phenotype as inferred by whole-genome sequencing". Nature Commun. 3 (2): 698
(5) Calò, C.M., Corrias, L., Bachis, V., Vona, G., Brandas, A., Scudiero, C.M., Di Fede, C., Mameli, A., Robledo, R., 2013. Analisi di due isolati della Sardegna (Italia) attraverso lo studio dei polimorfismi del cromosoma Y. Antropo, 29, 1-7. 
(6) Rebecca L. Cann, Y Weigh In Again on Modern Humans, Science 341, 465 (2013);

Definizioni
Aplotipo: combinazione di varianti alleliche lungo un cromosoma o segmento cromosomico contenente geni strettamente associati tra di loro, che in genere vengono ereditati in blocco
Aplogruppo:  un insieme di aplotipi differenti,  originati dallo stesso aplotipo ancestrale. Gli   aplotipi di un aplogruppo presentano polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) in forma ancestrale, più ulteriori polimorfismi che li rendono specifici e differenti tra di loro.
MSY: porzione maschio-specifica del cromosoma determinante il sesso maschile Y. Contiene 78 geni sugli 86 totali del cromosoma (il cromosoma X ne contiene circa 1500). In ogni cellula del corpo (diploide) i maschi recano una coppia XY, le femmine una coppia XX. Gli spermatozoi, le cellule sessuali maschili (che contengono uno solo dei due cromosomi, sono quindi aploidi),  recano per il 50% il cromosoma Y e per il 50% quello X. Le cellule sessuali femminili (cellule uovo), recano ciascuna un cromosoma X. L' unione delle cellule sessuali ripristina un corredo cromosomico diploide e la progenie sarà quindi maschio (XY) o femmina (XX). I maschi ereditano quindi il cromosoma Y per via patrilineare. Maschi e femmine ereditano invece il DNA mitocondriale dalle cellule uovo della madre, essendo il mitocondrio un organello cellulare con DNA proprio, distinto dal nucleo, che contiene invece cromosomi. Durante la riproduzione, gli spermatozoi forniscono alla cellula uovo solo il nucleo e nessun altro organello cellulare. Il sistema XY per la determinazione sessuale si è evoluto circa 166 milioni di anni fa. In molti vertebrati eterotermi il sesso non viene determinato geneticamente, ma da condizioni ambientali (ad esempio negli alligatori). 

Appendice.
Mappe distributive, in area mediterranea  di  aplogruppi di cui si è parlato nel post, da questo sito




mercoledì 31 luglio 2013

SA PROVOCATZIONI ITALIOTA APITZUS DE IS CARTELUS IN BILINGUAS: Segnali di inizio e fine centro abitato in dialetto/bilingue

Sa litera c'at arriciu su comunu de Santu Sparau in provintzia de Castedhu

Assòtziu de Istudentes - Su Majolu


Publicamus sa lìtera chi su ministeru pro sas infrastruturas at mandadu A sos 

comunos de Sardinya, A sas Provìntzias de Sardinya, A s'ANAS de Casteddu, 

E p. c. A sas Prefeturas de Casteddu, Nùgoro, Tàtari e Aristanis. Custa lìtera est

arrivada a su comunu de Santu Sparau (CA)


"Oggetto: Segnali di inizio e fine centro abitato in dialetto/bilingue:


 CHIARIMENTI. Lo scrivente ufficio durante i numerosi sopraluoghi che svolge

 all'interno del territorio regionale ha riscontrato l'utilizzo diffuso della 

segnaletica di delimitazione del centro abitato in doppia lingua. Sebbene la 1° e 

la 12° Direttiva "sulla corretta e uniforme applicazione delle norme del Codice 

della Strada" avessero già fornito chiarimenti sull'utilizzo di tale segnaletica, lo 

Scrivente, con l'obbiettivo di rappresentare le peculiarità della Regione sarda in 

tema di toponomastica, ha formulato il quesito alla competente Direzione 

Generale della Sicurezza Stradale. Nella nota Ministeriale allegata la D.G. ha 

precisato come tale utilizzo sia ammesso esclusivamente ai sensi dell'art. 125 c. 

6 del Regolamento e dove gli accordi internazionali ammettono la possibilità di 

riportare in massimo due lingue ufficialmente riconosciute per facilitare l'utenza 

stradale di altre nazioni, non ammettendo tale deroga per le forme dialettali. 

L'unica eccezione prevista dall' art. 37 comma 2 bis del Codice della Strada e 

successive modifiche da la possibilità agli enti a cui spetta l'apposizione e la 

manutenzione della segnaletica stradale , nei segnali di localizzazione 

territoriale del confine del comune di utilizzare lingue regionali o idiomi locali in 

aggiunta alla lingua italiana. Tali segnali (art. 134, comma 4, del Regolamento 

di Esecuzione del Codice della Strada) sono segnali a sfondo marrone e di 

dimensioni ridotte. Si invitano pertanto i suddetti Enti in indirizzo ad intervenire 

nel proprio ambito di competenza ai fini della corretta applicazione del 

Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada e successive modifiche. Si 

rimane a disposizione per ogni ulteriore chiarimento."

In pràtica su chi est nende su Ministeru italianu est chi sa limba sarda est una 

"forma dialettale", una "lingua regionale o idioma locale", est a nàrrere unu 

limbàgiu italianu che a su napolitanu e a su milanesu. Pro custa resone narat 

chi non si podet impreare in sos cartellos de sa segnalètica in sas intradas de 

sas biddas (su prus de sos cartellos bilìngues in Sardinya sunt de custu tipu), 

ma podent èssere postos (paris cun su cartellu in italianu) petzi in sos 

istradones pro inditare sa làcana de su territòriu comunale, e chi depent àere 

sas iscritas prus minores de sos cartellos normales e cherent colorados in colore 

de castàngia. In pràtica su chi nos diant permìtere est de iscrìere in sardu sos 

cartellos "folclorìsticos" in foras de sas biddas. Custu in conca issoro, ca sos 

cartellos in sardu devent abbarrare in ue sunt! E custu pro duas resones: 1) ca 

pro sa lege italiana 482 su sardu est riconnotu che una "minoranza linguistica 

storica riconosciuta dalla repubblica" comente est pro sos tirolesos pro a sos 

valdaostanos; 2) ca in sa terra nostra non semus una minoràntzia ma una 

majoria e devent detzìdere sos sardos.



- CARTELLI IN SARDO - UNA DELIBERA PER CANCELLARE QUELLI IN ITALIANO


CAI..BAU...SLAP, questa è come sempre la reazione del cane mansueto e fedele che riceve calci dal padrone. Ricevuto il calcio dello stato, che ha deciso di folclorizzare i cartelli in sardo, i sardi mansueti e fedeli,si lamentano per il dolore e abbaiano un po' alla luna, per farsi sentire dagli elettori, prima di tornare, come al solito alle leccate di fedeltà.  


 Per lo stato, il sardo è archeologia italiana e folclore e in tale unica funzione va usato, lo sanno benissimo coloro che oggi si strappano un bottone facendo finta di strapparsi le vesti. Se tutto il contesto culturale del nostro popolo è stato folclorizzato e sostituito da un contesto più "civile" e "moderno", vestire, ballare, parlare, comportarsi, essere società, alla civile,  ciò è potuto avvenire non solo per l'italizzazione forzata  ma anche per la mediazione di intermediatori sardi che da tale funzione hanno tratto e traggono vantaggio.


BASTA UNA DELIBERA - RESTITUIAMO I NOMI IN SARDO ALLE LOCALITA'  E RIMUOVIAMO I CARTELLI IN ITALIANO.  Se si ha il coraggio e la determinazione,invece che protestare si deve agire, abbiamo gli strumenti, comuni, province e regione possono deliberare di restituire i nomi in sardo alle località, alle città, ai paesi e alle vie e far perire di spada chi con spada vuole ferire.

Quale migliore occasione per rimuovere quegli obbrobri di, Margine Rosso, Mal di Ventre, Torre delle Stelle e altri istropios di traduzioni in italiano.


Questa è la misura della protesta, altrimenti continuate a fare cai..cai senza abbaiare.


OLBIA  31/07/2013  anno 152° Dominazione Italiana                      

IL COORDINATORE NAZIONALE di SNI

                                                                                                                    
Bustianu Cumpostu
                                                                      


lunedì 29 luglio 2013

L’INCONTRO – Indipendentisti in cerca di unità

 Il nostro augurio è che tutti i movimenti,i partiti e liberi pensatori indipendentisti sardi si mettano a "sa mesa" per ragionare sulla possibilità di affrontare tutti assieme  la prossima tornata elettorale della regione Sardinya, con nel cuore e nella mente gli interessi natzionali della nostra terra.

Sa Defenza


L’INCONTRO – Indipendentisti in cerca di 

unità

SARDEGNA QUOTIDIANO 

https://www.facebook.com/SardegnaQuotidiano

Le elezioni regionali e lo sbarramento della nuova legge elettorale agitano il fronte indipendentista. 


Domani ad Olbia sarà apparecchiata l’ultima tappa di “Laboratorio Gallura”: «percorsi politici verso l’indipendenza del nostro popolo»,si legge nella locandina dell’evento che apre le porte ai segretarinazionali dei partiti nazionalisti. Hanno già dato la loro adesione Sardigna Natzione, Progres, Fiocco Verde, Psd’Az, Sardigna Libera e Fortza Paris. 

Non sarà presente all’appuntamento Gavino Sale di Irs perché, come fa sapere il diretto interessato, «siamo impegnati nel decennale della fondazione del nostro movimento, a Tissi ma abbiamo partecipato alle altre tappe di Laboratorio Gallura». 

Una serie di incontri per «promuovere un’ipotesi di riunificazione o coalizione dei partiti sardi, indipendentisti ed identitari con la finalità di presentare liste per le prossime regionali». «Perché - spiegano i promotori dell'inziativa - la particolare situazione in cui versa la nostra isola, ci spinge a trovare convergenze che consentano di intraprendere un cammino unitario verso la conquista del governo».

Gli organizzatori tengono pure a precisare che tutto l’apparato non è organizzato da Sardigna Natzione ma da «un gruppo di lavoro i cui membri sono indipendentisti della base, simpatizzanti e alcuni militanti nei vari partiti e movimenti del vasto universo indipendentista, nonché da indipendentisti liberi». 

Però Bustianu Cumpustu, coordinatore nazionale del neonato Laboratorio e leader di Sardigna Natzione,tiene a dire la sua su tutta la questione. Il punto, d’altronde, è sempre quello, e cioè come muoversi in vista dell’appuntamento elettorale fissato per il febbraio del 2014.

«I sovranisti come in un’ardìa a piedi o in una corsa degli scalzi di Sinis cercano di superarsi a vicenda per non perdere gli autobus italianisti che portano agli scranni del consiglio regionale sardo», ragiona Cumpustu, riferendosi ai movimenti dell’ultim’ora che «ingannano se stessi ed i sardi facendo credere che saranno messi loro alla guida». 

Ma non tutto è perduto: «La cultura politica sarda è viva, può dettare una propria agenda politica», rende noto ancora. In prima fila, manco a dirlo, Sardigna Natzione che «chiama,senza pretese di primogeniture, tutte le forze politiche, movimenti, comitati, e singole persone che non hanno dirigenze italiane al dovere di tentare un’alternativa al sistema politico del disastro», è l’appello finale. 

Quindi Laboratorio Gallura come primo passo per «trovare spazi di condivisione e,se ci sarà la maturità necessaria, sintetizzare una proposta di alternativa alsistema del collaborazionismo», è il finale. 

Saluta positivamente l’iniziativa anche il segretario nazionale del Psd’Az Giovanni Colli: «L’idea è quella di promuovere un confronto costante tra partiti e movimenti», osserva per poi precisare che «l’aria non è quella di discutere di formule elettorali ma piuttosto capovolgere i termini della questione. 

Cioè prima il confronto su questioni concrete e poi si vedrà», è la tesi. 

È positivo comunque «l’inizio di un percorso molto importante, dopo le conflittualità precedenti quando ognuno pensava al proprio orticello, ma ancora non sappiamo se i frutti si vedranno alle prossime regionali o più in là», conclude con molta cautela il segretario dei Quattro Mori. 

Francesca Ortalli


Quando si utilizzano i disoccupati per rafforzare lo sfruttamento


Quando si utilizzano i disoccupati per rafforzare lo sfruttamento

Daniel Zamora 
Tradotto da  Centro di Cultura e Documentazione Popolare



Mentre la disoccupazione ha raggiunto livelli record in Europa con un tasso che supera il 12%, in una lunga intervista per Standaard, Bart De Wever [leader del Partito di Nuova Alleanza Fiamminga, N-VA] dichiara che la contraddizione tra capitale e lavoro non è più rilevante: la nuova linea di demarcazione è tra produttivi e non produttivi. Per lui, "lo Stato è un mostro che ispira ed espira denaro. Chi apporta denaro? Quelli che creano valore aggiunto. Chi consuma denaro? I non produttivi, così importanti elettoralmente che consentono di perpetuare questa politica".

In Francia, il deputato di estrema destra Jacques Bompard ha presentato un disegno di legge per trasformare il disoccupato in un lavoratore gratuito. Questa idea, tutt'altro che nuova, era già nel programma di Nicolas Sarkozy nel 2007, suggerendo che "i titolari del minimo sociale siano impegnati in attività di interesse generale, per incoraggiare tutti a trovare un posto di lavoro, piuttosto che vivere di assistenza". In Inghilterra, per giustificare una nuova riforma del sistema di previdenza sociale per ridurre la quantità dei sussidi di disoccupazione, David Cameron dichiara oggi che il sistema "è diventato una scelta di vita per alcuni" [1]. Gli interventi raccomandati da questi politici sono quindi diretti a ripristinare la "giustizia" di un sistema che penalizza chi "lavora sodo" e premiare chi indulge nella "dipendenza". Questo discorso è diventato egemonico e incarna una tendenza generale sul continente dove è diventato luogo comune esaltare "chi si alza presto", contro gli "assistiti", i "produttivi" contro gli "improduttivi" e per meglio legittimare le riforme di austerità e la crescita della disuguaglianza.

Questa idea ci reinvia oggi al "modello tedesco", con la promozione di lavori di interesse generale pagati 1 euro all'ora per ottenere l'assistenza sociale. Il vantaggio di questo modello sviluppato sotto il governo Schroeder tra il 2003-2005, risiede precisamente nel fatto che si concentra sulla ristrutturazione radicale del sistema di disoccupazione e degli ammortizzatori sociali legandoli a profonde riforme in materia di impiego, le riforme Hartz. Questa riconfigurazione dello stato sociale tedesco viene quindi posta a sostegno della riforma del mercato del lavoro, costringendo i disoccupati ad accettare un posto di lavoro anche se lo stipendio percepito è inferiore all'indennità di disoccupazione, facendo esplodere il fenomeno dei "lavoratori poveri". Lungi dal limitarsi ad una politica di moderazione salariale, il modello tedesco ha come caratteristica centrale quella d'aver incentrato i suoi sforzi sulle "riserve" (disoccupati, poveri, precari) e non sui lavoratori "stabili". Ma per questa via, ha causato una profonda destabilizzazione di tutto il mercato del lavoro senza dover affrontare direttamente i settori più sindacalizzati e combattivi del salariato. Tali riforme non sembrano limitate alla Germania, ma invece si generalizzano in tutta Europa. Si pone con insistenza una questione: come spiegare la relativa passività con cui i sindacati e i movimenti operai dei vari paesi hanno risposto a queste riforme. In Belgio la riforma per la riduzione progressiva degli ammortizzatori sociali ha mobilitato solo frange minoritarie del salariato, in Germania le riforme radicali Hartz sono state accompagnate da loro. Come spiegare una mobilitazione così debole da parte degli "attivi" quando si tratta di questioni che interessano i "non-attivi"?

Per capire questo problema, è necessario rifarsi alla polarizzazione dei salari verificatasi tra "attivi" e "non attivi" a seguito dell'esplosione della disoccupazione, fin dagli anni '70. Questo ha cambiato profondamente la visione popolare del mondo, con la separazione tra "loro" (i padroni) e "noi" (i lavoratori), così ben studiata da Richard Hoggart [intellettuale britannico, sociologo, ha dedicato particolare attenzione alla cultura popolare, ndt]. Radicata nell'esperienza quotidiana del mondo del lavoro, questa visione permetteva, anche prima di ogni pratica politica, la solidarietà culturale della classe operaia, fondando l'efficacia del discorso politico della sinistra [2]. La disgregazione degli ambienti popolari ha considerevolmente destabilizzato questa solidarietà, introducendo un "loro" al di sotto di "noi". Parti delle classi popolari hanno iniziato a nutrire la sensazione che "quelli" in alto non facevano nulla contro gli abusi di "quelli" in basso. Nel suo studio sul mondo operaio Oliver Schwartz ha scritto che: "Si produce qui una sorta di coscienza popolare che (...) si rivolta alternativamente contro quelli in alto e quelli in basso" [3]. Questa struttura corrisponde parzialmente al nuovo profilo che il Fronte Nazionale [di Le Pen] cerca di darsi per conquistare il voto delle classi lavoratrici: schierandosi contro il "sistema", le "elite" e il "dio denaro", ma attaccando contemporaneamente i disoccupati, gli immigrati, gli irregolari che ingrossano le fila degli "assistiti" [4]. Questa visione della società non dovrebbe tuttavia renderci ciechi riguardo al fatto che la logica politica della sinistra non è quella che rafforza questa dinamica, ma al contrario, quella che la supera. Sia sul piano teorico, che pratico.

Sul piano teorico significa rompere con la tendenza che ha sostituito il tema della centralità della questione operaia con quello dell'"esclusione", dal periodo post-bellico. In effetti, anche se la problematica si articola in modo differente nei diversi paesi, è tuttavia la questione delle "riserve" in tutte le sue varianti (disoccupati, poveri, precari, immigrati esclusi, ...) ad aver occupato il dibattito pubblico e scientifico per decenni. Come ha notato Xavier Vigna, c'è una nuova messa a fuoco "dal mondo del lavoro all'esclusione, alla povertà e alla disoccupazione" [5], che, paradossalmente, ha contribuito a plasmare questo dualismo nel dibattito pubblico. Separata dall'occupazione, la categoria dei "disoccupati", dei "poveri", dei "precari", non si iscrive più nella nozione di sfruttamento alla base dei rapporti economici quanto invece a forme di dominio, a situazioni di privazione relativa in termini monetari, sociali o psicologici.

A questo proposito è interessante notare come Marx poneva il problema alla sua epoca. Considerando che "Il concetto di lavoratore libero implica che egli è povero: virtualmente povero" [6], concepiva la nozione di pauperismo come latente nel lavoro salariato. Lo è virtualmente poiché è il risultato contraddittorio di uno stesso e unico sviluppo, quello che stabilisce una relazione fatale tra accumulazione di capitale e accumulazione di miseria. Fredric Jameson inoltre sottolineava che dobbiamo partire dalla struttura del modo di produzione e quindi dalla struttura dello sfruttamento e non dalle sue forme immediate e apparenti. Il dominio o l'esclusione sono per lui, non solo "il risultato di questa struttura, ma anche il modo in cui si riproducono" [7] e non il contrario. In questo modo ci incoraggia a "pensare la disoccupazione come una categoria dello sfruttamento" [8] e non solo come uno stato "precario" o una situazione separata dallo sfruttamento del lavoro salariato.

In termini pratici, è chiaro che le organizzazioni di difesa dei disoccupati e dei poveri troppo spesso trattano questi problemi indipendentemente dal mondo del lavoro. Eppure è proprio questa separazione che determina aspre riforme nei confronti delle "riserve", eludendo una forte protesta sociale. Questa mancanza di interesse - vedi la posizione talvolta conservatrice della classe operaia - verso gli "assistiti", diventa uno dei temi centrali dei movimenti sociali per gli anni a venire contro l'austerità. La capacità che avranno le organizzazioni politiche e sindacali a sensibilizzare e legare gli interessi delle "riserve" a quelli della classe operaia "stabile" determineranno il successo o il fallimento delle lotte future. Inoltre, dall'inizio dell'industrializzazione, Marx rimarcava che un passo decisivo nello sviluppo della lotta sociale coincide con il momento in cui i lavoratori scoprono che l'intensità della concorrenza che si fanno gli uni con gli altri dipende interamente dalla pressione esercitata dalle riserve e decidono di unirsi per organizzare obiettivi e azioni comuni tra gli occupati e i non occupati. [9]

Note
[1] http://www.lesoir.be/221184/article/actualite/monde/2013-04-07/david-cameron-vivre-des-aides-sociales-est-un-choix-vie 
[2] Lire à ce propos Robert Castel, La montée des incertitudes, Seuil, Paris, 2009, p. 370-371
[3] Olivier Schartz, Le monde privé des ouvriers, PUF, Paris, 2002, p. 56
[4] Marine Le Pen, Pour que vive la France, Grancher, Paris, 2012, pp.18
[5] Xavier Vigna, Histoire des ouvriers en France au XXe siècle, Perrin, Paris, 2012, p. 282
[6] Karl Marx, Œuvres. Economie II, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1968, p.255
[7] Fredric Jameson, Representing capital, Verso, London, 2011, p. 150
[8] Ibid, p. 151
[9] Karl Marx, Œuvres. Economie I, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1965, p.1157




Per concessione di Resistenze
Fonte: http://www.michelcollon.info/Quand-on-utilise-les-chomeurs-pour.html?lang=fr

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